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1 Introduzione
Il presente lavoro ha come obiettivo la stima della disponibilità a pagare
dei consumatori per un prodotto alimentare di largo consumo, il latte alimentare,
con un contenuto ridotto di micotossine.
In questi ultimi anni numerosi sono stati casi di allarmi che hanno colpito il
settore alimentare, basti ricordare la questione del vino al metanolo in Italia nel
1986, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), più nota come “mucca pazza”,
i “polli alla diossina”, l’influenza aviaria o più recentemente il latte cinese alla
melamina e l’influenza suina fino ad arrivare ai frequenti riscontri in alimenti di
utilizzo comune di microrganismi patogeni quali la Salmonella e la Listeria
monocytogenes.
Queste emergenze hanno creato allarme tra i consumatori e fortemente
diminuito il loro livello di fiducia sulla sicurezza degli alimenti presenti nei circuiti
commerciali e sull’efficacia delle attività di prevenzione e controllo effettuate
dalle aziende sui propri prodotti e dalle stesse Autorità sanitarie di controllo. Si
è così assistito a ripercussioni fortemente negative sul mercato al consumo. Il
consumatore tende infatti a sopravvalutare le emergenze e questo accade
perché egli si trova di fronte a situazioni nuove che non sa come valutare
poiché le informazioni non sono sufficienti per farsi un’idea del rischio reale.
Secondo un’indagine svoltasi nel 2006, i consumatori italiani sono tra quelli più
preoccupati d’Europa in tema di rischio alimentare.
La sicurezza alimentare ha in Europa priorità assoluta. L’attività per
migliorare la sicurezza alimentare non si è mai arrestata, ma negli ultimi anni è
stata profondamente rivista, soprattutto in risposta al panico creatosi a seguito
delle crisi sulla sicurezza alimentare. Se il rischio “zero” non esiste, l’UE cerca
di contenerlo adottando norme moderne sugli alimenti e sull’igiene, basate sui
più avanzati dati scientifici. Ne è risultata una nuova legislazione che non si è
limitata a definire i principi da applicare alla sicurezza dei prodotti alimentari, ma
ha anche introdotto il concetto di rintracciabilità, istituito l’Autorità europea per la
sicurezza dei prodotti alimentari (EFSA) e potenziato il sistema di allarme
rapido che i governi dell’UE e la Commissione europea usano per intervenire
rapidamente in caso di allarme per la sicurezza alimentare umana e/o animale.
Proprio il rapporto divulgato dal SARAM (Sistema di allarme rapido per
alimenti e mangimi) nel 2007 è stato preso come riferimento per lo sviluppo di
questo studio. Il SARAM è stato creato al fine di fornire alle autorità di controllo
per gli alimenti e per i mangimi uno strumento efficace al fine di poter scambiare
informazioni riguardanti le misure prese nel caso in cui siano stati rilevati rischi
relativi ad alimenti o a mangimi. Nel 2007 sono state ricevute dal SARAM un
totale di 2976 notifiche e così come negli anni precedenti le micotossine
rappresentano la categoria di pericolo con il più alto numero di notifiche. Infatti,
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sono state ricevute un totale di 754 notifiche relativamente alle micotossine
delle quali 705 riguardavano le aflatossine.
Le micotossine sono metaboliti secondari, ovvero non essenziali per la
crescita e la riproduzione dell’organismo che li riproduce, prodotti dalle muffe
che colonizzano le derrate alimentari. Queste sostanze, che non possono
essere individuate negli alimenti poiché sono inodore ed insapore, sono
tossiche sia per l’uomo che per l’animale. Mediante la loro azione lesiva sulle
funzioni cellulari esse possono causare vari effetti tossici di tipo acuto,
mutageno, cancerogeno ecc. I principali effetti biologici sull’uomo comprendono
in sintesi: tossicità acuta fino al decesso; riduzione o inibizione del sistema
immunitario e sviluppo di neoplasie. Sono molto resistenti al calore e non
vengono completamente distrutte dalle normali operazioni di cottura, né dai
diversi trattamenti a cui vengono normalmente sottoposte le derrate durante i
processi di preparazione degli alimenti. Pertanto, le stesse micotossine o loro
derivati ancora attivi possono persistere dopo la morte del micete ed essere
presenti anche quando il prodotto stesso non appare ammuffito.
Nonostante le notifiche ricevute dal SARAM riguardino principalmente
prodotti come la fretta secca, erbe e spezie, noci e semi, ma anche cereali e
mangimi per animali, la scelta di centrare la nostra indagine su un prodotto
quale il latte alimentare ha una duplice motivazione. Innanzitutto il latte è un
alimento di uso comune e quindi piuttosto conosciuto dal consumatore nei suoi
vari aspetti, come ad esempio le caratteristiche organolettiche, fisiche e di
prezzo. Di conseguenza risulta più semplice per il consumatore esprimere la
propria opinione durante l’indagine. In secondo luogo, proprio non molto tempo
fa (2003) a seguito di un’estate calda e siccitosa si è verificato un incremento di
aflatossine nel granoturco che a sua volta ha portato ad un aumento del
contenuto di aflatossina M1 nel latte. Il regolamento CE 1525/98 fissa il limite
massimo per l’AFM
1
pari a 0,05 nullg/Kg (ppb) di latte. La presenza di A FM
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nel
latte desta qualche preoccupazione perché il latte non solo è un alimento di
largo consumo, ma è anche indispensabile per l’infanzia.
Come già detto l’obiettivo della tesi è quello di stimare la disponibilità a
pagare dei consumatori nei confronti del prodotto latte per il quale siano state
adottate delle “buone pratiche” agricole al fine di prevenire e ridurre la
formazione di micotossine nel mais ed il suo conseguente passaggio nel latte
alimentare. Questo dato non è altro che il prezzo medio che i cittadini sono
disposti a pagare in più rispetto al normale prezzo di vendita per avere un
prodotto con un contenuto ridotto di micotossine.
L’indagine è stata effettuata mediante un questionario sottoposto onnullline
ad un campione rappresentativo della popolazione italiana.
Per analizzare i dati, la letteratura ha recentemente sviluppato una serie di
modelli di regressione ad hoc detti modelli a scelta discreta. I modelli a scelta
discreta sottintendono l’assunzione di un comportamento di massimizzazione
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dell’utilità da parte del decisore. Infatti, gli individui possono scegliere tra
diverse alternative contenenti un certo numero di attributi, ciascuno con livelli
differenti. Ogni singolo individuo sceglie l’alternativa che gli procura la massima
utilità. I dati raccolti sono stati inseriti in un database ed elaborati mediante il
software NLOGIT che ha permesso di effettuare l’analisi mediante il modello
logit misto, il più flessibile messo attualmente a disposizione dalla letteratura.
Diversi sono gli studi che si sono occupati di capire la disponibilità a
pagare del consumatore per la sicurezza degli alimenti, sia nei casi in cui erano
disponibili i dati di transazioni di mercato, quindi di prodotti reali, sia nei casi in
cui si aveva a che fare con miglioramenti ipotetici di qualità e sicurezza per un
determinato prodotto. Tuttavia i margini di miglioramento e di approfondimento
per questo tipo di studi sono ancora molto ampi. Lo scopo di questo lavoro è
quello di dare un ulteriore contributo alla letteratura attualmente disponibile
affinché le informazioni ottenute possano servire come punto di partenza per
successivi approfondimenti.
La seguente tesi si sviluppa in 7 capitoli. Alla presente introduzione segue
al capitolo 2 una descrizione dei fenomeni di consumo a seguito delle ricorrenti
emergenze sanitarie degli ultimi anni. Nel capitolo 3 vengono descritte le
principali micotossine ed i loro aspetti tossicologici, la normativa ad esse
relativa e le “buone pratiche” agricole da applicare per ridurre e prevenire il
rischio di una loro presenza nel mais. Nel capitolo 4 viene illustrata la
metodologia di analisi applicata ai nostri dati, mentre nel capitolo 5 vengono
descritte in modo dettagliato le caratteristiche dell’indagine condotta, le
domande presenti nel questionario e le caratteristiche dei consumatori
intervistati. Successivamente, nel capitolo 6 vengono illustrati i risultati ottenuti
attraverso la stima econometrica, concentrandosi in particolare su quelli relativi
alla disponibilità a pagare. Infine, nel capitolo 7, troviamo le conclusioni alle
quali si è potuti arrivare a seguito di questo lavoro di tesi.
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2 Il consumatore e la sicurezza alimentare
2.1 Rischio alimentare e fenomeni di consumo
La sicurezza alimentare è un argomento di enorme importanza sanitaria,
sociale ed economica che interessa tutti i cittadini, nessuno escluso. Tutti infatti
a partire dai bambini fino ad arrivare agli anziani ed ai malati, tutti i giorni siamo
consumatori di alimenti e bevande. Le numerose e purtroppo ricorrenti
emergenze sanitarie che in questi anni hanno interessato il settore alimentare
sono molteplici: dall’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), più nota come
“mucca pazza”, ai “polli alla diossina”, dall’influenza aviaria ai microrganismi
patogeni quali ad esempio Salmonella e Listeria monocytogenes più volte
riscontrati in alcuni alimenti di utilizzo comune.
Tali emergenze hanno creato allarme tra i consumatori e fortemente
diminuito il loro livello di fiducia nella sicurezza degli alimenti presenti nei circuiti
commerciali e nell’efficacia delle attività di prevenzione e controllo effettuate
dalle aziende alimentari sui propri prodotti e dalla stesse Autorità sanitarie di
controllo, con ovvie e pesanti ripercussioni negative sul mercato al consumo.
Nel nostro paese, l’obiettivo di garantire al consumatore alimenti sicuri è
sempre stato presente nei programmi degli Organismi della Sanità pubblica di
controllo e delle stesse aziende alimentari. Probabilmente oggi si parla ancora
così spesso di “sicurezza alimentare”, nonostante le maggiori garanzie offerte,
a causa del fatto che, rispetto al passato, è aumentata la sensibilità dei
consumatori.
Il consumatore tuttavia deve essere correttamente informato ed essere
quindi consapevole che, analogamente a quasi tutte le altre attività umane,
anche in questo settore non esiste il “rischio zero”. Infatti, nonostante tutte le
misure di controllo poste in essere dalle aziende alimentari e dalle attività di
controllo preventivo e repressivo operate dalle Autorità sanitarie a tutela della
salute dei cittadini, anche il consumo di alimenti comporta un certo livello di
rischio. Di conseguenza, vi sarà sempre un certo grado di probabilità (per
quanto solitamente basso grazie alle attività di prevenzione) che determinati
rischi rappresentati da contaminanti di natura biologica quali batteri e loro
tossine, virus, parassiti, contaminanti chimici o ambientali che possono trovarsi
negli alimenti, possano concretamente manifestarsi e provocare un danno alla
salute del consumatore nella forma di malattie di origine alimentare.
La stessa globalizzazione dei mercati alimentari, che consente alle
aziende di importare materie prime, semilavorati e alimenti pronti per il
consumo da paesi comunitari o extracomunitari, può costituire di per se un
fattore di rischio in assenza di adeguate garanzie fornite all’origine.
Sicurezza alimentare non significa di certo garantire l’assenza di rischi,
ma porre responsabilmente in atto tutte le azioni necessarie a ridurne l’impatto
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sui consumatori non solo attraverso modifiche e controllo accurati dei processi
di produzione degli alimenti, sia da parte delle aziende alimentari che da parte
delle autorità sanitarie competenti, ma anche mediante un’informazione corretta
e trasparente che metta il consumatore nella condizione di fare scelte
consapevoli e, allo stesso tempo, finalizzata anche a modificare i
comportamenti non consoni dei consumatori stessi relativi tanto alla
manipolazione e conservazione domestica dei cibi, quanto agli stili alimentari
(www.aslcagliari.it).
2.1.1 La percezione del rischio
Secondo un’indagine commissionata nel 2006 dall’EFSA (Autorità Europea
per la Sicurezza degli Alimenti) e dalla Direzione Generale Salute e Tutela dei
consumatori della Commissione Europea, i consumatori italiani sono tra i più
preoccupati d’Europa in tema di rischio alimentare e per la salute. Tra gli
elementi di preoccupazione spiccano, oltre all’influenza aviaria, anche i
pesticidi, gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati) e l’igiene degli
alimenti. A volte però, queste preoccupazioni sovrastimano la reale pericolosità
di un fattore e rischiano di generare comportamenti errati.
Il tema della percezione del rischio è cosa ben diversa dall’effettiva
dimensione di un rischio. Una certa dose di confusione arriva dall’uso dei
termini “rischio” e “pericolo” come sinonimi. Se nel linguaggio comune la
differenza tra i due termini può apparire irrilevante, in realtà il loro significato è
sostanzialmente differente:
• il pericolo è la fonte di possibili danni alla salute;
• il rischio è la probabilità che un determinato pericolo si trasformi in
un danno effettivo per la salute.
Possono quindi esistere pericoli alimentari potenzialmente dannosi alla
salute ma con basso rischio, ovvero con una bassa probabilità che si provochi
un danno effettivo per l’uomo.
Cosa diversa è invece l’emergenza, che consiste in uno stato di crisi
determinato dall’insorgere di nuovi pericoli di cui non è ancora possibile
determinare con certezza il rischio: si tratta di pericoli eccezionali perché ancora
sconosciuti.
Solitamente il consumatore tende a minimizzare i rischi quotidiani, in
quanto li percepisce come meno pericolosi per la salute ed in questi casi non
sente neppure il bisogno di informarsi in maniera approfondita perché la cosa
appare di poca importanza.
Si tende invece a sopravvalutare le emergenze e questo accade perché il
consumatore si trova di fronte a situazioni nuove, che ancora non sa come
valutare ed interpretare perché le informazioni non sono ancora sufficienti per
farsi un’idea del rischio reale di certi pericoli.
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La percezione del rischio negli ultimi anni è cresciuta non perché siano
effettivamente aumentati i rischi, ma in quanto si è più sensibili ad essi per una
serie di motivi:
• ci si ammala sempre di meno e quindi i rischi per la salute
spaventano ancora di più il consumatore;
• la moderna produzione alimentare è molto più sicura rispetto a
quella di un tempo, però ci si preoccupa di più perché il
consumatore è spaventato dall’incapacità di controllare direttamente
tutta la filiera produttiva dal campo/allevamento alla tavola
(www.politicheagricole.gov.it).
2.1.2 Percezione della qualità da parte del consumatore
Generalmente si è concordi sul dire che la qualità ha due dimensioni: una
oggettiva ed una soggettiva. La qualità oggettiva si riferisce alle caratteristiche
fisiche costruite per il prodotto a livello ingegneristico e tecnologico. La qualità
soggettiva è, invece, la qualità così come percepita dai consumatori. Proprio la
relazione tra questi due livelli è al cuore dell’importanza economica della
qualità. Infatti, soltanto quando i produttori possono trasformare i desideri dei
consumatori in un prodotto vero e proprio e soltanto quando il consumatore può
ottenere la qualità desiderata dal modo in cui il prodotto è stato creato, la
qualità potrà diventare un elemento competitivo per i produttori di alimenti.
Una sommaria semplificazione distingue due scuole di pensiero per
quanto riguarda la qualità. La prima, chiamata approccio solistico, definisce la
qualità con tutte le caratteristiche desiderabili che vengono percepite essere
presenti nel prodotto. La seconda, che possiamo chiamare approccio di
eccellenza, suggerisce che il prodotto può avere delle caratteristiche desiderate
che il consumatore potrebbe non considerare come parte della qualità. I
convenience food, ovvero tutti quei cibi pronti, semipronti, surgelati, da cuocere
rapidamente o da scaldare e che permettono così di mangiare in poco tempo,
ne sono un esempio. Il consumatore infatti, li percepisce come prodotti di bassa
qualità, nonostante poi considerino la velocità di preparazione una caratteristica
desiderabile dei prodotti alimentari.
Dall’approccio solistico ne consegue che i consumatori considerino la
sicurezza alimentare come parte della qualità, almeno finché il consumatore sia
convinto che la sicurezza alimentare sia una proprietà desiderabile (Grunert,
2005).
2.1.3 Percezione della sicurezza alimentare da parte
del consumatore
La definizione di sicurezza alimentare può avere sia un significato più
generico sia uno più definito. In senso stretto la sicurezza alimentare può
essere definita in maniera opposta al rischio alimentare ossia come la