7
INTRODUZIONE.
“Non è la terra che appartiene all’uomo, ma è l’uomo che
appartiene alla terra”1, questo cercavano inutilmente di spiegare gli
Indiani Seattle ai colonizzatori bianchi, in pieno ottocento.
Solo a partire dai primi anni ’70 di questo secolo, nella società
industrializzata, ci si è domandati come conciliare lo sviluppo
tecnologico ed il progresso scientifico con il rispetto dell’ecosistema.
In questo lavoro si è voluta affrontare una delle problematiche
ecologiche più gravi ed urgenti, quella inerente la produzione dei
rifiuti, illustrando l’ organizzazione del servizio di gestione dei
rifiuti, dal punto di vista giuridico- amministrativo.
A livello normativo, assumono un rilievo particolare le direttive
comunitarie n.91/156, sullo smaltimento dei rifiuti, e 91/689, sui
rifiuti pericolosi, recepite in Italia dal d.l.vo n.22/19972, noto come
decreto Ronchi (poi seguito dal Ronchi bis 3, Ronchi ter4 e dall’
1
Dalla risposta del Capo degli Indiani Seattle alla richiesta di vendita di un vasto territorio
indiano, 1854.
2
Legge delega n.146/1994, di attuazione della direttiva CEE.
3
D.lgs. 389/1997
4D.lgs n. 426/1998
8
ulteriore legge di modifica n.448/1998), che riforma la materia,
prima disciplinata dal vecchio D.P.R. 915/1982.
La tesi si articola in due parti: nella prima, viene condotto uno
studio approfondito del decreto Ronchi, dopo aver fatto riferimento
alla normativa comunitaria e all’ iter di evoluzione della
legislazione sullo smaltimento dei rifiuti in Italia sin dal t.u. del
19345.
Nella seconda parte, si procede all’analisi di come effettivamente la
normativa è stata recepita a livello di enti locali, conducendo ,in
particolare, un’indagine sull’organizzazione del servizio di gestione
dei rifiuti nella Regione Lazio e nella Regione Lombardia.
A livello definitorio, bisogna intendere per rifiuto ciò di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi 6.
Le finalità che si propone la legge del 1997, sono: la
minimizzazione della produzione dei rifiuti attraverso l’utilizzo della
strategia delle cinque R (riduzione dei rifiuti all’origine,
potenziamento della raccolta differenziata, riuso dell’oggetto qual è,
riciclo delle materie recuperate, recupero dell’energia dai rifiuti.).
5
T.u. n.1265/1934
6
Art.6, c.1 lett.a) del d.lgs.22/1997.
9
Lo smaltimento, nella logica del decreto, è solo una soluzione
residuale, e costituisce una fase a parte, distinta da quella del
recupero di materia o d’energia. Occorre sottolineare che i vantaggi
dell’incenerimento sono molteplici, solo se lo smaltimento è
utilizzato effettivamente come soluzione residuale. Se non si terrà
conto degli obiettivi prioritari (la minimizzazione della produzione
dei rifiuti), i costi ambientali, dovuti all’abuso dell’inceneritore,
saranno rilevanti.
In base agli obiettivi del decreto Ronchi, il 35% dei rifiuti urbani è
destinato alla raccolta differenziata per il recupero della materia, ed il
restante 65% deve essere trattato. Circa la metà va avviato
all’incenerimento del rifiuto indifferenziato, la parte restante deve
destinarsi agli impianti di selezione, da cui si ricava CDR
(Combustibile Da Rifiuto) per il recupero energetico.
Tutto ciò implica un mutamento anche nello stile di vita del singolo
cittadino, il quale è costretto a prendere coscienza del problema, ed a
operare perché siano realizzati i fini della legge, ad esempio
attraverso l’esercizio della raccolta differenziata dei rifiuti e del riuso
del materiale. Per quanto possibile, il cittadino si vedrà obbligato ad
10
uscire, almeno in parte, dalla logica usa e getta che caratterizza il
nostro sistema produttivo.
L’intero decreto Ronchi è stato analizzato senza tralasciare la
normativa più tecnica, perché si ritiene che sia necessario evidenziare
anche come si intendono realizzare gli obiettivi ( e la legge, in alcuni
casi, secondo l’opinione di illustri addetti al settore, appare
farragginosa e poco chiara.).
Abbiamo quindi illustrato i principi generali del D.P.R. 22/1997, il
regime giuridico delle attività di gestione, il quadro di distribuzione
delle competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni, le
procedure autorizzatorie, semplificatorie e di controllo, la gestione di
particolari categorie di rifiuti, la sostituzione della tassa con la tariffa,
ed abbiamo accennato anche alla disciplina di smaltimento degli
imballaggi (oggetto di una distinta direttiva europea7, recepita, però,
nello stesso decreto Ronchi).
La seconda parte della tesi, come detto, propone lo studio
dell’attuazione effettiva del decreto Ronchi nelle realtà territoriali
locali (Regioni, Province, Comuni), con specifico riferimento al
7
94/62/CEE
11
Lazio ed alla Lombardia, e nel loro ambito alle città di Roma e
Milano: ci siamo chiesti come il problema della gestione dei rifiuti
sia affrontato nella Capitale, anche in relazione al Giubileo, ed a
Milano, uno dei maggiori poli produttivi d’Italia.
Sono state sottoposte ad analisi le normative quadro delle due
regioni e i Piani regionali e provinciali per la gestione dei rifiuti e si è
verificata l’organizzazione del servizio nelle due città.
Per quanto riguarda Roma, è stato anche fatto riferimento al Piano
dell’Igiene Urbana e dell’Ambiente per il 2000, disposto per il
Giubileo, a seguito di uno studio articolato condotto dall’ Agenzia
Romana per il Giubileo, dall’A.M.A. (Azienda Municipale per
l’Ambiente) e dall’Assessorato alle Politiche Ambientali ed Agricole
del Comune.
Sulla base di quanto emerso dal lavoro svolto, si può concludere
che, anche se il decreto Ronchi, recependo le direttive comunitarie,
adegua la nostra legislazione in materia agli standard europei, (ed il
giudizio è complessivamente positivo anche sul fronte
ambientalista), a livello locale ci si scontra ancora una volta con la
lentezza burocratica.
12
Non solo mancano molti decreti ministeriali attuativi, ma le
Regioni, le Province ed i Comuni lavorano ancora su una disciplina
vecchia ed inadeguata ai nuovi principi.
Come si evince dall’indagine effettuata, tuttavia, la materia è in
trasformazione, in quanto si sta operando per rinnovare il settore, ed
i ritardi sono connessi al bioritmo dei nostri apparati pubblici.
13
1. LA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI
GESTIONE DEI RIFIUTI.
Salvaguardare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la
salute umana e garantire un utilizzo razionale delle risorse: questi
sono gli obiettivi della Comunità Europea in materia ambientale,
sanciti nel Trattato di Roma .
Tali obiettivi devono essere perseguiti attraverso tre azioni principali:
prevenzione, correzione dei danni causati all’ ambiente, applicazione
del principio :”Chi inquina paga”.
Uno dei primi settori in cui la CEE ha assunto iniziative di disciplina
normativa8 è stato quello dello smaltimento dei rifiuti, al fine di
armonizzare le legislazioni nazionali e contrastare le distorsioni alla
concorrenza tra imprese dei diversi Stati membri, distorsioni rese più
marcate dal legame tra merci (che possono circolare liberamente) e
rifiuti (sottoposti a regime amministrativo per motivi di protezione
sanitaria ed ambientale).
La politica ambientale comunitaria è esplicitata di recente nella
Comunicazione 96/3999.L’obiettivo prioritario individuato è la
prevenzione, intesa soprattutto come riduzione della produzione dei
8
Con l’applicazione degli artt.100 e 235 del Trattato
14
rifiuti, subordinando a questa sia lo smaltimento che il recupero dei
rifiuti, al fine di coniugare le opposte esigenze dell’elevata
protezione dell’ambiente e del corretto funzionamento del mercato
interno.
Fra le operazioni di recupero, viene privilegiato il recupero di
materiale, a cui è subordinato il recupero di energia. Per quanto
riguarda l’eliminazione dei rifiuti, la discarica è la soluzione cui
ricorrere solo in mancanza di alternative, e lo smaltimento a mezzo
degli impianti di incenerimento deve comportare recupero
energetico. La Comunicazione insiste inoltre, sulla necessità di
coinvolgere tutti i soggetti produttori, distributori e consumatori, che
interferiscono nella gestione dei prodotti (principio della
responsabilità condivisa).
Le direttive emanate dalla Comunità Europea nel settore sono state
recepite tutte nel nostro ordinamento, anche se con notevoli ritardi.
La direttiva- quadro in materia di rifiuti è la 75/442/CEE10, i cui
obiettivi sono la protezione della salute umana e dell’ambiente
contro gli effetti nocivi della gestione dei rifiuti. Si propone altresì di
9
Del 30 luglio 1996
10
Del 15 luglio1975
15
riavvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia, per evitare
disuguaglianze nelle condizioni di concorrenza.
Con la risoluzione del 7 maggio 1990 sulla politica in materia di
rifiuti, il Consiglio delle Comunità Europee si impegna a modificare
la regolamentazione comunitaria per lo smaltimento dei rifiuti,
contenuta nella direttiva – quadro 75/442CEE, al fine di adeguarla
alle nuove esigenze.
Il Consiglio emana, quindi, la direttiva 91/156 CEE del 18 marzo
1991, che introduce sostanziali modifiche alla precedente.
La nuova direttiva sottolinea la necessità di ridurre la produzione di
rifiuti e di potenziare le attività di recupero mediante il riciclo, il
reimpiego ed il riutilizzo, per ottenere materie prime secondarie o
energia.
In particolare, la nuova normativa si prefigge di:
- assicurare un livello elevato di protezione dell’ambiente: misure
per limitare la formazione dei rifiuti, aumento del riciclaggio e del
riutilizzo, smaltimento sicuro dei rifiuti inevitabili.
16
- riavvicinare le legislazioni degli Stati membri per evitare
disuguaglianze sulla qualità dell’ambiente incidenti sul buon
funzionamento del mercato interno
- raggiungere l’autosufficienza all’interno della Comunità, per lo
smaltimento dei rifiuti.
La direttiva inoltre, definisce le nozioni di rifiuto, produttore,
detentore, gestione, smaltimento, recupero e raccolta. Individua a
carico degli Stati membri i seguenti obblighi fondamentali:
- La riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti, con lo
sviluppo di tecnologie pulite, la diffusione di prodotti riutilizzabili
e non nocivi, lo sviluppo di tecniche per eliminare le sostanze
pericolose nei rifiuti recuperabili, il recupero di materie prime e di
energia da rifiuti preselezionati o pretrattati.
- Il recupero e lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute
e pregiudizio per l’ambiente, adottando le adeguate misure
preventive che evitino inconvenienti da rumori e odori e
danneggiamenti al paesaggio.
17
- La creazione di un’adeguata rete di impianti di smaltimento per
consentire alla Comunità di raggiungere l’autosufficienza in
materia.
- La designazione delle autorità competenti da parte degli Stati
membri per porre in atto le disposizioni della direttiva.
- La definizione di piani di gestione dei rifiuti da parte delle
autorità competenti,che comprendano anche i tipi, le quantità e
l’origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire , i requisiti tecnici
generali, i siti idonei per lo smaltimento
- Il rilascio di autorizzazioni da parte di stabilimenti o imprese che
effettuano smaltimento o recupero dei rifiuti, per parte delle
autorità competenti.
- La dispensa dalle autorizzazioni per gli stabilimenti e le imprese
che provvedono direttamente allo smaltimento dei propri rifiuti
nei luoghi di produzione e per gli stabilimenti o le imprese che li
recuperano.
18
- La previsione di controlli periodici da parte dell’autorità
competente per gli stabilimenti che provvedono alle operazioni di
smaltimento o di recupero.
Nella direttiva è rafforzato il principio del Chi inquina paga, per cui
il costo dello smaltimento deve essere sostenuto dal detentore e dal
produttore dei rifiuti.
E’ compito della Commissione11 la formazione e l’approvazione di
un elenco di rifiuti, che rientrino nelle categorie di cui all’allegato I.
La Commissione, con decisione 94/93/CE del 20 dic. 1993, ha
adottato l’elenco, definito: Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER).
Questo vuole essere, così come riportato nella nota introduttiva alla
decisione della Commissione: ” una nomenclatura di riferimento con
una terminologia comune per tutta la Comunità, con lo scopo di
migliorare tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti.”.
Nel Catalogo sono individuate 20 categorie di rifiuto, l’ultima delle
quali comprende i rifiuti solidi urbani ed assimilabili da commercio,
industria e istituzioni, compresi i rifiuti della raccolta differenziata.
11
In base al secondo comma dell’art.1 lett.a)
19
2. EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SULLO
SMALTIMENTO DEI RIFIUTI IN ITALIA.
Lo smaltimento dei rifiuti in Italia era originariamente disciplinato
dal t.u. delle leggi sanitarie12, che attribuiva ai Comuni il compito di
provvedere ad esso per mezzo dei regolamenti locali di igiene, e
dalla legge 20 marzo 1941 n.366, che regolava la raccolta, il
trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi di origine urbana.
La legge 366/1941 istituiva per i Comuni il diritto di privativa nel
servizio pubblico di nettezza urbana, prevedendo la possibilità per il
Comune di estendere il servizio anche ai rifiuti industriali, ma senza
il diritto di privativa (gli stabilimenti industriali erano, quindi, liberi
di avvalersi del servizio municipale o di provvedere allo smaltimento
con i propri mezzi o a proprie spese.).
I rifiuti solidi venivano distinti in due categorie: quelli esterni,
oggetti e materiali di ogni genere rilasciati nelle aree pubbliche , e
quelli interni, rifiuti ordinari prodotti nelle abitazioni e negli uffici.
L’obiettivo principale che si proponeva la legge, più che quello di
ottenere l’eliminazione dei rifiuti urbani, era di combattere ed
12R.d.27 luglio 1934 n.1265
20
eliminare gli sprechi di materie prime recuperabili, e si inseriva
nell’ambito dei provvedimenti di politica economica autarchica
adottati dal governo dell’epoca, in relazione allo sforzo bellico in
atto.
La legge, tuttavia, non fu mai attuata completamente, tranne che per
le incombenze a carico dei Comuni, cui spettava la raccolta, il
trasporto e lo smaltimento finale dei rifiuti solidi.
In anni più recenti, l’attuazione dell’ordinamento regionale ha
comportato profondi mutamenti nell’ambito della gestione dei rifiuti.
Il d.p.r.4/1972, ha distinto le competenze dello Stato, tra le quali
viene annoverata l’igiene dell’ambiente (settore che comprende lo
smaltimento dei rifiuti solidi), da quelle delle Regioni, cui spettano le
relative funzioni amministrative, a titolo di delega.
Il d.p.r.616/1977, sul completamento dell’ordinamento regionale,
ha attribuito alle Regioni la “tutela dell’ambiente dagli
inquinamenti”, la prevenzione e il controllo dell’igiene del suolo, la
disciplina della raccolta, della trasformazione e dello smaltimento
dei rifiuti solidi urbani e industriali.
Non ha riservato allo Stato, inoltre, alcuna funzione amministrativa
nel settore dei rifiuti solidi, tranne i poteri generali di indirizzo e
21
coordinamento e la determinazione dei principi generali della materia
per mezzo di apposita legge-cornice13.
In base al decreto legislativo n.915 del 10 settembre 1982 14, sono
state recepite nell’ordinamento italiano alcune direttive comunitarie
sui rifiuti, che hanno completato la normativa settoriale relativa alla
tutela dell’ambiente per quanto concerne l’inquinamento dell’aria,
dell’acqua e del suolo.
Il d.p.r.915/1982, è stato, poi, integrato da una serie di norme
tecniche e di apposite leggi, tra cui ricordiamo: la legge 441/1987,
sull’emergenza rifiuti; il d.m. del 28.12.1987 n.559 (attuativo delle
previsioni della l. 441/1987), sui criteri per la predisposizione di
piani regionali per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per la
realizzazione di nuovi impianti; il d.m. del 22.10.1988 n.457, sui
criteri in materia di esportazione e importazione dei rifiuti: il d.m. del
29.5.1991, sulla raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
Successivamente a causa della sostanziale inapplicazione e
dell’inadeguatezza della normativa in atto, venne emanato il decreto
legge 443 del 9.11.1993, che codificava la nuova categoria dei
residui (rifiuti destinati al riutilizzo), sottraendola alla disciplina
13
Ai sensi dell’art.117 della Costituzione.
14
Attuativo della legge delega 42/1982
22
generale dello smaltimento, e prevedeva inoltre procedure
semplificate per la costruzione di impianti destinati al recupero e
all’esercizio di tali attività.
Il decreto legge 443/1993, definiva la nozione di riutilizzo, nel senso
di riuso del rifiuto come materia prima e come fonte di energia.
Venivano considerati come residui i materiali derivanti da cicli di
produzione e dal consumo. Erano escluse da ogni disciplina sui
rifiuti e sui residui le attività finalizzate al riutilizzo dei materiali in
un processo produttivo all’interno dello stesso stabilimento di
produzione.