4
altre dovrebbe prevedere il semplice possesso di un titolo abilitante conseguito
con il superamento di un esame di Stato. Il disegno di legge, inoltre, non sarebbe
sufficientemente chiaro sulla abolizione dei numeri chiusi, sulla riduzione della
durata del tirocinio obbligatorio e neppure sui requisiti per sostenere l'esame di
Stato. Problemi da risolvere riguardano, inoltre, anche la qualità delle prestazioni
per le quali l'Antitrust chiede che vengano esplicitate norme che consentano la
correzione delle cosiddette asimmetrie informative. In tal modo si realizzerebbe
un sistema che consente agli utenti di scegliere liberamente e senza
condizionamenti il professionista a cui affidarsi. Ciò potrebbe verificarsi mediante
l'eliminazione del divieto di pubblicità dell'attività professionale, la diffusione e la
pubblicazione di standard qualitativi delle prestazioni e dei comportamenti che i
professionisti sono tenuti a rispettare e la possibilità di stipulare contratti con
prezzi e garanzie collegati al conseguimento degli obiettivi concordati. Le tariffe,
invece, che rischiano di rappresentare un'indicazione per i professionisti del
prezzo da praticare sul mercato e non invece uno strumento in favore dei
consumatori, non dovrebbero essere fissate ex ante, ma lasciate libere e rilevate
solo ex post da soggetti terzi. La stessa cosa vale per le tariffe cosiddette
inderogabili per le prestazioni obbligatorie, che non dovrebbero essere
predeterminate nei minimi, ma solo nei massimi. Il Garante ha riservato un
motivo di critica anche alla questione delle società, auspicando che sia fornita una
pronta risposta, mediante la predisposizione di un ampio ventaglio di possibilità di
esercizio in forma societaria; ciò al fine di consentire ai professionisti di poter
meglio fronteggiare la concorrenza internazionale indotta dalla progressiva
eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e di prestazione dei
servizi dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.
In particolare dovrebbe essere consentita anche la formazione di società multi-
professionali, nonché di società costituite tra professionisti iscritti ad albi, elenchi
o registri e professionisti non iscritti. In tal modo si creerebbero strutture più
aderenti alle esigenze della domanda e più idonee a rispondere alle sfide del
mercato che i professionisti sono chiamati ad affrontare. Inoltre l'Autorità
Garante, nell'esprimere le sue valutazioni sul disegno di legge, ha affrontato il
problema della opportunità dell'esistenza stessa degli Ordini e dei Collegi
5
professionali. Gli Ordini e i Collegi professionali sono enti, previsti con legge,
preordinati alla cura degli interessi delle categorie professionali "oggettivamente
considerate"
1
. Il Consiglio di Stato (sez. V, 12 nov. 1985, n. 390) ha configurato
gli Ordini come persone giuridiche di diritto pubblico perché ha individuato in
essi un interesse specifico al corretto svolgimento di determinate attività
professionali
2
. La tradizionale bipartizione prevista dall'art. 1 del R.D.L. n.
3/1924, basata sul titolo di studio, prevede che negli Ordini vadano inserite quelle
professioni per il cui esercizio è necessario il diploma di laurea mentre nei Collegi
quelle per le quali occorre il diploma di istituto superiore
3
La Costituzione, all'art.
2, offre un generico riscontro positivo alla tendenza delle categorie professionali
ad associarsi e all'art. 33 co. 5, fornisce un più chiaro riferimento con la
prescrizione di un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Alcuni autori tuttavia ritengono che l'esame sia necessario solo quando l'esercizio
della professione incida direttamente o indirettamente su beni costituzionalmente
tutelati, come ad esempio il diritto alla difesa per le professioni legali e il diritto
alla salute per quelle sanitarie
4
. Altri autori sostengono invece che l'esame
prescinda da un riferimento alla Costituzione o a beni tutelati ed è rimesso
esclusivamente alla valutazione discrezionale del legislatore
5
. Riferimenti ad
"associazioni professionali" sono presenti nell'art. 2229 c.c., il quale prevede una
riserva di legge per la determinazione delle professioni intellettuali il cui esercizio
è subordinato all'iscrizione in appositi albi; rimanda inoltre alle leggi speciali la
disciplina delle modalità e dei termini per ricorrere in via giurisdizionale contro il
rifiuto della iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi e contro i
provvedimenti disciplinari che comportano la sospensione o la perdita del diritto
all'esercizio della professione. D'altro canto qualche autore desume dall'art. 2231
c.c. la possibilità di configurare professioni non protette, per l'esercizio delle quali
1
METRO A., Ordini e collegi professionali, in Annuario della giurisprudenza amministrativa,
1986, p. 745.
2
GRECO G., Chiti M.P., Trattato di diritto amministrativo europeo, parte generale, Milano,
Giuffré, 1997, p. 209 e ss.
3
In realtà tale classificazione è talvolta derogata allorquando si parla di Collegio notarile, il cui
esercizio richiede la laurea in giurisprudenza o di Ordine dei Giornalisti per il quale non è richiesto
alcun titolo, salvo il superamento di uno specifico esame.
4
MAVIGLIA A., Professioni e preparazione alle professioni, Milano, Giuffré, 1997, p. 79 e ss
5
GIANNINI M. S., Diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 1970, I, p. 187.
6
non è necessaria l'iscrizioni in albi o elenchi
6
. L'esigenza di tutela di beni
costituzionalmente protetti si contrappone dunque alla libertà del cittadino di
scegliere la propria attività lavorativa e tale tutela avviene attraverso una
disciplina legislativa istitutiva di un Ordine o Collegio, che prevede un esame
finalizzato all'iscrizione all'Albo. Quando però tali beni non hanno un rilievo
costituzionale, la disciplina legislativa deve porre dei limiti ragionevoli volti a
salvaguardare esclusivamente la tutela dell'affidamento dei committenti
7
.
Il problema della opportunità della loro esistenza ha una notevole rilevanza
soprattutto se si confronta la realtà italiana con il sistema anglosassone nel quale
le professioni si sono formate come associazioni private di esperti fino a diventare
parte integrante della società civile. Secondo il Garante il sistema degli Ordini
dovrebbe rivestire carattere di eccezionalità mentre il sistema delle libere
associazioni tra professionisti (sul modello di quanto avviene all'estero) dovrebbe
costituire la regola. In pratica l'esistenza di un Ordine, per i giuristi dell'Authority,
sarebbe giustificata solo per gli avvocati ed i medici i quali svolgono funzioni
costituzionalmente garantite e complesse. Questo perché sotto la proclamata
difesa dell'interesse pubblico, gli Ordini celerebbero robusti interessi corporativi.
L'Antitrust, infatti, ha precisato che "...è possibile che gli Ordini perseguano la
tutela di interessi privati meramente contingenti e di breve respiro che si
traducono in uno svantaggio per la collettività non solo perché determinano
restrizioni concorrenziali di notevole portata, ma anche perché, in una prospettiva
di confronto internazionale, frenano lo sviluppo del settore". Di qui la necessità e
l'urgenza di ridefinire gli spazi ed il ruolo degli Ordini, poiché i privilegi che un
Ordine pone a tutela dei propri aderenti si materializzano in obblighi e restrizioni
non solo nell'accesso alla professione, ma anche nella potestà di fissare delle
tariffe minime obbligatorie, nel numero chiuso, (come avviene per i notai e per i
farmacisti), nel divieto di farsi pubblicità, nei codici deontologici, e nei concorsi.
L'idea della necessità di abolire gli Ordini ha incontrato vivacissime opposizioni
da parte degli esponenti delle categorie professionali i quali hanno evidenziato
piuttosto la necessità di una loro seria riforma.
6
TERESI F. Ordini e collegi professionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1991, p. 450.
7
MAVIGLIA A., Professioni, op.cit.., Milano, Giuffré, 1992, p. 79 e ss.
7
In effetti è rischioso, se non improbabile mutare repentinamente un sistema
quasi secolare (si ricorda ad esempio che la legge sul notariato risale al 1913,
quella sugli ingegneri ed architetti al 1923) e che disciplina oggi una quarantina di
professioni. Il significato delle leggi che hanno riconosciuto le professioni nel
corso di questo secolo va ricercato nella necessità che lo Stato riconosca utile alla
collettività una determinata attività, basata su conoscenze specifiche di alto
livello. Per questo motivo lo Stato stesso dispone un elenco di esercenti idonei a
svolgere tale attività e conferisce all'Ordine che custodisce questo elenco il potere
di sorvegliare il comportamento degli iscritti. Per esempio, l'elaborazione della
legge sugli ingegneri è durata circa venti anni e, prima della pronuncia
parlamentare sulla sua approvazione, la professione di ingegnere non esisteva,
anche se erano svolte attività di ingegneria attuate da singoli esperti. Il sistema che
ha portato a costituire gli Ordini (o Collegi, o Consigli), è strutturato in modo che
sia una legge dello Stato (e non una associazione privata) a costituire il
fondamento legale di una professione. Il problema da porsi, a questo punto, non è
tanto se sia astrattamente migliore il sistema degli Ordini o quello delle
associazioni, ma invece cosa è concretamente realizzabile in Italia, paese nel quale
per un secolo si è seguito il primo sistema con il quale sono state riconosciute con
legge numerose professioni, mentre sono state ignorate le associazioni
professionali, attualmente quasi inesistenti. Il progetto di abolire gli Ordini,
inoltre, incontrerebbe notevoli ostacoli in Parlamento, (sede naturale di
discussione del dibattito di riforma) dove i professionisti sono fortemente
rappresentati. Gli Ordini professionali sono oggi l'unica forza organizzata in grado
di difendere il lavoro professionale che non trova tutela né da parte delle forze
industriali, né di quelle sindacali. Soltanto il sistema degli Ordini può garantire
alle attività professionali quella dignità necessaria in una società moderna nella
quale la conoscenza tecnico-scientifica è sempre più importante come fattore di
produzione, conoscenza ascrivibile interamente ai cosiddetti know-ledge workers,
cioè ai professionisti.
Quanto sopra suggerisce pertanto la necessità non di eliminare gli Ordini,
ma di modificarli e renderli più adeguati ad un'economia competitiva, in quanto è
certo che l'attuale normativa ha largamente sottratto il sistema alle regole della
8
concorrenza e del mercato, nell'intento di salvaguardarlo assoggettandolo a forme
di regolamentazione ed autoregolamentazione considerate più idonee a
promuovere lo sviluppo di ciascun settore professionale. Tale particolare tutela
del settore dei servizi professionali è riconducibile sia al riconoscimento della
natura specialistica delle conoscenze necessarie per lo svolgimento di tali attività,
ma soprattutto alla circostanza che esse spesso si ricollegano ad esigenze di tipo
primario come il funzionamento della giustizia e la tutela della salute. La riforma
è essenziale anche per provvedere alla notevole espansione ed al crescente grado
di internazionalizzazione che il settore dei servizi professionali ha registrato nei
paesi industrializzati. Anche in Italia, nell'ambito di una significativa crescita del
settore terziario, si evidenzia, in particolare l'espansione dei servizi professionali
rivolti alle imprese, che comprendono anche le attività terziarie cosiddette
avanzate, fra le quali sono senz'altro da collocare i servizi professionali. Al
riguardo è necessario porre in evidenza la sempre maggiore espansione della
domanda di servizi professionali da parte delle imprese che, in numero crescente
si rivolgono alle categorie professionali non solo per il loro elevato grado di
specializzazione, ma anche per la tempestività e l'interdisciplinarietà di approccio.
In maniera simmetrica, l'offerta dei servizi professionali si articola secondo
differenti tipologie in rapporto ai diversi tipi di domanda. Così ad esempio,
esistono professionisti che si orientano verso l'adozione di modalità di erogazione
di servizi più tipicamente "industriali", sia sotto il profilo dell'organizzazione e del
livello dimensionale della attività, sia degli strumenti utilizzati per svolgerla.
Alcune attività professionali, inoltre, costituiscono lo strumento di diffusione e di
innovazione di nuove tecnologie svolgendo un ruolo essenziale nel miglioramento
della competitività a livello internazionale. Non è da trascurare poi il crescente
grado di internazionalizzazione che, negli ultimi anni ha interessato
particolarmente il campo giuridico, contabile e dell'ingegneria e che si manifesta
attraverso un considerevole aumento, nei paesi industrializzati, sia delle
esportazioni che delle importazioni di servizi. Non è neanche esatto affermare che
l'Europa impone l'abolizione degli Ordini professionali: la Comunità Europa esige
che non vi siano barriere alla circolazione di merci, persone e lavoratori fra i
diversi Stati e che sia garantito al professionista di uno Stato europeo di poter
9
liberamente esercitare negli altri Stati. Del resto, nei confronti dell'Italia sono state
più volte aperte procedure di infrazione per i troppi ostacoli che limitano agli
stranieri l'esercizio della professione; significativa al riguardo è la cosiddetta
"sentenza Gebhard" del 1995, con la quale la Corte di Giustizia Europea
riconobbe ad un avvocato tedesco il diritto di aprire uno studio a Milano. Inoltre, i
professionisti costituiscono il secondo potere economico in Italia e soprattutto
sono indispensabili per la società civile e per l'esercizio di qualsiasi attività
produttiva, dall'impresa di tipo artigianale alla grande industria. Essi
rappresentano il vero e proprio motore dell'economia nel nostro Paese e per questo
devono essere tutelati. L'abolizione degli Ordini e l'assenza di regolamentazione
favorirebbero in realtà solo i professionisti più affermati, penalizzando i più
giovani; in un mercato completamente libero ciascuno detterebbe regole in
funzione del proprio potere economico, costringendo alla rinuncia quanti sono
nell'impossibilità di reggere la competizione. Ne è prova la società professionale
americana che non prevede Ordini professionali ma potentissime associazioni che
si sono trasformate in altrettante potentissime lobby di potere, non solo capaci di
emarginare dal mercato chi non proviene dalle cosiddette "famiglie giuste", ma di
determinare anche una totale assenza di deontologia professionale. Pur con tutti
gli aggiustamenti e le necessarie modifiche, la regolamentazione attuale degli
Ordini e delle professioni è il risultato di un processo di evoluzione della società
civile che affonda le proprie radici nel rispetto dell'etica e della solidarietà.
Discutibile è anche l'affermazione secondo la quale gli albi frenerebbero
l'accesso ai giovani alle professioni, concorrendo a paralizzare il mercato del
lavoro. La smentiscono i dati del Censis il quale, dal 1995 ad oggi, dà un
incremento annuo dell'iscrizione agli albi del 3,8%. Inoltre i giovani interpellati
hanno dichiarato di aver seguito la propria vocazione e di non aver approfittato di
una tradizione professionale famigliare già affermata. A tale riguardo sarebbe
necessario un intervento del Governo volto ad agevolare, con misure di
alleggerimento fiscale e di accesso a finanziamenti particolari, il tirocinio
professionale nell'intento di favorire l'accesso dei giovani al mercato del lavoro.
Ed è proprio la considerazione che la riforma dei servizi professionali deve
tendere ad una maggiore liberalizzazione per favorire l'ingresso a nuovi soggetti
10
che trova il maggiore accordo fra politici e professionisti. Una riforma dunque
tanto attesa quanto necessaria che dovrà nascere seguendo il metodo della
concertazione fra Governo ed esponenti rappresentativi delle categorie
professionali. Dalla collaborazione delle categorie interessate, il 15 luglio 1999 è
giunta all'unanime approvazione dell'assemblea plenaria del CUP (Comitato
Unitario Permanente) degli Ordini e dei Collegi professionali, che rappresenta
circa un milione e mezzo di iscritti, una proposta per una legge-quadro che
probabilmente costituirà la "base" per la emananda legge di riforma. Il documento
approvato parte dal progetto Mirone, il disegno di legge n. 5092, ma vi apporta
alcune importanti modifiche fra le quali va menzionata innanzitutto la
ristrutturazione del sistema tariffario. Per quanto riguarda tale sistema, ferma
restando la determinazione di tariffe massime, è prevista:
– la sostituzione delle tariffe minime con la rilevazione dei costi di ciascuna
prestazione, così come era stato suggerito dall'Antitrust, e dei corrispettivi medi
applicati nelle diverse aree territoriali al fine di evitare fenomeni di concorrenza
sleale e di mancato rispetto delle regole deontologiche, nonché a fini indicativi nel
caso di controversie giudiziarie;
– la individuazione da parte del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro competente e previo parere favorevole del Consiglio Nazionale
dell'Ordine interessato, dei livelli tariffari inderogabili nel caso di prestazioni
professionali imposte dalla legge al professionista.
Altre modifiche interessano:
– la possibilità di un tirocinio da effettuare nell'ultimo anno di università
presso studi professionali;
– la caduta del divieto di pubblicità, consentita tuttavia solo se a carattere
informativo e non comparativo e nel rispetto dei codici deontologici;
– l'ammissione di società di capitali solo per soci professionisti con
l'espressa esclusione di soci finanziatori;
– la vigilanza sugli Ordini affidata esclusivamente al Ministero di Grazia e
Giustizia e non ai Ministeri competenti, come era stato previsto nello schema di
decreto legislativo relativo alla riforma dei ministeri in base al quale gli avvocati
ed i notai sarebbero rimasti sotto la vigilanza del Ministero di Grazia e Giustizia, i
11
medici del Ministero della Sanità e tutti gli altri del Ministero delle Attività
produttive
– l'affidamento del potere disciplinare sugli iscritti, per la vigilanza sulla
deontologia, a commissioni formate da membri diversi da quelli del
corrispondente Ordine territoriale, al fine di garantire l'imparzialità del giudizio.
In armonia con la normativa dell'Unione Europea è stato poi considerato il libero
accesso alla professione senza vincoli di predeterminazione numerica se non per
l'esercizio di funzioni pubbliche, come quelle svolte da notai e magistrati. Allo
stato attuale non si può ancora affermare che il testo approvato dal CUP costituirà
effettivamente la piattaforma contenente i cardini della legge-quadro di riforma
dei servizi professionali; è certo comunque che importanti interrogativi e vuoti
legislativi si aprono per le nuove categorie di professionisti (circa due milioni di
soggetti: pubblicitari, restauratori, traduttori-interpreti, esperti di marketing,
esperti di relazioni pubbliche, pedagogisti, telecineoperatori, grafologi, ecc.) che
aspirano ad essere inquadrate all'interno di un Ordine o Collegio e per alcune delle
quali esistono delle situazioni paradossali come nell'ambito della sanità dove, a
differenza di medici, odontoiatri, infermieri ed assistenti sociali, quasi 105 mila
fisioterapisti non godono dell'iscrizione ad alcun Ordine professionale. Anche alle
suddette nuove categorie professionali si deve dare una risposta che può
concretizzarsi nella riconducibilità alle disposizioni che disciplinano i
professionisti dotati di un proprio Albo o elenco oppure in un inquadramento
normativo specifico. Sulla base di queste considerazioni preliminari, che peraltro
saranno riprese nel corso dell’indagine, passiamo ora all’analisi della disciplina
delle professioni. Partendo da un iniziale quadro rappresentativo dei caratteri
generali e organizzativi delle professioni e dei relativi Ordini e Collegi, ci
soffermeremo sui due argomenti maggiormente discussi negli ultimi anni, quali
sono gli Albi professionali e le Società tra professionisti, tenendo conto delle
riforme già attuate e di quelle ancora in discussione. A conclusione dell’indagine
(e forse anche a risoluzione l’annoso problema di una riforma delle professioni)
parleremo dell’ emananda legge Vietti, la quale, come vedremo, non ha incontrato
ancora il consenso unanime delle Associazioni di categoria e del Cup.
12
Capitolo 1
PROFESSIONI: CARATTERI GENERALI.
1. Alla ricerca della nozione di professione. Nozione formale, sostanziale
e costituzionale. Le posizioni della dottrina.
L’esercizio di un’attività professionale costituisce esplicazione di un diritto
costituzionalmente riconosciuto e tutelato quale è il diritto al lavoro, di cui all’ art.
4 co. 1 Cost
8
. Tale diritto si estrinseca nella libertà di scegliere un’attività
lavorativa, con il conseguente divieto al legislatore di imporre limiti
discriminatori a tale libertà o che direttamente o indirettamente la rinneghino, o
che la affievoliscano gravemente o che addirittura la sopprimano
9
. Pertanto, salvi i
suddetti vincoli, possono sicuramente imporsi con legge specifici limiti a tale
diritto, purché razionalmente fondati e posti nell’interesse della collettività, a
tutela di altri interessi ugualmente oggetto di protezione costituzionale. Così sono
state riconosciute costituzionalmente legittime sia la prescrizione di particolari
condizioni di accesso alle singole professioni, sia l’iscrizione necessaria in
particolari albi o elenchi, sia l’appartenenza necessaria ad un ente pubblico
professionale (Ordine o Collegio), fatta salva in ogni caso l’autonomia e
l’indipendenza del singolo professionista
10
. Per quanto riguarda l’esercizio della
professione, la Costituzione richiede all’ art. 33 co. 5
11
il superamento dell’esame
di Stato, diretto ad accertare in via preventiva i requisiti di capacità tecnica e di
preparazione necessari per il corretto esercizio della professione, presupposto
necessario per l’iscrizione all’Albo professionale. A fronte di tali disposti sta tutta
una legislazione che disciplina in termini diversificati il relativo esercizio,
8
BARTOLE S., Albi, ordini professionali e diritto al lavoro, in Giur. It., 1961, c. 941 ss. ;
SPAGNUOLO V., VIGORITA e PALMA G., Professione e lavoro (libertà di), in Nss. D. I., XIV,
ad vocem, Torino, Utet, 1967, pag. 17 ss.
9
C. Cost., 28 novembre-1986 n. 248, GiC, 1986, I, 2112.
10
CATELANI, Gli Ordini e Collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976, 89 ss., in
Digesto delle discipline Pubblicistiche, vol. XII, voce professioni, 1 ss.
11
L’art. 33, comma 5 della Costituzione recita : «E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai
vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio
professionale»
13
prescrivendo i requisiti, le condizioni e le modalità di controllo. Il Codice Civile
del 1942, sotto il Titolo III intitolato al lavoro autonomo al Capo II, disciplina le
professioni intellettuali agli articoli 2229 2238. Dall’art. 2229 si ritiene che
possano ricavarsi due tipi di professioni: quelle per il cui esercizio la legge
prescrive l’iscrizione obbligatoria in albi o elenchi, e quelle che non trovano
alcuna disciplina nella legge e che rientrano nella generale categoria del lavoro
autonomo. Bisogna, quindi, far riferimento di volta in volta al dato normativo per
l’individuazione del tipo ti professione voluto e disciplinato dal legislatore che, a
seconda degli interessi coinvolti e inerenti all’esercizio della professione, potrà
scegliere tra il regime pubblicistico o quello privatistico. Questa è la nozione
formale di professione, ossia è tale quella disciplinata dal legislatore ordinario,
con quei limiti sopra esposti che sono dettati dalla costituzione a tutela del diritto
al lavoro. Alla nozione formale di professione se ne è contrapposta una
sostanziale, parimenti ricavabile dall’ art. 2229 c.c., che sarebbe contraddistinta da
caratteri intrinseci all’ attività stessa, e cioè dalla professionalità, dall’
intellettualità e dall’ autonomia. Con la prima si indicherebbe l’ abitualità, la
continuità e la sistematicità dell’attività svolta
12
; con la seconda si fa riferimento
sia «alla capacità di rappresentare il mondo oggettivo attraverso la ragione»
13
che
al fatto che tale capacità presuppone «indefettibilmente una lunga e complessa
preparazione teorica fornita solitamente dalle università e comporta la
integrazione di tale conoscenza con l’esperienza pratica»
14
; con l’autonomia si
identifica la modalità di svolgimento della professione, riguardando il lavoro
autonomo in generale
15
. Accanto a tali nozioni, la dottrina ne ha elaborata un’
altra, anch’ essa a carattere sostanziale ma desumibile dal citato art. 33 co. 5 della
costituzione che impone, come già rilevato, l’esame di Stato per l’abilitazione all’
esercizio professionale.
In proposito le posizioni dottrinarie più rilevanti sono due: la prima fa capo
a Predieri
16
il quale ritiene che il disposto costituzionale presuppone ed accoglie
12
MELONCELLI, Le professioni intellettuali nella Costituzione italiana, in Scritti per Mario Nigro,
Milano, 1991, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. XII, voce professioni, pag. 1 ss.
13
MELONCELLI, op. cit., 403.
14
MELONCELLI, op. cit., 407.
15
CATELANI, op. cit., pag. 7.
16
PREDIERI, Annotazioni sull’ esame di Stato e l’esercizio professionale, GiC, 1963, 507ss.
14
una nozione oggettiva di professione, ossia definibile per i suoi intrinseci caratteri,
indipendentemente dalla disciplina dettata dal legislatore. Secondo tale autore,
poiché la Costituzione ha fatto riferimento alla nozione di esercizio professionale
come si era consolidata nella legislazione vigente alla data di promulgazione della
Costituzione medesima, a tale legislazione bisogna far riferimento per
l’individuazione delle caratteristiche proprie della professione in senso oggettivo.
Tali caratteristiche non sarebbero perciò rinvenibili in ogni attività intellettuale,
ma solo in quelle attività che non siano prevalentemente artistiche o scientifiche.
Conseguentemente, il Predieri ritiene che il legislatore non può escludere dall’
obbligo dell’ esame di Stato le professioni il cui esercizio era condizionato a tale
esame alla data di entrata in vigore della Costituzione, ma può imporre tale esame
soltanto a quelle professioni nuove che presentino caratteri analoghi alle prime,
con esclusione di quelle attività professionali artistiche o scientifiche. L’ altra
teoria fa capo al Maviglia ed è quella che tenta di spiegare le ragioni che stanno
alla base dell’ art. 33 co. 5 Cost. per ricavare una nozione costituzionale di
professione. Tale dottrina ritiene che il senso della disposizione costituzionale può
cogliersi soltanto inserendola nel complessivo quadro dei diritti costituzionali, per
cui l’ attività professionale acquista rilevanza costituzionale solo se incide su
interessi specificatamente protetti dalla Costituzione stessa
17
. Sempre secondo tale
concezione, i diritti costituzionali non hanno tutti uguale peso: sarà il legislatore
ad operare i necessari bilanciamenti fra gli interessi in gioco sulla base del
principio di ragionevolezza e propendere o meno per un controllo più penetrante
ed incisivo quale è l’esame di Stato. Infine, secondo tale dottrina, la professione
deve possedere alcuni caratteri sostanziali, quali il prevalente carattere
intellettuale dell’ attività e la complessità delle cognizioni che occorrono per il suo
svolgimento: se mancano tali attributi, anche se lo svolgimento dell’attività
professionale viene ad incidere su beni aventi specifica natura costituzionale, il
legislatore non potrebbe introdurre l’ esame di Stato.
17
MAVIGLIA, Professioni e preparazione alle professioni, Milano, 1992, 78 ss.
15
1.1 Il dato fattuale e la scelta della una nozione formale di professione.
Quanto alla giurisprudenza costituzionale, è nettamente prevalente in essa la
concezione formale di professione, secondo cui è tale quella attività il cui
esercizio è oggetto di apposita regolamentazione pubblicistica e richiede una
speciale abilitazione
18
. Tuttavia la legislazione, a parte le professioni tradizionali,
non sempre richiede l’esame di Stato per l’esercizio di professioni che
coinvolgono interessi costituzionalmente protetti. Alcune professioni
19
, infatti,
sono disciplinate dal legislatore in modo diverso rispetto a quanto ritenuto
presupposto dalla disposizione costituzionale: non si richiede il superamento di un
esame di Stato, né è istituito un Ordine o un Collegio cui iscriversi
obbligatoriamente, per l’esercizio della stessa professione. Quanto esposto ci fa
propendere per una definizione formale di professione, ossia che rinvia alla legge
la sua qualificazione e la sua disciplina, fermo restando che per le professioni
tradizionali anteriori alla Costituzione una loro eventuale modifica non può
intaccare quella che è la loro fisionomia originaria di professioni protette. In
conclusione possono rinvenirsi tre tipi di professioni: un primo tipo dato dalle
professioni tradizionali protette, che indubbiamente incidono su interessi
direttamente tutelati dalla costituzione e quindi su diritti fondamentali. Per tali
professioni il mezzo di controllo deve essere particolarmente rigoroso e non può
che consistere nell’esame di Stato, e il loro regime giuridico è quello proprio delle
professioni già conformate in tale modo al momento dell’entrata in vigore della
Costituzione. Un secondo tipo di professioni comprende quelle riconosciute, ossia
quelle disciplinate dalla legge per l’inerenza ad esse di interessi che, ancorché non
fondamentali né direttamente tutelati e protetti dalla Costituzione, sono tuttavia
rilevanti sul piano sociale e sono state ritenute dal legislatore degne di particolare
tutela. In questi casi è l’art. 2229 c.c. che rileva e che richiede soltanto l’iscrizione
in albi o elenchi, senza che sia necessaria la costituzione di un Ordine o di un
Collegio. Si pensi, ad esempio, agli agenti d’assicurazione e ai periti assicurativi,
per i quali si richiede l’iscrizione al relativo Albo e il superamento di una prova
18
C. Cost. sent. 6 luglio 1989, n. 372.
19
Ad esempio gli autotrasportatori, pur venendo ad incidere con la loro attività su diritti fondamentali
quali il diritto all’incolumità fisica e quello più generale alla salute, per l’esercizio della loro
professione devono sostenere un esame disciplinato da un decreto del Ministro dei Trasporti.
16
d’idoneità. Il terzo ed ultimo tipo di professioni è dato dalle professioni non
regolamentate, per le quali non è richiesta né l’adesione ad Ordini o Collegi, né
l’iscrizione ad albi od elenchi
20
e presenti sul mercato del lavoro e rappresentate
dalle relative associazioni
21
. Si tratta di attività che hanno avuto un forte sviluppo,
soprattutto nel periodo più recente, per via dell’emergere del bisogno di nuovi
servizi, in ambito sociale, sanitario
22
, tecnico, in concomitanza con il progresso
tecnologico e l’apertura dei mercati. Infine, bisogna evidenziare come per le prime
due categorie professionali esiste una riserva di legge sull’l’accertamento dell’
attitudine all’ esercizio delle relative professioni: per la prima sarà l’ esame di
Stato, secondo le modalità e i contenuti stabiliti dalla legge, mentre per la seconda
saranno altri tipi di accertamento pubblico dell’ attitudine suddetta
23
.
20
Come accade per i periti assicurativi e per gli altri elenchi di periti istituiti dalle camere di
commercio, la cui legittimità per altro è stata contestata in rapporto alle attività cui accedono riserve,
come quella tributaria.
21
Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 6 luglio 2000, n. 3789, in Giornale di diritto
amministrativo, 2001, pag. 28.
22
Si tratta di quelle che il sociologo americano Amitai Etzioni definiva “semiprofessions”, in A.
ETZIONI, The semi-professions and their organization, New York, The free press, 1969.
23
T.A.R. Lazio, sez. III, 31 marzo 1990, n. 632, TAR, 1990, I, 1408.
17
2. Stato e professioni protette. Cenni alle origini storiche.
Analizziamo da vicino il primo tipo di professioni, quelle protette. Tali sono
le professioni intellettuali il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in albi o
elenchi e all’appartenenza ad enti, denominati ordini o collegi professionali. La
loro disciplina legislativa si trova, come già osservato in precedenza, nell’ambito
del Capo II, Tit. II, Libro V del codice civile, intitolato alle «professioni
intellettuali», che si riferisce a quell’attività autonoma tradizionalmente qualificata
con l’espressione «professione liberale». Nel sistema italiano lo Stato si è posto
come agente di legittimazione delle professioni intellettuali, attraverso le leggi di
regolamentazione professionale emanate a partire dal 1874. Infatti, solo quelle
riconosciute per legge e per le quali la stessa legge indica i requisiti indispensabili
all’esercizio sono professioni protette. Lo Stato ha inoltre contribuito, nel corso
del tempo, a creare un diverso grado di protezione e regolazione delle libere
professioni attraverso processi selettivi e di esclusione che hanno valorizzato, a
seconda del periodo storico, l’una o l’altra professione, modificandone lo status e
il rapporto con la società. Nel periodo postunitario la selezione favorì i
professionisti del diritto, tanto che per quasi quaranta anni essi furono i soli ad
avere una legge di inquadramento sul piano nazionale
24
. Durante il fascismo,
invece, furono privilegiati i tecnici, valorizzando le loro credenziali attraverso la
trasformazione delle scuole superiori in istituti universitari. Tuttavia il rapporto
fra Stato e professioni non è stato caratterizzato solo dal potere di selezione
esercitato dallo Stato, ma anche dalle pressioni operate dai gruppi professionali al
fine di ottenere riconoscimenti e privilegi legislativi idonei ad incrementare la
rilevanza delle professioni stesse nel tessuto sociale. Se, infatti, la decisione di
emanare la prima normativa professionale, quella forense, partì dallo Stato, è
anche vero che la maggior parte dei membri del Parlamento all’epoca erano
avvocati e che le successive leggi furono emanate sotto la pressione dei gruppi
forensi
25
.
l
i
i
24
LUZZATTO, Corporazioni (storia), in Enc. Dir., X, Milano, 1962, pag. 669 ss.
25
CHIOVENDA M.S., Lezioni di diritto amministrativo (1909-1910), Milano, Giuffrè, pag. 30.