speranza di un boom economico duraturo si è rivelata un miraggio; tutte
le grandi potenze si sono concentrate sull’incasso dei sostanziosi dividendi
della crescita economica, disperdendo buona parte delle loro energie
politiche.
Le grandi potenze, insomma, si sono prese una “vacanza strategica” nel
corso degli anni Novanta. Le numerose crisi regionali che hanno
caratterizzato il passato decennio, invece di essere interpretate come il
sintomo di un sistema internazionale ormai inadeguato, sono state
affrontate dalle grandi potenze senza una precisa strategia.
Le Nazioni Unite sono state oggetto di un tentativo di riforma - fallito -
affrontato seguendo schemi interpretativi in gran parte superati dal nuovo
contesto internazionale.
Le grandi potenze condividono, quindi, la responsabilità di non essersi
adoperate sufficientemente per soddisfare le speranze di pace e di
sviluppo che l’opinione pubblica globale aveva riposto nella fine della
contrapposizione bipolare. Paradossalmente il mondo appare ora tutt’altro
che più sicuro.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno sconvolto gli Stati Uniti
d’America e il mondo intero. Quei tragici eventi hanno contribuito a
mutare il corso della politica internazionale ed hanno ridato una priorità
elevata alle questioni globali.
Il Presidente statunitense Bush ha elaborato una strategia per la sicurezza
nazionale degli Stati Uniti d’America, nota come dottrina Bush, per
rispondere a quelle che vengono considerate le nuove minacce: il
terrorismo internazionale, la diffusione delle armi di distruzione di massa e
i c.d. stati canaglia.
La lotta al terrorismo, prima ancora di trovare una sua teorizzazione
formale, è stata attuata in occasione dell’intervento militare in
Afghanistan, stato canaglia accusato di proteggere al-Qaida, la rete
terroristica ritenuta responsabile degli attentati terroristici dell’11
settembre.
L’Amministrazione Bush, poi, ha elaborato la National Security Strategy of
the United States of America, documento centrato sulla lotta ai rogue
states, ed un “corpus” di altri documenti strategici sostanzialmente miranti
a promuovere la dottrina strategica della guerra preventiva. Questa
dottrina sembra essere stata elaborata più con riguardo al caso specifico
dell’Iraq che come norma generale per la soluzione delle controversie
internazionali. Tanto è vero che mentre è stata applicata, appunto, alla
crisi irachena, per quanto riguarda la Corea del Nord si sono cercate altre
soluzioni.
Accanto a ciò l’Amministrazione Bush ha varato il più consistente aumento
del budget militare dai tempi di Reagan, accompagnandolo con l’inizio di
una vasta trasformazione dell’esercito statunitense, nota come Revolution
in Military Affairs.
La dottrina Bush aspira ad essere una strategia globale, dove l’aggettivo
globale non sta ad indicare solo il terreno materiale della sua applicazione,
ma anche l’ampiezza degli argomenti che vengono affrontati. Le
dichiarazioni riguardanti la promozione della democrazia e dello sviluppo
economico (inteso come adozione del neoliberismo da parte di tutti gli
stati), risultano, però, essere troppo poco incisive per sostanziare questa
aspirazione.
La nuova politica inaugurata da Bush è una sintesi eclettica dei temi di
politica estera che hanno caratterizzato tutta la storia americana.
Riprendendo concetti quali quello dell’eccezionalismo della condizione
americana e del destino manifesto mira a ribadire il ruolo di “nazione
necessaria”, già teorizzato da Clinton e dalla Albright, ovvero la profonda
convinzione che la sicurezza globale passi attraverso quella degli USA. La
dottrina Bush non si basa esclusivamente sugli assunti della teoria realista
delle relazioni internazionali, ma opera una creativa fusione tra idealismo e
realismo. Bush afferma, infatti, di perseguire un “equilibrio di potenza che
favorisca la libertà”.
Questa impostazione si richiama fortemente alla trazione della presidenza
Reagan, tanto da essere stata definita una politica estera neo-reaganiana.
Un’eredità evidente, ad esempio, nel richiamo alla moral clarity e nella
celebrazione dell’american way of life, così come nel rilancio di proposte
politiche tipiche della presidenza Reagan: su tute quella del c.d. scudo
spaziale e il forte aumento delle spese per la difesa.
Nella dottrina Bush emerge, inoltre, una spiccata propensione
all’unilateralismo: gli Stati Uniti intendono dettare le priorità, i tempi e i
metodi dell’agenda politica internazionale senza coinvolgere gli alleati o le
organizzazioni internazionali, le altre nazioni possono decidere di
collaborare, altrimenti gli USA si dichiarano pronti ad agire da soli. La
relazione con le Nazioni Uniti, nell’elaborazione teorica dei documenti
strategici e nella prassi, appare quanto mai problematica.
Questa politica statunitense risente, in particolar modo, delle idee
sviluppate e promosse da un gruppo eterogeneo interno al partito
Repubblicano, i cui membri vengono definiti neoconservatori. Essi si
prefiggono l’obiettivo di creare un “nuovo secolo americano” nel quale gli
USA riescano a far valere la propria egemonia benevolente.
Dopo l’approfondimento degli argomenti sopra brevemente citati, si
cercherà di trarre delle conclusioni che contribuiscano a chiarire i contenuti
della dottrina Bush, tentando di fornire al lettore gli strumenti necessari ad
elaborare un suo giudizio autonomo.
LA DOTTRINA BUSH. Un’analisi storica e critica.
“Ubi solitudinem faciunt,
pacem appellant.”
Tacito, Agricola, 30
La dottrina Bush è la strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti
d’America elaborata dall’Amministrazione del Presidente George W. Bush
1
successivamente agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Contiene
le linee guida della politica estera americana e l’approccio alle relazioni
internazionali.
Il documento principale in cui è stata enunciata è “The National Security
Strategy of the United States of America” (di seguito anche USNSS).
Siglato dal Presidente il 17 settembre 2002 è stato trasmesso al Congresso
il 20 settembre 2002, secondo quanto previsto dal Goldwater-Nichols
Department of Defense Reorganization Act del 1986, che richiede al
Presidente di illustrare regolarmente al Congresso e al popolo americano
la strategia della sicurezza nazionale.
1
George W. Bush è il 43° Presidente degli Stati Uniti d’America. Le elezioni del 7 novembre
2000 furono tra le più incerte della storia degli Stati Uniti. La “battaglia della Florida”, per il
conteggio dei voti, terminò solo il 13 dicembre 2000 con una decisione della Corte Suprema (5
voti contro 4) favorevole a Bush. L’insediamento alla Casa Bianca avvenne il 20 gennaio 2001.
Altri documenti ufficiali dell’Amministrazione USA (sia precedenti che
successivi alla USNSS) specificano, perfezionano e approfondiscono la
dottrina Bush, che è stata espressa, inoltre, in un alcuni discorsi, ufficiali e
non, pronunciati dal Presidente e dai suoi più stretti collaboratori.
Di seguito è riportata un’elencazione cronologica di questi documenti e
discorsi.
¾ QUADRIENNAL DEFENSE REVIEW REPORT, Department of Defense
(30 settembre 2001). È stato pubblicato pochi giorni dopo l’11
settembre 2001, ma la sua elaborazione, considerandone l’ampiezza e
la complessità, è sicuramente precedente. Nonostante ciò contiene già
molti degli elementi che caratterizzano la dottrina Bush.
¾ NUCLEAR POSTURE REVIEW, Department of Defense (31 dicembre
2001). Enuncia la nuova strategia nucleare dell’Amministrazione
americana.
¾ Discorso del Presidente Bush sullo Stato dell’Unione (29 gennaio 2002).
Bush, dopo l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan, parla
dell’asse del male composto dagli stati che hanno le armi di distruzione
di massa e dai terroristi da questi sponsorizzati.
¾ Discorso del Presidente Bush a West Point (1 giugno 2002). Nel quale
dichiara inadeguata alle muove minacce la strategia del contenimento
e della deterrenza e annuncia la strategia della guerra preventiva.
¾ NATIONAL MONEY LAUNDERING STRATEGY, O’Neill Secretary of the
Treasure, Ashcroft Attorney General (luglio 2002). Contiene la strategia
per bloccare le attività finanziarie e il riciclaggio di denaro sporco del
terrorismo internazionale.
¾ THE NATIONAL SECURITY STRATEGY OF THE UNITED STATES OF
AMERICA, White House (20 settembre 2002)
¾ Discorso del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice
sulla National Security Strategy, Waldorf Astoria Hotel, New York (1
ottobre 2002)
¾ NATIONAL STRATEGY TO COMBAT WEAPONS OF MASS
DESTRUCTION (dicembre 2002). Approfondisce quanto già contenuto
nella USNSS sull’argomento.
¾ ANNUAL REPORT TO THE PRESIDENT AND THE CONGRESS, Rumsfeld
Secretary of Defense (2002). Riprende i temi enunciati nella
Quadriennal Defense Review e riporta lo stato dell’arte delle forze
armate americane.
¾ Discorso del Presidente Bush sullo Stato dell’Unione (28 gennaio 2003).
Analizza le minacce che l’America deve fronteggiare e le motivazioni
per l’intervento in Iraq.
¾ NATIONAL STRATEGY FOR COMBATING TERRORISM (febbraio 2003).
Approfondisce quanto già contenuto nella USNSS sull’argomento.
È possibile ricomprendere nella dottrina Bush anche numerosi
provvedimenti di politica interna che si prefiggono l’obiettivo di accrescere
la sicurezza entro i confini nazionali. Per completezza di seguito è riportata
una cronologia delle leggi e dei principali documenti in cui sono contenuti
questi provvedimenti.
¾ Presidential Executive Order per la creazione del OFFICE OF
HOMELAND SECURITY presieduto da TOM RIDGE (8 ottobre 2001).
Ufficio interno alla Casa Bianca con il compito di coordinare le agenzie
esistenti che si occupano della sicurezza interna.
¾ USA PATRIOT ACT “Uniting and strengthening America by providing
appropriate tools required to intercept and obstruct terrorism” [H.R.
3162] (26 ottobre 2001). Questa legge mira a contrastare gli attentati
terroristici attraverso: lo sviluppo delle procedure di sorveglianza,
l’adozione di misure per abbattere il riciclaggio di denaro con il quale
vengono finanziati i terroristi, la protezione dei confini, il rafforzamento
della legislazione contro il terrorismo e il miglioramento
dell’intelligence.
¾ Documento per la creazione del THE DEPARTMENT OF HOMELAND
SECURITY, White House (giugno 2002). Il Dipartimento per la
sicurezza della patria è un nuovo ministero che raggruppa e coordina le
numerose agenzie esistenti che si occupano di sicurezza a livello
federale. In sostanza è un ministero degli interni. Il documento indica il
percorso da seguire per arrivare alla creazione di tale ministero.
¾ SECURING THE HOMELAND STRENGTHENING THE NATION, White
House (giugno 2002). Contiene alcune linee guida sulle azioni per
aumentare la sicurezza interna.
¾ Creazione degli “USA Freedom Corps” che racchiudono le varie
organizzazioni dei volontari tra le quali la nuova “Citizen Corps”
(Gennaio 2002). È un provvedimento che aumenta e riorganizza il
sistema della difesa civile americana.
¾ NATIONAL STRATEGY FOR HOMELAND SECURITY, Office of Homeland
Security (16 luglio 2002). Complementare alla USNSS, si occupa della
minaccia rappresentata dagli attentati terroristici all’interno degli Stati
Uniti. Riorganizza ed indirizza le funzioni degli organismi federali, locali
e privati che si occupano della sicurezza nazionale.
¾ Homeland Security Act of 2002 (25 novembre 2002). Il Presidente
firma la legge per la creazione del Department of Homeland Security,
che diviene operativo il 1 marzo 2003.
¾ THE NATIONAL STRATEGY FOR THE PHYSICAL PROTECTION OF
CRITICAL INFRASTRUCTURES AND KEY ASSETS, White House
(febbraio 2003). Contiene i provvedimenti per salvaguardare le
principali infrastrutture nazionali.
¾ THE NATIONAL STRATEGY TO SECURE THE CYBERSPACE, White
House (febbraio 2003). Contiene la strategia per aumentare la
sicurezza del world wide web ed evitare danneggiamenti ai sistemi
informatici nazionali.
In questa sede si procederà effettuando un’analisi delle principali
tematiche della USNSS, mettendole in relazione con i contenuti degli altri
documenti e discorsi strategici, al fine di approfondire i singoli aspetti della
dottrina Bush.
CAPITOLO 1 - LA LOTTA AL TERRORISMO
1.1 La minaccia terroristica
Non è facile fornire una definizione efficace e condivisa di terrorismo. Una
prova della complessità della questione è il fatto che il Sesto Comitato
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stia ancora elaborando una
bozza di Convenzione comprensiva sul terrorismo internazionale che
includa una definizione di terrorismo.
Il documento The National Security Strategy of the United States of
America (USNSS) afferma: “The enemy in not a single political regime or
person or religion or ideology. The enemy is terrorism-premeditated,
politically motivated violence perpetrated against innocents”.
2
La
successiva National Strategy for Combating Terrorism specifica che: “The
enemy in not a person. Is not a single political regime. Certainly it is not a
religion. The enemy is terrorism-premeditated, politically motivated
violence perpetrated against non-combatant targets by subnational groups
or clandestine agents”; ed aggiunge che i terroristi: “strive to subvert the
rule of law and effect change through violence and fear”
3
.
Il nemico è individuato nel terrorismo premeditato e nella violenza
motivata politicamente. Questa definizione sembra essere piuttosto vaga.
La natura della minaccia terrorista non sembra essere individuata in
2
White House, The National Security Strategy of the United States of America, Washington,
settembre 2002, pag. 5
3
White House, National Strategy for Combating Terrorism, Washington, febbraio 2003, pag. 1
maniera chiara e precisa
4
. Apparentemente c’è una maggiore chiarezza
nella definizione di cosa il terrorismo non sia. Non è un regime politico,
un’ideologia, una religione o una singola persona. In realtà ciò aumenta
l’incertezza e la confusione. Se il nemico non è chiaramente identificabile è
difficile capire contro cosa si stia combattendo, è difficile capire quando si
sia riusciti a sconfiggere il nemico.
Con l’eventuale definitiva sconfitta di al-Qaida non si esaurirebbe la
missione delineata dalla USNSS. La lotta al terrorismo non si esaurisce,
tantomeno, con la cattura di Osama Bin Laden, poiché il nemico non è una
singola persona. In tutti i documenti strategici, infatti, il ruolo del leader di
al-Qaida viene quasi, per così dire, sminuito. Non gli si concede la
soddisfazione di essere individuato esplicitamente come il nemico assoluto
degli Stati Uniti e del mondo. Sembra che si voglia sottolineare che un
uomo solo non abbia la capacità di minacciare così gravemente il mondo.
La minaccia del terrorismo “of global reach”
5
non è identificata, quindi, nel
solo Bin Laden o nella sola al-Qaida.
La National Strategy for Combating Terrorism approfondisce il concetto di
terrorismo di portata globale. In questo documento la struttura del terrore
4
Stanley Hoffmann sottolinea che la USNSS non tiene conto delle diverse tipologie del
terrorismo, che possono essere “a will to self-determination (as in the case of the Palestinians or
the Chechens), a fight over territory (as in Kashmir), a form of domestic action against a repressive
regime (in the Sudan, in the Algeria of the 1990s), a religious holy war (al-Qaida) and so on.
Obviously one size doesn’t fit all, yet responding to acts of terrorism and ignoring their causes
could well contribute to the global destabilization sought by the terrorists”. Stanley Hoffman, The
High and the Mighty, 13 gennaio 2003
5
White House, The National Security Strategy of the United States of America, Washington,
settembre 2002, pag. 5
viene rappresentata come una piramide al cui vertice troviamo la
“Leadership” e, procedendo verso il basso, “Organization”, “States”,
“International Enviroment” per finire con la base rappresentata dalle
“Underlying Conditions”
6
che sono: la povertà, la corruzione, i conflitti
religiosi e le contese etniche. Si riconosce che: “Some of these conditions
are real and some manufactured. Terrorist use these conditions to justify
their actions and expand their support”
7
. La USNSS aveva già affrontato
questo problema affermando che: “in many regions, legitimate grievances
prevent the emergence of a lasting peace. Such grievances deserve to be,
and must be, addressed within a political process. But no cause justifies
terror.”
8
Nella struttura piramidale del terrore l’ambiente internazionale definisce i
confini dove le strategie dei terroristi prendono forma, gli stati, tramite
“ignorance, inability, or intent”
9
offrono ai terroristi le basi, i c.d. “santuari”
o “havens”, grazie alle quali questi possono prosperare, la struttura
organizzativa determina la capacità e la portata dei terroristi. La leadership
è, appunto, al vertice della piramide: “The loss of the leadership can cause
many organizations to collapse. Some groups, however, are more resilient
and can promote new leadership should the original fall or fail”
10
.
6
White House, National Strategy for Combating Terrorism, Washington, febbraio 2003, pag. 6
7
Ibidem, pag. 6
8
White House, The National Security Strategy of the United States of America, Washington,
settembre 2002, pag. 5
9
White House, National Strategy for Combating Terrorism, Washington, febbraio 2003, pag. 6
10
White House, National Strategy for Combating Terrorism, Washington, febbraio 2003, pag. 6
La tecnologia è vista come un potente strumento che può favorire i
terroristi: “Terrorists are organized to penetrate open societies and to turn
the power of modern technologies against us” e “The gravest danger our
Nation faces lies at the crossroads of radicalism and technology”.
11
Le armi
di distruzione di massa (WMD), l’apice di queste tecnologie, sono
considerate una minaccia seria e concreta.
I documenti strategici tendono, quindi, a prendere le distanze dal
terrorismo “tradizionale”: “While terrorism is not new, today’s terrorist
threat is different from that of the past”
12
.
11
White House, The National Security Strategy of the United States of America, Washington,
settembre 2002, lettera di accompagnamento del Presidente
12
White House, National Strategy for Combating Terrorism, Washington, febbraio 2003, pag. 10