Il seguente lavoro, ripercorrendo storicamente – soprattutto nel primo capitolo – lo scenario
ortofrutticolo moderno, vuole fornire, anche, un’analisi sul sistema distributivo italiano di
ortofrutta non trascurando gli aspetti più squisitamente internazionali e territoriali.
Lo sviluppo alimentare ed agricolo è messo in stretta relazione col processo di sviluppo
globale. I sistemi agricoli ed agroalimentari sono sufficientemente facili da seguire e flessibili ad
adattarsi ai cambiamenti della moderna società consumistica; anche se permangono fattori di
rigidità determinati dalla struttura sociale e dalla presenza di un agricoltura tradizionale e di
politiche agricole spesso conservatrici.
L’analisi sviluppata nel primo capitolo, come accennato, si caratterizza e si concretizza prima,
con l’analisi storica dei consumi in generale e poi, con l’analisi dei consumi ortofrutticoli nello
specifico.
Si tenta di offrire un’interpretazione utilizzando serie storiche e dati rilevati da diverse indagini
statistiche condotte di recente, ai processi di consumo alla luce della cosiddetta legge di Engel.
Non si vuole trascurare inoltre il problema che negli ultimi anni non fa che affliggere le tasche
degli italiani legato all’introduzione dell’euro e all’impennata dei prezzi.
Lo scenario dei consumi ortofrutticoli non prescinde dal legame con l’acquisto dei prodotti
stessi. Il prodotto ortofrutticolo all’acquisto non arriva così per intervento di una mano invisibile
che lo fa materializzare, ma fluisce, viene trasportato, passa, viene trasformato, ecc...
La logistica intesa come “insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che
governano nelle aziende il flusso dei materiali e delle relative informazioni, dalle loro origini
presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti” si occupa, quindi, delle fasi che
il prodotto agricolo attraversa.
La logistica è stata trattata, nel presente lavoro, nel secondo capitolo mentre nel terzo viene
rappresentato il passaggio logistico “definitivo”.
Siamo nella piattaforma, al CeDi, nel PdV, al supermercato, al discount, nei “superluoghi”, al
mercato, alla fiera…
Verranno presi in esame, pertanto, i principali concetti storicamente evolutisi e i vari fattori
problematici attinenti al sistema logistico italiano e al sistema distributivo nel complesso.
Verrà analizzato, inoltre, il problema dell’internazionalizzazione distributiva, ponendo
l’accento su come sia trascurabile la paura per una fantomatica invasione di prodotti “stranieri”,
dato che la loro incidenza è massimo del 5% sul totale di ortofrutta acquistato dalla GDO.
Il quarto capitolo, invece, assume una prospettiva diversa e poco generale. Ripercorrendo i
consumi, che vengono analizzati in un’ottica di qualità/specificità, non si fa che discutere di
4
sistemi di distribuzione ortofrutticoli diversi ed alternativi rispetto a quelli trattati nel secondo e
nel terzo capitolo.
Si evidenzieranno, anche per il placet di lobby coinvolte, come il sistema ortofrutticolo possa,
seppur nella nicchia, affrancarsi da un sistema globale competitivo e schiacciante.
Ci sono modelli che, diversamente dai discount o dai superluoghi, valorizzano i prodotti
ortofrutticoli e che assumono nel percorso della loro valorizzazione dinamiche competitive
accantonate e vetuste.
Saranno beneficiari i consumatori, sempre più contenti (anche se allo stesso tempo orientati ad
altre tipologie di cibi meno slow), in primis ed i produttori poi. È un bene che siano arrivati,
anche per effetto di recenti leggi, i farmer market (mercati di vendita diretta) e progetti che,
coniugando il marketing territoriale alla vendita quasi – e si vedrà in che termini – diretta dei
prodotti, promuovano il cibo sano, buono, lento e genuino…
5
1
IL CONSUMO
1.1 Un pò di storia
Penuria di cibo e fame hanno condizionato la vita dell'uomo fin dai primordi. Solo nel corso
del ventesimo secolo una quota significativa della popolazione si è liberata dall'angoscia
nutrizionale e l'uso del cibo è venuto a soddisfare esigenze diverse da quelle nutrizionali. La
nutrizione rimane comunque sullo sfondo della funzione alimentare, anche se non rappresenta né
l'obiettivo esclusivo né quello prioritario dell'atto di consumo. Anzi, talvolta la nutrizione
rappresenta solo una spiacevole conseguenza del consumo del prodotto agroalimentare.
L'uso del cibo per la soddisfazione del palato è stato storicamente un fatto eccezionale,
riservato alla popolazione più agiata. Come esempio storico dell'uso edonistico del cibo si
ricordano gli ozi dell'esercito di Annibale a Capua (216 a.C.). Anche la plebe utilizzava,
occasionalmente, il cibo per festeggiare importanti eventi: il banchetto nuziale rappresenta
l'emblema di questa accezione di cibo soddisfazione inteso come momento conviviale.
Se classifichiamo il cibo secondo la finalità dell'atto di consumo, alle dimensioni storiche della
nutrizione e della soddisfazione si deve aggiungere quella della salute.
Alimentare non è perciò sinonimo di nutrizionale né rapportabile esclusivamente al dualismo
tra cibo nutrizione e cibo soddisfazione.
La funzione nutrizionale, come dimensione alimentare del cibo, che trova la sua
rappresentazione stereotipata nel “pane quotidiano” è misurabile in termine di contenuto
calorico; per ogni persona esiste un livello ottimale di nutrizione in relazione al peso, all'altezza,
all'età, al sesso, alla condizione climatica, ecc..
Per il cibo soddisfazione, quale altra dimensione della funzione alimentare, apparentemente
non esiste un livello ottimale di consumo né un modo univoco per spiegarne i differenziali
qualitativi. La soddisfazione sensoriale e la gola sono tratti personali dettati dalle emozioni.
Il cibo soddisfazione, invece, manifesta di regola una congiunzione con la nutrizione, in quanto
genera un apporto calorico.
Una risposta all'esigenza di disgiungere il lato nutrizionale da quello della soddisfazione deriva
dalla diffusione di prodotti agroalimentari dietetici ed ipocalorici.
Il cibo esercita, in tutta evidenza, una serie di ripercussioni sulla salute. Infatti, livelli bassi di
nutrizione, come anche livelli molto alti, sono fonte di rischio, per la salute e all'estremo per la
vita. Oltre all'implicazione nutrizionale dettata dalla dieta alimentare, intesa come struttura e
livello quantitativo dei consumi alimentari, esiste un profilo qualitativo di portata igienico-
6
sanitaria. Se si adotta tale angolo visuale, l'attenzione si sposta verso le tecniche di produzione
per sottolineare l'assenza di contaminazioni, la presenza o meno di sostanze allergeniche, i rischi
associati alle modificazioni genetiche o alle clonazioni di capi, alle tecniche di trattamento e alle
modalità di preparazione dei cibi. Compaiono sul mercato in risposta a queste preoccupazioni
nuovi prodotti agroalimentari per combattere lo stress, per integrare le diete, per favorire le
naturali difese del corpo, ecc…
Il modo di rapportarsi all'alimentazione cambia allorquando aumenta la capacità di spesa della
famiglia. Si verifica sistematicamente, quando la disponibilità economica aumenta, una riduzione
della percentuale della spesa di consumo totale destinata ai consumi alimentari. L'alimentazione
perde cioè lentamente, all'aumentare del reddito spendibile in consumi, la centralità nelle scelte
di consumo. Ne conseguono, pertanto, modificazioni più o meno radicali nella dieta e nello stile
alimentare.
Gran parte della popolazione dei Paesi in via di sviluppo e del terzo mondo rimane, tuttavia,
ancora oggi, alle prese con carenze nutrizionali. Anche nei Paesi dove la sazietà alimentare è già
un dato acquisito, una quota della popolazione rimane peraltro soggiogata al vincolo
nutrizionale. Ciò crea una chiara dicotomia, a livello mondiale, tra Paesi e strati sociali ancora
alla ricerca di cibo-nutrizione ed altri orientati alla ricerca di cibo-soddisfazione e di cibo-salute.
1.2 La Legge di Engel
Coerentemente a quanto già precedentemente accennato, di notevole interesse economico sono
state le indagini e le formulazioni realizzate da Ernst Engel (direttore dell'ufficio di statistica in
Prussia, 1821-1896) relativamente allo scenario dei consumi alimentari.
Già Adam Smith
1
nel saggio “Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle
nazioni” aveva segnalato la peculiarità della dinamica dei consumi alimentari al variare del
reddito. L'uomo ricco non consuma più cibo come il suo vicino povero, rileva Smith. Il suo cibo
può essere di qualità diversa e più elaborato, ma la quantità consumata resta però quasi uguale.
Se invece si confronta il grande palazzo ed il guardaroba dell'uno con i pochi stracci dell'altro si
vede subito che la differenza è rilevante sia in quantità che in qualità.
1
Adam Smith (1723-1790) è stato un economista e filosofo scozzese, che gettò le basi dell'economia politica
liberista. L'opera di Adam Smith chiude il periodo dei mercantilisti dando avvio all'economia classica, superando i
concetti definiti dai fisiocratici. Il suo lavoro più importante "La ricchezza delle nazioni" - libro di storia economica
in quanto vengono descritte le trasformazioni dell'economia inglese del tempo - pubblicato nel 1776 diventa il
paradigma di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo come John Stuart Mill, Thomas
Robert Malthus, Jean-Baptiste Say e David Ricardo.
7
Smith aveva dunque già enunciato la peculiarità economica dell'evoluzione dei consumi
alimentari: la variazione dell'aggregato alimentare attiene soprattutto alla qualità e alla
composizione.
La dimostrazione scientifica della relazione intercorrente tra consumi di prodotti agroalimentari
e capacità di spesa fu fornita dagli studi sui bilanci della famiglie condotti da Engel.
L'indagine sui bilanci delle famiglie con redditi diversi consentì ad Engel di documentare un
fenomeno che fu poi denominato “Legge di Engel” : più una famiglia è povera più è elevata la
percentuale della sua spesa complessiva destinata all'alimentazione.
Ciò significa che la percentuale del reddito spesa in consumi alimentari tende sistematicamente
a diminuire all'aumentare della capacità di spesa. La diminuzione oggetto della legge di Engel
riguarda dunque la percentuale del valore dei consumi totali che viene destinata ai consumi
alimentari; tale legge non implica, però, che anche la spesa assoluta in consumi alimentari
diminuisca all'aumentare del reddito speso in consumi (alimentari e non). Anzi è vero il
contrario. La spesa complessiva in generi alimentari aumenta all'aumentare dei consumi, nel
senso che la famiglia ricca, a parità di altre condizioni, spende di più in termini assoluti per
l'alimentazione che non quella povera.
La legge di Engel fa riferimento alla variazione dei consumi alimentari nei confronti della
spesa di consumo e va intesa come condizione statistica media dell'insieme dei consumatori; essa
non riveste alcuna valenza previsiva per il comportamento del singolo consumatore, ma vale per
il consumatore medio.
La legge è dimostrabile empiricamente in diversi modi:
1. ANALISI SPAZIALE. Confrontando la spesa complessiva pro-capite e la spesa
destinata a consumi alimentari in diversi Paesi ad un dato tempo;
2. ANALISI TEMPORALE. Rapportando il valore dei consumi alimentari a quello dei
consumi totali di un dato Paese nel corso del tempo;
3. ANALISI PER SEGMENTI. Conducendo un'analisi comparata dei bilanci alimentari
delle famiglie con redditi diversi ad un dato momento.
Nei primi due casi, per la dimostrazione empirica si ricorre ai dati della contabilità nazionale,
mentre nel terzo caso si impiegano, esattamente come fece Engel, i dati dell'indagine sui
consumi delle famiglie. Il riferimento più indicato per la dimostrazione della legge è
evidentemente quest'ultimo.
Relativamente alla verifica empirica della legge di Engel sulla base di dati spaziali afferenti
gruppi di Paesi, si osserva che la comparazione tra realtà economiche caratterizzate da stadi di
8
sviluppo eterogenei è assai imperfetta; si incontrano, infatti, difficoltà statistiche e
metodologiche nel trasferimento su un'unica scala dei valori monetari del reddito e della spesa in
consumi alimentari.
Sono fin troppo note le incertezze e le imperfezioni introdotte dalla conversione dei valori
monetari degli aggregati macroeconomici, sulla base dei tassi di cambio, in una moneta di
riferimento. Inoltre è possibile che una quota ragguardevole dei consumi alimentari dei Paesi
poveri del terzo mondo sia soddisfatta da autoconsumi e, pertanto, non formi oggetto delle
statistiche ufficiali.
Nonostante questi limiti, la comparazione tra le percentuali del reddito destinate a consumi
alimentari in realtà nazionali diverse porta a risultati del tutto chiari. Emergono, infatti, margini
che rendono poco significative le eventuali critiche riferite al metodo di conversione.
Nei Paesi poveri del terzo mondo, la percentuale del reddito desinata a consumi alimentari si
colloca sopra il 50%, mentre nei Paesi in via di sviluppo si attesta sul 30%. Nei Paesi sviluppati,
infine, la spesa alimentare copre il 12% della spesa di consumo .
La legge di Engel emerge chiara dall'analisi sui dati delle serie storiche. L'evoluzione della
quota di reddito spesa in consumi alimentari in Italia tra il 1970 e il 2000 (tab. 1) segnala una
crescita quasi continua dei consumi. I valori sono espressi a prezzi costanti 1985 (in miliardi di
euro) e risultano pertanto confrontabili tra loro. Nell'anno iniziale, la percentuale destinata ai
consumi alimentari corrispondeva al 31% circa di consumi finali interni. Venti anni dopo la
percentuale dei consumi alimentari era scesa al 24%, fino a raggiungere nell'anno 2000 il 15,7%
dei consumi totali.
Tabella 1 - Quota di reddito spesa in consumi alimentari in Italia (1970-2000).
1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000
a) consumi
alimentari
49 52 58 56 59 58 60
b) consumi
finali interni
158 189 241 249 291 309 349
c) a/b % 31,28 27,87 24,11 22,86 20,60 18,91 17,47
Fonte ISTAT
La correlazione tra la percentuale del valore di consumi totali ed il valore dei consumi
approssima la curva di Engel, ma non la esprime del tutto correttamente in quanto non è stata
considerata la dinamica della capacità media di spesa della famiglia italiana. La variazione della
9
popolazione italiana intervenuta nel periodo di riferimento non inficia però la validità della
dimostrazione teorica.
Come accade per molte leggi, anche quella di Engel esistono delle eccezioni. La dimostrazione
empirica dell'andamento del rapporto consumi alimentari/totale consumi (Ca/C) al variare della
spesa in consumo non trova conferma su tutto il dominio del valore dei consumi. Possono
affiorare per livelli molto bassi e molto alti della capacità di consumo pro-capite.
Quando la spesa scende sotto un livello di povertà assoluta, l'esigenza di acquistare una
dotazione minima di generi non alimentari vincola una parte del reddito. Raggiunta la soglia di
povertà, che in recenti indagini statistiche è alquanto pare all'incirca di 1.800
2
euro al mese per
famiglia, la spesa in generi non alimentari diventa incomprimibile perché la famiglia deve
acquistare comunque una dotazione minima si servizi di prima necessità (affitti, carburante,
ecc..). Se si riduce ancora il reddito e in questi tempi, dopo l'avvento dell'euro, il potere
d'acquisto e la capacità di consumo, nella percezione collettiva, sono crollati non resta che
ricorrere all'assistenza sociale o alla beneficenza.
La riduzione del reddito sotto la soglia di povertà assoluta invece di provocare un aumento del
rapporto Ca/C ne comporterebbe, per le considerazioni precedentemente addotte, una riduzione.
Ma nella società della sazietà non è dunque certo che la legge di Engel mantenga una capacità
previsiva perché l'aggiustamento dei consumi alimentari avviene in base alle emozioni, piuttosto
che ai bisogni fisiologici. Potrebbero, in altre parole, diventare egemoni stili alimentari
personalizzati particolarmente attenti alla dietetica, alla salubrità degli alimenti, al luogo di
2
Alla fine del 2005, il 14,7% delle famiglie italiane ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese e
il 28,9% di non essere in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 600 euro. Lo rileva l'Istat nell'indagine
«Reddito e condizioni di vita», che sottolinea come la percentuale di famiglie residenti nel Sud e nelle isole in
condizione di disagio risulta superiore alla media nazionale: il 22,8% delle famiglie meridionali e insulari arriva con
grande difficoltà alla fine del mese e il 42,5% dichiara di non poter far fronte ad una spesa imprevista di 600 euro. In
particolare, in Sicilia il 50,5% delle famiglie non riesce a sostenere spese impreviste, mentre in Puglia il 9,8%
dichiara di aver avuto difficoltà per gli acquisti di generi alimentari. Nel 2004 le famiglie residenti in Italia hanno
percepito un reddito netto, esclusi i fitti imputati, pari in media a 28.078 euro, circa 2.340 euro al mese. L'Istituto di
statistica sottolinea come, considerando, oltre alla media, anche il valore mediano del reddito, risulta che il 50%
delle famiglie ha percepito nel 2004 meno di 22.353 euro (circa 1.863 euro al mese). I risultati dell'indagine Istat sui
redditi e le condizioni di vita delle famiglie italiane, confermano inoltre l'esistenza di un profondo divario
territoriale: il reddito medio delle famiglie che abitano nelle regioni del sud e delle isole è pari a circa tre quarti del
reddito delle famiglie residenti nel nord. La Lombardia - secondo i dati - presenta il reddito medio più alto (32.313
euro, senza considerare i fitti imputati), mentre il reddito medio familiare più basso si osserva in Sicilia (20.996
euro). La statistica condotta sui dati del 2005 rimane coerente coi dati raccolti a gennaio 2008. Il 50% delle famiglie
italiane continua a vivere con meno di 1.872 euro. È quanto rileva l’Istat nell’indagine sui redditi e le condizioni di
vita in Italia (2005-2006). Leggermente più alto è invece il reddito medio: 2.311 euro al mese, ma la maggioranza
delle famiglie risulta avere un reddito inferiore a questa media. Secondo l'Istituto di statistica le tipologie di famiglie
più in difficoltà in Italia sono i nuclei familiari con 3 o più minori, nuclei mono-parentali con figli a carico, anziani
soli. Territorialmente nessuna sorpresa: le famiglie dell’Italia meridionale e insulare hanno un reddito disponibile
inferiore del 30% rispetto a quelle del nord (al primo posto Trento e Bolzano, all’ultimo la Sicilia). Per quanto
riguarda invece le famiglie numerose, le condizioni risultano addirittura peggiorate dal 2005 al 2006: in particolare
per le famiglie con tre o più minori il 23,8% nel 2006, rispetto al 20,8% nel 2005, ha dichiarato di arrivare con molta
difficoltà a fine mese. Il 38% di questi nuclei non può affrontare spese inattese (contro il 31,6% nel 2005). (28
dicembre 2006, www.corriere.it e 17 gennaio 2008, www.loccidentale.it).
10
consumo, alla qualità del servizio. La scelta verrebbe cioè a dipendere, oltre che dal reddito (e
dalla connessa crisi della terza settimana e dall’esplosione delle rate)
3
, da fatti e circostanze
personali o dalle mode alimentari senza un preciso denominatore sociale.
1.2.1 Prezzi, inflazione ed euro
Secondo una rilevazione effettuata, agli inizi del 2008, dall’Eurispes
4
, ben il 94,5% degli
italiani ritiene ci sia stato, nell’anno appena passato, un aumento dei prezzi nel settore
alimentare.
Questa percezione ha influito sicuramente sui consumi dei cittadini. E infatti hanno subito un
forte calo delle vendite gli alimenti tipici della cucina del nostro Paese come il pane (-7%), la
pasta di semola (-4,3%) ma anche il vino (-8,4%) e l’olio di semi (5,9%). Al contrario, la
quantità di prodotti alimentari come uova (+5,3%) e pollo (+6,2%) è aumentata nei carrelli della
spesa degli italiani.
L’aumento dell’inflazione e il conseguente aumento dei prezzi si sono fatti sentire in quasi tutti
i settori: dai trasporti agli alimentari, dalle spese per l’abitazione a quelle per le bollette, dal
carburante fino ai consumi per il tempo libero.
Secondo il 90,3% degli italiani nel corso dell’anno appena passato i prezzi nel nostro Paese
sono aumentati. Si tratta quindi di un’opinione assolutamente diffusa e condivisa, cresciuta
rispetto ai risultati del sondaggio realizzato dall’Eurispes nel 2007 di ben 19 punti percentuali (si
attestava infatti al 71,3%). Il confronto con il 2007, inoltre, vede ridursi drasticamente dal 25,4%
al 7,5% il numero di quanti non rilevano una variazione dei prezzi considerandoli in linea con
quelli dell’anno precedente. Nelle Isole (97,4%) e nelle regioni del Centro (91,7%) e del Sud
(91,8%) si avvertono maggiormente gli aumenti. Nel Nord-Ovest invece la percentuale di chi ha
riscontrato l’aumento dei prezzi si riduce all’86,8% dove di conseguenza è maggiore – rispetto
alle altre regioni – la quota (10,5%) di quanti non hanno registrato alcuna variazione di prezzi.
Il grado di aumento dei prezzi percepito. Nel 40,7% dei casi gli italiani hanno avvertito un
aumento elevato dei prezzi, compreso tra il 3% e l’8%. Quasi un terzo (29,6%), in linea con i
risultati del 2007 (29,4%), sostiene invece che il volume di crescita dei prezzi sia stato
decisamente più importante e quindi di gran lunga superiore all’8%. Rispetto allo scorso anno si
riduce la percentuale di chi sostiene che l’aumento sia stato di lieve entità: 32,4% nel 2007
contro il 24,8% del 2008.
3
“Italia più povera, tira avanti pagando a rate”. Fonte www.ansa.it, 25-gen-2008.
4
“Rapporto Italia”, Eurispes 2008, 25-gen-2008.
11
Prezzi che potrebbero aumentare ulteriormente, secondo un altro rapporto, questa volta di
Nomisma - presentato contemporaneamente a Roma - nel quale si prevede che la mancanza di
investimenti in ricerca sviluppo per varietà di mais più produttive e più adatte alle esigenze
italiane potrebbe costare 750 milioni di euro l'anno. Secondo Nomisma questo porterebbe a un
aumento esteso dei prezzi dei generi alimentari. Il prezzo del mais è quasi raddoppiato in un
anno e quello del grano duro triplicato, essendo l'Italia il primo importatore al mondo di grano
duro.
Secondo un precedente rapporto Nomisma, del 2004, i Consorzi di tutela di prodotti DOP ed
IGP utilizzavano importanti quantità di soia transgenica. Da allora la quota di soia OGM si è
innalzata dal 36% fino a circa l'attuale 80%.
Secondo il recente: “Nel medio periodo le superfici coltivate a mais nel mondo sono destinate
a crescere (più 7,3%) così come la produzione mondiale (più 19%); si prevede un'ulteriore
crescita delle esportazioni da Usa, Argentina e Brasile, paesi che, nel caso dei primi due, già
oggi vedono la quota di mais geneticamente modificato superiore a quello tradizionale”
5
.
L'inflazione a dicembre (2007) è cresciuta al 2,6% dal 2,4% di novembre. Il dato, comunicato
dall'Istat nella stima preliminare
6
, è piuttosto preoccupante, visto che dal 2003 non si
raggiungevano livelli così elevati.
Secondo la stima, a spingere l’inflazione nel mese di dicembre sono stati soprattutto i rincari
dei generi alimentari e dei carburanti, con un picco di 12,3% su base annua per il pane e del
15,4% per il gasolio. Balzo in avanti anche per i prezzi di bar e ristoranti, in crescita del 3,5%.
Nel capitolo alimentari si ha una crescita dei prezzi tendenziale del 4% sia per i lavorati che per
i non lavorati. Pane e cereali accelerano del 7,5% rispetto a dicembre 2006. Il pane che, come
accennato, da solo, mette a segno un 12,3% e la pasta invece sale dell'8,4%. Il segmento latte,
formaggi e uova fa registrare un aumento su base annua del 5,7%, con il latte che da solo cresce
del 7,6%, sempre su scala tendenziale. La carne segna un aumento del 3,5% con un picco, del
7,3% tendenziale, per il pollame, mentre la frutta sale del 4,8%.
Passando al comparto energia, a dicembre (2007) nel suo complesso ha fatto registrare un
aumento congiunturale dell'1,1% (rispetto a novembre) e tendenziale del 6,5%.
In base alla stima provvisoria, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo, che tiene conto
anche di riduzioni temporanee (sconti, saldi, vendite promozionali, ecc..) ha registrato a
dicembre un aumento dello 0,3% sul mese e del 2,8% sull'anno. Questo dato è il più alto dal
novembre 2003. Gli incrementi tendenziali più elevati si sono avuti per i trasporti (+4,8%), i
prodotti alimentari e le bevande analcoliche (+4,1%). Ma, malgrado il forte aumento di
5
Fonte www.corriere.it 25-gen-2008.
6
Fonte www.corriere.it 04-gen-2008.
12
dicembre, l'inflazione media annua nel 2007 (nel 2006 l'inflazione fu del 2,1%) si è attestata a
+1,8%; si tratta del dato più basso dopo il 1999, quando fu pari all'1,7%.
Dall’entrata dell’euro, e supportati dalle precedenti stime, il settore ortofrutticolo è stato
indubbiamente tra i protagonisti principali delle cronache dei telegiornali e dei quotidiani. Da
quella fatidica data, a cadenza costante, scoppiano le polemiche sul “caro frutta”. Ma questa
situazione, di certo, non aiuta il comparto ad uscire da una situazione congiunturale che si è
rivelata quanto mai difficile per il concorso di diversi fattori: dalla siccità al gelo, da una filiera
troppo poco razionalizzata, alla scarsa innovazione. Ma, nella vicenda del caro ortofrutta gli
attori della filiera sono risultati in totale contrapposizione fra loro. La mancanza di forme
organizzative rappresentative ed autorevoli, per il sistema, ha permesso a chiunque di intervenire
ed interferire sulla situazione con una propria opinione, senza che si formasse un fronte comune
a difesa del comparto. Il sistema ortofrutticolo ha evidenziato la sua fragilità e disorganizzazione,
pagando per questo anche pesanti conseguenze, come dimostra la contrazione dei consumi
registrata nel 2002 (cfr. fig. 1).
Alla luce degli eventi le responsabilità dei media sono innegabili; non facendo che alimentare
dissapori populistici. Risulta
7
, infatti, che i media sono responsabili di non aver tenuto conto del
possibile impatto generato dagli allarmi sull’andamento dei prezzi nella prima fase del passaggio
dalla lira all’euro. Tale comportamento ha determinato un effetto domino: l’incremento del tasso
di inflazione percepito ha indotto i dettaglianti a mettersi in linea con i livelli di prezzo percepito,
così che si è avuto un effettivo incremento degli stessi.
Altrettanto innegabile è il fatto che il comparto ortofrutticolo abbia evidenziato tutte le proprie
debolezze: dalla frammentazione produttiva, allo scarso livello del prodotto commercializzato,
alla scarsa competitività rispetto alla concorrenza estera.
Secondo Mark Up Upper (Frutta&Verdura 2005 – 6° Rapporto): “Gli scandali dei prezzi sono
solo in minima parte un problema di speculazione mentre in massima parte sono il risultato di
una filiera dispersa, disorganizzata e inefficiente, spesso anche nei canali brevi”.
Se, in questi anni, si fosse razionalizzata la filiera, sviluppato accordi e investito in una corretta
campagna informativa, oggi, probabilmente, non si continuerebbe ad assistere al tam tam di
accuse e botta e risposta tra le diverse componenti della filiera.
In assenza di comportamenti unitari ed univoci nel comparto, non sono mancate iniziative di
portata locale…, ma questo non ha fatto altro che confermare la necessità di un intervento di
sistema che porti maggiore trasparenza nella supply chain (cfr. cap. 2).
7
Indagine condotta dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.
13
1.3 “Modalità” alimentari
L'incremento del reddito
8
familiare, la modificazione delle condizioni di lavoro, la difficoltà
del percorso tra l'abitazione e il posto di lavoro e l'accresciuta occupazione femminile, hanno
conferito un nuovo e più interessante ruolo alla ristorazione.
Il numero dei pasti consumati fuori casa è cresciuto , anche in Italia, in modo davvero
significativo negli ultimi decenni.
Le nuove occasioni di consumo di pasti presso ristoranti e mense aziendali hanno contribuito a
sradicare vecchie abitudini alimentari, sovvertendo tradizioni secolari. Le diete alimentari hanno
subìto, anche per questo motivo un'omogeneizzazione progressiva sul territorio. Il consumo di
pasti fuori casa comporta delle modificazioni dello stile alimentare. I consumi presso la
ristorazione, mense e fast food, rappresentano a differenza di quelli a domicilio, delle scelte
individuali.
Nell'ambito familiare si realizzano delle scelte alimentari prevalentemente comunitarie perché
le preferenze individuali si dovrebbero incontrare per convergere verso un menù ridotto se non
unico.
Le preferenze vengono cioè a “polarizzarsi” nei consumi a domicilio attorno ad una scelta
condivisa. Il fenomeno della polarizzazione non interviene allo stesso modo per tutti i pasti, ma
con intensità variabile a seconda della possibilità di personalizzare il menù. La stessa
composizione del nucleo familiare incide sull'intensità della polarizzazione, nel senso che quanto
minore è il numero dei membri tanto più facile diventa la polarizzazione.
Alcuni pasti, come la colazione o la merenda, offrono maggiori possibilità di differenziare il
menù, perché nel vissuto familiare sono già caratterizzati da una immagine destrutturata. La
preparazione del piccolo pasto è rapida (caffè, tè, latte) e costituita da una serie di alimenti pronti
(yogurt, fette biscottate, frutta). Ciò rende agevole la differenziazione spinta della scelta. La
necessità di polarizzazione delle preferenze risulta, in buona sostanza, minore per i piccoli pasti
rispetto al pranzo o alla cena.
Il grado di polarizzazione non dipende solo e unicamente dalla complessità del pasto, ma anche
da altri fattori come il tempo a disposizione per la sua preparazione, il numero di soggetti
8
Da un’analisi campionaria dalla Banca d'Italia, sui bilanci familiari dal 2000 al 2006, pare che il reddito delle
famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente “è rimasto sostanzialmente stabile” (+0,3%) dal 2000 al 2006,
considerando l'aumento del costo della vita (quello del capofamiglia lavoratore autonomo di circa +13%). Fonte:
www.corriere.it, 28-gen-2008.
14
coinvolti, ecc.. Ovviamente, il reddito familiare ha un'influenza sulle decisioni di cosa, dove e
come consumare il pasto.
Nel processo di polarizzazione alcuni soggetti fungono da poli gravitazionali delle preferenze: i
ragazzi sviluppano una maggior capacità di polarizzazione in occasione dei piccoli pasti; gli
adulti si impongono nei pasti principali dove esercitano - o almeno dovrebbero esercitare - un
ruolo educativo nei confronti dei figli.
Occorre considerare, inoltre, le modificazioni in atto relativamente all'ordine d'importanza dei
pasti. Sta perdendo, infatti, quota il ruolo del pranzo, il pasto storicamente principale nella
tradizione italiana e mediterranea,mentre cresce d'importanza la cena e la prima colazione.
Modificazioni ulteriori derivano dalla riduzione del numero dei componenti il nucleo familiare.
Un minor numero di componenti scoraggia la lavorazione di materie prime e stimola l'acquisto di
prodotti già pronti per l'uso. Del resto la stessa organizzazione del nucleo familiare si modifica
man mano che i bamboccioni escono da casa.
La possibilità e la necessità di consumare i pasti fuori casa porta all'accelerazione della
“destrutturazione” della dieta alimentare. Questo fatto trova la sua manifestazione più evidente
nella proliferazione dei piccoli pasti. Lo stesso consumo alimentare a domicilio si destruttura per
l'abitudine diffusa fra i giovani di mangiare davanti alla tv o al computer.
Lo “snacking”, cioè l'acquisto di piccoli pasti, semplificati e differenziati, trascina degli effetti
sui pasti consumati a casa. Esso mette in discussione routine alimentari consolidate nel tempo. Si
afferma così una dieta alimentare individuale meno polarizzata e più libera, ma anche sregolata e
per certi versi insidiosa sotto il profilo salutistico. L'educazione alimentare diventa fondamentale
per la tutela della salute in presenza di un rapporto squilibrato con il cibo.
1.4 “Quantità” alimentari
All’aumentare del reddito cresce tendenzialmente il numero delle calorie contenute nel cibo
che si mangia: il contenuto calorico cresce, ma in misura progressivamente minore fino a
stabilizzarsi.
La domanda di materia prima per scopi alimentari subisce parallelamente un progressivo
irrigidimento. Una volta raggiunta la soglia di circa 2.200 calorie al giorno, la domanda di
calorie finali per il metabolismo diventa quasi insensibile al reddito.
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I servizi associati alla materia prima rimangono, al contrario, caratterizzati da una domanda
elastica al crescere del reddito. In verità, si tratta di una domanda cangiante nella composizione e
nelle caratteristiche dei servizi incorporati.
Per produrre un numero prefissato di calorie finali, ingerite dal consumatore perché contenute
dal cibo, a seguito della dinamica della domanda di servizi, cambia, nel corso dello sviluppo
economico, il numero di calorie iniziali.
La variazione dei consumi alimentari porta però, dal lato dell’offerta, ad una modificazione del
fabbisogno di calorie necessarie per produrre il medesimo livello di calorie per il consumatore
finale. Le calorie iniziali necessarie per produrre il cibo e soddisfare il medesimo fabbisogno
calorico finale, variano a seconda della composizione, della lavorazione e del luogo di consumo
del prodotto. Il coefficiente di dispendio energetico, corrispondente al rapporto tra calorie
impiegate per la produzione del cibo e le calorie apportate dal cibo consumato, aumenta perciò
con il reddito.
La divergenza tra apporto calorico nutrizionale e fabbisogno energetico complessivo dà origine
ad un dispendio energetico caratterizzato da cinque fasi:
1. Sostituzione di calorie più povere (cereali, legumi) con calorie più pregiate
(carne);
2. Sostituzione di calorie agricole con calorie agro-alimentari e cioè da materie
prime si passa a prodotti trasformati;
3. Sostituzione di prodotti semplici con prodotti più complessi e rapidi da preparare;
4. Internazionalizzazione della dieta alimentare;
5. Sostituzione di pasti a domicilio con pasti fuori casa.
Riguardo alla prima fase, una volta superata la soglia di fabbisogno, si verifica una sostituzione
di calorie vegetali con calorie animali. Ciò ha delle implicazioni in termini di equilibrio
nutrizionale perché una parte della produzione agricola viene destinata all’alimentazione di
animali, dei quali poi si consumano i derivati. A parità di consumo alimentare finale, espresso in
calorie assunte con il cibo, aumenta il fabbisogno di energia per la produzione, in quanto si
verifica una dispersione di energia nella trasformazione della calorie vegetali in calorie animali.
Relativamente invece alla quinta fase, un’ulteriore fonte di dispendio energetico deriva, quindi,
dalla propensione all’acquisto di piatti serviti fuori casa: attualmente circa un terzo della spesa
alimentare italiana è indirizzata verso la ristorazione.
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Per concludere questa breve panoramica si può affermare, perciò, che nella società della sazietà
il modello alimentare risulta dominato da una crescente domanda di servizi – per il risparmio di
tempo – nella preparazione dei cibi e da un alto dispendio energetico.
1.5 Un quadro sui consumi alimentari dal dopoguerra in poi
L’analisi dei cambiamenti strutturali e della dinamica dei consumi alimentari nel corso del
secondo dopoguerra rappresentano uno degli elementi essenziali per comprendere non solo le
trasformazioni del sistema agroalimentare italiano, ma anche quella dell’intera società italiana.
Infatti, questi cambiamenti sono stati direttamente e profondamente influenzati da grandi
cambiamenti socioeconomici fra cui possiamo ricordare l’aumento della popolazione ed i suoi
spostamenti dalla campagna verso le città e dal Sud verso il Nord, il rapido sviluppo economico
con il conseguente aumento del reddito disponibile e l’ampliamento e la maggiore unificazione
del mercato interno ed in particolare quello europeo.
Con il raggiungimento di una certa saturazione dei consumi - in termini energetici – però, si è
assistito all’affermarsi d processi di differenziazione, determinati sempre più dalla grande varietà
di beni alimentari acquistabili.
L’aumento del benessere ed il raggiungimento della sazietà alimentare ha portato ad una
sempre maggiore attenzione, come già visto, all’alimento salute e all’alimento servizio, tipica
delle principali società industrializzate.
Il forte aumento dei consumi alimentari negli ultimi decenni è stato però accompagnato da un
ancora maggiore incremento degli atri tipi di consumo (beni durevoli, divertimento, svago,
ecc..)
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.
In Italia il consumo di generi alimentari, bevande e tabacco è passato da quasi il 48% dei
consumi finali delle famiglie nel 1951, al 31% nel 1970, per scendere rapidamente a meno del
18% nel 1994 (cfr. tabella 1).
La crescita dei consumi alimentari, naturalmente, non è stata uniforme nel tempo. Infatti, il
maggiore sviluppo si è verificato proprio negli anni ’50 e ’60, quando il forte aumento del
reddito è stato accompagnato da un altrettanto rapido esodo rurale e dalla concentrazione della
popolazione verso le città del Nord. Si calcola che nel decennio 1952-62 abbiano cambiato
comune più di 15 milioni di persone, il 30% degli italiani. Allo stesso tempo cambia la
composizione settoriale dell’occupazione: nel 1952 circa il 40% della manodopera era ancora
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Ciò ha determinato una riduzione della loro importanza “relativa”, secondo le tendenze evidenziate dalla ben nota
legge di Engel.
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