La dispersione scolastica
Introduzione
tre diverse concezioni del ruolo dell’educazione nella società. La prima è quella
integrazionista, tipica della corrente struttural-funzionalista; a questa, è seguita
una forte critica da parte di una concezione conflittualista, attribuibile, da un lato,
al pensiero marxiano e ai suoi esponenti più radicali e, dall’altro, alle teorie we-
beriane apertesi ad un’attenzione maggiore verso l’individuo; da qui, è, poi, nata
una concezione dell’educazione di tipo comunicativo, propria delle sociologie in-
terpretative che hanno utilizzato un approccio micro-sociologico anche nell’analisi
dei processi formativi.
Nel secondo capitolo, si inizierà a definire il fenomeno in esame, mettendone
in luce tutta l’ampiezza e la complessità, e chiarendo e distinguendo i vari con-
cetti, spesso confusi e utilizzati come sinonimi. Si individueranno, inoltre, le mo-
tivazioni principali che danno legittimazione alla lotta contro la dispersione, con
un riferimento particolare alle indesiderabili implicazioni del fenomeno sul piano
individuale e sociale. Da questi presupposti, si partirà alla ricerca delle cause, os-
sia di tutti quegli aspetti, suddivisi principalmente in individuali, familiari e scola-
stici, che entrano in gioco nel determinare l’insuccesso scolastico dei giovani, in
modo da arrivare all’elaborazione di un modello analitico che verrà, poi, ripreso
nella successiva parte di ricerca prevalentemente quantitativa.
La seconda parte si concentra, così, sul fenomeno da una prospettiva empirica
e si prefigge l’obiettivo di testare la validità del modello costruito sulla base della
letteratura disponibile, nonché quello più ambizioso di introdurre alcune ipotesi
aggiuntive di natura strutturale, da sottoporre a verifica. Il terzo capitolo si occu-
perà, innanzi tutto, di monitorare l’incidenza del fenomeno in Italia, nelle sue di-
verse manifestazioni e con l’ausilio di opportuni indicatori di dispersione. Saranno
presentati, in un primo momento, alcuni dati ufficiali e, quindi, i risultati ottenuti
attraverso l’elaborazione dei dati campionari. Si procederà, poi, confermando la
negatività degli effetti del fenomeno, secondo quanto detto nella parte teorica.
Attraverso l’analisi statistica, sarà, inoltre, accertata l’esistenza di alcune relazio-
ni tra le diverse manifestazioni di insuccesso e i principali fattori causali, introdot-
ti nel capitolo 2 e misurati, qui, tramite le variabili a disposizione.
Nel quarto e ultimo capitolo, si cercherà di dimostrare come tali fattori di di-
spersione siano rintracciabili in ogni parte d’Europa, a conferma della validità del
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La dispersione scolastica
Introduzione
modello proposto per la spiegazione del fenomeno. Non solo, attraverso
l’osservazione della diversa incidenza della dispersione scolastica nei vari paesi
europei, si introdurrà l’ipotesi che esistano delle determinanti di ordine struttura-
le, tali da spiegare queste diversità. Attraverso lo strumento comparativo, si cer-
cherà, allora, di comprendere quali possono essere i fattori politico-istituzionali
che caratterizzano le performances migliori di alcuni sistemi educativi, con
l’obiettivo meno modesto di fornire indicazioni utili all’introduzione, anche nel no-
stro paese, di efficaci strumenti di politica educativa.
Questo lavoro non può che rappresentare un’osservazione parziale del feno-
meno educativo, coinvolgendo il sistema formativo esclusivamente dal punto di
vista quantitativo. L’analisi della dispersione scolastica come disuguaglianza di
opportunità focalizza, infatti, l’attenzione sulla quantità di istruzione che viene di-
stribuita tra la popolazione. Ogni aspetto inerente alla qualità di tale istruzione
sarà, allora, in questa sede, volutamente trascurato, nella certezza che la conti-
nuità della ricerca sociologica potrà arricchire e completare un quadro certamen-
te ampio e complesso, quanto fondamentale per la crescita della società, come
quello in cui prende forma e si realizza il processo educativo.
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PARTE PRIMA
PROSPETTIVE DI ANALISI TEORICA
La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
CAPITOLO PRIMO
SOCIOLOGIA E DISUGUAGLIANZE DI OPPORTUNITÀ EDUCATIVE
La sociologia dell’educazione nasce verso la fine dell’Ottocento negli Stati Uni-
ti. In Italia, invece, inizia a svilupparsi piuttosto tardi. Qui, infatti, solo durante
gli anni Sessanta - ufficialmente a partire dal convegno del 1964 su “La scuola e
la società italiana in trasformazione” - vengono presentati i primi contributi teori-
ci ed empirici di quella che sarebbe poi diventata una branca specialistica della
sociologia generale, che ha come obiettivo l’analisi in chiave sociologica delle isti-
tuzioni e dei fenomeni educativi.
Un interessante contributo per l’analisi dell’evoluzione della sociologia
dell’educazione nel panorama internazionale è fornito da Moscati (1992). Egli in-
dividua una prima fase, in cui l’istruzione assume un ruolo fondamentale nel pro-
cesso di industrializzazione per lo sviluppo dei singoli e per il mantenimento
dell’ordine, attraverso l’unificazione dei valori e dei modelli di comportamento.
Con l’arrivo degli anni Settanta il panorama cambia e porta inevitabilmente
all’inizio di una nuova fase: cresce il legame tra istruzione, stratificazione e mobi-
lità sociale, spostando il dibattito intorno al tema dell’uguaglianza delle opportu-
nità scolastiche. Nasce così un’attenzione nuova verso gli individui coinvolti nei
processi educativi, che si sviluppa nella terza fase attraverso la lettura delle rela-
zioni tra i soggetti all’interno delle dinamiche formative.
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La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
La sociologia dell’educazione, come qualunque altro settore di studio speciali-
stico, mantiene un legame di stretta interdipendenza con la teoria sociologica
generale. In particolare, l’approccio teorico prevalente in un dato momento nella
sociologia, influenza fortemente la concezione della scuola e il significato attribui-
to all’istruzione dalla sociologia dell’educazione. Esistono, infatti, nella sociologia
classica, diverse prospettive di analisi del legame tra educazione e società, lega-
me in cui l’educazione dipende dalla concezione della società e
dell’organizzazione sociale.
Storicamente, si possono rintracciare diverse concezioni del ruolo della scuola
come agenzia di socializzazione. Besozzi (1999) individua tre fasi scandite da al-
trettanti modelli diversi di socializzazione che possono essere visti come tipi idea-
li: quello integrazionista, quello conflittualista e quello comunicativo.
Secondo questa teorizzazione, fino agli anni Sessanta prevale una concezione
del rapporto educazione-società di tipo lineare, che considera l’educazione come
variabile dipendente e funzionale all’integrazione sociale: il modello integrazioni-
sta enfatizza, dunque, il ruolo della socializzazione nel mantenimento della stabi-
lità e dell’ordine sociale. Negli anni Sessanta e Settanta, invece, si afferma una
lettura in termini di discontinuità del rapporto tra l’educazione e la società. In
questo periodo si viene, infatti, ad imporre un modello di tipo conflittualista, che
sottolinea l’aspetto del conflitto nell’istruzione e auspica che la socializzazione re-
alizzi una resistenza nei soggetti rispetto ai condizionamenti sociali. Negli anni
Ottanta e Novanta, infine, il panorama muta nuovamente e si pone l’attenzione
sulla circolarità del rapporto educazione-società, data da una loro reciproca in-
fluenza, e sulla multidimensionalità nell’analisi dei processi formativi. In questo
terzo modello, definito comunicativo, l’importanza maggiore viene assegnata
all’interazione tra i soggetti ai fini della socializzazione.
La descrizione di questi modelli e delle fasi ad essi collegate, propostaci da Be-
sozzi, rappresenta una sintesi delle varie conclusioni cui sono giunti diversi stu-
diosi. In questo capitolo si prenderanno in considerazione i principali autori che si
sono occupati di educazione, sottolineando di ognuno solo ciò che è funzionale
alla trattazione della dispersione scolastica. Partendo dai rispettivi punti di vista
nei riguardi del rapporto tra la struttura sociale e i processi formativi, si cercherà
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La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
di individuare, quindi, il contributo delle principali scuole di pensiero all’analisi
delle disuguaglianze di fronte all’istruzione.
Premessa indispensabile è che questo lavoro non pretende di fornire
un’esaustiva e innovativa interpretazione dei classici. Rimandando tale compito
ad altri autori di indiscusso valore, ci si è posti l’obiettivo più modesto di indivi-
duare alcune chiavi di lettura della disuguaglianza in termini di differenti oppor-
tunità educative, a partire dalle appartenenze ideologiche delle principali correnti
della sociologia generale, e di cercare di inserire nel dibattito teorico il problema
dell’insuccesso scolastico che qui si vuole affrontare.
1. Lo struttural-funzionalismo
Padre della teoria del consenso è indubbiamente Èmile Durkheim (1858-
1917), sociologo francese per il quale il problema centrale è relativo all’ordine e
all’integrazione sociale. L’ordine sociale è per lui fondato sulla coesione e sulla
solidarietà tra gli individui, i quali necessariamente condividono il consenso ad al-
cuni valori comuni, in particolare a quelli morali, garantendo in questo modo una
condizione di stabilità e di continuità alla società.
Durkheim (1893) distingue tra due tipi di società. Il primo è quello della socie-
tà premoderna, che è caratterizzata da una solidarietà meccanica, dovuta alla
stretta somiglianza e uniformità tra individui che si identificano, in tal modo, fa-
cilmente nelle norme e nei valori della coscienza collettiva, nell’insieme cioè delle
pratiche, delle credenze e dei sentimenti appartenenti alla media dei membri di
quella società. Il secondo, invece, è quello della società moderna e industriale,
che, a causa dell’alta densità della popolazione, della specializzazione e della di-
visione del lavoro, è caratterizzata, invece, da una solidarietà organica, basata
sulla differenziazione delle persone, le quali devono svolgere funzioni diverse ma
coordinate e integrate tra loro. Qui, la variabilità personale è, quindi, considerata
al servizio del consenso e della stabilità.
Tra gli elementi centrali del suo pensiero, fondamentali anche per comprende-
re la sua analisi del rapporto educazione e società, si pone la superiorità morale
della collettività sull’individuo, primato che viene colto dal singolo, il quale con-
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La dispersione scolastica
Lo struttural-funzionalismo
serva un legame molto forte con essa attraverso la coscienza collettiva, sempre
presente all’interno delle coscienze individuali. L’educazione è, per Durkheim, lo
strumento essenziale per la realizzazione di questa priorità della società rispetto
all’individuo, il mezzo con cui riproduce se stessa: “l’individuo nasce dalla società
e non la società dagli individui” (Aron 2000, p. 301). Dunque, la società chiede
conformità alle regole e ai principi e la ottiene utilizzando lo strumento educativo,
la cui funzione è proprio quella di esercitare il controllo sociale, di mantenere, le-
gittimare, trasmettere e interiorizzare l’ordine morale e di realizzare, infine, un
essere sociale.
Durkheim definisce l’educazione come
“l’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono
ancora mature per la vita sociale. Essa ha lo scopo di suscitare e di
sviluppare nel bambino un certo numero di stati fisici, intellettuali e
morali che richiedono da lui sia la società politica nel suo insieme
che il settore particolare al quale egli è specificamente destinato”
(Durkheim 1972, pp. 58-59).
Presupposto fondamentale per assicurare l’educazione è, quindi, che esista
una generazione che intenzionalmente compia un’azione nei confronti di un’altra,
per trasmettere il proprio patrimonio culturale. Questo non è necessario che av-
venga in modo univoco universalmente, in ogni luogo e tempo, bensì relativa-
mente al contesto geografico e storico della società.
L’idea di Durkheim è, dunque, quella di una società ben organizzata, composta
da individui che sono tenuti ad accettare e occupare i posti a cui sono destinati e
a svolgere funzioni specifiche secondo le proprie attitudini, in virtù della divisione
del lavoro e della competitività che assicura la distribuzione alle persone migliori
dei ruoli più importanti. Più che la famiglia, una scuola di Stato deve assumersi il
compito di fornire ai giovani tale educazione specialistica, senza comunque pre-
scindere da un’educazione comune a tutti i cittadini, necessaria a garantire la
conformità ai valori collettivi che stanno alla base della solidarietà sociale. Così,
“dal momento che l’educazione rappresenta una funzione essen-
zialmente sociale, lo Stato non può disinteressarsene. Al contrario,
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La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
tutto ciò che è educazione deve essere in qualche misura sottomes-
so alla sua azione […] Non ci sono scuole che possano reclamare il
diritto di dare, in piena libertà, una educazione antisociale […] alla
base della nostra civiltà esiste oggi un certo numero di principi […]:
rispetto per la ragione, la scienza, le idee e i sentimenti che sono
alla base della morale democratica. Il ruolo dello Stato è di indivi-
duare questi principi essenziali, farli insegnare nelle scuole, control-
lare che da nessuna parte li si lasci ignorare dai bambini e che dap-
pertutto se ne parli col rispetto dovuto” (ibidem, pp. 63-64).
Il teorico francese è stato criticato duramente per l’attenzione eccessiva pre-
stata agli aspetti strutturali e, conseguentemente, per aver trascurato gli ele-
menti soggettivi e motivazionali che caratterizzano i fenomeni sociali: egli è stato
accusato, infatti, di aver dato una descrizione dell’uomo come completamente
determinato dalla società di appartenenza e, quindi, come “ultrasocializzato” (Ri-
bolzi 1993, p. 110).
Anche la sua concezione passiva del bambino viene messa in discussione, in
quanto essa non considera che il gruppo dei pari è in grado di sviluppare, auto-
nomamente, regole di condotta, con cui i bambini imparano a comunicare indi-
pendentemente dall’adulto. La visione durkheimiana scuolacentrica trascurerebbe
sia il ruolo di questi gruppi sociali e della famiglia nel determinare il comporta-
mento individuale, sia il conflitto che a volte può nascere a seguito di queste di-
verse influenze sul processo di socializzazione. L’insegnante, a scuola, opera, in-
fatti, in concomitanza ad altre agenzie di socializzazione e a volte in contrasto
con esse. Soprattutto l’avvento della scuola di massa ha moltiplicato le diversità
all’interno della popolazione scolastica; per Durkheim, le richieste diverse nei
confronti dell’insegnamento sono dovute sempre ad una socializzazione insuffi-
ciente.
Un altro sociologo che considera l’educazione come strumento al servizio della
società è Karl Mannheim (1893-1947). Vissuto in tempi, luoghi e contesti diversi
e con un’ideologia piuttosto lontana, l’autore ha tuttavia in comune con Dur-
kheim un’idea della sociologia dell’educazione come mezzo potenziale per co-
struire una società migliore.
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La dispersione scolastica
Lo struttural-funzionalismo
La concezione educativa di Mannheim si sviluppa a partire dai suoi studi di so-
ciologia della conoscenza, nell’ambito dei quali si dedica al problema dell’origine
sociale del pensiero umano. Egli compie una riflessione metodologica sulle condi-
zioni sociali che influenzano la formazione delle idee e, quindi, propone una “pia-
nificazione democratica” necessaria al raggiungimento della piena libertà (Man-
nheim, 1968).
L’interesse principale di questo autore è, infatti, rivolto alle politiche educative,
che devono permettere le trasformazioni sociali mantenendo, tuttavia,
l’integrazione. Come per Durkheim, l’educazione diventa, dunque, in Mannheim
(1967), uno strumento capace di influenzare il modo di pensare e il comporta-
mento degli individui perché si adattino all’organizzazione sociale e al sistema di
valori dominante, raggiungendo così l’equilibrio personale e sociale. Questa vi-
sione dell’educazione, se da un lato lo accomuna a Durkheim, dall’altro, come si
potrà vedere più avanti, lo avvicina a Weber, soprattutto quando si parla del le-
game dell’istruzione con il contesto storico, per cui essa acquisirebbe valore so-
lamente in relazione al tipo di società in cui si realizza.
Tuttavia, Mannheim, segnato duramente dal nazismo, auspica una ricostruzio-
ne della società sulla base di una pianificazione sociale, economica e politica, te-
sa alla formazione della democrazia, cioè della forma suprema di regolamenta-
zione dei rapporti tra gli individui. Questo processo, secondo lui, però, può essere
attuato solamente attraverso un rinnovamento del sistema educativo.
L’educazione può diventare, quindi, “un agente di mutamento sociale” (Man-
nheim 1968, p. 345), un mezzo per la nascita di una coscienza critica nell’uomo,
capace di renderlo consapevole del contesto storico in cui è inserito e dei condi-
zionamenti che la struttura sociale opera sul suo pensiero. Già da questi elementi
del suo pensiero, si inizia a percepire in che senso si può parlare di influenza del
marxismo, argomento che si svilupperà nel paragrafo successivo.
Il discorso sull’ideale democratico porta, questo autore, a parlare anche di
quella pluralità degli scopi educativi che è necessaria agli interessi di gruppi tanto
diversi che compongono la società, diversità che forse è stata trascurata da Dur-
kheim. Mannheim si discosta da lui anche quando prende in considerazione il
ruolo fondamentale svolto dai “molti agenti sociali” (Mannheim 1951, p. 89), tra
cui la famiglia, nel processo formativo del bambino: il principale agente educativo
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La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
è la società e intende, con essa, il gruppo di persone in cui l’individuo vive e con
cui si relaziona, anche se inserito in una società più vasta e dominante.
Nella figura di Mannheim, si concentra, in definitiva, il dibattito sociologico in-
torno al destino della democrazia nelle società moderne europee, dibattito che
verrà sviluppato negli Stati Uniti da un autore come Talcott Parsons (1902-
1979). Questi, sulle orme di Durkheim, ha cercato di sistematizzare il discorso
sulla società moderna e sui problemi dell’ordine e dell’integrazione.
Il concetto di integrazione si colloca al centro delle teorie sociologiche funzio-
naliste e quella di Parsons è, infatti, un’analisi funzionale rivolta alla ricerca degli
elementi fondamentali per il funzionamento della società. Nel suo modello gene-
rale detto AGIL, egli inserisce quattro centri di integrazione: il sistema biologico,
che deve rispettare l’imperativo di funzionamento dell’adattamento biologico
all’ambiente, il sistema della personalità, che ha come imperativo funzionale il
conseguimento dei fini da parte del soggetto agente, il sistema sociale, il cui im-
perativo è l’integrazione, e il sistema culturale, che ha la funzione del manteni-
mento del modello (latenza). Questi sottosistemi sono tra loro interdipendenti,
indipendenti, non gerarchici e insieme partecipano al processo di integrazione
generale.
All’interno di tale impianto teorico (a cui si è voluto soltanto accennare), Par-
sons colloca la sua analisi del rapporto tra l’educazione e la società. Anche in lui,
come in Durkheim, l’educazione è vista come uno strumento fondamentale che si
pone come obiettivo l’integrazione sociale delle generazioni più giovani.
Nella sua teorizzazione, fondamentale diventa il processo di socializzazione,
che assicura la riproduzione della società e la formazione della personalità indivi-
duale. L’autore definisce il processo di socializzazione come
“lo sviluppo negli individui degli impegni e delle capacità che costi-
tuiscono i prerequisiti essenziali per l’attuazione del loro ruolo futu-
ro” (Parsons 1972, p. 238).
Egli considera, dunque, tale processo come strumento di attivazione del lega-
me di interdipendenza tra sistema della personalità, sistema culturale e sistema
sociale. La socializzazione è funzione di questo collegamento e avviene sulla base
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La dispersione scolastica
Lo struttural-funzionalismo
di aspettative sociali e culturali che influiscono sulla struttura della personalità,
realizzando così la stabilità degli orientamenti normativi e valoriali.
Parsons distingue tra la socializzazione primaria, che avviene prevalentemente
nella famiglia (a cui assegna un forte peso, al contrario di Durkheim), durante la
quale il bambino interiorizza i principali orientamenti di valore che strutturano la
personalità fondamentale, e la socializzazione secondaria, realizzata principal-
mente nella scuola, nella quale si apprendono gli orientamenti di ruolo destinati a
formare una personalità più specifica.
La variabilità individuale è, dunque, concessa e concepita come possibilità di
scelta di ruoli alternativi sulla base dell’orientamento della propria personalità,
ma tutto questo deve avvenire sempre entro un quadro più ampio di orientamen-
ti normativi e prescrittivi, che garantiscano comunque l’equilibrio sociale genera-
le. Quest’idea ci riconduce alla distinzione che effettua Durkheim tra un tipo di
educazione specialistica e un’educazione comune in ogni caso necessaria
all’adattamento ai valori collettivi che assicurano la coesione sociale. L’uomo ide-
ale è, in definitiva, anche per Parsons, un individuo ultrasocializzato e la devianza
è, come per Durkheim, il frutto di una mancata socializzazione, anche se esistono
pur sempre differenze genetiche e situazionali che non permettono l’uniformità
totale delle personalità.
Come si è potuto vedere, le principali agenzie di socializzazione, ossia le istitu-
zioni centrali per il raggiungimento dell’integrazione, sono la famiglia e la scuola.
La solidarietà al loro interno si basa, tuttavia, su principi diversi, di gratuità nella
famiglia, di prestazione nella scuola. I soggetti vengono differenziati a seconda
della loro riuscita proprio nell’istituzione scolastica, che svolge due importanti
funzioni per il mantenimento dell’equilibrio sociale: la socializzazione e la selezio-
ne, quest’ultima attuata attraverso la differenziazione tra chi supera un livello e
passa al successivo e chi al contrario viene fermato. Sulla socializzazione ci si è
già soffermati in precedenza, mentre sulla selezione è opportuno ampliare il di-
scorso per poter effettuare alcune considerazioni di particolare interesse per que-
sto lavoro.
Nella visione parsonsiana, la selezione permette che le risorse vengano alloca-
te nella maniera più rispondente ai bisogni della società e, più precisamente, del
sistema occupazionale. La scuola appare così un’agenzia per il collocamento della
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La dispersione scolastica
Sociologia e disuguaglianze di opportunità educative
manodopera o per il “setaccio” (Sorokin 1972, p. 143) degli individui, come disse
Sorokin occupandosi della mobilità sociale:
“è certo che la scuola, mentre rimane un’istituzione di istruzione e
di educazione, è nello stesso tempo parte di un meccanismo sociale
che prova le capacità degli individui, che li setaccia, li seleziona e
decide della loro possibile posizione sociale” (ibidem, pp. 147-148).
Questa visione del ruolo delle istituzioni scolastiche venne condivisa sia dai
tecnofunzionalisti, sia dai teorici del capitale umano (ossia dalle correnti definite
funzionaliste di destra), nonché dai marxisti, che, tuttavia, considerarono questa
peculiarità in maniera del tutto diversa.
Selezionando gli individui, la scuola diventa la protagonista di un processo ri-
volto al mantenimento della stratificazione sociale, che è presente in ogni società
avanzata. La stratificazione è, per Parsons, in parte ascrittiva, perché dovuta a
caratteristiche ereditarie, e in parte prestazionale, perché fondata
sull’achievement
1
. Elemento importante nel processo di socializzazione, attraver-
so quest’ultimo, si realizza l’equilibrio tra lo status familiare e una mobilità indivi-
duale fondata sul merito, valore essenziale della società americana.
L’achievement è costituito da due componenti: l’apprendimento cognitivo delle
informazioni e la dimensione morale, che si riferisce al comportamento, o al “re-
sponsabile civismo all’interno della comunità scolastica” (Parsons 1972, p. 243).
La scuola diventa, così,
“un’agenzia che differenzia la classe scolastica lungo un unico
continuum di achievement, il cui contenuto è rappresentato dalla
superiorità relativa nel corrispondere alle aspettative poste
dall’insegnante in quanto agente della società adulta” (ibidem, p.
244).
1
Questo termine fu introdotto dallo psicologo McClelland nel 1953 e non esiste una traduzione ita-
liana precisa, ma si riferisce al desiderio di autoaffermazione, di riuscita e anche al merito. Per un
approfondimento delle analisi di McClelland, relative al legame tra riuscita scolastica e motivazioni
verso il successo si veda McCLELLAND, D.C., ATKINSON, J.W., CLARK, R.A., LOWELL, E.L., The a-
chievement motive, Irvington Publishers, Inc., New York 1976.
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