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INTRODUZIONE
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…Questa tesi nasce dal desiderio di approfondire un tema di cui oggi esiste una
documentazione sempre maggiore: l’importanza dello stile di attaccamento che un
individuo sviluppa durante gli anni dello sviluppo ed il suo ruolo nel determinare
come un bambino si svilupperà successivamente. In particolare, il lavoro di tesi ha
come obiettivo principale quello di approfondire uno stile di attaccamento, quello
insicuro disorganizzato/disorientato, identificato da Main e Solomon (1990), e di
esaminare come tale stile possa essere un fattore di rischio per lo sviluppo, in età
adulta, del disturbo borderline di personalità.…
Il lavoro si struttura in tre capitoli. Nel primo capitolo viene delineata una
panoramica della teoria dell’attaccamento, la quale nasce con un esplicito interesse
verso i primi anni di vita dell’essere umano. Il piø grande sostenitore di tale teoria è
stato John Bowlby che, elaborando le sue idee nella famosa trilogia di Attaccamento
e perdita (1969/1982), si schierò controcorrente in un momento storico che svalutava
l’importanza ed il fondamentale ruolo della vicinanza materna e della qualità della
relazione madre-bambino durante la primissima infanzia. Bowlby, invece, riconosce
e sostiene fermamente, nella sua teoria, l’importanza della relazione madre-
bambino. I suoi studi e le sue esperienze cliniche gli consentono, infatti, di osservare
e mostrare l’influenza sfavorevole esercitata sullo sviluppo della personalità
dall’inadeguatezza delle cure materne durante la prima infanzia. Nel corso del
capitolo vengono descritti, inoltre, i modelli operativi interni, quelle rappresentazioni
mentali che il bambino costruisce di se stesso e della figura di attaccamento e che
influenzano il modo in cui, da adulto, il bambino vive e interpreta le relazioni con gli
altri. Dopo una breve disamina sui principali studi di Bowlby, vengono descritti i tre
stili di attaccamento, sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente, individuati da
Mary Ainsworth durante la procedura della Strange Situation, ideata nel 1969, e lo
stile insicuro disorganizzato-disorientato, individuato da Main e Solomon (1990).
Viene, successivamente, affrontato il tema della stabilità degli stili di attaccamento,
con riferimento all’Adult Attachment Interview, quale strumento messo a punto da
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George, Kaplan e Main (1985) che ha permesso di valutare, in diversi studi, la
stabilità nel tempo della qualità e del tipo di relazione di attaccamento, in termini di
rappresentazioni di esperienze passate. Dall’osservazione della continuità di queste
rappresentazioni lungo tutta la vita della persona deriva l’assunto della trasmissione
intergenerazionale degli stili di attaccamento, secondo il quale il genitore tenderà ad
avere un figlio con il suo stesso stile di attaccamento, perchØ i suoi modelli operativi
interni lo guideranno nella cura secondo modalità congruenti con quelle che, a sua
volta, ha ricevuto dal proprio caregiver durante l’infanzia (Fava Vizziello &
Simonelli, 2005). Questo è l’ultimo tema affrontato nel capitolo.
…Il secondo capitolo è, invece, dedicato unicamente all’analisi dello stile di
attaccamento disorganizzato. Vengono, inizialmente, delineate le caratteristiche
comportamentali dei bambini che sviluppano tale stile, con riferimento ai
comportamenti strani, spaventati, disorganizzati o apertamente in conflitto,
manifestati durante la procedura della Strange Situation. Dopo aver fatto un breve
accenno sui principali fattori di rischio per la disorganizzazione dell’attaccamento,
viene descritto il comportamento genitoriale, con riferimento all’ipotesi di Main e
Hesse (1990) che il comportamento infantile d’attaccamento disorganizzato derivi
dal fatto che il bambino nei primi anni di vita sperimenta la figura di attaccamento
come spaventante e spaventata. Questo atteggiamento sembra causato dalla presenza,
nel mondo interiore del genitore, di ricordi non elaborati di eventi traumatizzanti che
a tratti emergono alla loro coscienza. Vengono, in seguito, descritti i modelli
operativi interni soggiacenti all’attaccamento disorganizzato, i quali sono molteplici,
simultanei e reciprocamente incompatibili, mutando tra le polarità drammatiche del
“salvatore”, del “persecutore” e della “vittima”. Infine, vengono delineati alcuni studi
longitudinali che dimostrano come l’attaccamento disorganizzato nei primi due anni
di vita dia progressivamente luogo, entro il sesto anno di età, ad un tipo di condotta
controllante del bambino verso la figura di attaccamento, e, successivamente, ad un
rallentamento nello sviluppo delle capacità di decentramento cognitivo ed alla
propensione a ricorrere a processi mentali di tipo dissociativo. Nel terzo capitolo, il
focus viene posto sulla possibile relazione tra lo stile di attaccamento disorganizzato
e il disturbo borderline di personalità in età adulta. Dopo aver preso in esame il
concetto di borderline e la diagnosi secondo il DSM-IV, si approfondisce l’ipotesi
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avanzata da Giovanni Liotti, in una prospettiva cognitivo-evoluzionista, della
disorganizzazione dell’attaccamento come nucleo del disturbo borderline di
personalità. Tale ipotesi consente di spiegare bene il coesistere di gravi difficoltà
nella regolazione delle emozioni e di rappresentazioni non integrate e mutevoli di sØ
e degli altri. D’altra parte la disorganizzazione dell’attaccamento sembra offrire un
modello unitario dei due principali disturbi nucleari ipotizzati per la patologia
borderline dalla teoria psicoanalitica di Kernberg e da quella cognitivo-
comportamentale di Linehan. L’ultimo tema affrontato nel capitolo riguarda il
trattamento dei pazienti borderline, secondo il modello di Marsha Linehan, chiamato
terapia dialettico-comportamentale, il quale prevede l’uso di due setting simulanei,
uno di gruppo e l’altro individuale, la cui validità è stata dimostrata da diverse
ricerche.
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CAPITOLO 1
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
1.1 Il contributo originale di John Bowlby
I lineamenti principali della teoria dell’attaccamento sono rintracciabili nei lavori
dello psicologo e psicoanalista britannico John Bowlby.
Bowlby arrivò alla formulazione della sua teoria dopo aver dedicato gran parte
della sua vita allo studio degli effetti della privazione materna durante l’infanzia
sullo sviluppo di psicopatologie e di episodi di devianza minorile.
Il suo lavoro sulla teoria dell’attaccamento iniziò a strutturarsi, successivamente alla
sua laurea in medicina all’Università di Cambridge, quando iniziò a lavorare in un
istituto per ragazzi disadattati.
L’esperienza clinica con due ragazzi, le cui relazioni con le proprie madri erano
state particolarmente disturbate, esercitò su di lui una profonda influenza. Uno studio
retrospettivo piø sistematico, condotto dieci anni piø tardi, dal titolo “Forty-Four
Juvenile Thieves: Their Characters and Home Life”, in cui esaminava le storie di
quarantaquattro bambini che erano stati istituzionalizzati per furto (1944), indusse
Bowlby a pensare che gravi scompensi nella relazione madre-bambino
predisponessero a successive manifestazioni psicopatologiche.…………………….
Il fattore fondamentale che distingueva i giovani ladri dai bambini di un piccolo
campione clinico era la prova di una prolungata separazione dai genitori,
particolarmente marcata fra i soggetti che egli ha definito “anaffettivi”. Queste
osservazioni lo portarono a ritenere, che non solo la relazione con la madre fosse
importante per una buona funzionalità nel corso del tempo, ma anche a credere che
questa relazione fosse per il bambino particolarmente importante sin dall’inizio.
Alla fine degli anni Quaranta, Bowlby ampliò il proprio interesse per le relazioni
madre-bambino integrando le conclusioni della ricerca con un lavoro, pubblicato
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dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sugli effetti
dell’istituzionalizzazione durante l’infanzia.
In questa monografia, intitolata Maternal Care and Mental Health, Bowlby (1951)
passava in rassegna le prove dell’influenza sfavorevole esercitata sullo sviluppo della
personalità dall’inadeguatezza delle cure materne durante la prima infanzia. Il
rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità segnalava con chiarezza
l’importanza del legame genitore-bambino per lo sviluppo dei giovani, così come il
potenziale danno emotivo susseguente alla distruzione del legame.
In netto contrasto con una generazione di professionisti che pensavano che operatori
bene addestrati e istruiti potessero occuparsi della cura dei bambini, Bowlby riteneva
che il legame genitore-bambino fornisse un insostituibile contesto per lo sviluppo del
piccolo.
Bowlby non era convinto della correttezza delle opinioni dominanti, nella prima
metà del XX secolo, a proposito delle origini dei legami affettivi. Al tempo, le due
teorie piø accreditate che spiegavano il legame del bambino alla madre erano basate
entrambe sulla teoria della pulsione secondaria. Sia i teorici di scuola psicoanalitica
che i teorici dell’apprendimento sociale ritenevano che la relazione del bambino con
la madre si stabilisse perchØ ella nutre il bambino (ad es. Freud, 1957; Sears,
Maccoby & Levin, 1957), e che il piacere provato in seguito al soddisfacimento della
pulsione della fame venisse associato positivamente alla presenza della madre.--
Quando Bowlby iniziò a sviluppare la teoria dell’attaccamento, era al corrente degli
studi etologici che mettevano seriamente in discussione questa prospettiva. Lorenz
(1935) aveva notato che i piccoli delle oche si attaccavano ai genitori che non li
nutrivano. Harlow (1958) aveva osservato che i piccoli delle scimmie reso, in periodi
di stress, non preferivano la “madre” di fil di ferro che forniva nutrimento, ma la
“madre” di panno soffice che offriva un contatto confortevole. Presto furono fatte
osservazioni sistematiche sui piccoli dell’uomo, e divenne evidente che anche i
bambini si attaccavano non tanto a chi esclusivamente li nutriva, ma alle persone con
cui venivano in contatto fisico (Ainsworth, 1967; Schaffer & Emerson, 1964).
PoichØ era insoddisfatto delle teorie tradizionali, lo stesso Bowlby trovò una
spiegazione nuova in seguito alla discussione con colleghi appartenenti ad altri
ambiti come la biologia evoluzionistica, l’etologia, la psicologia dello sviluppo, la