58
2. 1. I primi anni del Processo di Riorganizzazione Nazionale
(1976- 1978)
In questo capitolo ci proponiamo di analizzare la percezione della dittatura
militare argentina a partire dall’avvento del golpe nel 1976, attraverso le posizioni
e i commenti di alcuni dei principali quotidiani italiani, come fonte informativa
del nostro lavoro. In questa sede mi limito ad un analisi dei vari aspetti della
dittatura militare ricavati dalla visione del materiale pubblicistico. Più difficile è
risultata la ricostruzione dell’atteggiamento tenuto dalle nostre autorità
governative (oggetto del terzo capitolo), alla luce di una constatata impossibilità
di accedere agli archivi diplomatici ed entrare in possesso di atti governativi
ufficiali. Certamente non c’è comunque bisogno di atti ufficiali per dare veridicità
alla vicenda degli scomparsi italiani. La condanna morale del governo italiano, gli
accertamenti della Conadep nel 1984, il processo alla Giunta nel 1985, le
testimonianze e le denunce dei parenti delle vittime e dei sopravvisuti, le
ammissioni da parte degli esponenti della dittatura argentina e la riapertura del
processo alle gerarchie militare da parte della magistratura italiana nel 1994,
seguito della vertenza giudiziaria del 1982, compresa la richiesta della giustizia
spagnola di estradizione di Videla e dei generali di secondo grado rimasti
impuniti, sono una base di partenza più che consistente e veritiera.
145
Per quanto riguarda le fonti giornalistiche mi sono basato sia su giornali
appartenti all’area della sinistra ufficiale e radicale, sia all’area moderata ed
istituzionale, più vicini al centro. Si può osservare come i giornali di impostazione
moderata siano più prudenti nell’analisi, restii a formulare giudizi appassionati e
propensi, al contrario degli altri, ad una ricostruzione oggettiva del fatto
cronachistico, dovendo fare i conti con la scarsezza di informazioni di prima
mano. Diversa è la percezione che scaturisce dai quotidiani nazionali di sinistra,
dai quali emerge sin dall’inizio una posizione critica del regime argentino,
145
Cfr. “Corriere della Sera”, 27/4/1985, 21/12/1990, 15/2/1997, 14/6/1997, 16/1/1998,
11/6/1998, “Panorama”, 20/2/1993, “Famiglia Cristiana”, 7/5/1997, 19/4/1998, “L’Espresso”,
2/7/1998.
59
comunicando con un segmento di lettori caratterizzati da una visione politica più
ideologizzata. Del resto davanti ad un evento drammatico come quello della
dittatura militare e dei desaparecidos, dai risvolti morali e politici, è assai difficile
evitare schieramenti ideologici. Così lo spaccato di lettori dell’”Unità”, di “Paese
Sera” e del “Il Manifesto”, ad esempio, si dimostra molto sensibile alla questione
delle dittature militari in America Latina, inserendo il problema nel più ampio
dibattito sull’imperialismo americano, accusato di fiancheggiare i regimi golpisti.
Un immagine accreditata al governo di Washington soprattutto dopo il colpo di
stato di Pinochet in Cile. Da questa premessa è riscontrabile un approccio più
partecipato e scrupoloso alla questione dei desaparecidos e dei diritti umani.
L’”Unità”, dalla sua posizione di organo ufficiale del PCI, guarda con attenzione e
spiccato senso critico alle problematiche e alle vicende della sinistra
latinoamericana, la più colpita dalla repressione dei militari argentini. Utilizzando
questo metodo di analisi i giornali di sinistra finiscono però per caricare l’evento
della dittatura argentina di significati che trascendono la nuda cronaca, come
facente parte del capitolo di una lunga saga latinoamericana del “golpismo”,
esternando inquietudine per un’ Argentina in mano ad un “governo autoritario,
che manifesta inclinazioni nazifasciste”. “Il Manifesto”, quotidiano comunista
fondato nel 1969 da un gruppo di intellettuali fuoriusciti dal PCI, è il giornale più
anticompromissorio, duro verso la dittatura argentina e critico riguardo alla linea
adottata dal governo italiano. Ospita corsivi ed interventi sulla vicenda degli
scomparsi italiani, rivolgendosi ad uno spaccato di lettori particolarmente idealista
e ribelle, descrivendo con toni quasi epici le vicende argentine e sostenendo
ideologicamente i movimenti guerriglieri e rivoluzionari che lottano contro i
governi oppressori e fascisti in America Latina.
“La Repubblica”, novità editoriale nel panorama giornalistico italiano
degli anni settanta, fondata proprio nell’anno del golpe argentino, ha un taglio
anticonformista e manifesta un certo interesse all’evoluzione della dittatura
argentina con articoli graffianti e resoconti assai esaurienti, che nei primi due anni
di vita del regime cercano anche di comprenderne le motivazioni dell’avvento.
Con l’inizio del 1979 abbassa i toni della discussione e la campagna di
sensibilizzazione sulla repressione della giunta militare argentina. Ritornerà
all’attacco, come del resto tutta la stampa italiana, quando affiora il dramma degli
60
scomparsi italiani e la crisi diplomatica italo-argentina.
Dei giornali dell’area più moderata e governativa, “La Nazione” non esita
a deplorare gli eccessi della repressione, ma sembra far trasparire
un’atteggiamento comprensivo, giustificando la necessità di fermare in qualche
modo un terrorismo che pare inarrestabile. Nei primi anni si sofferma
sull’Argentina più attraverso i bollettini degli scontri tra guerriglieri e forze
armate, che con veri e propri servizi di analisi. Equilibrata l’informazione del “Il
Messaggero” che offre servizi interessanti e di approfondimento.
Nel campione dei giornali, l’atteggiamento più interessante è
indubbiamente quello del “Corriere della Sera”, autorevole giornale italiano,
tradizionalmente di orientamento moderato e conservatore. Dopo aver tenuto alto
il livello di informazione, trattando l’argomento con misura ed ampiezza,
pubblicando articoli di approfondimento e tenendo fisso un’inviato a Buenos
Aires (Giangiacomo Foà), a partire dal 1978 inizia improvvisamente a trascurare
le vicende argentine, fino al punto di non dare più notizie. Si scoprirà, in seguito,
come vedremo nel corso del capitolo, che questa scelta è una conseguenza diretta
della connivenza tra il gruppo Rizzoli, proprietario del giornale e il leader
pidduista Licio Gelli, amico dei generali argentini. Nel 1982, quando cambia
l’assetto editoriale, il “Corriere” è l’autore dello “scoop” della lista dei
desaparecidos italiani, che apre uno squarcio nell”opinione pubblica e negli
ambienti politici sulle sorti dei nostri connazionali divorati dalla macchina del
regime militare. Da quel momento gli articoli si susseguono con cadenza
giornaliera e si apre un vero e proprio dibattito che coinvolge l’opinione pubblica,
i partiti e il governo italiano. I giornali si interessano come non avevano mai fatto
prima alla questione desaparecidos, pubblicando sopratutto gli agghiaccianti
racconti delle torture, le modalità del sequestro e del terrore di stato, le
testimonianze dei sopravvisuti dell’eccidio argentino.
Pur cambiando il modo di proporre, confezionare e commentare la notizia,
in generale l’attenzione della stampa, nel periodo dal 1976 al 1981, è molto bassa,
i servizi sono concisi, sporadici e discontinui, collocati sempre nelle pagine
centrali e sono rarissimi gli interventi editoriali o i “fondini” di firme autorevoli in
materia di politica internazionale. Le notizie prevalentemente provengono da
rielaborazioni dei dispacci delle agenzie di stampa internazionali o da redazionali
61
interni, malgrado le più importanti testate nazionali avessero inviati a Buenos
Aires. Il modo di presentare l’evento della dittatura argentina è troppo superficiale
e parziale perché il lettore potesse comprenderne la genesi, le cause e le finalità
dell’accaduto. In questo caso risente probabilmente del vizio di parte della
pubblicistica italiana, di semplificare i problemi politici dell’America Latina e
così avviene anche nel caso della dittatura del ’76, riducendo a constatare come il
frequente avvincendamento al potere di figure assai grige e sconosciute di
dittatori sia un tratto immutabile e genetico, implicito nella fragile struttura
politica dei paesi sudamericani. Pochi giornalisti riescono a rendere la situazione
argentina chiara all’opinione pubblica italiana, tra questi spicca l’inviato del TG2,
Italo Moretti Il limite delle fonti giornalistiche consiste proprio in questo, nel
dover tradurre la situazione interna argentina in termini politici comprensibili nel
nostro paese. Questo spesso non corrisponde alle dinamiche reali argentine, ma è
funzionale a suscitare l’interesse e la comprensione del lettore italiano.
Dall’indagine della stampa emergono dunque sospetti inquietanti e nel
dibattito parlamentare la situazione argentina è pressoché assente. Eppure un
migliaio di italiani, di cittadini italiani è stato inghiottito dai centri di detenzione
clandestina e alla nostra magistratura italiana in tanti si sono rivolti per ottenere
giustizia. I giornali italiani non fanno alla lunga che riflettere quel clima di inerzia
ed omertà, del “tutto tace”, che la dittatura argentina era riuscita abilmente ad
alimentare, manipolando i mezzi di informazione nazionali.
In sintesi l’avvento dei militari al potere in Argentina, così come appare
dai quotidiani esaminati, lascia indifferente l’opinione pubblica italiana. Questo
atteggiamento permane, come detto, sino al 1982, anno di svolta nella valutazione
italiana del regime argentino e del dramma dei connazionali scomparsi.
Il golpe del 24 marzo 1976, almeno al suo avvento, è presentato dalla
stampa italiana come un evento rilevante, anche se come qualcosa di già visto e
pronosticato, alla luce della crisi economica che l’Argentina ha conosciuto
durante il governo peronista di Isabelita nel biennio ‘74-‘75. Il caos economico,
l’inflazione galoppante, il collasso del peronismo, la crisi di autorità, le lotte
faziose, il malessere sociale, il terrore della tripla A, gli scontri con i guerriglieri e
gli omicidi quotidiani creano le condizioni per l’accettazione di un golpe che
62
promette di ristabilire l’ordine e assicurare allo Stato il monopolio della forza.
146
Si può affermare che l’intervento dei militari inizialmente è accolto con favore
dalla società argentina, con uno stato d’animo di indifferenza mista a sollievo,
come una ineluttabile risposta all’ondata di violenza e alla recessione economica,
messa a nudo da un tasso di inflazione che aveva superato il 700%. Anche
persone di fede democratica considerano propizio il ritorno del potere militare.
147
Isabelita, la vedova di Perón, si era resa protagonista di deboli gesti di apertura
verso la sinistra, convinta di poter ricucire lo strappo, cancellare l’ombra di Evita
e cercare di farsi amare come moglie del mito peronista, ma soggiogata dal
consigliere e ministro López Rega, ne diventa una parodia e sulla sua incerta
amministrazione piovono le accuse di malversazione e spreco di denaro
pubblico.
148
A questo punto il governo peronista si appella all’esercito per controllare
una situazione di ingovernabilità politica e combattere la guerriglia, diventata la
questione primaria. Il decreto n. 261 autorizza gli alti comandi delle forze armate
ad eseguire le operazioni militari necessarie per annientare gli elementi sovversivi
nella zona di Tucúman per sdradicare la base operativa dell’Erp.
149
Con
l’”Operación Independencia” del novembre del 1974, come fu chiamata in codice
questa azione militare, ha inizio una pianificazione della repressione da parte delle
forze militari che ottengono poteri sempre più ampi e hanno l’occasione di
mettere in pratica le tattiche controrivoluzionarie apprese negli anni sessanta.
Cedendo alle sollecitazioni del capo della polizia federale Alberto Vilar, sono
rafforzati gli strumenti repressivi, decretato lo stato di assedio e istituito un
Consiglio Interno di Sicurezza (Coordinación Federal), che i militari ritennero
necessario dopo essere stati battuti dal caso Born.
150
Lo spostamento del problema
della guerriglia dal terreno politico a quello repressivo si completa con il decreto
2772 del 6 ottobre 1975 che concede il nullaosta nelle operazioni militari a livello
146
Luis ROMERO, Breve historia de la Argentina Contemporanea, Fondo de Cultura
Económica, Buenos Aires, 1994, p. 283.
147
“La Repubblica”, 26 marzo 1976.
148
David ROCK, Argentina 1516-1987..., op. cit., p. 351.
149
Martin E. ANDERSEN, Dossier Segreto: Argentina’s desaparecidos and the myth of the “dirty
war”, Westviewpress, Oxford, 1993, p. 156. Cfr. “Il Messaggero”, 26 marzo 1976.
150
Nel 1974 veniva rapito Juan Born, direttore delle più grande azienda cerealicola, a maggioranza
di capitale italiano e tedesco, dal gruppo Montoneros, i quali chiederanno un riscatto
stratosferico.
63
nazionale necessarie per sopprimere l’operato degli elementi sovversivi.
In un sondaggio sulle opinioni del popolo argentino rispetto alla guerriglia,
risalente al 1971, il 45,5% degli abitanti dell’area della Gran Buenos Aires ed il
49,5% di chi vive nell’interno del paese, ritiene “giustificabile” l’azione dei
Montoneros e dell’ ERP. Ma tre anni dopo, durante il terzo governo peronista, gli
umori risultano cambiati e si deplora l’effetto destabilizzante della guerriglia.
151
Infatti, come abbiamo rimarcato nel primo capitolo, a partire dal 1974 “la guerra
si combatte apertamente e quotidianamente tra gruppi di destra e di sinistra ed
assume i connotati di uno scontro aspro, senza esclusione di colpi.“
152
La
repressione non si abbatte solo sui guerriglieri e i dissidenti di sinistra, ma anche
su coloro che sono sospettati di tollerarla o fiancheggiarla, come professori
universitari, intellettuali, studenti iscritti alla Juventud Peronista, sindacalisti,
giornalisti e preti terzomondisti.
153
Ricordiamo come la collusione tra clero
autoctono e movimenti di liberazione rappresentò una spina nel fianco per le forze
militari reazionarie, da spezzare attraverso il dispiegamento di mezzi eccezionali,
che non tenevano conto dei principi elementari della democrazia. Cadono
assassinati dalla Tripla A di López Rega l’ideologo della sinistra peronista
Rodolfo Ortega Peña e Silvio Frondizi, fratello dell’ex presidente, solo per citare i
casi più noti.
Esiste anche una oggettiva difficoltà per la stampa italiana e internazionale
di entrare in possesso di informazioni sulla situazione argentina a causa del
controllo e della censura di stampa imposta dal regime argentino con la ley
antisubversiva, approvata nel dicembre del 1974, che autorizza l’arresto dei
giornalisti che pubblicano notizie tendenti ad alterare l’ordine istituzionale o
riferire sull’attività dei guerriglieri. L’immagine che si diffonde dall’Argentina è
quella di un “vulcano pronto ad eruttare dieci anni di violenza urbana, dissidi,
contrasti, speranze e repressione, quest’ultima soprattutto iniziata sotto il governo
Ongania contro il movimento studentesco”.
154
In questo frangente, il più caotico
della storia argentina, le forze armate tornano ad apparire come la sola istituzione
151
“Corriere della Sera”, 20 marzo 1976.
152
Martin E. ANDERSEN, op. cit., p. 160.
153
“Il Manifesto”, 22 marzo 1976.
154
“Il Messaggero”, 30 marzo 1976.
64
in grado di affrontare i gravi problemi del paese.
Il 25 marzo tutti i giornali italiani si occupano del golpe argentino che ha
rovesciato il governo peronista, che finisce in prima pagina con una debita
risonanza. Le notizie che trapelano sugli esponenti della giunta però risultano
piuttosto frammentarie e confuse, mentre è generalizzato il rilievo sulla
responsabilità del peronismo nell’emersione della guerriglia e nell’incapacità di
tenerla sotto controllo, generando instabilità, corruzione e inflazione. Da prima
nel tentativo di Perón di comprimere le differenze, cercando di obbligare alla
convivenza le componenti della destra e della sinistra e, successivamente, non
opponendosi alla volontà della destra di eliminare l’ala di sinistra, provocando
delle profonde divergenze e un senso di smarrimento nei settori peronisti della
società argentina.
155
La destra è più forte nel governo e negli ambienti vicini al
potere, comprese le forze armate, mentre la sinistra, invece, è più radicata nella
società. E sarà anche questa connaturata presenza nel tessuto sociale uno dei
motivi dell’accanimento verso la sinistra peronista. Perón si è reso complice di
queste manovre, sia in occasione del massacro di Ezeiza, sia nel famoso discorso
di denuncia delle infiltrazioni marxiste dentro al movimento, fornendo con questo
atteggiamento un avallo alle basi teoriche della “guerra sporca” contro la
sovversione.
156
Scrive sarcasticamente l”Unità”: “[...] A tre anni dal trionfo elettorale del
peronismo, l’Argentina si trova davanti lo spettacolo di un gruppetto di capi che
in un frenetico balletto si scambiano ruoli e si fanno sgambetti, il potere è nelle
mani di un “gruppo di amici” che Isabelita aveva scelto a suo arbitrio. I militari
hanno gestito la repressione antioperaia per conto di Isabel ed hanno accresciuto
sistematicamente il loro peso. La facilità con cui i generali hanno portato a
termine il loro ritorno al potere dimostra da un lato la vastità delle complicità
delle quali hanno potuto usufruire e del vuoto esietente alla Casa Rosada [...]”.
157
L’inviato della “La Nazione” definisce il golpe con toni liberatori: «[...] E’
forse difficile farlo capire fuori dal paese, ma oggi c’é molta gente a Buenos Aires
155
Daniel FRONTALINI, Maria Cristina CAIATI, El mito de la guerra sucia, Ed. CELS, Buenos
Aires, 1989, p. 70.
156
Roberto MASSARI, op. cit., p. 225. La guerra sporca (guerra sucia) è il termine usato dai
militari argentini per definire la volontà e la necessità di annientare la guerriglia, anche con mezzi
eccezionali.
65
che ha tirato un sospiro di sollievo, stanchi del malgoverno di Isabelita e degli
attentati che si ripetevano con cadenza giornaliera. Da anni la gente è stata
costretta ad armarsi privatamente. Stufa della guerriglia campagnola dell’Erp e
da quella urbana dei Montoneros. Come reagirà ai proclami del generale Videla?
I militari sembrano decisi a schiacciare con violenza ogni atto che turbi la
stabilità del paese e a combattere la delinquenza sovversiva e demagogica
[...]”.
158
All’interno della pagina, titolata “Una giunta militare in Argentina”, è
riportata la notizia dell’arresto di Isabelita Perón e un servizio speciale sulla figura
della moglie del leader argentino, messa sotto accusa da alcuni esponenti della
destra nazionalista che arrivano a chiedere un procedimento di impeachment per
Isabelita, mentre i dissidenti peronisti reclamano un regolare processo.
L’inviato del “Corriere della Sera” indica nella recrudescenza della
guerriglia e nella crisi economica le due principali ragioni che hanno indotto i
militari ad un colpo di stato. A differenza degli altri giornali si coglie una sorta di
indulgenza per l’operato di Isabelita, dipinta come sola e indifesa, pur osservando
che il suo governo è divenuto impopolare. “[...] Come mai i militari hanno atteso
così tanto per rovesciare il traballante trono di Isabelita? La vedova di Perón
anche se avesse voluto opporsi ai carri armati non avrebbe certo trovato molti
uomini disposti a difenderla. Senza più nessuno disposto a difenderla, la
presidente, ormai isolata, si è recata alla Casa Rosada come se stesse
governando. La crisi, in realtà, era troppo acuta e lei troppo debole per poter
controllare la situazione. L’”operazione Ariete” era annunciata dal 16
marzo.”
159
Anche il Corriere conferma che il golpe mira a contenere l’inflazione,
combattere la guerriglia e le forze progressiste che, secondo le illazioni dei
generali, avrebbero preso il potere.
Della stessa lunghezza d’onda il “Manifesto”, che parla di golpe
preventivato: “[...] La mattina del golpe non furono molti ad essere sorpresi, non
solo per le strade non si videro i classici carri armati, non solo non ci furono
scontri o morti, ma non si rese nemmeno necessario sparare un colpo. Non furono
sfoderate le armi, non ci fu bisogno di ostentare la forza. Un golpe atteso,
157
“L’Unità”, 28 marzo 1976.
158
“
La Nazione”, 25 marzo 1976.
159
“Corriere della Sera”, 25 marzo 1976.
66
discusso, annunciato dai giornali e puntualmente arrivato [...]”.
160
Usando toni
più critici ricostruisce gli anni del governo peronista in una scheda intitolata “tre
anni di Perón & Perón”. “Contro il triumvirato militare vi sono due nemici: la
gravità della crisi economica, la grande capacità di organizzazione e
combattimento della classe operaia argentina e della formazioni di sinistra. Il
livello dello sfacelo economico è impressionante, il tasso di inflazione cresce al
ritmo del 2% giornaliero, la produzione è caduta del 20%, il debito estero si
aggira sui 12 miliardi di dollari. Le cause sono quelle della debolezza strutturale
dell’economia argentina fondata essenzialmente sull’esportazione di carne e
manufatti leggeri, esposta ai contraccolpi del mercato internazionale e alla
pressione salariale, la gestione cervellotica dei ministri dell’economia del
governo Isabelita [...] e l’avvento ai vertici del potere dell’avventuriero José
Lopez Rega, capo dei terroristi della tripla A.“.
161
Il quotidiano comunista con
toni apprensivi evidenzia il lato autoritario del nuovo governo argentino,
dipingendolo come spietato, autoritario ed anticomunista. “[...] Il programma di
Videla è semplice, riportare l’ordine in Argentina. Il suo ordine significa guerra
senza quartiere per eliminare la sinistra peronista e marxista. Per raggiungere
questo obiettivo Videla ha finito per abbandonare il progetto di “un uso diverso”
del governo civile e di passare direttamente al golpe, aiutato dalla profonda
divisione nel campo del peronismo ufficiale”
162
La Junta Militar, composta dal generale Jorge Rafael Videla,
rappresentante dell’Esercito, dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera della
Marina e dal brigadiere Orlando Agosti dell’Aviazione, divulga gli obiettivi del
nuovo regime contenuti nel documento basilare del “Programma di
Riorganizzazione Nazionale”, che, come spiega il generale Videla, eletto
Presidente dell”Argentina, rappresenta la fine di un ciclo storico e l’inizio di un
altro articolato in tre fasi: riordinamento del paese, consolidamento e creazione di
nuove istituzioni, fondazione di una vera democrazia.
163
Per riordinamento i
militari intendono il superamento del caos, l’annientamento della guerriglia e
160
“Il Manifesto”, 25 marzo 1976.
161
Ibidem.
162
“Il Manifesto”, 26 marzo 1976. Cfr. “Il Messaggero”, 26 marzo 1976.
163
Ludovico INCISA DI CAMERANA, I caudillos, op. cit., p. 347.