dagli effetti negativi provocati da carenti relazioni precoci d’attaccamento sullo
sviluppo del bambino (Caviglia, 2003). Infatti, il lavoro che portò alla teoria
dell’attaccamento iniziò proprio quando Bowlby svolgeva la sua attività come
volontario in una casa per ragazzi disadattati, dove intuì che una relazione fortemente
disturbata con la madre fosse il precursore chiave nel disturbo mentale nel giovane.
A partire da questi presupposti, ben presto, Bowlby prese le distanze dalla teoria
psicoanalitica, secondo la quale il legame emotivo con il caregiver era considerato
una pulsione secondaria, basata sulla gratificazione di bisogni orali. Utilizzando i dati
che dimostravano come, almeno nel regno animale, i piccoli sviluppavano un
attaccamento nei confronti di adulti da cui non erano stati nutriti (Lorenz, 1935, cit. in
Fonagy, 2002), egli giunse ad affermare che il piccolo dell’uomo entra nel mondo
predisposto a partecipare all’interazione sociale, attribuendo così un ruolo centrale
alla tendenza biologica del bambino a formare un legame di attaccamento. Bowlby
citò a questo proposito i lavori di Harlow sulle scimmie Rhesus, dai quali si evinceva
che se i piccoli potevano scegliere tra due surrogati materni, l’uno che offriva calore e
contatto e l’altro che offriva nutrimento, essi preferivano trascorrere la maggior parte
del tempo aggrappati alla “madre” che offriva il piacere del contatto.
Il contributo critico di Bowlby consisteva, quindi, nel porre l’accento sul bisogno del
bambino di un ininterrotto (sicuro) legame precoce di attaccamento con la madre.
Tale legame ha innanzitutto un valore di sopravvivenza: il mantenersi vicino al
caregiver aumenta infatti la protezione, garantisce il nutrimento e la possibilità di
apprendere ed esplorare l’ambiente. In particolare, lo scopo del sistema di
attaccamento, è inizialmente uno assetto spaziale, ovvero il mantenimento di un
livello desiderato di prossimità con la madre; successivamente esso diventa di natura
più psicologica, ovvero il sentimento di essere vicino al caregiver.
I comportamenti di attaccamento sono considerati parte di un sistema
comportamentale, e, pur non potendo far coincidere l’attaccamento con alcun
comportamento specifico, ve ne sono alcuni che orientano e mantengono la
prossimità del caregiver (pianto, sorriso, orientamento dello sguardo verso il
caregiver, locomozione). Il comportamento di attaccamento è così importante che i
bambini piccoli sono impegnati per gran parte del loro tempo in attività ad esso
connesse, sia prestando attenzione alla localizzazione fisica della figura di
attaccamento, ma anche cercando di individuare la strategia migliore per raggiungere
il grado di vicinanza desiderata (Lorenzini, Sassaroli, 1995).
In particolare, Bowlby descrive tre sistemi comportamentali in relazione
all’attaccamento: il sistema comportamentale dell’attaccamento, il sistema
comportamentale esplorativo, interconnesso con il precedente, nel senso che è la
figura di attaccamento a fornire la base sicura per l’esplorazione, il sistema della
paura, che attiva il sistema di attaccamento e la disponibilità del caregiver riduce la
reattività del bambino a stimoli percepiti altrimenti come pericolosi (Fonagy, 2002).
Questi tre sistemi regolano l’adattamento evolutivo del bambino; la loro
combinazione fornisce al bambino il mezzo per apprendere e svilupparsi senza
allontanarsi troppo o rimanere distante per troppo tempo.
Il legame di attaccamento è una sottoclasse dei cosiddetti “legami affettivi o vincoli”,
in cui un individuo riveste un grande significato emozionale per un altro e non è
dunque intercambiabile. Un legame affettivo diventa un legame d’attaccamento
quando l’individuo cerca di ottenere dalla relazione sicurezza o conforto (Ainsworth,
1989, cit. in Fonagy, 2002). Così, mentre i legami affettivi possono essere o meno
simmetrici, i legami di attaccamento sono di norma profondamente asimmetrici: con
ogni probabilità un genitore che cerca di ottenere sicurezza dal bambino mostrerà
altri segni di disturbo psicologico e, dunque, produrrà un disturbo nel bambino
(Bowlby, 1969).
Le relazioni di attaccamento assumono un’importanza fondamentale, non solo per la
sopravvivenza fisica e psichica del bambino, ma anche perché vengono interiorizzate
e vanno a costituire le strutture fondanti la personalità, definite Internal Working
Models (Modelli Operativi Interni – MOI). La caratteristica centrale del modello
operativo interno riguarda la disponibilità attesa della figura di attaccamento, intesa
come l’accessibilità e la responsività del caregiver.
Bowlby prevedeva anche un modello complementare del sé, caratterizzato dal grado
in cui il bambino sente di essere accettabile o inaccettabile per la figura
d’attaccamento. Ci si aspetta, ad esempio, che un bambino, il cui modello operativo
interno del genitore sia focalizzato sul rifiuto, sviluppi un modello operativo
complementare del sé come non amabile, indegno, difettoso.
1.2 Il concetto di “Base sicura” e la “Strange Situation Procedure”
A rendere più sofisticato il concetto di attaccamento è stato il contributo fornito da
Mary Ainsworth.
Sua è la concettualizzazione di “base sicura”, intesa come la possibilità per il
bambino di esplorare l’ambiente sapendo di poter contare sulle figure parentali che si
prendono cura di lui. Infatti la curiosità, che lo guida nell’esplorazione della realtà e
nello sviluppo delle sue conoscenze, comporta anche insicurezza e timore; tuttavia,
poter ritornare presso la figura parentale per essere rassicurato e confortato, permette
al bambino di riacquistare la sua sicurezza.
La produzione teorica di questa autrice va a confluire nella messa a punto di uno
strumento che ha reso possibile, per la prima volta, l’identificazione e la
classificazione dei diversi stili di attaccamento nel bambino: la Strange Situation
Procedure – SS – (Ainsworth, Witting, 1969, cit. in Caviglia, 2003). Si tratta di una
procedura sperimentale su base osservativa, per bambini dai 12 ai 18 mesi,
consistente in otto episodi, della durata complessiva di circa mezz’ora.
Gli episodi si svolgono secondo una sequenza costante, che prevede che il bambino
sia in compagnia congiunta e alternata, della madre e di una persona estranea; sono
osservate le reazioni del bambino alla separazione e al ricongiungimento alla madre
(cit. in Caviglia, 2003).
Tabella 1 (tratta da Caviglia, 2003, p. 43)
La procedura della Strange Situation (Ainsworth,Witting, 1969)
1. La madre e il bambino vengono accompagnati in una stanza.
2. La madre e il bambino vengono lasciati da soli e il bambino è libero di esplorare l’ambiente (3
minuti).
3. Entra un'estranea, si siede, parla con la madre e cerca di mettersi a giocare con il bambino (3
minuti).
4. La madre esce dalla stanza. Il bambino e l'estranea rimangono soli (al massimo 3 minuti).
5. Prima riunione. La madre ritorna e l'estranea esce in maniera discreta. La madre consola, se
necessario, il bambino e cerca di mettersi a sedere (3 minuti).
6. La madre esce dalla stanza. il bambino rimane da solo (massimo 3 minuti).
7. L'estranea ritorna e cerca, se necessario, di consolare il bambino. Poi si accomoda sulla sedia (al
massimo 3 minuti).
8. Seconda riunione. La madre ritorna e l'estranea esce dalla stanza in maniera discreta. La madre
consola il bambino, se necessario, e cerca di ritornare sulla sedia (3 minuti).
Tabella 2 (tratta da Caviglia, 2003, p.43)
Corrispondenza tra le categorie di attaccamento nel bambino e le modalità comportamentali della
madre (Zeanah et al., 1993)
Categoria del bambino Categoria della madre
Attaccamento sicuro (B) Disponibilità emotiva-capacità di
rispondere
Attaccamento ansioso-evitante (A) Rifiuto
Attaccamento ansioso-ambivalente (C) Vicinanza insoddisfacente
(intrusività/distanza)
Attaccamento disorganizzato (D) Spaventata/spaventante
Il comportamento del bambino, o meglio la relazione tra il bambino e sua madre,
viene classificato in una delle seguenti categorie:
ξ Attaccamento “sicuro” (B), riflette un modello operativo interno
caratterizzato dalla fiducia che il caregiver sarà in grado di offrire conforto,
i bambini pur mostrando disagio al momento della separazione, sono
facilmente consolabili alla riunione.
ξ Attaccamento “ansioso-evitante” (A), indica la mancanza di fiducia nella
disponibilità del caregiver, e il ricorso ad una strategia che consiste nel
cercare di controllare precocemente o di regolare “in basso” l’attivazione
delle emozioni, così da mostrare un basso grado di disagio durante la
separazione e un deciso disinteresse alla riunione.
ξ Attaccamento “ansioso-resistente” o “ambivalente” (C), in cui i bambini
mostrano ansia e disagio alla separazione ma che non vengono confortati
dal ritorno del caregiver, sembrano aver adottato una strategia consistente
nell’esagerare o nel regolare “in alto” le emozioni per assicurarsi
l’attenzione del caregiver.
ξ Attaccamento “disorganizzato-disorientato” (D), in cui i bambini cercano la
vicinanza del caregiver in modi strani e disorientati.
Tabella 3 (tratta da Fonagy, 2ooo)
Principali tipi di attaccamento e
di risposta alla separazione
Caratteristiche della risposta del bambino
SICURO (TIPO B) In genere angoscia di separazione all’atto del distacco. Al
ritorno del genitore, saluta, riceve conforto e torna a giocare
sereno.
INSICURO-EVITANTE (TIPO
A)
Manifesta poca angoscia per la separazione, ignora la madre al
momento della riunione e resta inibito nel gioco.
INSICURO-AMBIVALENTE
(TIPO C)
Fortemente angosciato dalla separazione, difficilmente
tranquillizzato dalla riunione, cerca il contatto con rabbia e
spesso respinge la madre; inibito il gioco esplorativo.
INSICURO-
DISORGANIZZATO (TIPO D)
Reagisce alla separazione con comportamenti molto confusi e
disorganizzati.
Furono Main e Solomon, nel 1986 (Main e Solomon, 1990), a introdurre la
definizione “disorganizzato/disorientato” per descrivere i comportamenti spaventati,
strani, disorganizzati, che emergevano nella Strange Situation di Ainsworth e che non
rientravano nei pattern da lei già individuati (A, B, C).
Questa categoria non fu, però, intesa come una quarta configurazione; sembrava, in
realtà, che i bambini così classificati mostrassero la disorganizzazione di una delle tre
configurazioni maggiori identificate in precedenza. “Tali disorganizzazioni
tendevano ad implicare una insicurezza anche più estrema di quella implicata dalla
configurazioni di base delle quali esse erano variazioni” (Crittenden, 1994, p. 11).
I modelli operativi interni dell’attaccamento segnano il primo passo da
un’organizzazione diadica, come il sistema madre-bambino, ad un sistema
individuale caratterizzato da un’autoregolazione interna e comprendono, come
rilevato da Main (Main et al. 1985, cit. in Ammaniti, Speranza e Candelori, 1996),
componenti cognitive ed emozionali. La regolazione delle emozioni, a livello
intrapsichico ed interpersonale, costituisce un’acquisizione fondamentale per lo
sviluppo psicologico del bambino. Le emozioni, infatti, giocano un ruolo rilevante
nell’organizzazione interna dell’attaccamento nell’assolvere la funzione di valutare
contemporaneamente l’ambiente circostante, lo stato dell’organismo, la disponibilità
delle figure di attaccamento ed il successo del comportamento di attaccamento nel
mantenere il senso di sicurezza interno. La funzione regolativa opera a due livelli
(Kobak e Shaver, 1987, cit. in Ammaniti, Speranza e Candelori, 1996): ad un livello
di base, le emozioni come la paura e il disagio attivano il sistema di attaccamento e
comunicano alla madre il bisogno di protezione e conforto del bambino; ad un livello
più elevato, le emozioni restituiscono informazioni al bambino sul successo dei suoi
tentativi di ottenere rassicurazione e conforto e mantenere la relazione. Nel modello
di attaccamento “sicuro” questi due livelli operano in maniera integrata e permettono
al bambino di ripristinare il senso di sicurezza. Invece, nelle relazioni di attaccamento
“insicure”, in cui tra i due livelli si produce un conflitto o una dissociazione, il
bambino non può sperimentare un senso di sicurezza dal momento che si ipotizza non
verrà data, da parte del genitore, una risposta adeguata all’espressione emozionale dei
suoi bisogni. In queste circostanze, il bambino tenderà a sviluppare strategie
alternative basate fondamentalmente sul tentativo di modificare l’espressione delle
emozioni e dei comportamenti di attaccamento in maniera da ridurre l’indisponibilità
della madre ed aumentare il senso di sicurezza.
La capacità di rispondere più o meno adeguatamente alle richieste del bambino e di
interpretare i suoi bisogni, sembra essere fortemente dipendente dal tipo di
organizzazione interna del pattern di attaccamento del genitore stesso. La madre
trasmetterebbe al proprio bambino non solo i modelli di attaccamento ma anche le
strategie difensive sottostanti tali modalità, volte ad evitare il contatto doloroso con i
propri affetti e bisogni emotivi (Riva Crugnola, 1993, cit. in Caviglia, 2003).