l’unificazione economica, legislativa, amministrativa del paese
2
.
Data l’importanza di tali servizi per il benessere dei cittadini - basti pensare
alle telecomunicazioni, alla posta, ai trasporti, nonché alla sanità e all’istruzione -
la Pubblica amministrazione ne assumeva la titolarità e prevedeva per i fornitori
un regime derogatorio del diritto comune. Ciò comportava che tali servizi fossero
gestiti da imprese incaricate in esclusiva, possedute o partecipate dallo Stato
3
.
Lo Stato pertanto si riservava l’attività ritenuta di primario interesse
generale, affidandone la fornitura al soggetto che meglio avrebbe risposto alle
esigenze pubbliche, fosse esso un’impresa pubblica, un ente o un’impresa titolare
di una concessione
4
. Quest’ultimo strumento giuridico rappresentava proprio la
traslazione dei poteri di gestione del servizio di cui era titolare la Pubblica
amministrazione: se allo Stato non conveniva erogare direttamente il servizio
istituendo un ente pubblico, allora provvedeva ad affidare l’incarico ad
un’impresa, che però rimaneva sottoposta ad un rigido controllo pubblico.
I fornitori delle prestazioni erano spesso tenuti a rispondere alle esigenze di
tutti gli utenti e a praticare un prezzo “politico”
5
, cioè determinato
discrezionalmente e non sulla base dei costi di produzione. In questo modo si
veniva incontro alle esigenze delle fasce meno abbienti della popolazione.
Nel caso le imprese operassero in perdita, visto che non potevano praticare
un prezzo di mercato, lo Stato provvedeva al loro rifinanziamento.
In quest’ottica, il termine “pubblico” indicava il fatto che il servizio fosse
2
BERLINGERIO, op.cit., p.27.
3
CAPANTINI, Il servizio universale, in Riv.it.d.pub.com., 2003, p.101.
4
MAMELI, Servizio pubblico e concessioni, Milano, 1998, p.403, in cui l’autrice parla di
“vecchia nozione di concessione” come provvedimento autoritativo di affidamento discrezionale
di un monopolio.
5
In questo senso, CIMOLINO, I trasporti ferroviari nella UE, in RADICATI DI BROZOLO,
Servizi essenziali e diritto comunitario,Torino, 2001, p.203.
6
controllato dallo Stato
6
, che riteneva opportuno, nel quadro della propria politica
sociale, garantire alcune prestazioni a tutti.
L’interesse dei cittadini dipendeva dalla volontà statale di garantire la
fornitura del servizio ad un prezzo accessibile.
Gli Stati fondatori della Comunità europea, all’inizio degli anni Cinquanta,
non avevano ipotizzato un intervento comunitario volto a disciplinare le modalità
di gestione dei servizi pubblici nazionali; si trattava di un settore troppo
strettamente connesso con la struttura politica, economica e sociale propria di
ciascuno Stato. Ciò spiega gli scarni riferimenti all’interno del Trattato ad una
qualsiasi nozione di servizio pubblico.
I Paesi invocavano pertanto l’articolo 295
7
sulla neutralità comunitaria nei
confronti dei regimi proprietari a livello nazionale per giustificare l’esistenza di
un settore pubblico lasciato alla discrezione dei pubblici poteri. Questa situazione
si protrasse per decenni.
Dagli studi intrapresi dalla Commissione europea dalla fine degli anni
Ottanta e dalla volontà di realizzazione del mercato interno, però, emerse
chiaramente come molti servizi pubblici potessero essere forniti in un contesto
concorrenziale, senza intervento statale, e senza che venissero meno le finalità di
ordine sociale loro proprie.
A partire dagli anni Novanta venne intrapreso in gran parte degli Stati
comunitari, per volere soprattutto della Commissione europea, un processo di
liberalizzazione che investì principalmente i settori delle telecomunicazioni, dei
trasporti, il servizio postale ed il settore energetico.
6
In senso soggettivistico il servizio pubblico si definisce come qualunque prestazione di pubblica
utilità fatta da un ente pubblico e rivolta alla generalità dei cittadini o a determinate categorie.
ORLANDO, Introduzione al diritto amministrativo, in Primo Trattato completo di diritto
amministrativo italiano, Milano, 1900, p.58., in cui ci si sofferma sul fatto che il servizio era
costruito intorno alla persona giuridica dello Stato. BERLINGERIO, op.cit., p.51.
7
Art.295: “Il presente Trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli
Stati membri”.
7
Tale processo ha spinto gli studiosi a interrogarsi sull’esistenza di una
nozione di “servizio pubblico comunitario” e a ricercare nei Trattati un qualche
riferimento utile alla sua definizione.
E’ interessante verificare se la nozione di servizio pubblico comunitario,
così come accolta nella pratica, si conformi ad una delle nozioni esistenti a livello
nazionale e se si giustifichi ancora, nonostante la liberalizzazione, una deroga al
diritto comunitario della concorrenza in tali settori.
Un elemento chiave è la consapevolezza che i servizi non devono più
necessariamente essere sottoposti al controllo della Pubblica amministrazione, che
sceglieva il fornitore “intuitu personae”, cioè sulla base di considerazioni di
natura non propriamente razionale ma dettate da una logica di opportunità
politica. Ciò significa che il servizio non è tanto “pubblico” in quanto pertiene ai
poteri pubblici, ma in quanto del pubblico
8
, ovvero è prestato a favore della
collettività.
Come ha sostenuto la Commissione, spesso gli Stati “confondono la
missione con lo status”
9
: è la missione ad essere di interesse generale, mentre lo
status è irrilevante, visto che l’attività può essere svolta tanto da un soggetto
pubblico quanto da un soggetto privato
10
.
Da questa definizione gli studiosi hanno rilevato il profilo oggettivo
11
della
8
PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, 1997, pp.191-192, 200, 203.
9
Comunicazione della Commissione europea dell’11 settembre 1996, 443/96, introduzione: “[..]
ha un duplice senso: da un lato designa l’ente che produce il servizio e, dall’altro, si riferisce alla
missione di interesse generale affidata a quest’ultimo [..]”.
10
Comunicazione 443/96, pt. 11: “..senonché la politica europea non è interessata allo status,
bensì all’interesse generale e, quindi, alle missioni e alle condizioni alle quali possono essere
assolte”.
11
La nozione oggettiva sviluppata dalla dottrina vede nel servizio pubblico un’attività oggetto –
per le sue caratteristiche intrinseche - ad un regime giuridico particolare, volto alla tutela
dell’interesse pubblico, indipendentemente dalla natura degli operatori. Per la teoria oggettiva,
POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964. A sostegno della nozione oggettiva nella
comunicazione della Commissione europea, PERFETTI, Servizi di interesse economico generale e
pubblici servizi, in Riv.it.d.pub.com., 2001, pp.483-484.
8
nozione di servizio pubblico comunitario, che permette di qualificare un servizio
come pubblico in virtù delle sue caratteristiche intrinseche, e non sull’assunzione
del servizio da parte dei pubblici poteri.
Il ruolo dello Stato non è, tuttavia, venuto meno, ma è stato semplicemente
ridefinito: nell’organizzazione del proprio settore pubblico deve tenere conto dei
principi comunitari, in particolare quelli che presiedono alla realizzazione del
mercato interno
12
.
Gli Stati non possono più decidere arbitrariamente come fornire i servizi
pubblici e quali prestazioni rientrino in questa nozione, perché ciò potrebbe avere
ripercussioni negative sul commercio intracomunitario (creare un monopolio per
fornire energia elettrica, ad esempio, impedisce la concorrenza tra operatori, che è
invece positiva per aumentare l’efficienza nel settore).
Incidendo sulle scelte nazionali in materia di servizi pubblici, il diritto
comunitario finisce così con l’influenzare anche il settore amministrativo
nazionale
13
.
12
Questa è una rilettura della nozione soggettivistica. L’elemento pubblico non è più a valle,
poiché l’amministrazione non gestisce più direttamente, ma si sposta a monte nella scelta dei
fornitori delle prestazioni che vengono sottratte al mercato per perseguire l’interesse generale.
Sono, però, riscontrabili entrambe le concezioni, sia quella soggettiva così come definita, sia
quella oggettiva perché la prestazione del servizio è svincolata dallo status del soggetto erogatore
ed identifica il servizio per alcune sue intrinseche caratteristiche. In questo senso, CARTEI, Il
servizio universale, Milano 2002, pp.258-259.
13
L’influenza europea in ambito nazionale ha fatto parlare di Europeanization, cioè di progressiva
incidenza del diritto comunitario sul diritto nazionale. Il settore pubblico riflette la storia e la
tradizione di un paese ed è stato tra gli ultimi ad essere influenzato dal processo di integrazione.
Ancora oggi è una grey area dove le competenze della Comunità e degli Stati si sovrappongono.
Sono ormai poche le normative comunitarie che non incidono sulla struttura organizzativa dei
servizi pubblici. L’influenza, però, non significa “riorganizzazione della struttura statale”. In
DEMMKE, Undefined boundaries and grey area: the evolving interaction between the EU and
national public services, in Eipascope, pubblicazioni dell’istituto olandese Eipa, 2002, pp.8-11.
9
1.2. Il servizio pubblico nei Trattati
La Comunità non ha fatto riferimento ad alcuna specifica definizione
nazionale per individuare la nozione di servizio pubblico comunitario
14
: ha
preferito elaborarne una propria.
Il Trattato, peraltro, parla solo dei servizi di interesse economico generale,
senza definirli, lasciando così ampio spazio all’opera ermeneutica della Corte di
giustizia delle Comunità europee.
Le modifiche successivamente apportate ai Trattati, sebbene non troppo
significative, hanno avuto come conseguenza quella di rinnovare e valorizzare il
ruolo dei servizi di interesse economico generale sui quali riposa la struttura stessa
dell’Unione.
Più che stabilire nel diritto primario una disciplina compiuta della gestione
di questi servizi, si è però preferito enfatizzarne in misura sempre maggiore il loro
valore sino ad annoverarli tra i principi generali, elencati nella parte prima del
Trattato. Fu pertanto necessaria l’azione della Corte di giustizia e della
Commissione europea per enucleare una disciplina comunitaria per i servizi di
interesse economico generale.
1.2.1. Trattato di Roma
E’ interessante ricercare all’interno dei Trattati qualsiasi disposizione che
possa giustificare l’intervento comunitario a favore della liberalizzazione e la
riduzione dei margini di discrezionalità degli Stati nell’organizzazione del proprio
14
Alcuni studiosi (BRAIBANT, Le droit administratif français, Parigi, 1994, p.131 e DELION,
Service public et compatibilité publique, in AJDA, 1997, p.69) ritengono che il servizio pubblico
comunitario si identifichi nella nozione di “service public” dell’ordinamento francese per la
presenza dei tre principi della “Loi de Rolland” (uguaglianza, continuità, adattamento) che
dovrebbero disciplinarne il funzionamento. ROLLAND, Précis de droit administratif, Paris,
Dalloz, 1957.
10
settore pubblico.
Il Trattato affronta solo marginalmente la nozione di servizio pubblico con
riferimento al settore dei trasporti. L’articolo 73
15
stabilisce, infatti, la
compatibilità di aiuti necessari al coordinamento dei trasporti ovvero al rimborso
di servitù “inerenti alla nozione di servizio pubblico”. E’ chiaramente ambiguo,
poiché non provvede alla definizione di servizio pubblico né a chiarire le sue
potenzialità di applicazione.
L’articolo 86, n.2
16
, introduce una nozione nuova, che non si ritrova in alcun
diritto amministrativo nazionale: il servizio di interesse economico generale.
Poiché non è definito il suo contenuto, non potremmo asserire a priori se la
nozione si identifichi o meno con quella tradizionale di servizio pubblico.
L’articolo 86 è fondamentale per comprendere la problematicità della dialettica
concorrenza – rispetto dell’interesse generale. Come riuscire a perseguire
entrambi gli obiettivi? La norma sostiene che le imprese che offrono servizi di
interesse economico generale
17
devono sottostare ai meccanismi concorrenziali,
purché questi ultimi non ostacolino l’assolvimento della specifica funzione di tali
imprese
18
.
15
Art. 73: “Sono compatibili con il presente trattato gli aiuti richiesti dalle necessità del
coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla
nozione di servizio pubblico”.
16
Art.86.2: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o
aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, in particolare
alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento,
in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non
deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità”.
17
Tali imprese sono investite di una duplice funzione: una collegata al mercato e alle regole che
sovrintendono al loro funzionamento e l’altra collegata ai bisogni di un paese e che non risponde
alle regole del mercato. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2003, pp.732-733.
18
Leggendo la disposizione in negativo, soffermandoci cioè su ciò che la norma non dice
apertamente, possiamo concludere che alcune imprese godono di un regime specifico, che si
concretizza ad esempio in un finanziamento statale o nel mantenimento di una posizione di
monopolio, per assolvere a missioni di interesse generale, qualora la concorrenza ne ostacoli
l’adempimento. La ratio della norma è quella di privilegiare il mercato.
11
Le ragioni dell’incertezza normativa che sta alla base di questa come di
numerose altre disposizioni sono da ricercarsi nelle differenze dei settori pubblici
a livello nazionale, alcuni estremamente protetti come in Italia e Francia
19
, altri
più predisposti all’apertura come in Gran Bretagna.
Gli Stati possono quindi privilegiare alcune imprese, ma solo limitatamente
a quanto necessario per il perseguimento dell’interesse generale. Su questi
presupposti sembra che la Comunità europea abbia sin dalle origini ridotto la
discrezionalità dei Paesi in merito all’organizzazione del proprio settore pubblico.
In realtà, la norma fu invocata prima degli anni Novanta per salvaguardare la
funzione amministrativa nazionale e derogare ai principi di libera concorrenza con
riguardo ai servizi pubblici; gli Stati membri istituivano con facilità monopoli per
tutelare settori strategici dell’economia.
A seguito della liberalizzazione, l’attenzione della comunità si focalizzò
sulla tutela dei servizi di interesse economico generale; tutela perseguibile (come
analizzato dalla Commissione europea) anche senza invocare alcuna deroga al
diritto comunitario
20
. Il secondo comma dell’articolo 86 realizza proprio il
difficile contemperamento
21
“tra l’interesse degli Stati ad utilizzare determinate
imprese, segnatamente del settore pubblico, come strumento di politica economica
e sociale, con l’interesse della Comunità europea all’osservanza delle regole di
concorrenza e al mantenimento dell’unità del mercato comune”
22
.
19
CHIEFFI, Compatibilità di misure statali di intervento sui mercati con la disciplina
comunitaria della concorrenza, in Riv.it.d.pub.com., 2003, p.387. L’autrice sottolinea le resistenze
opposte da alcuni Stati ad una limitazione delle proprie prerogative in materia di servizi pubblici
contrapposte alla volontà di altri paesi di tutelare i principi del mercato interno.
20
BERLINGERIO, op.cit., p.306.
21
PERICU, Impresa e obblighi di servizio pubblico. L’impresa di gestione di servizi pubblici
locali, Milano, 2001, p.326, in cui l’autore si sofferma sull’equilibrio realizzato dall’art.86 tra
principi di diritto comune e disciplina derogatoria.
22
Causa Albany international, C-67/96, sentenza del 21 settembre 1999, pt. 103.
12
L’articolo 50
23
parla poi di servizi. I servizi sono attività di rilevanza
economica, non salariate, ma fornite dietro retribuzione
24
. Poiché queste
caratteristiche valgono anche per la categoria dei servizi di interesse economico
generale
25
, a questi andranno applicate le disposizioni relative alla libera
prestazione dei servizi, di cui all’articolo 49, n.1
26
. Per eliminare gli ostacoli che
impediscono di rendere effettiva questa libertà, si rivela indispensabile la
liberalizzazione.
L’articolo 295, infine, lascia liberi gli Stati di definire il regime di proprietà
delle imprese operanti nel proprio territorio; la disposizione ammette quindi
l’esistenza sia di imprese pubbliche sia di imprese private
27
.
1.2.2. Atto Unico europeo
Nel 1986 è stato sottoscritto l’Atto Unico europeo, che ha determinato una
notevole accelerazione del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, in
vista del completamento del mercato interno.
La realizzazione delle quattro libertà - libera circolazione delle merci, delle
23
Art.50: “[…] come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non
siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali, delle
persone”.
24
TIZZANO, Professioni e servizi nella CEE, Padova, 1985, in cui l’autore sostiene come la
regolamentazione dei servizi pubblici nella Cee sia limitata a quelli di interesse economico
generale, che rispondono ai requisiti richiesti dall’art.50: attività di rilevanza economica, non
salariate, definite a contrario rispetto alle altre libertà, il cui elenco non è esaustivo. Parte della
dottrina, invece, non riteneva fattibile un simile collegamento.
25
La nozione di servizio di interesse economico generale è persino più ampia, potendo includere
anche la distribuzione di merci (Causa Sail C-82/71, sentenza del 21 marzo 1972, in cui la
distribuzione di latte è stata considerata missione di interesse economico generale).
26
Art.49.1: ”Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi
all’interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un
paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione”.
27
In questo senso anche l’articolo 86, n.1: “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei
confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi,
alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli
articoli 12 e da 81 a 89 inclusi”.
13
persone, dei servizi e dei capitali - incideva anche sui servizi di interesse
economico generale; l’abbattimento degli ostacoli alla prestazione dei servizi
implicava necessariamente anche la liberalizzazione di taluni servizi pubblici e il
superamento della loro gestione inefficiente
28
.
Con l’introduzione dell’articolo 95
29
, che prevede la maggioranza
qualificata per l’adozione delle direttive relative al mercato interno, si riuscì anche
a superare la resistenza degli Stati più restii
30
all’apertura al mercato di taluni
servizi pubblici. E così negli anni Novanta fu possibile emanare un gran numero
di direttive in materia
31
.
1.2.3. Trattato di Maastricht e di Amsterdam
La firma del Trattato di Maastricht nel 1992 e di quello di Amsterdam nel
1997 costituiscono due tappe fondamentali, che segnano il passaggio da
un’Unione avente fini prevalentemente economici ad una struttura che tende,
28
Come rileva la dottrina, la permanenza di diritti esclusivi comportava tariffe più elevate rispetto
a quelle praticate normalmente agli utenti nei settori aperti alla concorrenza, nonché un
disincentivo all’adeguamento al progresso tecnologico. TARAMASSO, Il processo di
privatizzazione e di liberalizzazione e il diritto comunitario in materia di aiuti di Stato e
concorrenza, in D.comm.int.le, 1995, pp. 965-966.
29
Art. 95: “Il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all’art.251 e previa
consultazione del comitato economico e sociale, adotta le misure relative al ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, che hanno per oggetto
l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.”
30
In primis le resistenze provennero dalla Francia, il paese in cui la tradizione del servizio
pubblico era maggiormente radicata (il “service public” si identificava sostanzialmente con il
diritto amministrativo francese). La Repubblica francese, in occasione della conferenza
intergovernativa che diede poi vita al Trattato di Amsterdam, propose di modificare l’art. 86 in
favor del settore pubblico nazionale. Fortunatamente, la proposta non fu presa in considerazione
dagli Stati più “liberali” e dalla Commissione europea, che ribadì il valore dell’articolo 86 come
norma che realizzava il giusto contemperamento tra contrapposti interessi, entrambi meritevoli di
attenzione a livello comunitario.
31
La liberalizzazione era stata preceduta, oltre che da numerosi studi della Commissione europea,
anche da alcune direttive in materia di appalti e da alcuni regolamenti, ad esempio il regolamento
del Consiglio 1191 del 1969 per l’implementazione del Titolo V parte prima del Trattato.
14
quantomeno a lungo termine, ad un modello federale
32
. La competenza
comunitaria si estende alla protezione dei consumatori, alle reti transeuropee, alle
politiche per l’energia, al turismo, all’ambiente, allo sviluppo tecnologico, alla
politica economica e sociale. In questo ambito si colloca pertanto la problematica
di garantire la concorrenza in un sistema di economia aperta, che non dimentichi
le esigenze preminenti della collettività.
L’art. 2 del Trattato parla di coesione economica e sociale, di sviluppo
armonioso equilibrato sostenibile, di crescita sostenibile, ma anche di
competitività e di convergenza di risultati economici. Accanto alla realizzazione
dei principi di economia di mercato, pertanto, si rende indispensabile proteggere
interessi di carattere sociale, volti alla realizzazione di un modello europeo di
società e cittadinanza
33
.
Gli obiettivi dell’Unione enucleati all’articolo 2 trovano corrispondenza
nell’azione della Comunità di cui all’articolo 3 al fine di realizzare una politica
commerciale comune (punto b), un mercato interno in cui siano garantite le
quattro libertà (punto c), ma soprattutto un regime “inteso a garantire che la
concorrenza non sia falsata nel mercato interno” (punto g).
A queste azioni, che mirano ad eliminare le disuguaglianze all’interno della
Comunità, si affiancano le ben note azioni in materia di coesione, ambiente,
sviluppo
34
.
32
TESAURO, op.cit., pp.8-9.
33
BERLINGERIO, op.cit., pp.303-304. PERICU, op.cit., pp.272-273.
34
Le azioni della Comunità non annullano le competenze degli Stati in tema di politica
economica. L’art.4: “[…] l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto
coordinamento delle politiche degli Stati membri”. L’avvocato generale Tesauro, esaminando la
prassi della Corte, ha sostenuto che la logica che è stata seguita nei confronti delle decisioni di
politica economica nazionali è forse meno neutrale, ma probabilmente più realistica rispetto a
quella che emerge dal Trattato. La Comunità, pur nel rispetto delle politiche economiche nazionali,
“ha finito nella sostanza col privilegiare il mercato”. TESAURO, Intervento pubblico
nell’economia ed art. 90, n. 2, del Trattato Ce, in Diritto dell’Unione europea, 1996, p.723.
15