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INTRODUZIONE
La proposta di questo lavoro nasce da un mio interessamento
all’istituto del trust, desiderosa di comprenderne meglio le caratteristiche e
criticità, ma anche per capire se il trust può diventare nel nostro Paese uno
strumento di ampia diffusione.
La preparazione di questa tesi, quindi, si è rivelata occasione per
prendere con rigoroso impegno di studio la sua conoscenza, anche se per
chi, come me, non è della materia ed ha alle spalle studi in economia un
avvicinamento alla conoscenza dell’istituto è stata direi necessariamente
costruita.
Scopo prevalente della presente tesi di laurea è stato quello di
effettuare uno studio finalizzato ad approfondire le molteplici tematiche
correlate alla materia tributaria e le modalità con cui viene condotta la
relativa procedura di prelievo fiscale.
E’ opportuno primariamente considerare che il trust è un istituto
giuridico fiduciario di origine anglosassone, di tradizione pluricentenaria,
sviluppatosi nei paesi di Common Law, paesi di matrice giuridica non
derivante dal diritto romano, che crea non poche difficoltà di contrasto con i
principi fondamentali degli ordinamenti dei paesi di diritto civile.
Ma in lingua inglese esso significa principalmente “fiducia”. Ed è
proprio sulla fiducia che si basa questo innovativo strumento di
pianificazione patrimoniale, conosciuto in Italia solo da pochi anni, ma che
ha vissuto, e sta vivendo tuttora, un grande sviluppo sulla scia delle infinite
possibilità di utilizzo per il perseguimento di soluzioni le piø efficienti
possibili nel regolare i complessi e delicati problemi di natura patrimoniale
e di relazione interpersonale che sorgono nell’ambito dei rapporti familiari,
societario, finanziario e sociale.
Tuttavia le fattispecie non si esauriscono così brevemente, l’utilizzo
del trust è talmente vasto che fornire un quadro esaustivo delle possibili
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soluzioni ottenibili attraverso l’uso dello stesso sarebbe arduo. Grazie alla
sua peculiare duttilità infatti, il trust si adatta facilmente alle esigenze sia
delle persone giuridiche che fisiche proprietarie di consistenti patrimoni e
non.
Tant’è che non è facile dare una definizione ufficiale e precisa di
trust, in considerazione del fatto che si è costretti a tradurre il termine per se
stesso, senza poterlo confrontare con altri istituti già conosciuti, poichØ esso
non ha pieno riscontro con nessuna tipologia adottata dal diritto civile
italiano.
Il trust è tale e vive di vita propria in quanto realizza una netta
separazione tra il patrimonio del disponente (di colui, in pratica, che dà vita
al trust stesso) e quello dell’effettivo beneficiario e del trustee stesso:
durante lo studio si vedranno quali siano le tecniche e gli effetti per
raggiungere questo risultato e quali soluzioni occorrerà adottare ai fini del
prelievo fiscale.
In estrema sintesi, la creazione del trust assolve a due funzioni
comuni e specifiche in tutte le fattispecie di utilizzo: la pianificazione e
protezione del patrimonio conferito.
Tali funzioni sono state oggetto nel corso di questi anni di numerosi
studi di natura prevalentemente giuridica, al fine di ottenere maggiore
chiarezza e familiarità con questo istituto anglosassone di difficile
comprensione per un ordinamento giuridico civil law qual è il nostro.
Funzioni studiate anche sotto il profilo economico, soprattutto
riguardo al cosiddetto effetto segregativo che sostanziandosi nella creazione
di una sorta di “schermo” giuridico protegge il patrimonio da possibili
“aggressioni” sia dei creditori del disponente, sia dei creditori del trustee sia
del beneficiario.
Il fenomeno del trust, molto diffuso nei paesi anglosassoni, è
considerato un evento nuovo ed estraneo in Italia in quanto è stato
introdotto per la prima volta nel 1992 con la ratifica della Convenzione
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dell’Aja del 1985 che tratta quello che è forse l’aspetto di maggior
rilevanza: il riconoscimento del trust nel nostro ordinamento. Grazie alla
convenzione infatti è stato possibile per i cittadini residenti in Italia creare
trust disciplinati da legge straniera.
La possibilità che il medesimo trust risultava contraddittoriamente
disciplinato, ed ammesso o vietato a seconda dell’ordinamento alla luce del
quale veniva esaminato, oltre a rappresentare un chiaro ostacolo allo
sviluppo dell’istituto, determinava incertezza sull’operatività dell’istituto
che si ripercosse negativamente sulla sicurezza dei traffici tra gli Stati e tra i
cittadini di Stati diversi. Da qui nasceva l’esigenza della Convenzione, che
si presentò come strumento internazionalprivatistico necessario proprio per
la diffusione del trust di carattere internazionale e che fu volto
essenzialmente a garantire la certezza dei traffici.
C’è da dire però che la Convenzione dell’Aja del 1985 ha rinunciato
a disciplinare gli aspetti fiscali sul trust, i quali rientrano nelle competenze
dei singoli Stati aderenti (art. 19), suscitando un vivace dibattito fra gli
interpreti del diritto tributario interno, placatisi poi, temporaneamente, a
seguito delle novità introdotte, come vedremo, dalla legge finanziaria 2007
che ha inserito per la prima volta nell’ordinamento tributario nazionale
disposizioni in materia di trust, primi segnali normativi volti a dare concreto
riconoscimento agli effetti del trust, dopo la ratifica della Convenzione
dell’Aja.
La tesi ha come obiettivo primario quello di approfondire
analiticamente gli aspetti tributari già a conoscenza di gran parte della
dottrina ed individuare, attraverso un atteggiamento critico, gli aspetti e le
problematiche di natura tributaria che sono state considerate.
La motivazione per la stesura della tesi discussa nasce proprio da
questa osservazione.
Vedremo come il trattamento tributario diretto ed indiretto delle
fattispecie reddituali che possono manifestarsi nel corso dell’esistenza del
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trust, in capo ai soggetti che a vario titolo intervengono nella vita dello
stesso, costituisce un aspetto essenziale principalmente ai fini della
diffusione e competitività dell’istituto e rispetto ad altri strumenti dagli
effetti similari.
Tra i molteplici usi cui si presta l’istituto del trust, quello diretto
all’ottimizzazione della variabile fiscale ha destato l’attenzione di molti
studiosi e, ovviamente, dell’Amministrazione finanziaria, la quale non vede
tale istituto di buon occhio ma in realtà come strumento di evasione
(delocalizzazione del reddito verso paradisi fiscali) e/o di elusione fiscale.
Tuttavia, come si vedrà, l’intervento legislativo ha comportato la
nascita di nuove problematiche e complessità ancora di dubbia
interpretazione.
La ricerca e lo studio sono stati attuati anche attraverso un confronto
internazionale tra la situazione italiana e mirati riferimenti alla realtà di
alcuni ordinamenti di matrice civilistica, di common law o situati in un
contesto giuridico per molti aspetti simile a quello inglese.
Per un’analisi compiuta e chiara dei concetti che il trust comporta in
questo particolare contesto la presente tesi è strutturata, da un punto di vista
metodologico, in cinque capitoli così articolati:
Il primo capitolo affronta per linee generali, i concetti sostanziali del
trust affinchØ sia possibile, nello studio dello stesso, coglierne le possibilità
di impiego. Viene in primo luogo compiuta una breve analisi storica sulle
origini dell’istituto per passare poi alle caratteristiche principali del trust ed
alla particolare rilevanza che riveste il concetto di trust property come
patrimonio autonomo e separato da quello del trustee e dello stesso
costituente. E’questo della separatezza dei patrimoni, specie per il civil
lawyer, uno dei punti centrali del trust. Per poi continuare e giungere ad una
esposizione analitica dei principali soggetti coinvolti. Si possono così
individuare, in particolare, le responsabilità che fanno capo al trustee, i
doveri ed obblighi dello stesso, le funzioni che ne caratterizzano la figura ed
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i rimedi spettanti ai beneficiari in caso di violazione dell’atto di trust o di
non esatta applicazione dei termini.
Il secondo capitolo si addentra nello studio del principale riferimento
normativo in Italia per la disciplina dei trust: la Convenzione dell’Aja del
1985 sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, resa
esecutiva in Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364. Tale convenzione si
pone l’obiettivo di armonizzare le regole del diritto internazionale privato in
materia di trust e, di fatto, ne attua il riconoscimento negli ordinamenti di
civil law privi di una disciplina interna. Partendo da uno sguardo generale
sui punti salienti che la Commissione ha elaborato nell’avant projet della
Convenzione, si procederà poi a specificare quali sono stati i paesi
partecipanti, quelli che ad oggi hanno recepito la Convenzione e i paesi che,
pur non avendo partecipato, vi hanno potuto aderire. Verrà infine effettuata
una panoramica sui vari articoli della Convenzione con particolare riguardo
alla scelta della legge applicabile, agli effetti e alle conseguenze del
riconoscimento. Una certa attenzione è quindi posta all’esame delle varie
posizioni dottrinali, specie per quanto concerne le implicazioni di diritto
italiano derivanti dal riconoscimento in Italia di un trust estero.
Il terzo capitolo ha lo scopo di offrire un quadro sui profili tributari
dell’istituto, con una particolare attenzione rivolta alle novità introdotte
dalla Legge Finanziaria 2007 in ambito di trust. La disamina fiscale è stata
effettuata partendo dalla situazione antecedente alla normativa attuale e
come pertanto, in questi anni, la prassi interpretativa dell’Amministrazione
finanziaria e la dottrina hanno dovuto sopperire alla mancanza di una
specifica normativa tributaria, dando luogo a numerosi dibattiti ed
incertezze soprattutto in merito a chi tra i soggetti protagonisti del trust
fosse soggetto passivo d’imposta. Si descriverà quindi come quest’ultima
questione sia stata risolta, dalla gran parte della dottrina e
dall’Amministrazione finanziaria, con l’attribuzione al trust della
soggettività passiva ai fini dell’imposizione diretta. Tale orientamento ha
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visto la sua “ufficialità” con la Legge finanziaria 2007. Il legislatore
tributario infatti, ha introdotto una disciplina ad hoc volta ad inquadrare
l’istituto del trust in materia di imposizione diretta. La disamina fiscale
dell’istituto è stata effettuata tenendo presente i “momenti” della vita del
trust che, secondo l’opinione ormai consolidata in materia, sono
potenzialmente suscettibili di dar luogo a fattispecie rilevanti ai fini
dell’imposizione diretta ed indiretta.
Il quarto capitolo viene prestata attenzione ad uno degli aspetti che
piø rilevano in tema di imposizione indiretta del trust in Italia, prendendo in
esame le disposizioni che sono state introdotte relativamente all’imposta
sulle donazioni e successioni applicabili agli atti traslativi del trust nonchØ
in materia di imposte ipotecaria e catastale. Nella relazione si è avuto modo
di delimitare il campo applicativo dell’imposta, mettendo in luce le
posizioni assunte dall’Amministrazione finanziaria a tale proposito, nonchØ
le contraddizioni in cui cade la stessa Agenzia delle Entrate. Proprio in
relazione a tali fattispecie, la recente giurisprudenza, come vedremo, ha
scelto quindi di percorrere strade abbastanza diverse da quelle indicate
dall’Amministrazione finanziaria. Il tutto arricchito da posizioni di
importanti esponenti della dottrina e della giurisprudenza.
Il quinto capitolo esamina, in sintesi, la parte specificatamente
dedicata allo studio dell’impatto della normativa tributaria applicata ai trust
in una prospettiva internazionale, utile al fine di distinguere i tratti comuni e
differenziatori con gli ordinamenti scelti.
Vengono infine presi in esame i modelli di trattato internazionali
contro le doppie imposizioni ricorrendo ad una breve disamina alla sola
fattispecie dei trust.