iii
malapena dalle esportazioni di prodotti industriali e, in misura sempre maggiore, dalle
«partite invisibili» (servizi di trasporto, assicurazione, nolo…), mentre l’Argentina, il
Cile e l’Uruguay, grazie alle loro esportazioni agricole, rientrano nei primi dieci paesi
più ricchi del mondo
3
.
Se la fine dell’Ottocento viene descritta come l’età dell’oro del liberismo
internazionale, il periodo compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale costituisce
l’antitesi del libero commercio. Questo è vero anche per i prodotti agricoli: in tempi di
aspre rivalità politiche e militari, non si vuole dipendere da nessuno per i propri
approvvigionamenti, e gli stati cercano di aumentare il più possibile la propria
autosufficienza alimentare (si pensi alle «battaglie del grano» dell’autarchia
mussoliniana, o all’espansione della Germania di Hitler agli stati slavi, concepiti come
fornitori di materie prime e di alimenti all’industria e alla popolazione tedesca).
Al termine del secondo conflitto mondiale, la ripresa degli scambi internazionali è
un imperativo assoluto, non solo per ragioni economiche, ma anche per una più
profonda convinzione politica: per utilizzare le parole di Codell Hull, segretario di stato
degli Stati Uniti, «enduring peace and the welfare of nations are indissolubly connected
with friendliness, fairness, equality and the maximum praticable degree of freedom in
international trade»
4
. Il sistema monetario e finanziario internazionale viene guidato da
due nuove istituzioni: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per
la Ricostruzione e lo Sviluppo. Il commercio internazionale, una volta fallito
l’ambizioso progetto dell’International Trade Organization, viene inquadrato in un
accordo più snello e dalla dimensione istituzionale fortemente limitata: il General
Agreement on Tariffs and Trade
5
.
Di fronte alla rapida liberalizzazione degli scambi di manufatti, spinta anche dai
Round di negoziati commerciali intrapresi dalle parti contraenti del GATT, il
commercio dei prodotti agricoli segue una strada diversa. Formalmente inclusi nel
GATT, i prodotti agricoli beneficiano di importanti eccezioni dalle regole relative alle
restrizioni quantitative e ai sussidi alle esportazioni; inoltre, anche queste regole già di
per se più flessibili di quelle relative al commercio dei manufatti, vengono applicate
solo in una misura limitata dalle parti contraenti, senza che il GATT riesca ad imporre
ai suoi membri una maggiore disciplina. Da qui la ragione di questo lavoro:
3
Per un’attenta analisi della composizione della bilancia dei pagamenti britannica tra il XIX ed il XX
secolo, cfr. P. Mathias, L’economia britannica dal 1815 al 1914: crescita industriale e problemi di
transizione, Einaudi, Torino 1994, capitolo 2, La Gran Bretagna e l’economia internazionale.
Commercio, finanza e investimenti; per i tre paesi temperati dell’America Latina, cfr. P. Bairoch, Storia
economica e sociale del mondo. Vittorie e insuccessi dal XVI secolo ad oggi, Einaudi, Torino 1999, vol. I,
pp. 275-281. L’Argentina viene descritta come «un Eldorado del XIX secolo», il Cile come «una terra
doppiamente ricca», l’Uruguay come «una piccola Svizzera»; per le esportazioni di prodotti agricoli dal
Sudamerica ed il problema delle ragioni di scambio cfr. V. Bulmer-Thomas, The Economic History of
Latin America Since Independence, Cambridge University Press, Cambridge UK 1994.
4
K. W. Dam, The GATT. Law and International Economic Organization, University of Chicago Press,
Chicago and London 1970, p. 12, nota 5.
5
Cfr. A. Comba, Il neo liberismo internazionale. Strutture giuridiche a dimensione mondiale dagli
accordi di Bretton Woods all'Organizzazione mondiale del commercio, Giuffré, Milano 1995.
iv
comprendere la diversità della regolamentazione internazionale del commercio dei
prodotti agricoli, le sue origini e le sue conseguenze. L’idea di fondo è che, seguendo il
lungo percorso della liberalizzazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli,
si possa giungere ad una maggiore comprensione anche degli altri settori del commercio
internazionale, manufatti e servizi, e mettere in luce tutta una serie di «collegamenti
interni» al complesso fenomeno cui ci si riferisce genericamente con l’espressione
«globalizzazione».
La prospettiva adottata è duplice: da un lato si analizza la disciplina posta in
essere a livello multilaterale, dall’altro si mostra come le regole internazionali
influenzino e siano influenzate dalle politiche agricole nazionali, con particolare
attenzione per la Politica Agricola Comune della Comunità europea. Il periodo storico
affrontato copre poco più di cinquant’anni: dalla firma del General Agreement (1947)
alla Conferenza ministeriale di Cancún (settembre 2003); dai primi progetti di «pool
vert» (1950) alla «Mid-Term Review» della PAC nel settembre 2003 e ai recenti
sviluppi sulle biotecnologie del febbraio 2004. Questo periodo può essere idealmente
diviso in tre parti: il prevalere del protezionismo agricolo, dalla nascita del GATT fino
agli anni Ottanta; l’inizio della liberalizzazione del settore, con l’Accordo
sull’agricoltura dell’Uruguay Round (1986-1994) e la riforma della PAC portata avanti
da Ray MacSharry (1992); il proseguimento della liberalizzazione, con i nuovi negoziati
del Millennium Round (2001- ) e la riforma della PAC contenuta in Agenda 2000
(1999) e seguita dalla Mid-Term Review (2003).
La bibliografia si basa ovviamente sul catalogo delle biblioteche torinesi: oltre
alla fornitissima biblioteca del dipartimento giuridico F. Ruffini sono state molto utili la
biblioteca interdipartimentale G. Solari, la biblioteca del dipartimento di economia S.
Cognetti de Martiis, la biblioteca centrale della facoltà di economia L. Einaudi, la
biblioteca della fondazione Einaudi e la biblioteca nazionale universitaria. La mia
permanenza presso l’Université de Montpellier I e presso la University of
Wolverhampton mi ha permesso di consultare numerose pubblicazioni non disponibili
in Italia. Internet ha avuto un ruolo fondamentale nel reperimento delle fonti. I siti del
WTO e della Comunità europea permettono di avere accesso a tutti i documenti
ufficiali, come i testi degli accordi, i rapporti dei Panel, la legislazione e la
giurisprudenza comunitaria. Inoltre, attraverso internet mi è stato possibile scaricare in
formato digitale un gran numero di pubblicazioni, articoli di riviste e working papers
delle istituzioni di ricerca che, per la loro natura estremamente tecnica, difficilmente
avrei potuto trovare in Italia in formato cartaceo.
Il primo capitolo analizza la disciplina particolare istituita dal GATT per il
commercio internazionale dei prodotti agricoli. Rispetto ai manufatti, i prodotti agricoli
beneficiano di due importanti eccezioni: l’articolo XI:2 permette di adottare restrizioni
quantitative in determinate condizioni; l’articolo XVI:2 consente agli stati di sussidiare
le proprie esportazioni di prodotti agricoli, a condizione di non utilizzare i sussidi per
v
sottrarre quote di mercato ad altri stati. La disciplina relativa ai sussidi alla produzione,
posta in essere dall’articolo XVI:1, è la stessa per i prodotti di base e per i manufatti.
Nonostante l’Accordo generale preveda già in partenza una disciplina più
flessibile, il commercio dei prodotti agricoli sotto il GATT è stato caratterizzato da
numerose misure incompatibili con l’Accordo. L’accesso ai mercati è stato ristretto da
tutta una serie di strumenti di dubbia legittimità, come il sostegno dei prezzi, il prelievo
variabile e gli accordi di autolimitazione delle esportazioni (VER), mentre persino i più
convinti sostenitori del libero commercio nel settore agricolo, gli Stati Uniti,
beneficiano dal 1955 di un’esenzione dalla disciplina del GATT in materia di restrizioni
non tariffarie. I sussidi alle esportazioni sono stati utilizzati in misura crescente dalle
«superpotenze agricole», fino ad arrivare ad una aperta guerra commerciale negli anni
Ottanta per conquistare dei mercati di sbocco per le proprie eccedenze agricole.
Il GATT si è mostrato incapace di portare una maggiore disciplina al settore
agricolo, sia a causa della debolezza concettuale degli articoli XI e XVI, sia a causa
della scarsa efficacia del sistema di risoluzione delle controversie. La causa principale
della scarsa effettività della disciplina internazionale risiede però nella volontà politica
degli stati di trattare il commercio dei prodotti agricoli in un modo diverso dal
commercio dei manufatti.
Per comprendere la «specialità dei prodotti agricoli», è necessario guardare alle
politiche agricole nazionali, al loro funzionamento, e alle loro relazioni con l’insieme
della politica economica degli stati. Il secondo capitolo è quindi dedicato alla Politica
Agricola Comune, l’esempio emblematico dell’incompatibilità delle politiche agricole
nazionali con un regime di libero scambio. Il complesso funzionamento della PAC può
essere ricondotto ad una decisione fondamentale: sostenere il reddito degli agricoltori
attraverso la garanzia di un prezzo minimo. Dalla garanzia di prezzo deriva
necessariamente la restrizione delle importazioni attraverso il prelievo variabile, mentre
le eccedenze stimolate dal prezzo garantito possono essere vendute sui mercati mondiali
solo attraverso consistenti sussidi alle esportazioni.
Le motivazioni alla base di questa scelta sono molteplici: innanzitutto, l’Europa
del secondo dopoguerra è ancora deficitaria nei propri approvvigionamenti alimentari,
ed il vicino ricordo delle privazioni e dei razionamenti preme per aumentare la
produzione comunitaria. In secondo luogo, gli anni Cinquanta vedono una fortissima
crescita del settore industriale in Europa: di fronte a questi rapidi cambiamenti della
struttura sociale ed economica, i governi europei si sentono in dovere di contenere lo
spopolamento delle campagne, intervenendo in sostegno del reddito degli agricoltori. In
molti paesi europei, inoltre, la popolazione rurale è fortemente concentrata sul territorio,
così che le loro decisioni elettorali sono cruciali nel far pendere l’ago della bilancia a
favore del governo o dell’opposizione. Il «potere politico» dell’agricoltura è aumentato
dalla rapida creazione di organizzazioni nazionali e comunitarie dei produttori, capaci di
incisive azioni di lobbying, come anche di accese manifestazioni di protesta.
vi
La Politica Agricola Comune raggiunge ben presto il proprio obiettivo di
sicurezza degli approvvigionamenti, tuttavia la produzione europea continua a crescere,
fino a che il problema delle eccedenze diventa insostenibile, sia da un punto di vista
finanziario, sia da un punto di vista ambientale. La PAC inoltre è inefficiente da un
punto di vista redistributivo, in quanto chiama i consumatori più poveri, per i quali il
peso della spesa in prodotti alimentari rispetto al totale del reddito è maggiore, a
sostenere i redditi degli agricoltori più ricchi.
La PAC è stata quindi al centro di tutti i negoziati commerciali dedicati al settore
agricolo, dominanti tradizionalmente dallo scontro tra Stati Uniti e Comunità europea
(Capitolo III). Prima dell’Uruguay Round, tuttavia, i negoziati multilaterali non sono
riusciti a portare una maggiore disciplina nel commercio internazionale dei prodotti
agricoli, non solo perché la PAC è sempre stata «non negoziabile», ma anche perché
anche gli altri stati, Stati Uniti in testa, non volevano abbandonare gli strumenti
distorsivi del commercio internazionale con i quali operavano sui propri mercati
agricoli.
Il salto di qualità nei negoziati avviene con l’Uruguay Round, quando l’oggetto
dei negoziati non sono più solamente gli effetti in dogana delle politiche agricole, ma gli
strumenti di intervento delle politiche agricole stesse. I negoziati dell’Uruguay Round
sono stati particolarmente lunghi e faticosi, in quanto le posizioni iniziali di Stati Uniti,
Comunità europea, Giappone e gruppo di Cairns erano particolarmente distanti.
Tuttavia, per la prima volta i negoziati agricoli sono stati saldamente legati ai negoziati
sulle altre materie (beni, servizi, creazione dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio), così che l’alto prezzo di un non accordo ha infine spinto per il
ravvicinamento delle posizioni negoziali, precedute dall’accordo bilaterale tra Stati
Uniti e Comunità europea del novembre 1992 (Blair House).
L’Accordo sull’agricoltura, cui è dedicato il quarto capitolo, si compone di tre
pilastri: l’accesso ai mercati, il sostegno interno e i sussidi alle esportazioni. Per quanto
riguarda l’accesso ai mercati, l’Accordo impone la conversione di tutte le restrizioni non
tariffarie in dazi doganali ordinari (la c.d. tariffication). Per garantire l’accesso ai
mercati anche in presenza di dazi elevati, vengono previste delle quote di accesso
minimo, implementate tramite delle quote tariffarie a dazio ridotto. Le concessioni in
termini di accesso ai mercati vengono compensate dalla creazione di una clausola
speciale di salvaguardia agricola (SSG), che permette di innalzare temporaneamente i
dazi senza dover dimostrare il pregiudizio alla produzione nazionale quando il volume
delle importazioni supera un determinato quantitativo, o quando i prezzi delle
importazioni scendono sotto una determinata soglia.
Gli strumenti di sostegno alla produzione che distorcono gli scambi internazionali
vengono consolidati attraverso l’utilizzo di una misura aggregata (AMS), sottoposta ad
obblighi di riduzione. Vengono esonerati dalle riduzioni gli interventi pubblici con «no,
or at least minimal, impact on production and international trade» (green box), i
meccanismi di sostegno non pienamente disaccoppiati, ma accompagnati da misure di
vii
contenimento della produzione (blue box) e i pagamenti inferiori al 5% del valore della
produzione agricola (de minimis). I pagamenti green box, blue box, e de minimis
adottati nel rispetto dei limiti posti dall’Accordo vengono esonerati dall’apposizione di
dazi compensativi e dalle azioni di nullification and impairment dalla due restraint
clause, meglio nota come peace clause. I sussidi alle esportazioni, infine, sono vietati
per tutti i prodotti che non ne hanno beneficiato nel periodo di riferimento; i sussidi pre-
esistenti all’Accordo vengono consolidati in termini di volume e di spesa, e sottoposti
ad obblighi di riduzione.
Le modalità attraverso le quali l’Accordo sull’agricoltura è stato implementato
hanno fatto sì che la sua carica liberalizzatrice, già modesta in partenza, sia risultata
ulteriormente diminuita, come mostrato al Capitolo V. I dazi consolidati derivanti dal
processo di tarifficazione sono risultati così alti da impedire di fatto un aumento del
commercio dei prodotti agricoli, sia a causa di una scelta infelice del periodo di
riferimento (cui ci si riferisce generalmente con l’espressione di water in tariffs), sia a
causa della grande flessibilità con cui gli stati hanno distribuito le riduzioni tariffarie
sulle linee meno importanti, per concentrare la massima protezione doganale possibile
sui prodotti sensibili. Le quote di accesso minimo sono state utilizzate raramente in
percentuali prossime al 100% e la loro amministrazione ha sollevato numerosi problemi
e controversie (si pensi alla Banana Dispute).
La flessibilità delle norme sul sostegno interno ha fatto sì che i finanziamenti
destinati all’agricoltura nei paesi OECD non siano diminuiti, ma piuttosto gli interventi
pubblici sono stati ricatalogati in modo da rientrare nella definizione delle politiche
esonerate. Gli impegni sui sussidi alle esportazioni sono stati resi meno stringenti da un
biennio di alti prezzi internazionali, prima, e dall’utilizzo di altri strumenti (crediti alle
esportazioni, abuso degli aiuti alimentari e, soprattutto, strumenti di sostegno interno)
sottoposti ad una disciplina meno rigida.
Un altro accordo dell’Uruguay Round di grande importanza per il commercio dei
prodotti agricoli è l’Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie
(SPS), analizzato al Capitolo VI. L’Accordo SPS opera un bilanciamento tra le legittime
esigenze degli stati di proteggere la vita e la salute degli uomini, degli animali e delle
specie vegetali, e l’esigenza di impedire che le misure sanitarie e fitosanitarie vengano
utilizzate come ostacoli non tariffari. L’Accordo promuove l’utilizzo di standard
internazionali e il riconoscimento degli standard degli altri paesi membri; tuttavia, gli
stati sono liberi di fissare il livello di protezione sanitaria che ritengono adeguato alle
loro esigenze. Una volta fissato il livello di protezione, gli stati devono però sottostare
ad una serie di regole nell’adottare e nell’applicare le misure sanitarie e fitosanitarie. Le
misure SPS devono essere basate su una valutazione scientifica del rischio (risk
assessment), devono essere proporzionali e non discriminatorie. La discriminazione
viene definita su diversi livelli: lo stato che adotta le misure SPS non solo non deve
creare distinzioni ingiustificate tra prodotti similari provenienti da diversi paesi e tra i
prodotti importati e i like products nazionali, ma deve anche assicurare che l’insieme
viii
delle proprie misure sanitarie sia coerente: se uno stato fissa un alto livello di protezione
rispetto ad un bene, tale livello di protezione deve essere applicato anche in relazione ad
altri prodotti.
Le controversie finora giunte fino all’Organo d’appello hanno sempre visto la
condanna degli stati importatori: da qui diversi malcontenti circa il bilanciamento di
interessi operato dall’Accordo, giudicato troppo a favore degli stati esportatori. In
particolare, numerosi stati sottolineano l’esigenza di migliorare la parte dell’Accordo
relativa all’adozione di misure transitorie nei casi in cui i dati scientifici non sono
sufficienti a condurre una valutazione completa del rischio, come viene anche
sottolineata l’esigenza di estendere i fattori da tenere in considerazione nel valutare la
legittimità delle misure SPS ad elementi non propriamente commerciali, come
l’opinione pubblica, o considerazioni di tipo culturale/etico/religioso.
Sebbene gli accordi dell’Uruguay Round introducano una liberalizzazione solo
parziale del settore agricolo, la loro negoziazione si accompagna ad un cambiamento
radicale delle politiche agricole nazionali, PAC in testa (Capitolo VII). La direzione del
nesso causale tra Accordo sull’agricoltura e riforma MacSharry è ampiamente dibattuta
in letteratura; la soluzione più plausibile è che la disciplina internazionale e quella
comunitaria si siano influenzate a vicenda, fino a produrre due regolamentazioni per il
commercio dei prodotti agricoli diverse, ma comunque compatibili. La riforma
MacSharry cambia radicalmente gli strumenti tradizionali della PAC, riducendo
notevolmente gli interventi di sostegno dei prezzi ed introducendo al loro posto dei
pagamenti diretti, proporzionali al reddito storico degli agricoltori. La riduzione
dell’importanza delle politiche di mercato viene accompagnata da una maggiore enfasi
sulla politica strutturale, che fa propri i nuovi obiettivi comunitari di protezione
ambientale e comincia ad impostare una concezione dell’agricoltura come un presidio
del territorio, dell’ambiente e della cultura regionale, a prescindere dal livello di
produzione agricola.
La riforma della PAC, iniziata con la riforma MacSharry, continua la propria
strada spinta da pressioni sia di natura interna (necessità di ridurre il peso delle politiche
agricole nel bilancio comunitario, prospettiva dell’allargamento dell’Unione europea ai
paesi dell’Europa centrale ed orientale) che esterna (rispettare i vincoli dell’Accordo
sull’agricoltura e prepararsi per i nuovi negoziati multilaterali). Il pacchetto di proposte
Agenda 2000, presentato nel luglio 1997, si propone di continuare le riforme nella
direzione del disaccoppiamento degli strumenti di sostegno dal livello di produzione
agricola, come già iniziato con le riforme MacSharry. I prezzi di intervento vengono
ulteriormente ridotti, e compensati solo in parte da un aumento dei pagamenti diretti,
mentre la novità più importante è la creazione della politica di sviluppo rurale, «secondo
pilastro della PAC», coordinata con il nuovo assetto dei fondi strutturali e fortemente
orientata verso una maggiore tutela dell’ambiente. Le proposte più innovative contenute
nel documento programmatico del 1997, tuttavia, sono state abbandonate nell’iter
legislativo. Il completamento della riforma viene operato nell’ambito della Mid-Term
ix
Review, tra il 2002 ed il 2003, che sostituisce gran parte dei pagamenti diretti relativi
alle singole produzioni con un «pagamento unico», condizionato al rispetto di precisi
vincoli ambientali.
Con le riforme di Agenda 2000 e della Mid-Term Review alle spalle, la Comunità
europea può affrontare serenamente il nuovo Round di negoziati lanciato a Doha nel
2001, cui è dedicato l’ottavo capitolo. I negoziati del Millennium Round sono
caratterizzati da due importanti novità. La prima è il tentativo da parte di alcuni stati
(CE, Giappone, Norvegia, Svizzera e numerosi PVS) di estendere i negoziati agricoli a
tutta una serie di interventi pubblici raggruppati nella categoria dei non-trade concerns.
Questi interventi sono motivati da preoccupazioni di carattere ambientale, sociale e
culturale, e possono avere un impatto anche notevole sul commercio internazionale dei
prodotti agricoli. Da qui il tentativo di creare delle eccezioni nel testo dell’Accordo
sull’agricoltura che rendano possibile la tutela di questi interessi. Collegata ai non-trade
concerns è la questione degli OGM. Sebbene l’Accordo SPS non sia formalmente
compreso nel mandato dei negoziati, l’insorgere di una controversia tra Argentina,
Canada, Stati Uniti e Comunità europea ha portato la questione al centro dell’attenzione
nelle relazioni agricole internazionali
La seconda novità del Millennium Round, emersa con forza durante la Conferenza
di Cancún, è la grande visibilità delle posizioni dei Paesi in via di sviluppo. I PVS
hanno sottoposto alla Sessione speciale del Comitato sull’agricoltura numerose proposte
e dettagliati documenti tecnici, hanno formato raggruppamenti ed alleanze informali, ed
hanno catturato l’attenzione dei media internazionali. Quello che è ancora più
innovativo, è che i Paesi in via di sviluppo hanno sostenuto con forza l’idea di una
radicale liberalizzazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli, sebbene
limitata solamente ai mercati dei Paesi industrializzati. Gli stati del G21, con il sostegno
del gruppo africano e dei Paesi meno avanzati, sono quindi riusciti a bloccare i
negoziati, condizionando il loro consenso all’avvio delle discussioni sulle Singapore
Issues (investimenti; concorrenza; appalti pubblici e la «facilitazione del commercio»)
ad una reale apertura dei mercati dei Paesi industrializzati alle loro esportazioni
agricole.
I prodotti agricoli, nonostante i grandi cambiamenti dei primi anni Novanta,
beneficiano ancora di una disciplina «speciale» nell’ambito della regolamentazione del
commercio internazionale. Il protezionismo agricolo, permesso – se non addirittura
istituzionalizzato – dall’Accordo sull’agricoltura, danneggia i Paesi in via di sviluppo,
come è apparso in modo del tutto evidente con l’iniziativa sul cotone portata avanti da
Benin, Burkina Faso, Chad e Mali, e danneggia l’intera economia mondiale,
permettendo un allocazione sub-ottimale delle risorse e della produzione, che risulta in
prezzi più alti dei generi alimentari, il che a sua volta si ripercuote negativamente sui
settori dell’industria e dei servizi. Se la liberalizzazione del settore è stata saldamente
avviata, a livello internazionale come a livello comunitario, la strada da percorrere è
ancora lunga.
x
Giunto al termine di questo lavoro e di quella che spero essere solo la prima
parte dei miei studi universitari, credo che sia doveroso ringraziare tutte le persone che
mi hanno accompagnato e sostenuto in questi anni. Innanzitutto i miei genitori, mia
sorella, e tutta la numerosa famiglia, che hanno accettato di buon grado la mia
permanenza a Torino e mi hanno fatto letteralmente «sentire a casa» ad ogni mio
ritorno, circondandomi di attenzioni e di affetto. Tutti gli amici che, a Como, come a
Torino e a Wolverhampton, hanno fatto sì che questi anni, oltre che proficui, siano stati
anche particolarmente piacevoli. Grazie in particolare a Gian Franco e Matteo, che mi
hanno sopportato nel periodo di forzata inattività inglese; a Sara e Valerio, che mi
hanno accolto nel loro appartamento al mio ritorno dall’Inghilterra; a Daniele, Marco
e Valeria, che mi hanno spiegato pazientemente «come funzionano» gli ormoni e gli
OGM; a Paola, che mi ha aiutato a vivere più serenamente la parte non accademica
della mia vita; ed ovviamente ai miei insostituibili soci. Il Collegio Universitario R.
Einaudi sì è dimostrato un ottimo luogo dove studiare, ma anche dove vivere; un grazie
particolare agli amici del terzo piano, dove mi sono trovato molto bene. Last but not
least, grazie al prof. Porro, che ha letto tutti i capitoli in tempi record, e i cui commenti
e osservazioni mi hanno spinto costantemente ad andare al di là della mera descrizione
della materia.
Nella rocambolesca estate del 2001 ho avuto la fortuna di partecipare ad un
progetto di sviluppo rurale nel nord del Mozambico. Nelle quattro settimane passate a
Nacaroa ho potuto capire cosa vuol dire portare quindici litri d’acqua sulla testa,
dipendere per la propria sussistenza dal raccolto di un fazzoletto di terra, lavorare tutto
il giorno con la pancia vuota, e camminare due ore per tornare a casa. Credo di poter
comprendere il privilegio di mangiare una gallina o di possedere una capra,
l’apparente indifferenza delle madri africane di fronte alla nascita o alla morte dei loro
figli, la rassegnazione di fronte alla febbre, alla tubercolosi, alla diarrea, alla malaria.
Credo di comprendere l’importanza che l’agricoltura può avere nel rendere dignitosa
la povertà, nel creare opportunità di sviluppo, nel valorizzare i più ovvi vantaggi
comparati di cui beneficiano numerosi PVS e nell’avviare il circolo virtuoso dello
sviluppo economico e sociale. Perché questo sia possibile, però, è necessario creare un
sistema multilaterale degli scambi agricoli più giusto, libero dalle distorsioni di
politiche agricole ormai obsolete, dove tutti gli stati possano partecipare ai benefici del
commercio internazionale.
È a tutti i contadini dei paesi poveri che questo lavoro è dedicato.