6
Introduzione
Il presente elaborato intende ricostruire, attraverso l‟osservatorio privilegiato di
Torino, lo spaccato di storia italiana contemporanea che nella seconda metà degli anni
Settanta fu caratterizzato dalla dissoluzione dei gruppi della nuova sinistra, e in
particolare di Lotta Continua; e quindi il vuoto di potere e di rappresentazione dei
movimenti che si creò a seguito della crisi delle organizzazioni extra-parlamentari, così
come il rapporto fra questi fenomeni e quello della violenza e dell‟escalation della lotta
armata.
Più precisamente, il periodo storico preso in considerazione prende le mosse dal
II congresso nazionale di Lotta Continua (31 ottobre – 4 novembre 1976), quello del
cosiddetto “scioglimento”
1
, in un contesto politico generale caratterizzato dall‟avanzata
elettorale del Partito Comunista Italiano, sia nelle amministrative del 15 giugno 1975,
sia soprattutto alle politiche del 20 giugno 1976
2
, e da una sostanziale tenuta della
Democrazia Cristiana, mentre il cartello elettorale di Democrazia Proletaria
3
ottenne
risultati deludenti. Il lavoro si sviluppa poi analizzando la repentina dissoluzione della
rete organizzativa di Lotta Continua a Torino in rapporto all‟esplosione del movimento
del ‟77 e alle mobilitazioni e caratteristiche delle sue componenti (le donne, i giovani e
gli studenti, per certi versi, anche se da angolature e con caratteristiche diverse, anche
degli operai). Infine, il periodo preso in esame si conclude con il rogo dell‟Angelo
Azzurro
4
e l‟agguato mortale a Carlo Casalegno
5
col rifluire dei movimenti stessi e
l‟approdo di molti uomini e molte donne verso la lotta armata e il terrorismo.
1
Sulla questione il dibattito è tuttora aperto: ad esempio, Guido Crainz ed Enrico Deaglio sostengono che
Lotta Continua rimase attiva almeno fino al rapimento Moro. Cfr. Come finì Lotta continua, in
“Micromega”, 8/2006.
2
Per le amministrative, Lotta Continua aveva addirittura dato indicazione di voto al Partito comunista.
Cfr. L. Bobbio, Lotta Continua. Storia di un‟organizzazione rivoluzionaria, Savelli, Roma, 1979, pag.
150.
3
Esso raccoglieva le formazioni extraparlamentari di Avanguardia Operaia, Lotta Continua e Partito di
Unità Proletaria.
4
Il 1° ottobre 1977, durante una manifestazione antifascista organizzata a Torino per denunciare
l‟assassinio a Roma, ad opera di alcuni neofascisti, di Walter Rossi, militante di Lotta Continua, un
gruppo di giovani si staccò dal corteo per attaccare, con alcune bottiglie molotov, il bar Angelo Azzurro,
che si riteneva frequentato da militanti di destra e spacciatori di eroina. Nel rogo rimase coinvolto
Roberto Crescenzio, che morì due giorni dopo per le gravi ustioni riportate. Cfr. G. Crainz, Il paese
mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli editore, Roma, 2005, pp. 576-577.
5
Il 16 novembre 1977, il vicedirettore de “La Stampa”, Carlo Casalegno, venne ferito a morte dalle
Brigate Rosse. Nonostante un apparente miglioramento, morì il 29 novembre 1977, dopo 13 giorni di
agonia.
7
Ho scelto questa periodizzazione poiché, da una parte, ritengo che la
dissoluzione di Lotta Continua rappresenti il simbolo più evidente e drammatico del
tramonto del ciclo avviato dal ‟68 studentesco e del ‟69 operaio, e, più generale, di
quella «eclissi e crisi di una “cultura di sinistra”»
6
che ha caratterizzato il Novecento
7
.
Un‟epoca in cui le organizzazioni della Sinistra extra-parlamentare avevano costituito la
base portante per tutta l‟attività politica dei movimenti nelle università e nelle fabbriche.
La loro grande capacità, chi più chi meno, era stata quella – per dirla come Romano
Alquati – di non aver previsto gli eventi, ma di averli preparati: leggere le tendenze
sociali e storiche in divenire, saper parlare a quei soggetti sociali, in primis all‟operaio
massa, per poi integrarli e renderli protagonisti del proprio divenire politico. Queste
furono le grandi qualità che fecero della sinistra extra-parlamentare italiana, un
fenomeno unico, per estensione territoriale e diffusione sociale a livello internazionale
8
.
Ne ebbe paura lo stesso Partito Comunista Italiano, che per la prima volta vedeva
comparire una progettualità politica con un certo consenso di massa alla sua sinistra.
Questo periodo, che aveva generato una sorprendente vivacità intellettuale, pian piano si
esaurì: «la nuova dislocazione dei soggetti sociali, il terrorismo, la chiusura del “quadro
politico”, la caduta dei punti di riferimento internazionali»
9
, così come la profonda crisi
economica internazionale e nazionale, furono le nuove sfide di fronte alle quali furono
poste le forze di “opposizione rivoluzionaria” del Paese. Come risposta, i gruppi
pensarono di surrogare e sussumere i movimenti attraverso la riscoperta dell‟ortodossia
teorica e politica, di matrice terzinternazionalista, e l‟organizzazione centralizzata e
burocratica
10
. A questo fu sacrificato, invece, quel formidabile metodo di andare alla
ricerca delle mutazioni dei soggetti sociali, della comparsa di soggetti nuovi, accanto a
quelli vecchi, di ricomporli dal punto di vista della soggettività politica e di saper farli
dialogare fra loro, di individuare nuove tendenze. Per un‟organizzazione come Lotta
Continua, forse l‟unica a costruire e trovare ambiti comuni di incontro fra settori e
condizioni sociali diversissime (gli studenti, le donne, gli operai, i soldati, i senza-tetto,
i carcerati, ecc.), ciò significò venire sconvolta proprio dalle contraddizioni che fra
6
Cfr. G. Crainz, Il Paese mancato, op. cit. pp. 559-566.
7
Cfr. G. De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria,
Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 210-226.
8
Cfr.: Redazione di "Materiali per una nuova sinistra" (a cura di), Il sessantotto. La stagione dei
movimenti (1960-1979), Edizioni Associate, Roma, 1988, pp. 14-37; P. Ginsborg, Storia d‟Italia dal
dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, 2006, pp. 423-428; A. Sangiovanni, Tute blu. La parabola operaia
nell‟Italia repubblicana, Donzelli editore, Roma, 2006, pp. 155-160.
9
Cfr. L. Bobbio, Lotta Continua, op. cit., pag. IX.
10
Cfr.: P. Ginsborg, Storia d‟Italia dal dopoguerra ad oggi, op. cit., 485-487.
8
questi settori emersero
11
. Il caso delle compagne di Lotta Continua fu emblematico in
questo senso: esse non ruppero con l‟organizzazione perché femministe, ma innanzitutto
divennero femministe perché l‟organizzazione semplicemente negava o metteva in
quart‟ordine le esigenze e i bisogni che esse avevano maturato, a partire sia dalla
condizione di sostanziale subalternità politica in cui venivano relegate nel partito, sia
dall‟esperienza a contatto con le tante donne dei quartieri periferici e popolari per le
campagne sul divorzio e l‟aborto
12
.
Dall‟altra parte, le morti a Torino di Roberto Crescenzio e di Carlo Casalegno
segnarono il tragico epilogo di un movimento che, nonostante fosse orfano di ambiti e
sedi di sintesi politica (i partiti, i gruppi), non aveva rinunciato a fare politica, a
proporre alternative allo stato presente delle cose, e soprattutto credeva ancora
all‟azione collettiva come strumento e paradigma dei processi di soddisfacimento dei
propri bisogni, ma che nel suo scontrarsi con la “politica” (quella dello Stato, ma anche
degli stessi gruppi rivoluzionari e del movimento sindacale) «incrocia la violenza come
terreno della propria costituzione, ma anche della propria dissoluzione, […] subendo la
sfida irresistibile delle formazioni terroristiche»
13
.
Questo fenomeno di nuova contestazione sociale meglio noto come il
Movimento del ‟77 si sviluppò in un quadro caratterizzato dalla grave crisi economica
interna ed internazionale esplosa con lo shock petrolifero del 1973 e dai durissimi
provvedimenti dell‟allora governo Andreotti, in particolare quelli che tagliavano i punti
di contingenza (Scala Mobile) e bloccavano la contrattazione articolata fra sindacati e
aziende. A questi si aggiunsero il decreto Stammati sui tagli alla pubblica
amministrazione e la contestatissima circolare Malfatti sull‟Università. Anche il
travagliato dibattito sulla legge in materia di aborto contribuì, come i provvedimenti
succitati, ad alimentare una situazione di forte malcontento, aggravata dalle pesanti
ristrutturazioni, in termini di tagli occupazionali, che avvenivano nelle fabbriche e nei
luoghi di lavoro.
Il malcontento crebbe anche a causa delle scelte del Partito Comunista Italiano e
del Sindacato: il primo, attraverso la politica delle astensioni rispetto ai provvedimenti
11
Cfr.: E. Petricola, "Prendiamoci la città" : spazio urbano e movimenti di protesta nella prassi politica
di Lotta continua, in Mezzosecolo: materiali di ricerca storica, n. 13 (1999-2000) Centro Studi Piero
Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della
Resistenza, Angeli, Milano, 2003, pp. 125-149; G. De Luna, Le ragioni di un decennio, op. cit., pag. 124.
12
Cfr. S. V oli, Lotta continua 1968-1976: tracce di un percorso femminista, in Il presente e la storia:
rivista dell'Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia, n. 66, Cuneo, 2004.
13
Cfr. M. Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, in Storia dell‟Italia repubblicana, II, t. 2, La
trasformazione dell‟Italia, sviluppo e squilibri, Einaudi, Torino, 1995, pp. 471-476.
9
governativi, inaugurò la stagione del compromesso storico con la Democrazia Cristiana;
il secondo inaugurò la stagione dei sacrifici e della moderazione salariale e
rivendicativa.
«Il movimento del ‟77 è un terreno ancora ingombro di memoria», ha scritto
Monica Galfré, in un articolo scritto per la rivista Passato e Presente
14
, e in questa
memoria c‟è sicuramente tutta la parte dedicata al rapporto fra questo ed i gruppi della
nuova sinistra che si stavano frantumando. In effetti, la storia di Lotta Continua, così
come quella di Potere Operaio è stata in una certa misura analizzata, anche se c‟è ancora
molto lavoro da fare
15
, mentre più ridotta è la produzione sulle altre organizzazioni
extraparlamentari
16
. Manca invece un‟analisi puntuale proprio sulla fase di dissoluzione
di queste esperienze, nonostante l‟estesissima quantità di fonti di ricerca sui movimenti
e le organizzazioni extraparlamentari degli anni ‟70, fonti alle quali Marco Grispigni e
Leonardo Musci hanno dato una prima, importante sistematizzazione
17
. Generalmente le
ricerche si sono occupate di investigare sulle cause e sui processi che hanno portato
all‟esaurirsi delle esperienze della nuova sinistra, interrogandosi se sia stata la crisi del
“partito rivoluzionario” a provocare l‟esplosione dei nuovi movimenti
18
o viceversa
19
.
14
Cfr. M. Galfré, L‟insostenibile leggerezza del ‟77. Il trentennale tra nostalgia e demonizzazioni, in
“Passato e Presente”, n. 75, novembre-dicembre 2008, FrancoAngeli, Milano.
15
Su Lotta Continua, oltre ai saggi già citati, cfr.: A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione,
Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006; M. Perino, Lotta Continua, sei militanti dopo dieci anni,
Rosenberg & Seller, Torino, 1979; S. V oli, Lotta continua: il ruolo e l'immagine delle donne, tesi di
laurea in Storia dell'Italia contemporanea, anno accademico 2002-2003, relatore Luigi Ganapini,
correlatrice Anna Rossi-Doria, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Facolta di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea in Storia, indirizzo contemporaneo, Bologna, 2003; E. Petricola, I diritti degli
esclusi nelle lotte degli anni settanta. Lotta Continua, Edizioni Associate, Roma, 2002. Su Potere Operaio
e sul filone operaista, cfr.: G. Trotta e F. Milana (a cura di), L‟operaismo degli anni Sessanta. Da
«Quaderni rossi» a «classe operaia», DeriveApprodi, Roma, 2008; G. Borio, F. Pozzi, G. Roggero (a cura
di), Gli operaisti, DeriveApprodi, Roma, 2005; C. Bermani (a cura di), La rivista «Primo Maggio»,
DeriveApprodi, Roma, 2010; G. Borio, F. Pozzi, G. Roggero, Futuro anteriore. Dai «Quaderni rossi» ai
movimenti globali: ricchezze e limiti dell‟operaismo italiano, DeriveApprodi, Roma, 2002. Su Potere
Operaio si è sviluppato un particolare interesse giornalistico: cfr. A. Grandi, Insurrezione Armata -
Parlano i protagonisti di Potere Operaio, Rizzoli BUR editore, Milano, 2005. Dello stesso autore cfr.
anche La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio, Einaudi, Torino, 2003.
16
Sui Comitati Unitari di Base ed Avanguardia Operaia cfr. AA. VV ., 1969/1977. Lotte operaie a Torino.
L‟esperienza dei Cub, Comitati Unitari di Base, Edizioni Punto Rosso, Milano 2009.
17
Cfr. M. Grispigni e L. Musci (a cura di), Guida alle fonti per la storia dei movimenti in Italia (1966-
1978), Fondazione Lelio e Lisli Basso – ISSOCO, Ministero per i Beni e le attività culturali, Direzione
Generale per gli archivi, 2003.
18
Cfr. G. De Luna, Le ragioni di un decennio, op. cit. In particolare, De Luna individua nell‟incapacità
dei gruppi rivoluzionari di costituire una valida alternativa alla sinistra del PCI la causa della crisi della
militanza, l‟incomunicabilità fra i movimenti ed il senso di impotenza di fronte all‟ascesa del terrorismo.
19
Cfr. M. Perino, Lotta Continua, sei militanti dopo dieci anni, op. cit. Perino, partendo dalle elezioni del
1976 come detonatore della crisi di Lotta Continua, ritiene che siano state le donne ed i giovani, che
avevano urgenza di dare risposte ai propri bisogni, a non identificarsi più per prime nel “partito
rivoluzionario” e a ricercare forme di aggregazione alternative. Elena Petricola, nel suo saggio incentrato
sull‟intervento di Lotta Continua nel movimento dei militari ed in quello dei detenuti, approccia invece
10
Sul «movimento degli invisibili», come è stato chiamato da Maria Luisa
Boccia
20
, l‟interesse storiografico è ancora sostanzialmente agli inizi. Sia Crainz, sia
Grispigni evitano di schiacciare il fenomeno sulla pratica della lotta armata (alla quale è
comunque intrecciato), ne sottolineano la nuova composizione sociale (studenti-
lavoratori, precari sia della piccola industria, sia del terziario, donne), e culturale, le
differenze/divergenze interne (soprattutto fra l‟area dell‟Autonomia ed il resto del
movimento in merito alla questione sull‟uso della violenza), il ruolo dello Stato come
protagonista della militarizzazione del conflitto sociale in quel periodo, la totale
chiusura istituzionale, ed in particolar modo del Partito Comunista, al dialogo col
movimento
21
. In più, Grispigni va oltre: il ‟77 non fu solo l‟epilogo del decennio
dell‟azione politica collettiva aperto dal ‟68, ma al tempo stesso fu l‟anticipatore di un
processo che, anche attraverso profonde innovazioni culturali e di linguaggio (si pensi
per esempio agli indiani metropolitani) svelò l‟obsolescenza e l‟inutilità degli strumenti
della politica dei partiti e di quest‟ultimi denunciò l‟occupazione non solo e non tanto
delle istituzioni, quanto della società. Una tesi condivisa anche dalla Boccia, che parla
di «canto del cigno» della politica, esemplificato proprio dallo scontro fra il movimento
del Settantasette e le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra. Quindi, proprio
perché questo movimento non fu tanto e solo l‟espressione di figure sociali determinate,
ma anche portatore di un modo di rappresentare la storia e la società italiana, fenomeni
come la centralità data dal movimento al soddisfacimento dei bisogni e desideri delle
persone, così come la ricerca della felicità, non vanno intese esclusivamente come
provocazioni anti-politiche (si pensi al “diritto al lusso”), ma soprattutto come il
tentativo di affermare una politica altra, dentro la quale ridefinire sia il rapporto fra
individuo e collettività, sia un nuovo concetto di militanza
22
. Su questo diventa
estremamente interessante analizzare il comportamento della redazione del quotidiano
“Lotta Continua”, che per il biennio successivo allo scioglimento ricoprì la funzione di
organizzatore collettivo delle residue energie individuali che non volevano
alla parabola dell‟organizzazione extraparlamentare considerando quel tipo di militanza proveniente da
fenomeni di attivismo sociale, come i comitati di quartiere, il dissenso cattolico o i gruppi di amici, che
pian piano è poi entrata in rotta di collisione con la militanza tradizionale di chi proveniva da percorsi
ideologici più strutturati. Cfr. E. Petricola, "Prendiamoci la città", op. cit.,
20
M. L. Boccia, Il patriarca, la donna, il giovane. La stagione dei movimenti nella crisi italiana, in
L‟Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, II, Culture, nuovi soggetti, identità, Rubbettino,
Soveria Mannelli (CZ), 2003, pp. 253-282.
21
Cfr. G. Crainz Il paese mancato, op. cit., pp. 566-577 e M. Grispigni, 1977, manifesto libri, Roma,
2006.
22
Cfr. M. Grispigni, 1977, op. cit., pp. 57-80.
11
completamente “sciogliersi” nel movimento. Se in una prima fase il giornale sostenne
ed alimentò allo stesso tempo sia la rottura, anche violenta, con la sinistra istituzionale
(tanto da essere accusata di essere vicina alle posizioni dell‟Autonomia), sia la creatività
irridente del movimento, proprio con il crescere della violenza di piazza, e poi con
l‟escalation terroristica, pian piano si orienta su un repentino dietro-front, non senza
forti lacerazioni al suo interno (in particolare fra la corrente legata ai Circoli e quella
legata a Deaglio e alla redazione di Roma).
L‟approfondimento di questa ricerca, per esempio, ci potrebbe permettere di
chiarire meglio la complessità del rapporto della sinistra extraparlamentare con la
violenza e la lotta armata, un altro nodo “scoperto” della storiografia, superando quella
facile e superficiale dicotomia fra chi nega qualsiasi continuità fra la dissoluzione di
Lotta Continua e il terrorismo, e chi invece ne afferma la strettissima dipendenza, quasi
che ci fosse stato un travaso automatico di adesioni dall‟una all‟altro. In realtà la
situazione è, come al solito, molto più fluida e più complessa, e meriterebbe un
maggiore studio ed approfondimento. Marco Revelli
23
nega una ininterrotta continuità
fra movimento studentesco, sinistra rivoluzionaria e terrorismo. Egli periodizza in tre
parti la storia del rapporto fra movimenti e violenza: una prima parte, durata fino alla
strage di Piazza Fontana, in cui la violenza aveva una dimensione “espressiva”
(parafrasando De Andrè, ci si limitava all‟invettiva); una seconda, a partire proprio
dall‟attentato del 12 dicembre 1969 alla Banca dell‟Agricoltura, in cui, a causa
dell‟innalzamento delle azioni da parte dei fascisti e della militarizzazione delle piazze
da parte della polizia, si teorizza una violenza “difensiva” e si strutturano i servizi
d‟ordine; una terza fase, in cui il riflusso del movimento lascia campo libero alle
organizzazioni armate. Ma se, come scrive Anna Bravo
24
, la definizione di anni ‟70
come “anni di piombo” può dare conto del dolore e degli spargimenti di sangue, essa
«ignora altre facce del movimento del ‟77 e quel che rappresentano: sangue risparmiato
– le radio libere, l‟ala creativa dell‟autonomia, il valore dato al gioco, le imprese degli
indiani metropolitani, le comunità che si ricreano dopo il disfacimento di quella
sessantottina, sono lavoro per la vita. Il che non rende la distruttività e l‟eroina meno
sopportabili, ma racconta una storia più vera». Le fa eco Grispigni: «Il fatto che
centinaia di migliaia di persone sfilassero in corteo gridando slogan truculenti e
sanguinari, accettassero di scontrarsi con le forze dell‟ordine e con i fascisti,
23
Cfr. M. Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, op. cit.
24
Cfr. A. Bravo, A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Editori Laterza, Bari, 2008, pp. 246-248.
12
praticassero forme di violenza verbale e fisica durante scioperi, occupazioni e
manifestazioni, non vuol dire che queste stesse persone fossero realmente disponibili ad
armarsi e ad aprire il fuoco. L‟uso delle parole, la ritualizzazione della violenza, la
pratica di una violenza in qualche modo controllata, non comportano un‟automatica
disponibilità alla pratica concreta della violenza assassina»
25
. Ammettere che il ‟77 sia
stato un acceleratore del cosiddetto “terrorismo movimentista”, riconoscere l‟internità e
la contiguità dei e delle militanti di Prima Linea nel movimento non può, quindi,
significare l‟esistenza di un rapporto di continuità diretta fra movimento e lotta armata o
lo schiacciamento su quest‟ultima di esperienze vastissime e complesse come quella
dell‟Autonomia
26
, e in parte della stessa Senza Tregua
27
. Alla comprensione del
tramonto di un‟epoca e del sentire di un‟intera generazione corrono in soccorso forse le
parole di Luca Rastello
28
: «Avevamo così forte nelle viscere il malessere del mondo
agonizzante che se ci fossimo armati di esattezza forse ne avremmo deciso noi le sorti.
Ma ci bastava il linguaggio contorto e oscuro delle nostre emozioni».
L‟intreccio degli eventi e delle problematiche affrontate in questo elaborato, e
sinteticamente richiamate nell‟introduzione, ha reso di non facile soluzione la sua
strutturazione. Alla fine ho optato per una suddivisione (in sei capitoli) – diciamo così –
di “comodo”, dettata cioè dalla necessità di fissare, accanto alle tappe della rapida
dissoluzione di Lotta Continua a Torino, i segmenti sociali protagonisti del ‟77 (gli
operai, i Circoli del proletariato giovanile, le femministe, gli studenti), per poterli
analizzare meglio, e al tempo stesso ricostruire avvenimenti e situazioni che portarono
prima alla costituzione di Senza Tregua e poi alla nascita di Prima Linea; ma la realtà fu
molto più fluida ed intrecciata, quasi se quel magma sociale e politico che scaturì dalla
frantumazione dei gruppi extra-parlamentari vivesse ed agisse in base ad un principio di
vasi comunicanti: studenti che frequentavano i circoli giovanili, militanti dei circoli che
partecipavano, più o meno organicamente, ad azioni armate, femministe che
contaminavano un po‟ tutti gli altri movimenti, operai che cercavano di ricostruire
legami di lotta e di solidarietà con gli studenti, ecc.
25
Cfr. M. Grispigni, 1977, op. cit., pag. 106, citato in M. Galfré, L‟insostenibile leggerezza del ‟77, cit.,
pag. 129.
26
Cfr.: S. Bianchi e L. Caminiti (a cura di), Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, 2 voll.,
DeriveApprodi, Roma, 2007; T. De Lorenzis, V . Guizzardi, M. Mita, Avete pagato caro, non avete pagato
tutto. La Rivista «Rosso» (1973-1979), DeriveApprodi, Roma, 2008.
27
Cfr. E. Mentasti, Senza Tregua. Storia dei comitati comunisti per il potere operaio (1975-1976),
Edizioni Colibrì, Milano, 2011, e dello stesso autore, La guardia rossa racconta
Storia del Comitato operaio della Magneti Marelli, Edizioni Colibrì, Milano, 2006.
28
Cfr. L. Rastello, Piove all‟insù, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, pag. 155.
13
Infine l‟osservatorio torinese: esso offre spunti particolari per cogliere la portata
dello scioglimento di Lotta Continua e l‟esplosione del ‟77, contrariamente ad una
tradizione storiografica che si è quasi sempre occupata solo degli eventi milanesi,
bolognesi o romani. Uno scarso interesse probabilmente provocato anche dal legame
profondo fra la città e la FIAT, e quindi dal leggere gli avvenimenti di quegli anni quasi
esclusivamente in funzione di ciò che avveniva nelle fabbriche, tralasciando le
trasformazioni economiche e sociali che anche nella metropoli piemontese stavano
iniziando, con un ritmo sicuramente inferiore a quello della vicina Milano. Tuttavia
Torino fu sempre, nel bene e nel male, la chiave di lettura della vita politica di Lotta
Continua. Lo fu sicuramente nel maggio del 1969, quando alle Carrozzerie di Mirafiori
esplose il ciclo di lotte nelle quali confluirono sia il movimento degli studenti
universitari torinesi, sia militanti di una serie di gruppi della nuova sinistra, sia infine
della FGCI e del PSIUP, e che produsse la nascita dell‟Assemblea operai-studenti. Fu
durante quella primavera che venne coniato lo slogan «la lotta continua», e da
quell‟assemblea, non senza divisioni e contraddizioni, si generò poi l‟omonima
organizzazione. Furono anni nei quali le lotte sindacali, così come quelle per la casa,
contro il carovita, nelle scuole, per i diritti civili, caratterizzate dal protagonismo diretto
ed autonomo di una nuova generazione di uomini e di donne, videro anche e soprattutto
in Lotta Continua la principale forza politica disposta a raccoglierle e ad alimentarle.
Non a caso, sotto la Mole la presenza e il radicamento di LC era seconda solo a quella
del PCI. Quelle «tante centralità» (operaia, delle donne, dei giovani, degli studenti),
come le chiamò Sofri in un suo intervento al congresso provinciale del 23-24 settembre
1976
29
, attraversarono anche Torino, ma non riuscirono a dialogare fra loro, caddero
dentro la logica degli schieramenti e non seppero evitare che le contraddizioni
portassero prima alla confusione e poi alla frantumazione dentro un movimento non più
inquadrabile dentro programmi, tattiche, mediazioni.
29
Cfr. Lotta Continua - Federazione di Torino, Verbale del Congresso (23-24/10/76, I parte), ciclostilato
inedito, Torino, ottobre 1976, Centro Studi Gobetti, Fondo Marcello Vitale, UA 56.