INTRODUZIONE
Il tema delle investigazioni difensive in Italia è stato compiutamente trattato
solamente con le leggi nr. 479/1999 e nr. 397/2000, dalle quali è scaturita una
disciplina normativa organica sulle stesse; e ciò attraverso l'introduzione nel
codice di rito, oltre che di singoli interventi normativi, del titolo VI-bis, sulle
"Investigazioni difensive", appositamente inserito nel Libro V sulle "Indagini
preliminari e udienza preliminare".
Il Titolo VI-bis, in particolare, è composto di ben nove articoli, dedicati alla
definizione dei soggetti agenti ed ai loro poteri, alla forma degli atti e alla
utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive.
Lo scopo fondamentale della riforma delle investigazioni difensive era quello di
attuare finalmente i principi della parità e del contraddittorio tra le parti, contenuti
nell'articolo 111 della Costituzione, come da ultimo novellato con la Legge
costituzionale nr. 2 del 23 novembre 1999.
L'intervento legislativo, peraltro, era atteso da diversi anni dagli operatori del
diritto, poiché già con il D.P.R. numero 447 del 22 settembre 1988, come noto, è
stato introdotto in Italia, a decorrere dal 24 ottobre 1989, un processo penale di
tipo accusatorio. Infatti, connaturata a quest'ultimo è la garanzia della "parità
delle armi tra le parti", e dunque la garanzia anche per la parte privata di poter
compiere atti di indagine a proprio favore. Ciò nonostante, nel testo originario del
codice di rito penale nulla veniva previsto in tema di investigazioni difensive, ad
eccezione di una scarna norma, l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione al
nuovo codice di procedura penale “Facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto
di prova”, di neun rilievo concreto per le tee, in termini ia di eettività che
di pregio ormale
/eraltro, già prima dell'introduzione di un proceo penale di tipo accuatorio, in
Italia si sarebbe dovuto prevedere da tempo una disciplina organica sulle
investigazioni difensive; e ciò alla luce non solo della normativa internazionale di
riferimento, ma anche dei princìpi fondamentali insiti nella Costituzione
repubblicana sin dal momento della sua emanazione. Ragion per cui, il presente
elaborato si soffermerà, innanzitutto, su tale panorama normativo, nazionale ed
internazionale, presente prima dell'introduzione del rito accusatorio.
Saranno poi evidenziati i punti più salienti della disciplina sulle investigazioni
difensive successivamente introdotta, con la quale, effettivamente, c'è stato un
considerevole passo in avanti verso un riconoscimento concreto del diritto alle
investigazioni difensive, soprattutto rispetto alla situazione presente in vigenza
dell'abrogato articolo 38 delle disposizioni di attuazione.
Può affermarsi che dopo l'introduzione della disciplina sulle investigazioni
difensive è stato consacrato dal Legislatore il c.d. “diritto a difendersi provando”.
Ma ciò nonostante permangono delle diversità tra accusa e difesa, oltre che in
termini strutturali, anche in termini di pari dignità e di pari poteri: ciò emergerà,
in particolar modo, nel capitolo dedicato all'analisi dei rapporti tra accusa e
difesa.
Al fine di colmare tali differenze, l'attuale Governo ha emanato un disegno di
legge finalizzato a migliorare ulteriormente l'effettività delle indagini difensive
private: l'introduzione ivi prevista dei nuovi commi 11-bis e 11-ter all' articolo
391-bis del c.p.p. ("Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di
informazioni da parte del difensore") dovrebbe porre fine alla cosiddetta
“canalizzazione” dell'attività difensiva verso il pubblico ministero, ed attenuare il
principio della egretezza unilaterale delle ole indagini invetigative pubbliche
*uttavia, le indagini dienive pagano ancora lo cotto di un compleo di
ineriorità al copetto dell'indagine pubblica Sicché, una pari dignità ra accua e
diea ulle invetigazioni, oltre che con l'introduzione di norme migliorative, non
potrà che caturire concretamente da un cambiamento di mentalità da parte degli
operatori del diritto
E' aupicabile, dun ue, oltre che un intervento del Legilatore, anche un maggior
impegno proeionale da parte degli avvocati nell'eettuare le indagini dienive,
nella conapevolezza di poedere pari dignità operativa, in termini innanzitutto di
autorevolezza, ripetto alla pubblica accua A tal ine, un'importanza
ondamentale aumono le norme deontologiche, che peo riempiono di
contenuto le norme codicitiche ulle invetigazioni dienive e dun ue non i
limitano ad aolvere ad una mera unzione di etrinecazione ul piano etico –
proeionale delle tee norme
Anzì i canoni deontologici peo hanno anticipato il contenuto di ucceivi
interventi del legilatore; di talché i due itemi, eppur autonomi e dierenti
uanto a cogenza ono tra loro intercomunicanti
Una maggiore autorevolezza dell'attività delle invetigazioni dienive non può
che avorire una empre più ampia apertura della magitratura giudicante nel
riconocimento del loro valore
1
Capitolo Primo
LE INDAGINI DIFENSIVE NEL "CODICE ROCCO"
1.1 I modelli processuali del "Common Law" e del "Civil Law"
Al momento dell'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1930
(più comunemente denominato "Codice Rocco", in onore al guardasigilli
dell'epoca, Alfredo Rocco), il Legislatore italiano fondamentalmente aveva due
modelli processuali penali di riferimento: la procedura accusatoria, tipica dei
paesi che seguono la tradizione del "Common Law", da un lato, e la procedura
inquisitoria, tipica della tradizione romanistica del "Civil Law", dall'altra.
Storicamente, la caratteristica principale della procedura accusatoria è sempre
stata quella di essere un processo formale nel quale le parti si affrontano davanti
ad un giudice che presiede ed a una giuria che decide. Ogni antagonista presenta
i propri testimoni, che vengono prima esaminati dalla parte che li ha convocati e
poi contro interrogati dall'altra parte. In tale procedura, normalmente, il giudice
non ricopre nessun ruolo nelle indagini e nel reperimento della prova; egli è un
arbitro al di sopra delle parti, presente unicamente in dibattimento, sede in cui
accerta che le domande poste dai testimoni siano appropriate e che le modalità
dell'interrogatorio siano corrette.
Nella procedura accusatoria, inoltre, i mezzi di prova sono esclusivamente nella
disponibilità delle parti, al punto che spesso l'accusa e la difesa si
contrappongono, in modo talvolta esasperato; inoltre l'intera procedura
2
dibattimentale si svolge oralmente, con immediatezza, concentrazione e rapidità.
In tale prospettiva il ruolo delle indagini difensive assume un'importanza
fondamentale. Ed infatti nei paesi di tradizione accusatoria (in primis gli Stati
Uniti d'America) l'attività investigativa privata ricopre un ruolo prioritario nella
predisposizione della strategia difensiva; tant'è che la preparazione tecnica
dell'avvocato involge, in primo luogo, la capacità di ricercare ed acquisire fonti
di prova a favore del proprio assistito.
Nella procedura inquisitoria, invece, sostanzialmente non esiste un' istruttoria
dibattimentale, ossia una fase processuale nella quale si confrontano in
contraddittorio i mezzi di prova dedotti dalle parti.
Tale procedura si articola in una fase preliminare nella quale vengono presentate
le domande e nominato un giudice istruttore. Ad essa seguono poi una serie di
incontri isolati e di comunicazioni scritte fra il giudice ed i rappresentanti delle
parti (talora unicamente quello dell'accusa), nei quali si producono le prove.
Il giudice stesso conduce l'interrogatorio dei testimoni (da qui l'etichetta
“inquisitorio”). A conclusione della fase istruttoria, egli prepara un verbale
dello svolgimento della controversia e fa una relazione agli altri giudici (di
solito un collegio), i quali esaminano gli scritti del primo studiano le memorie
scritte presentate per conto delle parti e pronunciano poi il loro giudizio
sull'intera documentazione prodotta.
Tutta la procedura inquisitoria, dunque, appare sotto il controllo esclusivo dei
giudici, con una caratteristica molto più burocratica rispetto alla procedura
accusatoria, in quanto improntata a verbalizzare ogni attività per iscritto (si
3
consideri che il giudice che decide il caso tendenzialmente non ha mai contatto
diretto con i testimoni; il che produce inevitabilmente un voluminoso fascicolo
per ogni causa, in quanto tutte le dichiarazioni testimoniali rese in precedenza
devono pervenire al primo in forma di verbale scritto) ( 1 ).
In tale procedura è evidente lo scarso rilievo per l'attività difensiva, in
particolar modo per le investigazioni difensive, in quanto l'allegazione delle
prove è unicamente una "questione pubblica", spesso prerogativa esclusiva della
pubblica accusa.
1.2 Il modello adottato dal Codice Rocco
Con l'emanazione del codice di rito penale del 1930 il Legislatore non aderì
all'uno piuttosto che all'altro dei due sistemi. La sua scelta, infatti, cadde su una
soluzione compromissoria, secondo la quale le indagini preliminari, fase che
precede il processo vero e proprio, si sarebbero dovute svolgere secondo i
caratteri della inquisitorietà (in primis, la segretezza delle verbalizzazioni
probatorie), mentre il giudizio vero e proprio si sarebbe dovuto svolgere secondo
quelli dell'accusatorietà (in primis la formazione della prova in contraddittorio
tra le parti) ( 2 ).
Il Codice Rocco delineò la fase dell'istruzione in due momenti: quello
dell'istruzione sommaria, affidata al pubblico ministero, e quello dell'istruzione
formale, affidata al giudice istruttore. Durante l'intera fase istruttoria si
effettuava l'attività di investigazione e formazione delle prove attraverso la
libera iniziativa del giudice. Il tutto avveniva in un contesto di segretezza e di
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verbalizzazione scritta, nel quale l'attività difensiva dell'imputato era relegata ad
una posizione di assoluta inferiorità, ossia di “mero spettatore silente” ( 3 ).
Nella pratica applicativa, per giunta, il giudice istruttore non si limitava ad
individuare ed acquisire mezzi di prova da porre all'attenzione del giudice
dibattimentale, ma finiva per creare la prova che era poi oggetto di valutazione
da parte del giudice in sede dibattimentale; sicché quanto acquisito in
quest'ultima sede spesso non era altro che una mera ratifica di una prova già
formatasi in precedenza ( 4 ).
Connaturale ad una tale impostazione processuale era la marginalità del ruolo
delle indagini difensive; tant'è che il legislatore nulla prevedeva a riguardo.
1.3 Il ruolo delle indagini difensive nel Codice Rocco
Nel Codice Rocco (ma anche in quelli precedenti che si sono succeduti in
Italia) formalmente non esisteva un divieto di effettuare attività di
investigazione difensiva. Ed anzi, ad onor del vero, durante la vigenza del
primo, in una certa dottrina era sostenuta la tesi favorevole alla libertà di
compiere investigazioni difensive. Ma al favore di tale dottrina si contrappose
un atteggiamento ostile di diffidenza da parte della prassi processuale, peraltro
proveniente anche dagli stessi ordini forensi ( 5 ).
Quest’ultimi, infatti, censuravano sotto l’aspetto della deontologia
professionale, in quanto contrario ai principi di correttezza e di lealtà ovvero
lesivo della dignità e del decoro professionale, il comportamento del difensore
che avesse avuto colloqui sui fatti di causa con persone indicate quali testimoni;
5
nonostante che ciò fosse a favore del proprio assistito. Il Consiglio Nazionale
Forense, in particolare, era arrivato ad affermare che, per la consumazione
dell’illecito disciplinare fosse sufficiente il semplice colloquio con i testimoni,
atteso che il contatto con questi finiva per creare, anche senza il concorso attivo
del professionista, “suggestioni e turbamenti dell’animo” dei testimoni, idonei a
limitarne “la libertà, la sincerità e la obiettività”
1
.
Tale atteggiamento di diffidenza per le indagini difensive inevitabilmente finiva
per riverberarsi in modo negativo sull’efficacia della stessa strategia difensiva.
Infatti, se da un lato il codice di rito dell’epoca concedeva alle parti la facoltà
di richiedere al giudice, sia durante le indagini che durante il dibattimento,
l’ammissione dei testimoni, le norme deontologiche, invece, di fatto
precludevano di verificare anticipatamente e direttamente l’utilità della stessa
prova. Sicché, la difesa, considerato che le era precluso il colloquio con i
potenziali testimoni, doveva limitarsi a richiederne l’audizione, senza poter
effettuare un preventivo controllo sul contenuto delle loro dichiarazioni, al fine
di accertare l’utilità ai fini della strategia difensiva.
La richiesta di prova per testi, dunque, era “al buio” ed anzi nella realtà
processuale poteva senz’altro verificarsi l’eventualità di acquisire dichiarazioni
contrarie alla linea difensiva o comunque controproducenti per essa.
Non va sottaciuto che ciò era conforme alla stessa impostazione basilare del
Codice Rocco, secondo cui l’attività del difensore era concentrata
essenzialmente nella discussione finale e non certo nella fase finale della ricerca
1
Consiglio Nazionale Forense dell’ 8 gennaio 1976;
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della prova: “L'inclinazione onnivora e la natura totalizzante dell'istruzione”, in
concreto, lasciava poco spazio all'iniziativa difensiva privata; sicché alla difesa
non restava altro che attendere passivamente l'evolversi dell'istruttoria,
svolgendo poi, in sede dibattimentale, il ruolo di critico revisore del materiale
probatorio raccolto nella fase pre - dibattimentale.
Vigeva così un “sistema accentuatamente squilibrato, ove al già marcato peso
specifico delle indagini preliminari del pubblico ministero si contrapponeva il
più ampio disinteresse per ogni ipotetico potere di inchiesta del difensore, per di
più immobilizzato da una giurisprudenza disciplinare, elaboratasi sotto l'egida
del codice Rocco, che censurava, ad esempio, qualsivoglia contatto della difesa
con le fonti dichiarate della prova” ( 6 ).
Per giunta, la difesa, generalmente relegata nelle indagini preliminari ad un
ruolo assente e passivo, non aveva conoscenza alcuna di queste, se non in caso
di richiesta di carcerazione preventiva ( 7 ).
Nel processo penale vigente sino al finire degli anni '80, dunque, il diritto di
difendersi investigando non solo non era codificato, ma, addirittura osteggiato.
Un diritto, peraltro, già presente nelle norme di diritto internazionale
generalmente riconosciute vigenti all'epoca; il che avrebbe dovuto già da tempo
spingere il Legislatore verso l'introduzione di una disciplina sulle investigazioni
difensive.