ABSTRACT – LINGUA TEDESCA
Die gegenwärtigen Berufserfahrung und Background in der Human Resources und Global Mobility
Abteilung einer großen Firma bilden den Grund, um einen allgemeinen Überblick über den
aktuellen Zustand im interkulturellen Bereich hier zu bieten. Hauptziel dieser Arbeit ist die
Vorstellung eines Thema, das in Italien noch ziemlich unerforscht bleibt, und dessen
Weiterentwicklung in der Bildungs- und Universitäts- sowohl wie in der Arbeitsumwelt zu fördern.
Die Dissertation wird durch zwei Teile aufgebaut, in denen es zuerst um kulturelle Dimensionen
behandelnden Theorien und danach um interkulturelles Training geht. Die Grundkonzepte von
Geert Hofstede und Fons Trompenaars/Charles Hampden-Turner werden als Ausgangspunkt
benutzt, indem man die Landschaft der Kulturunterschiede und deren Wirkung auf unserem Leben
beschreibt. Da Werte und Überzeugungen an der tiefsten Schicht der Kultur liegen, beeinflussen
sie sowohl die sichtbaren als auch die unsichtbaren Lebensbereiche, wie zum Beispiel Kunst,
Politik, Wirtschaft, Verhalten und Weltanschauung. Die entsprechenden kulturellen Dimensionen
bilden die von den untersuchten Forscher bearbeitenden Weltmodellen, durch die interkulturelle
Konflikte und Missverständnisse verstanden und konsequent vermieden werden können. Kulturelle
Verschiedenheit lohnt sorgfältige Überlegung, wenn zukünftliche, friedliche Beziehungen und
verbreiteter Wohlstand zu verwirklichen sind.
Zusätztliches Nachdenken wird durch die Unterschiede und Ähnlichkeiten in den Studien Hofstedes
und Trompenaars/Hampden-Turners ermöglicht.
Im Management der internationalen Karrieren vor allem innerhalb der multinationalen Betriebe
spielt die allgemeine interkulturelle Sensibilisierung eine immer wichtigere Rolle. Deshalb stellen
heute die grössten Fremdsprach- und Kulturinstitute ein vielfältiges Trainingsangebot den
Expatriates2 zur Verfügung. Als Beispiel hoher Qualität ist den “Relocating Abroad” Kurs von Berlitz
unter diesen letzten gewählt worden. In der zweiten Teil beschreibt und erklärt man daher die
wirksamsten Lernmittel dieser Lehrmethode, wie den sogenannten Kulturschock und deren
Anpassungskurve, den kulturellen Eisberg, das Berlitz Cross-cultural Model und das Berlitz Style
Assessment Tool.
2 Mit “Expatriate” bedeutet man gewöhnlich die Angestellten, die zeitweilig im Ausland arbeiten und wohnen.
PREFAZIONE
La scelta di incentrare il mio elaborato su tematiche relative all’interculturalità e alle difficoltà legate
al trasferimento in un ambiente culturale diverso da quello originario deriva dalle esperienze
professionali sinora maturate. Nel corso di questi anni ho, infatti, collaborato alla gestione del
programma di scambi internazionali di personale da e verso le società estere del network di cui fa
parte l’azienda presso la quale opero.
Solitamente quando si intraprende una carriera internazionale ci si concentra maggiormente sugli
aspetti più pratici della trasferta, come la sistemazione nel nuovo paese e l’accesso alle
infrastrutture e ai servizi di prima necessità che quest’ultimo offre. Si tratta, ovviamente, di aspetti
che non si possono tralasciare ma, contrariamente a quanto erroneamente si pensa, non sono
questi gli unici dettagli che possono generare problemi durante il trasferimento in un’altra nazione.
Soprattutto quando lo spostamento avviene in una realtà che si crede essere simile alla nostra,
basti pensare al trasferimento di un britannico in terra statunitense dove anche la lingua è comune,
si sottovaluta l’impatto emotivo che la nuova cultura e il nuovo ambiente possono avere sulla nostra
vita e, pertanto, sulla buona riuscita di un’esperienza internazionale.
Quali siano le differenze tra una cultura e l’altra e come esse si tramutino in manifestazioni evidenti
agli occhi del ricercatore che tenti di analizzarle e misurarle è stato spesso, e lo è tuttora, oggetto di
un dibattito acceso che ha visto un buon numero di studiosi muoversi su strade alternativamente
opposte e similari. Tra i tanti che si sono avventurati in questo campo, per molti versi ancora
inesplorato, Geert Hofstede è sicuramente uno degli studiosi più autorevoli, considerato un vero e
proprio guru all’interno della comunità degli interculturalisti. A lui si deve, infatti, la riconduzione
della maggior parte dei comportamenti e degli atteggiamenti a una serie di dimensioni culturali, che
come vedremo hanno implicazioni molteplici in ogni sfera dell’esistenza umana. La prima parte
della tesi, più teorica, verte sullo studio di Hofstede e sull’opera, a tratti simile a tratti contrastante,
di una coppia di ricercatori, Charles Hampden-Turner e Fons Trompenaars, che all’attività di ricerca
affiancano quella di consulenza e training.
Nella seconda sezione, prendendo spunto dall’esperienza di uno dei maggiori istituti linguistici e
culturali, Berlitz, si illustreranno quali sono alcune delle caratteristiche che devono essere presenti
in un corso che si propone di fornire agli expatriates3 strumenti di analisi e consigli per superare e
gestire il culture shock iniziale e trarre il maggior profitto dalle differenze culturali tra il proprio paese
e quello nuovo.
3 Con il termine expatriate si indicano, solitamente, I dipendenti di una società che si trasferiscono per motivi
lavorativi in un altro paese per un periodo di lungo o breve termine.
Sintetizzando, pertanto, i concetti chiave degli autori sopra citati, l’elaborato intende presentare una
possibile soluzione alle problematiche generali prodotte dalle differenze culturali attraverso
un’esperienza formativa diretta, con particolare riferimento alla realtà aziendale multiculturale
vissuta.
INTRODUZIONE
Da sempre l’esistenza delle civiltà umane ha subito l’influenza delle condizioni ambientali e degli
eventi storici che ne hanno determinato il destino, talvolta fatale come nel caso delle popolazioni
precolombiane, talvolta più benevolo come per le nostre società, evolutesi fino ad oggi attraverso
processi di modernizzazione per molti aspetti diversi gli uni dagli altri.
Guerre, carestie, periodi di stabilità e di tumulto hanno lasciato tracce indelebili nella storia di ogni
comunità e nazione creata dall’uomo. Molti di questi segni li ritroviamo ogni giorno camminando per
le strade delle nostre città, moderna espressione di un percorso che i nostri antenati hanno reso
visibile attraverso l’architettura e le arti e nelle zone rurali, il cui paesaggio agricolo odierno non
potrebbe essere tale senza le invenzioni e le trasformazioni poste in essere dalle mani di coltivatori
antichi e sapienti. Ben più profondi e radicati sono, tuttavia, quegli aspetti che trascendono la realtà
tangibile delle nostre società e si celano nei comportamenti e negli atteggiamenti che ognuno di noi
associa ad un determinato paese e ad una determinata popolazione; si tratta di caratteristiche e
fisionomie invisibili che il lento cammino del tempo ha plasmato e che oggi siamo soliti definire con
il termine più generale di cultura.
Sono proprio i processi di interazione tra le popolazioni e, quindi, tra le culture che ci hanno
condotto alle varietà linguistiche e culturali così come le conosciamo e hanno determinato una
distinzione, più o meno netta, tra gli individui appartenenti a continenti, stati e regioni diversi. Le
conquiste territoriali, le migrazioni di massa e le attività commerciali non hanno soltanto comportato
flussi, più o meno consistenti, di popolazioni e di prodotti da un territorio all’altro, ma un vero e
proprio trasferimento di valori e tratti che, una volta costituitisi gli stati moderni, hanno posto le
fondamenta per la creazione di strutture e mentalità che accomunano ancora oggi gli individui di
una società e li differenziano da quelli di un’altra.
Scorrendo le pagine dell’immenso libro che è la storia del mondo, non è difficile imbattersi in
episodi e occasioni di incontro ma, spesso anche di scontro, che hanno caratterizzato i rapporti tra
le diverse culture. Mai come oggi, però, lo scenario economico e politico, in cui le relazioni di
interdipendenza tra i paesi e le popolazioni e il processo di globalizzazione si rendono più frequenti,
ci pone di fronte alla necessità di analizzare e, soprattutto, comprendere le origini delle differenze
tra le numerose realtà culturali.
Il crescente processo di avvicinamento e l’instaurazione di istituzioni e organi sopranazionali che
l’Europa sta vivendo attraverso l’Unione Europea ben incarna la tendenza ad una sempre maggiore
prevalenza di relazioni interculturali rispetto a quelle di origine nazionale. L’allargamento operato
sinora ha riunito paesi che condividono un passato comune ma anche mentalità, abitudini e costumi
distinti ed opposti l’uno all’altro. L’entrata nell’Unione di alcuni paesi dell’ex blocco sovietico ha
introdotto in questa sorta di melting pot del vecchio continente culture che per decenni non sono
entrate in contatto con altre e che ora si trovano immerse in una realtà variegata, arricchendola
ulteriormente ma anche ponendola di fronte a nuove sfide d’integrazione multiculturale. Com’è
logico aspettarsi, l’Europa non è il solo continente che sta attraversando un processo così delicato
ma, allo stesso tempo, stimolante in termini di interculturalità.
Di fatto, sono numerose le opportunità che, pressoché quotidianamente, ci costringono a
confrontarci con persone che hanno abitudini e comportamenti profondamente differenti dai nostri.
Se gli interventi all’estero dei nostri governi e le alleanze con questo o con quell’altro paese sono
resi più evidenti dalla visibilità mediatica che li accompagna, non bisogna dimenticare, infatti, che
tutta una serie di altri enti, aziende o organizzazioni, siano esse locali o internazionali, si trovano ad
affrontare negoziazioni con aziende e organizzazioni di altre nazioni e, quindi, di altre culture.
Mentre non è difficile immaginare quali ostacoli possa comportare l’utilizzo di una lingua diversa,
spesso si sottovalutano gli aspetti più reconditi, i quadri di riferimento e i valori che sottostanno ad
un sistema linguistico e che sono, in realtà, corresponsabili del buon esito di un affare o di una
negoziazione. Non è sempre facile, infatti, individuare realmente che ciò che è accettato o
compreso nella nostra cultura, talvolta non lo è in un’altra. Da un lato le innovazioni tecnologiche ci
hanno permesso di entrare in contatto anche con i luoghi più lontani del pianeta, ci hanno
consentito di attraversare oceani e percorrere migliaia di chilometri semplicemente connettendoci
ad internet e inviando un’e-mail, riducendo così le occasioni di incontro faccia a faccia. Dall’altro
lato, però, non si è prestata sufficiente attenzione al fatto che ogni cultura e ogni popolazione
conserva, pur condividendo lo stesso entusiasmo innovativo, rituali e preferenze che influenzano il
proprio modo di rapportarsi con le altre persone. Se un americano e un inglese non incontrano
alcuna difficoltà nel concludere affari, organizzare riunioni o anche introdurre complicate procedure
via e-mail o tramite videoconferenze, la pratica ci ha insegnato che questo approccio non ottiene lo
stesso risultato ottimale in altre culture, come per esempio in quelle orientali, dove le relazioni
sociali ricoprono un ruolo fondamentale affinché s’instauri un rapporto di fiducia che sia base solida
per la conclusione di progetti e collaborazioni.
Non si tratta ovviamente di una maggiore predisposizione di alcuni popoli all’uso delle scoperte
tecnologiche, ma semplicemente di tendenze e predilezioni diverse, consolidatesi nel corso del
tempo nelle culture di ogni paese. Ignorare o non tenere conto di queste premesse, non solo
potrebbe compromettere il buon esito di una trattativa ma risultare in costi aggiuntivi per colmare il
gap culturale e correggere gli errori in un momento successivo, rivelandosi addirittura
controproducente per l’attività di ottimizzazione del budget, obiettivo sempre più importante per le
aziende di tutto il mondo.
La parola globalizzazione è entrata, ormai, a far parte del nostro lessico quotidiano attraverso tutti i
mezzi di informazione, costringendoci anche a far fronte a fenomeni più tangibili quali
l’immigrazione e gli aiuti economici ai paesi del cosiddetto terzo mondo. La gestione di entrambi,
come vedremo più avanti, è anch’essa determinata sulla base di sistemi di valori, predominanti in
una società, che ne influenzano la risposta politica e sociale.
Non vi è, comunque, dubbio che in linea generale qualsiasi approccio di natura etnocentrica non
possa che rivelarsi inefficace sia in termini di integrazione della comunità degli immigrati nel paese
di accoglienza, sia in termini di una mutua comprensione, fondamentale affinché si mantenga una
situazione di armonia sociale. Se, quindi, il flusso di immigrati dai paesi poveri a quelli ricchi risulta
essere profondamente legato agli aspetti socioculturali di ogni popolazione, un approccio
multiculturale si rende ancora più necessario in tema di pianificazione e attuazione del flusso degli
aiuti economici e dei programmi di sviluppo dai paesi industrializzati ai paesi meno abbienti. E’
proprio in queste occasioni che il know-how tecnologico fornito dai tecnici e dai rappresentanti del
paese donatore deve accompagnarsi e interscambiarsi con un know how di natura culturale da
parte del paese ricevente. L’esito fallimentare di molte missioni umanitarie e di molti piani di crescita
economica nei paesi in via di sviluppo, anche ad opera di organizzazioni importanti come l’ONU, è,
infatti, imputabile, almeno in parte, alla mancata corrispondenza tra un adeguamento del sostegno
fornito alle strutture culturali presenti nel paese di destinazione.
Ne emerge un quadro policromatico che, sia dal punto di vista politico ed economico sia da quello
sociale, rappresenta la maggiore sfida globale presente e futura. L’unica risposta possibile appare
essere quella dell’adozione di un atteggiamento multiprospettico che accompagni la storia di ogni
paese fino a condurci verso un futuro di dialogo e di reciproca comprensione e tolleranza per tutte
le popolazioni e le culture del mondo.
GEERT HOFSTEDE – CENNI BIOGRAFICI
Geert Hofstede, nato nel 1928 a Haarlem nei Paesi Bassi, consegue nel 1953 la laurea in
Ingegneria Meccanica, alla quale farà seguito il dottorato in Scienze Sociali nel 1967. Negli anni tra
il 1965 e il 1971, Hofstede è incaricato dall’International Business Machines, ben più nota come
IBM, di fondare e presiedere il Personnel Research Department per l’area europea, funzione che gli
permetterà di raccogliere le informazioni dalle quali trarrà le sue dimensioni culturali, costituendo la
più grande banca dati mai realizzata nell’ambito degli studi sull’interculturalità.
Membro onorario di tante organizzazioni del settore, come SIETAR Europe e insignito della laurea
Honoris Causa da altrettante Università europee, Hofstede prosegue la propria attività in qualità di
cofondatore e primo direttore dell’IRIC (Institute for Research on Intercultural Cooperation) tra il
1980 e il 1990.
Dal 1995 Hofstede opera presso il CentER for Economic Research dell’Università di Tilburg.
Opere maggiori
Cultures and Organizations: Software of the Mind, 2005
Culture’s consequences: Comparing Values, Behaviours, Institutions and Organizations Across
Nations, 2001
Exploring Culture: Exercises, Stories and Synthetic Cultures, 2002
Masculinity and Femininity: The Taboo Dimension of National Cultures, 1998
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CAPITOLO 1
GEERT HOFSTEDE: ALLE RADICI DELL’INTERCULTURALITA’ – LE CONSEGUENZE DELLA
CULTURA NEI COMPORTAMENTI E NEGLI STILI DI VITA E LAVORO
1.1 La programmazione mentale
Fondamento di ogni sistema sociale, secondo Hofstede, è la prevedibilità dei comportamenti. Ogni
comportamento, sia esso spontaneo o stimolato dal ricercatore, è determinato e influenzato dalla
programmazione mentale di chi lo compie; quando ci troviamo in situazioni simili tra loro, infatti, il
nostro software mentale, stabile nel tempo in ognuno di noi, genera una risposta comportamentale
dello stesso tipo. Pertanto, il grado di certezza che quanto da noi previsto si verificherà dipende,
principalmente, dal nostro livello di conoscenza della programmazione mentale che si cela dietro
ogni comportamento nostro ed altrui.
Hofstede identifica tre livelli di programmazione mentale:
1) Livello universale: si tratta del livello di programmazione mentale meno unico e
caratterizzante, in quanto condiviso dalla quasi totalità del genere umano. Le attività che ad
esso si possono ricondurre fanno riferimento al corpo umano inteso meramente come
sistema operativo biologico.
2) Livello collettivo: a questo livello la programmazione mentale è condivisa da alcuni ma non
da tutti. Il software mentale è comune solo agli appartenenti ad un determinato gruppo (o
categoria), ma non ai membri di altri gruppi (o categorie); a questo livello troviamo per
esempio la lingua nella quale ci esprimiamo.
3) Livello individuale: si tratta del livello di programmazione mentale che realmente si può
definire unico e originale, pertinente alla personalità di un individuo collocabile all’interno di
una stessa cultura collettiva.
Mentre i livelli universale e individuale, condividono entrambi, anche se in proporzioni diverse, il
medesimo carattere di ereditarietà, al livello collettivo la programmazione mentale è quasi
totalmente acquisita attraverso processi di apprendimento che prescindono dal patrimonio genetico.
Se ne deduce facilmente che è proprio questo il livello che, nel corso della vita, influenza
maggiormente la nostra programmazione mentale, frutto dell’ambiente sociale nel quale nasciamo
e siamo inseriti.
La natura intangibile della programmazione mentale pone il ricercatore di fronte alla necessità di
ricavare implicitamente dai comportamenti una serie di costrutti, ossia modelli che attraverso
immagini autoesplicative facilitino la comprensione e lo studio di ciò che non è visibile.
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La ricerca interculturale di Hofstede si basa su due costrutti chiave: i valori e la cultura.
1.1.1 I valori
Il termine valore è utilizzato da Hofstede per indicare la tendenza a preferire determinate
condizioni, situazioni e comportamenti rispetto ad altri.
Un valore può essere analizzato in base alla sua intensità e alla sua direzione. Nel primo caso esso
indicherà ciò che desideriamo e che è importante per noi; nel secondo caso oggetto del valore sarà
l’identificazione del risultato di un’azione o di una situazione come “positivo” (buono) o “negativo”
(cattivo). Sostanzialmente, quindi, un valore potrebbe essere rappresentato graficamente come una
linea avente due poli estremi contraddistinti dai segni “più” e “meno” (si veda anche l’Appendice A).
Poiché esso rimane intangibile e sottinteso ad un comportamento, la misurazione di un valore è
un’attività piuttosto complessa e richiede un approccio necessariamente multiculturale. Alcuni degli
strumenti disponibili sono, difatti, stati creati e sviluppati in un solo paese e, benché una volta
applicati in quel contesto essi si siano rivelati efficaci, lo stesso risultato ottimale non è garantito in
un contesto differente, proprio perché essi riflettono i sistemi di valori di un’altra cultura.
Sono tre i tipi di valori che Hofstede identifica, tutti e tre pertinenti alle nostre relazioni in sfere
diverse dell’esistenza:
- valori nelle relazioni con altre persone
- valori nelle relazioni con gli oggetti (ambiente non umano)
- valori nelle relazioni con la propria interiorità e con Dio
Un’ulteriore distinzione pone i valori su due differenti piani di misurazione, quello del “desiderato”,
che denota un’attività come “importante/non importante”, esprimendo un giudizio in prima o in
seconda persona,e quello del “desiderabile”, misurato con locuzioni come “in accordo/in
disaccordo” con riferimento alle persone in generale.
E’ nelle nostre percezioni degli altri e dei loro comportamenti che i nostri valori lasciano
inevitabilmente traccia indelebile, ne consegue che la tecnica migliore nella misurazione di un
valore si debba basare proprio sull’estrapolazione dello stesso valore attraverso le nostre
percezioni degli altri.
1.1.2 La cultura
Hofstede definisce la cultura come:
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Collective programming of the mind (thinking, feeling, and acting) that distinguishes the
members of one group or category of people from another (Hofstede: 9).
La programmazione della mente (pensiero, sentimento e azione) che distingue i membri
di un gruppo o di una categoria di persone da quelli di un altro (mia traduzione).
I singoli valori e i sistemi di valori, resi visibili dai comportamenti, costituiscono il nucleo
fondamentale di una cultura. Hofstede definisce come manifestazioni di cultura e, quindi di valori, i
simboli, gli eroi e i rituali.
I simboli sono parole, gesti, immagini e oggetti portatori di significati spesso complessi e riconosciuti
come tali da coloro che condividono una determinata cultura.
Gli eroi, siano essi persone, vive o morte, veri o immaginari, incarnano quelle caratteristiche che
all’interno di una determinata cultura rivestono un’importanza fondamentale fungendo, di
conseguenza, da modelli di comportamento.
I rituali sono attività collettive tecnicamente non indispensabili per il raggiungimento del fine
desiderato ma che, all’interno di una cultura, sono considerati socialmente essenziali, perché
instaurano un legame indissolubile tra l’individuo e le norme comportamentali vigenti in quella
collettività.
Simboli, eroi e rituali permettono il riconoscimento dei sistemi di valori ad essi intrinseci ad un
osservatore esterno, che attraverso la propria estranea interpretazione ne rende tangibili i significati
culturali.
In questo senso, la cultura può essere definita come un’aggregazione interattiva di caratteristiche
comuni che influenzano la risposta di un gruppo umano ai problemi posti dall’ambiente. La cultura
determina l’unicità di quel gruppo umano.
Occorre precisare che il termine cultura si riferisce principalmente alle società, espressione del più
alto livello di autosufficienza raggiunto in relazione all’ambiente.
1.2 Le culture nazionali e la loro stabilità nel tempo
Per potersi mantenere invariate nel corso del tempo, le culture nazionali necessitano di un sistema
di “norme sociali” (societal norms) che consistono in sistemi di valori (il software mentale) condivisi
dalla maggior parte della popolazione. All’origine di questi valori vi è una varietà di fattori ecologici
che influiscono sull’ambiente sia fisicamente sia socialmente.
Queste norme sociali fungono da base per la formazione di istituzioni, che allo stesso tempo ne
sono il prodotto ma anche il sistema di rinforzo e mantenimento, conferendo loro stabilità nel
tempo.
E’, quindi, dall’esterno che provengono le fonti del cambiamento, come per esempio il commercio e
le innovazioni tecnologiche. La disposizione ad accettare l’innovazione è essa stessa influenzata
dalla cultura, così come lo sono anche il grado di tolleranza per le nuove scoperte e la stessa
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modernizzazione tecnologica; quest’ultima, conseguentemente, pur uniformando taluni
comportamenti, non potrà, comunque, eliminare completamente la varietà delle culture. Fintanto
che le norme sociali rimangono invariate, infatti, gli eventuali cambiamenti posti in essere all’interno
delle stesse istituzioni saranno adattati ai sistemi di valori vigenti in quella società, fino a quando
non ne saranno nuovamente la riflessione esatta.
Influenzate dal corso della storia, le differenze culturali non possono essere comprese se non
prendendo in considerazione gli eventi storici che le hanno determinate. L’evolversi delle condizioni
ecologiche – la tecnologia, l’economia e le condizioni igieniche – determina una modifica in primo
luogo nei comportamenti di una cultura nazionale; comportamenti che col tempo si radicheranno
anche nella programmazione mentale degli individui di quella società.
Identificando le uguaglianze ma anche l’unicità delle culture nazionali sulla base delle dimensioni
culturali che descriveremo più avanti, la ricerca IBM di Hofstede fornisce un contributo alla
quantificazione della stabilità e del cambiamento delle culture nazionali.
1.3 Gli studi interculturali
Sul piano dello studio delle culture nazionali è, spesso, molto difficile per il ricercatore rimanere
osservatore obiettivo dei fenomeni oggetto della propria ricerca. Come ogni individuo facente parte
di una società, il ricercatore riflette inevitabilmente nel proprio giudizio parte dei suoi valori e della
sua cultura.
L’etnocentrismo, la tendenza a pensare che le caratteristiche del proprio gruppo o della propria
razza siano superiori a quelle di altri gruppi o razze, è un fenomeno per il quale quasiasi
dichiarazione rischia di trasformarsi in uno stereotipo, privo di fondamento e frutto solamente della
programmazione mentale di chi lo ha generato. Appare evidente che le ricerche che hanno ad
oggetto lo studio delle culture tra i gruppi umani dovrebbero sempre adottare un approccio di
relativismo culturale, che permetta al ricercatore di sospendere il giudizio personale e di dar voce
alle informazioni e ai fatti, radici autentiche delle differenze culturali della società, evitando
valutazioni stereotipate e meramente soggettive. Per questo gli strumenti da utilizzare nelle ricerche
interculturali dovrebbero essere sempre sviluppati da ricercatori provenienti da diverse culture,
favorendo un approccio multiculturale e più obiettivo.
1.4 Il ruolo della traduzione
La lingua è uno degli aspetti più evidenti di una cultura, veicolo e al tempo stesso oggetto di studio
di tutte le ricerche interculturali.
E’ evidente che la lingua è una caratteristica acquisita: in quanto fenomeno non neutrale, essa
influenza il pensiero attraverso le proprie categorie e parole. La conseguenza è che nelle ricerche
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