2
Non esiste, però, una connessione necessaria tra forma grammaticale
e funzione discorsiva, nè tra quest’ultima e il contenuto del discorso
medesimo.
Con speciale riguardo al discorso giuridico, per comprenderne la
tipologia, occorre individuare il fine perseguito da coloro che
animano la scena giuridica: il legislatore e il giurista.
Il legislatore è una sorta, direi, di demiurgos platonico che media
politica e diritto, che movendo da quella crea questo; il giurista,
invece, descrive la realtà giuridica creata dal legislatore.
E’, in particolar modo, alla logica del giurista, quale logica
descrittiva, che si rivolgono le pagine che seguono.
Per comprendere la logica del giurista la prima operazione da
compiere è analizzare logicamente il discorso oggetto d’indagine,
non per prendere meramente atto di ciò che si è detto letteralmente,
bensì allo scopo di aver chiaro ciò che si è inteso dire.
Bisogna ricostruire logicamente il discorso argomentativo, ossia
trovare la conclusione, individuarne le premesse, far emergere ciò
che è sottaciuto o presupposto, eliminare ciò che è ridondante e
rettificare ciò che è fuorviante.
3
Una volta analizzato, il discorso può essere valutato logicamente al
fine di verificare la validità, o anche solo la plausibilità,
dell’argomento in esame. Oggetto di tale valutazione è, dunque, il
discorso “ricostruito” nel linguaggio logico.
Scopo principale della logica è la valutazione della correttezza di un
argomento. Tuttavia, essa si preoccupa di definire ulteriori categorie
di valutazione logica quali la contraddittorietà, l’implicazione,
l’equivalenza e la verità logica.
Il secondo capitolo è dedicato a “La struttura argomentativa della
sentenza”.
Come già detto, la logica si occupa del pensiero discorsivo. Quando
una persona afferma o nega qualcosa, a voce o per iscritto, ovvero
manifesta verbalmente un giudizio fornendo motivi validi a sostegno
della sua tesi, essa presenta un’argomentazione.
In logica elementi costitutivi di un argomento sono le premesse, la
conclusione ed il nesso di consequenzialità fra premesse e
conclusione.
Gli argomenti possono essere semplici, con una o più premesse o
complessi che si hanno allorché diversi argomenti semplici si
connettono fra loro.
4
Tra gli argomenti a struttura complessa vengono analizzati, in
particolare, i cd. argomenti a cascata (o a catena) e gli argomenti
convergenti.
La forza di un argomento è data dal valore delle premesse e dal
valore del nesso di consequenzialità. Quest’ultimo è fondamentale ai
fini della distinzione tra argomenti deduttivi e argomenti induttivi.
Infatti, nei primi il nesso di consequenzialità è “necessario”, nei
secondi è solo “probabile”.
Ne consegue che, solo gli argomenti deduttivi possono essere validi o
invalidi, mentre gli argomenti induttivi sono più o meno probabili.
In ogni argomentazione, anche in quella giuridica, convive una
componente retorica ed una probatoria valutabile dal punto di vista
logico.
Il controllo istituzionale dell’argomentazione giuridica ha ad oggetto
solo la componente probatoria: sarebbe impossibile verificarne anche
la sua efficacia retorica.
Il discorso giuridico, peraltro, lungi dall’essere dimostrativo ed
indiscutibile, come quello delle scienze esatte, si propone come
un’argomentazione solo plausibile in cui le premesse sono prive di
5
assoluta certezza ed apoditticità, ferma restando la struttura logica,
deduttiva o induttiva che sia.
Tra gli argomenti deduttivamente validi meritano particolare
attenzione il sillogismo disgiuntivo, il modus ponens, il modus tollens
ed il quasi sillogismo; mentre fra quelli di tipo induttivo rilevano la
generalizzazione universale induttiva, la generalizzazione statistica e
il sillogismo statistico.
Può accadere che un argomento non riesca a dimostrare la propria
conclusione. Tale errore nel ragionamento o nell’argomentazione, in
logica, viene detto “fallace”.
Tradizionalmente si distinguono fallacie formali e fallacie informali.
Per quanto riguarda le prime, relativamente ad argomenti deduttivi,
vengono trattate la fallacia dell’affermazione della conseguente e la
fallacia della negazione dell’antecedente; relativamente ad argomenti
di tipo induttivo, invece, sono analizzate la fallacia della statistica
insufficiente e la fallacia della statistica pregiudicata.
Maggiore spazio viene lasciato alle fallacie informali, che
maggiormente ricorrono nel discorso ordinario provocando effetti
devastanti per gli argomenti in cui appaiono.
6
Tradizionalmente le fallacie informali vengono distinte in fallacie di
rilevanza, fallacie di presunzione e fallacie di ambiguità.
Tra queste meritano attenzione quelle che hanno un particolare
rilievo in ambito processuale: l’argomento ad ignorantiam,
l’argomento ad misericordiam, l’argomento ad populum e la fallacia
delle domande complesse.
Come detto in precedenza, premessa e conclusione in un argomento
devono legarsi secondo un nesso di consequenzialità. La stessa
sentenza costituisce un argomento: ma in che modo il giudice arriva a
collegare fatto e diritto?
Secondo la tesi tradizionale, che ha tra i primi sostenitori Cesare
Beccaria, la forma delle decisioni giudiziali è assimilabile a quella di
un sillogismo, noto con il nome di sillogismo giudiziale.
Esso si compone di tre momenti fondamentali, ciascuno con un
proprio contenuto logico: l’accertamento del fatto storico e
l’individuazione della norma, che costituiscono le premesse, e la
decisione che rappresenta la conclusione.
Il modello del sillogismo giudiziale è stato tuttavia oggetto di
numerose critiche, che vengono analizzate nel corso di questa
esposizione.
7
Il terzo capitolo si occupa de “I vizi della motivazione: il controllo
della Cassazione”.
La sentenza, quale atto a struttura complessa, è una decisione presa a
seguito di un giudizio motivato. In essa, solo il dispositivo ha una
propria autonomia funzionale e produce effetti autonomi, mentre la
motivazione è ad esso meramente accessoria, non produce infatti
effetti esterni propri.
In virtù dell’obbligo di motivazione, dapprima previsto solo dalla
normazione ordinaria e solo in un secondo tempo consacrato a livello
costituzionale, la mancanza o il vizio di motivazione invalida “dal
suo interno” la sentenza rimuovendo gli effetti giuridici esterni del
dispositivo.
Essa, tuttavia, rappresenta il più potente strumento, finora concepito,
di razionalizzazione del giudizio.
In questo senso la motivazione rappresenta una “garanzia
epistemologica e processuale” allo stesso tempo.
E’ ormai diffusa la distinzione tra funzione “endo-processuale” e
“funzione extra-processuale” della motivazione.
Con la prima il giudice rende conto, alla società e all’opinione
pubblica, del proprio operato, “giustificandosi”, con la seconda
8
funzione favorisce, invece, un controllo interno al sistema
giurisdizionale circa il fondamento della sentenza, ai fini di una
eventuale impugnazione delle parti.
La motivazione, in quanto composta da argomenti, deve avere una
“struttura logica”, ossia una propria “coerenza” e “completezza” ed è
appunto la violazione di tale struttura a costituire tassativo motivo di
ricorso in Cassazione ex artt. 360, n.5 c.p.c. e 606, comma 1, lett. e)
c.p.p., ai quali è dedicato un apposito spazio nelle pagine che
seguono.
Un’attenzione particolare viene infine riservata alla contraddittorietà
la quale, come accennato, rappresenta una delle categorie di
valutazione della logica.
Essa è rinvenibile solo in sede di “ricostruzione logica”
dell’argomento, non anche necessariamente nel linguaggio testuale in
sé considerato.
Affinché due proposizioni possano dirsi contraddittorie occorre far
riferimento alle parole usate, alle circostanze in cui esse vengono
usate e, alle volte, anche all’identità della persona che le usa. Ne
consegue che la contraddittorietà deve rilevare nel complesso della
motivazione e non all’interno di una singola argomentazione.
9
CAPITOLO I
DISCORSO, ARGOMENTAZIONE E VALUTAZIONE
LOGICA
SOMMARIO: 1. Il discorso come oggetto della logica. 2. Le categorie di
valutazione logica. 3. L’analisi del discorso. 4. Linguaggio testuale e
linguaggio logico ricostruttivo. 5. L’oggetto delle valutazioni logiche.
Sciendum est quod istius scientiae
sunt multae utilitates, inter quas una est facilitas
discernendi inter verum et falsum. (…) Seconda
utilitas est promptitudo respondendi. (…) Alia
utilitas est facilitas virtutem sermonis et
proprium modum loquendi percipiendi.
(Ockham,Expositio in artis logicae proem, O.
Ph. II. Pp. 6-7, 84-112)
1) Il discorso come oggetto della logica
Il pensiero è sia intuitivo che discorsivo: a seconda delle circostanze,
esso si esprime nella prima forma o nella seconda.
Il discorso è un processo psicologico che si manifesta in varie forme.
Le due forme più frequenti sono l’azione tacita (o, come si suol dire
presso i giuristi, per acta concludentia) ed il discorso articolato nel
10
linguaggio. La logica si occupa direttamente solo del pensiero
discorsivo o, detto più brevemente, del discorso
1
.
Al logico, infatti, interessa il pensiero se e nella misura in cui diventa
linguaggio: Croce diceva che l’arte è la sintesi di intuizione ed
espressione.
Qualunque pensiero, espresso o meno, è suscettibile di essere
ricostruito in un linguaggio rigoroso.
Quanti tipi di funzione può avere un discorso?
Per duemila anni si è creduto che esistessero solo quattro funzioni del
discorso (descrittiva, espressiva, prescrittiva ed interrogativa); sarà L.
Wittgenstein
2
, con le sue Ricerche filosofiche (1953), a insistere sul
fatto che ci sono “innumerevoli modi diversi di usare ciò che
chiamiamo simboli, parole, enunciati”.
Tuttavia molti studiosi di logica e del linguaggio tuttora si avvalgono
di una triplice classificazione delle funzioni del discorso, che tenta di
mettere ordine tra gli innumerevoli generi proposizionali.
Il discorso, allora, può essere:
Informativo: il linguaggio, in questo caso, viene usato per
comunicare informazioni, affermando o negando proposizioni,
1
Dalle lezioni del prof. Carcaterra.
2
Vedi L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, Torino, 1953, 64.
11
presentando argomenti. Non importa se l’affermazione ha ad oggetto
proposizioni vere o false, corrette o meno. I più chiari esempi di
discorso informativo ce li offre la scienza.
Espressivo: è il linguaggio che dà sfogo a sentimenti, emozioni o è
finalizzato a suscitarne di simili. Nonostante tale forma di linguaggio
trovi la sua massima realizzazione nel genere poetico, non tutto il
linguaggio espressivo è poesia. Infatti è tale qualsiasi discorso usato
sia per esprimere un sentire interiore di chi parla, gioia o dolore, sia
per suscitare sentimenti analoghi negli ascoltatori.
Direttivo: questo tipo di linguaggio viene usato per provocare o
distogliere da un’azione. Esso, cioè, si propone di raggiungere un
risultato o di provocare una data azione (pensiamo ai comandi o alle
richieste). Nella sua nuda forma imperativa il linguaggio direttivo
non è né vero né falso: comandi e richieste, infatti, saranno
ragionevoli o inappropriati ma non avrebbe senso definirli veri o
falsi
3
.
Questa triplice divisione delle varie funzioni del linguaggio non trova
puntuale e meccanica applicazione nella realtà. Infatti, gli usi ordinari
3
Vedi COPI-COHEN, Introduzione alla logica, Bologna, 1994, 100 ss.
12
del linguaggio spesso sono misti, poiché è la comunicazione effettiva
che richiede certe combinazioni di funzioni.
Un esempio, interessante ed importante, di linguaggio misto è il c.d.
linguaggio cerimoniale. Esso è una perfetta miscela di discorso
espressivo e direttivo: pensiamo a tutte le formule di saluto, o ai riti
(scritti e orali) celebrati nei luoghi di culto.
Esiste ancora un altro tipo di linguaggio, per certi versi affine al
cerimoniale e tuttavia diverso da quelli di cui sopra: il linguaggio
performativo. Usato in determinate circostanze, compie di fatto
l’azione che si propone di descrivere o riferire: “mi scuso…”; “mi
congratulo…”, possono essere solo alcuni degli esempi.
Il discorso, inteso come un insieme di proposizioni è destinato ad
assolvere a due o anche più funzioni del linguaggio in una volta.
Allora, per valutare un dato passo occorrerà comprendere la o le
funzioni che esso intende assolvere.
La struttura grammaticale di un passo serve spesso ad indicarne la
funzione, ma non c’è una connessione necessaria tra funzione e
forma grammaticale e neppure tra funzione e contenuto. Infatti,
enunciati dichiarativi possono svolgere una funzione direttiva (es.
“vorrei un caffè”).
13
Ma allora, il testo giuridico, con le sue molteplici proposizioni, che
tipo di discorso è?
Nel rispondere a questa domanda dobbiamo considerare due diversi
operatori, entrambi protagonisti della scena giuridica: il legislatore ed
il giurista.
In entrambi la norma si pone al centro del loro discorso ma ciò che li
differenzia è il fine da essi perseguito. Mentre il legislatore fa uso di
un linguaggio prescrittivo, costitutivo in quanto il suo fine è creare
un fatto ( il fatto giuridico) attraverso la norma, il giurista, invece,
riporta il medesimo fatto attraverso un linguaggio meramente
descrittivo.
Qui ci si occuperà della logica descrittiva, in particolare della logica
applicata al discorso del giurista. Per fare ciò, la logica deve
compiere sul discorso varie operazioni: una analisi logica del
discorso ed una valutazione critica logica dello stesso.
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2) Le categorie di valutazione logica
Quando qualcuno scrive o dice qualcosa, esistono molteplici modi
differenti di giudicare le sue espressioni.
Possiamo, infatti, appurarne la veridicità, criticarne lo stile,
considerarne la moralità oppure valutarne la logica.
“Critica interna” è la definizione che Strawson ci offre della
valutazione logica di un discorso
4
.
La principale categoria di valutazione della logica è la correttezza
delle argomentazioni, ossia dei discorsi che esprimono ragionamenti:
“ la logica è lo studio dei metodi e dei principi usati per distinguere il
ragionamento corretto da quello scorretto
5
”.
Esistono criteri oggettivi in base ai quali siamo in grado di definire
un ragionamento corretto.
Lo scopo della logica, dunque, è proprio quello di scoprire,
mettendoli a disposizione, i criteri che possono essere usati per il
controllo degli argomenti, affinché si possano distinguere quelli
buoni da quelli cattivi.
4
Vedi P.F. STRAWSON, Introduzione alla teoria logica, trad. it. di A.
VISALBERGHI,Torino, 1961, 4.
5
Vedi COPI-COHEN, Introduzione alla logica, Op. Cit., 19.