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economiche nelle regioni del Centro-Nord, dove la
produttività è costantemente superiore.
Emerge, altresì, un ipotesi alternativa che pone
l’accento sulle debolezze strutturali dell’economia del
Mezzogiorno. L’alta disoccupazione è ricondotta al generale
problema dello sviluppo: è vero che l’economia meridionale
non riesce ad attirare un adeguato volume di investimenti
perché non è abbastanza competitiva, ma l’alto costo del
lavoro dipenderebbe principalmente dalla debole
performance in termini di produttività.
Il dibattito sulla disoccupazione nel Mezzogiorno si
intreccia, nell’ ultima parte di questo lavoro al confronto con
la Campania. Nel considerare gli aspetti salienti della
disoccupazione nelle province in essa presenti abbiamo
ritenuto necessario prima descrivere sinteticamente la storia
economica del Meridione da sempre nota come “questione
meridionale”, tutto ciò per cercare di spiegare i motivi
storici di questi ritardi rispetto al resto del paese.
Successivamente concentreremo l’ attenzione sulla
disoccupazione nelle province della Campania, ovvero di
Avellino, Napoli, Benevento, Caserta e Salerno. Per dare un
idea più precisa del mercato del lavoro campano ci siamo
serviti dell’ausilio di alcuni indicatori statistici, come il tasso
di occupazione, di disoccupazione e di attività. Vedremo in
particolare che dalle stime, sulle forze lavoro, condotte dall’
Istat è emerso che fra le cinque province, Napoli Avellino e
Benevento sono quelle che hanno registrato i risultati
peggiori sul fronte occupazionale considerando anche il
7
diffondersi, al loro interno, del fenomeno del lavoro
sommerso che, come vedremo, tocca anche le altre province
campane. Infine abbiamo concentrato l’ attenzione sulle
politiche di intervento per il mercato del lavoro campano
prendendo spunto dai Rapporti sull’ economia provinciale.
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CAPITOLO I
UN INTRODUZIONE DELLA
DISOCCUPAZIONE: GLI ASPETTI TEORICI
I. 1 Che cos’ è la disoccupazione: metodi per la
sua misurazione
Tra i problemi economici e sociali più rilevanti che,
negli ultimi tre secoli, hanno attirato l’attenzione e fatto
discutere gli studiosi, sia in tempo di crisi che di crescita, vi
è la disoccupazione.
Per disoccupazione "si intende la condizione di coloro
che non hanno un'occupazione ma sono disposti a lavorare.
Il tasso di disoccupazione è il rapporto percentuale tra il
numero delle persone in cerca di occupazione e il totale
delle forze lavoro". Da una definizione come questa può
emergere l'idea che la misura della disoccupazione sia una
procedura piuttosto semplice, ma nella prassi non lo è. Ad
esempio, non risulta automatico definire il disoccupato in
termini di non occupato, in quanto esistono, nella realtà,
diverse condizioni intermedie di occupazione parziale o
sottoccupazione che rendono problematica l'individuazione
di un confine certo tra il gruppo degli occupati e quello dei
disoccupati. Alcuni studiosi per superare tale problema
hanno proposto la definizione di
disoccupazione/sottoccupazione.
9
Per la Banca d'Italia, ad esempio, risultano
sottoccupati coloro che in una settimana di riferimento
abbiano lavorato meno di 26 ore per mancanza di una
maggiore domanda di lavoro. Questi soggetti vengono di
norma inseriti tra gli occupati anche se, in una più attenta
analisi, andrebbero evidenziati, essendo il loro status
dipendente dalla dinamica del mercato del lavoro. Il loro
numero evidenzia infatti un disagio dovuto alla carenza di
posti di lavoro. Spesso nell'ambito della sottoccupazione
viene fatta rientrare anche la "disoccupazione nascosta".
Tale definizione riguarda casalinghe, studenti e pensionati i
quali, posti ai margini della definizione di forza lavoro,
spesso non vengono fatti rientrare nel computo dei
disoccupati.
A livello statistico si è soliti definire disoccupate le
persone che pur essendo disponibili a lavorare risultano
senza impiego, coloro che sono alla ricerca di occupazione e
quanti, pur avendo già lavorato, si trovano espulse dal
circuito professionale. A livello nazionale le principali fonti
statistiche, sulla consistenza della forza lavoro sono le
indagini condotte dall’ ISTAT e dal Ministero del Lavoro
che individuano aspetti diversi di una stessa realtà.
I dati sulla disoccupazione elaborati dal Ministero del
lavoro vengono raccolti attraverso gli Uffici di collocamento
diffusi sul territorio nazionale. I dati forniti dagli Uffici di
collocamento vengono distinti in tre classi.
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La prima classe raggruppa:
¾ i lavoratori disoccupati già occupati,
¾ i soggetti in cerca di prima occupazione,
¾ gli occupati a part time con orario non superiore a 20
ore settimanali,
¾ gli occupati a tempo determinato con contratto non
superiore a quattro mesi.
La seconda classe include i soggetti già occupati che
aspirano a diversa occupazione.
La terza classe considera i pensionati in cerca di
lavoro. Tale fonte non è sempre adatta a fornire
informazioni esaustive sul fenomeno disoccupazione. Infatti
non sempre tutti i disoccupati sono iscritti alle liste di
collocamento e, su quelli iscritti, non vi è alcuna certezza
sulla loro effettiva ricerca di occupazione. Inoltre, non è
certa la totale assenza di occupazione da parte degli iscritti a
tali liste. Queste difficoltà rendono tale fonte non del tutto
attendibile.
L' ISTAT svolge le Rilevazioni Trimestrali sulla Forza
Lavoro in Italia fin dal 1959. L'indagine viene condotta
attraverso un questionario proposto ad un insieme di
famiglie italiane selezionate attraverso un campionamento a
più stadi. Le Rilevazioni in Italia vengono effettuate con una
frequenza trimestrale dato che il trimestre viene considerato
un'unità di tempo importante per la descrizione della
congiuntura economica
1
. Ma quando si parla di
1
Susanna Zaccarin – Marco Reglia, 1993, La Rilevazione della Disoccupazione,
www.canovella.it Questo lavoro trae spunto dalla nuova definizione delle persone in cerca di
11
disoccupazione non ci si fa riferimento soltanto a fonti
statistiche, questo fenomeno viene spiegato anche facendo
riferimento a vari approcci teorici che sono stati, nel corso
della storia economica, di valido apporto allo studio della
disoccupazione.
I. 2 La disoccupazione tecnologica
Nel paragrafo precedente abbiamo voluto dare una
definizione al fenomeno economico della sottoccupazione
qui ci soffermeremo a quello che gli economisti chiamano
disoccupazione tecnologica.
Nel corso dei secoli numerosi sono stati gli studi e le
teorie sviluppate sul fenomeno della disoccupazione
tecnologica, la rivoluzione tecnologica che negli ultimi anni
sta profondamente e rapidamente modificando la nostra vita,
soprattutto a livello di società avanzate, non può non avere
profonde ripercussioni sul lavoro e sull’occupazione. E’
ampio e attuale il dibattito tra quanti ne esaltano la valenza
in termini di nuove opportunità e quanti paventano il
delinearsi di una fase di disoccupazione tecnologica,
fatalmente generata dallo sviluppo tecnologico.
Gli elevati tassi di disoccupazione che si registrano in
Italia e soprattutto nel Mezzogiorno, impongono una
riflessione ampia dei molteplici aspetti che caratterizzano il
momento attuale. L'accelerazione del progresso tecnologico
occupazione adottata dall'ISTAT nell'indagine sulle Forze di lavoro (Rilevazione Trimestrale
sulle forze Lavoro, RTFL).
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ha rappresentato l'aspetto centrale di questo secolo. La causa
precisa di questi cambiamenti è indicata nell'imminente
creazione di entità tecnologiche con un'intelligenza più
grande di quella umana. Una nuova generazione di
sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene
introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative:
macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in
infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati
a fare la coda negli uffici di collocamento.
Per più di un secolo, gli economisti hanno
convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria
che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la
produttività, abbassano i costi di produzione e fanno
aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in
conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati
e genera più occupazione. Ma questa logica sta oggi
conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione
tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del
potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di
incalcolabile grandezza e durata.
L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una
spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel
corso della sua storia, alcuni oppositori determinati. Nel
primo volume del Capitale, Karl Marx argomentava che i
produttori tentano continuamente di ridurre il costo del
lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di
produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le
macchine. Il capitalista trae profitto non solo non solo dalla
13
maggiore produttività, dal contenimento dei costi e dal
maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche in via
indiretta - dalla creazione di una numerosa armata di riserva
di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente
sfruttabile in altri compatti dell'economia. Marx prevedeva
una costante progressione della sofisticazione di macchine
capaci di sostituire il lavoro umano e sosteneva che ogni
innovazione tecnologica “scompone progressivamente
l'attività del lavoratore in una sequenza di operazioni
elementari, in modo che a un certo punto una macchina
possa prenderne il posto”
2
.
E’ vero anche, però, che la tecnologia è la soluzione
ad un bisogno umano che nasce dalla simultanea
compresenza di uomini, attrezzature impiegate, ambiente
naturale organizzazione produttiva. Possiamo quindi definire
una qualsiasi risposta ad una esigenza umana, cioè una
tecnologia, dal punto di vista economico ma anche sociale.
Le tecnologie appropriate sono perciò quelle risposte
ai bisogni fondamentali dell'umanità che non solo
migliorano le condizioni sociali ma dal punto di vista
economico, usano in maniera saggia le risorse del pianeta.
Sugli effetti dell’innovazione tecnologica vi sono
state opinioni contrastanti, le più note sono quelle di Ricardo
(Inghilterra, 1772-1823), keynes (Inghilterra, 1883-1946) e
Shumpeter.
2
Jeremy Rifkin, (1997), “La fine del lavoro, Il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era
post-mercato”, Baldini & Castoldi, Milano, 1997 [1995] Traduttore Paolo Canton
14
Ricardo sosteneva che l’introduzione delle macchine
poteva generare disoccupazione, almeno temporaneamente.
Keynes osservò che in passato furono le aspettative
ottimistiche sul futuro progresso tecnico ed aumento della
popolazione a stimolare gli investimenti e la domanda.
Schumpeter sostenne, invece, che le innovazioni
tecnologiche sono il motore dello sviluppo economico, ma
anche che il modo con cui le innovazioni tecnologiche
determinano lo sviluppo non è uniforme: la conseguenza è
che il sentiero di crescita è ciclico.
Visto il ruolo fondamentale che il progresso tecnico
ha avuto per i paesi industrializzati, una delle visioni più
consolidate del problema della povertà ne vede la causa
principale nella "arretratezza tecnologica", accompagnata da
una limitata espansione del settore industriale dell'economia.
La soluzione più appropriata è vista nella
industrializzazione, e in particolare una forte accumulazione
di capitale fisico; trasferimento nei paesi poveri di
tecnologie avanzate. Questi piani di sviluppo tradizionali,
adottati tra il 1950 e il 1980 hanno spesso dato risultati
insoddisfacenti, soprattutto in America Latina e in Africa.
Lo studio dei casi in cui questi interventi hanno fallito, ha
messo in luce aspetti più complessi e profondi del ruolo
della tecnologia. L'aspetto più interessante è la
comprensione del fatto che la tecnologia non è una proprietà
delle macchine ma un prodotto della conoscenza umana. Gli
effetti dell'uso delle macchine, e a maggior ragione la
capacità di creare innovazioni tecnologiche, non dipendono