INTRODUZIONE L’obiettivo di questa tesi è quello di analizzare in dettaglio la difficile e
complessa materia dell’immigrazione ed in particolare la disciplina riguardante
l’espulsione dello straniero irregolare presente sul territorio dello Stato, così
come è stata concepita in ambito europeo, per mezzo della direttiva 2008/115/CE
ed in ambito interno, attraverso il Testo Unico sull’immigrazione.
Il punto di partenza di questo complesso lavoro è una panoramica generale sulla
definizione delle parole di straniero e migrante sia in ambito internazionale che
in quello europeo, attraverso la quale cercherò di mostrare come la disciplina
relativa a queste due figure, ed in particolare il sistema di protezione ad essi
destinato, sia andato evolvendosi nel tempo, passando da una posizione
“tradizionale”, fortemente spostata a favore dello Stato, ad una più “ moderna”
che, riconosce a questi, importanti diritti cristallizzati nelle più solenni Carte e
Convenzioni internazionali, tra le quali, la Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Sarà soprattutto quest’ultima a darci
un’idea chiara di quali siano le garanzie riconosciute allo straniero/migrante
oggigiorno in ambito europeo, attraverso l’analisi degli artt. 2, 3, 4, 5, 13 e 16, 8,
e degli artt. 1 e 4 del Protocollo Addizionale n. 4 ed 1 del Protocollo addizionale
n. 7, unita all’analisi dei casi più rilevanti della Corte Edu che hanno contribuito
spesso a distruggere le barriere che ostacolavano la protezione di particolari
diritti. Questo breve quadro sarà concluso dall’analisi della posizione dello
straniero nella Carta Fondamentale dell’Unione Europea, e dalla definizione che
di esso hanno dato i due testi normativi sui quali concentrerò la mia attenzione: la
direttiva 2008/115/CE ed il D. lgs. n. 286/1998. (Capitolo I)
Riguardo alla direttiva 2008/115/CE o “direttiva rimpatri”, il mio obiettivo è
quello di analizzare gli scopi che Essa intende perseguire, il suo campo
d’applicazione, e la disciplina tracciata in riferimento al rimpatrio degli stranieri
1
che si trovano in posizione irregolare sul territorio di uno Stato membro.
Dall’analisi di quest’ultima e dello schema ad intensificazione graduale
crescente che il legislatore europeo ha creato, che emerge la chiara e precisa
volontà espressa a livello europeo di bilanciare due posizioni che da sempre sono
ritenute irriducibili: quella dello Stato e del suo legittimo diritto di espellere lo
straniero indesiderato dal proprio territorio e quella dello straniero a vedersi
riconosciuti i suoi diritti fondamentali in fase di espulsione. Come si vedrà, tutta
la disciplina della direttiva è incentrata su questo difficile e complesso
bilanciamento che è reso possibile attraverso la creazione di pesi e contrappesi,
laddove al diritto dell’uno corrisponde sempre un eguale limite dell’altro. Di pari
importanza sarà anche il discorso relativo al carattere self-executing della
direttiva europea, in generale, e della sua evoluzione nel corso del tempo
attraverso le importanti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea,
ed il carattere self-executing della direttiva 2008/115/CE, sulla quale non c’è
unanimità di vedute. (Capitolo II)
Il passo successivo è l’analisi della disciplina in tema di immigrazione delineata
dal D. lgs. n. 286/1998 o Testo Unico sull’immigrazione aggiornato alla legge n.
94/2009, che nelle sue diverse riscritture ha portato alla creazione di una
disciplina fortemente spostata a favore dello Stato, e poco o per nulla garante dei
diritti fondamentali dell’altro soggetto, in questo caso, passivamente coinvolto: lo
straniero. Questa conclusione diventerà chiara al lettore dall’attenta analisi degli
artt. 10, 13, 14, 15, 16 e da alcune delle più importanti sentenze del Giudice delle
leggi che diverse volte ha sindacato l’illegittimità costituzionale delle norme del
T.U. (Capitolo III)
L’analisi dei due testi normativi rendeevidenti i punti di frizione esistenti tra di
essi e la lontananza degli intenti dei due legislatori, europeo ed italiano, il primo
tendente ad una disciplina garantista nei confronti dello straniero, il secondo alla
sola realizzazione dell’espulsione. Tale contrasto, unito alla consapevolezza
dell’approssimarsi del termine massimo per il recepimento della direttiva-
rimpatri ha reso necessario un intervento “riparatore”: la circolare prot.
2
400/B/2010, diramata dal capo della polizia Manganelli, con il “presunto” scopo
di rendere il T.U. compatibile con la direttiva 2008/115/CE, ma come si vedrà,
con il reale obiettivo di eludere quanto più possibile l’applicazione della stessa.
(Capitolo IV)
L’ultimo tassello della tesi riguarda la pronuncia della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, in riferimento al Caso El Dridi, giustificato dal clima di
incertezza che regnava in tema di espulsioni, in seguito allo scadere del termine
massimo di recepimento della direttiva, cha ha portato la Corte d’Appello di
Trento a rivolgere una questione pregiudiziale al Giudice di Lussemburgo. In
seguito alla risposta positiva da parte di quest’ultimo, il legislatore italiano è
intervenuto con una nuova riscrittura degli articoli che più di tutti comportavano
un contrasto insanabile con la direttiva 2008/115/CE e con la sentenza El Dridi,
ahinoi, ancora una volta in modo alquanto elusivo. (Capitolo V).
3
CAPITOLO I: STRANIERI E
MIGRANTI 1.1 STRANIERI E MIGRANTI NEL DIRITTO
INTERNAZIONALE Il tema del trattamento dello straniero e del migrante nel diritto internazionale
non è di facile trattazione. Partendo dalla definizione dello straniero che, nella
prospettiva dell’ordinamento giuridico della comunità internazionale, è “la
persona fisica e giuridica che viene a trovarsi, anche soltanto temporaneamente,
nella sfera territoriale di uno Stato del quale non ha la cittadinanza” 1
, passerò a
delineare la natura del rapporto che viene a crearsi tra lo straniero e lo Stato
ospite, per poi passare a quello che interessa lo Stato ed il migrante.
Per quanto attiene al primo punto, è interessante notare come il diritto
internazionale tradizionale riguardante il trattamento dello straniero avesse come
obiettivo quello di regolare soltanto rapporti interstatali. In quest’ottica la
protezione dello straniero era concepita come una prerogativa spettante
unicamente allo Stato, dato che l’individuo era protetto solo perché “suddito di
un altro Stato e in quanto oggetto nell’ordinamento giuridico internazionale. Il
vero titolare del diritto alla protezione non era quindi lo straniero, ma bensì il suo
Stato nazionale” 2
. Questa impostazione tradizionale in materia di protezione
dello straniero era retta da due principi che, con il tempo, si erano trasformati in
vere e proprie norme consuetudinarie: l’attaccamento sociale e l’obbligo di
protezione 3
, e che erano finiti per diventare due seri limiti per lo Stato ed
altrettante garanzie per lo straniero. Dal primo limite/garanzia derivava il divieto,
per lo Stato ospite, di chiedere speciali prestazioni allo straniero che non fossero
1
Voce “Stranieri”, Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino, 1991 citato da: E. Benedetti, Il
diritto di asilo e la protezione dei rifugiati nell’ordinamento comunitario dopo l’entrata in vigore del
Trattato di Lisbona, Bassano del Grappa (VI) 2010 p. 9.
2
R.P. Mazzeschi, Sui rapporti fra i diritti umani ed i diritti degli stranieri e dei migranti
nell’ordinamento internazionale, in Diritti umani degli immigrati, tutela della famiglia e dei minori, (a
cura di R. P. Mazzeschi, P. Pustorino e A. Viviani), Volla (NA), 2010, pp. 7-36.
3
E. Benedetti, Il diritto di asilo e la protezione dei rifugiati nell’ordinamento comunitario dopo l’entrata
in vigore del Trattato di Lisbona, Bassano del Grappa (VI), 2010, p.11.
4
giustificate da un particolare tipo di legame sociale con il territorio, come era il
caso delle prestazioni militari o del giuramento di fedeltà alla bandiera dello
Stato ospitante 4
. Allo stesso modo operava anche l’altro limite/garanzia,
comunemente definito obbligo di protezione, che si concretizzava nella
predisposizione da parte dello Stato ospitante di tutte quelle misure idonee a
prevenire e reprimere le offese contro la persona o i beni dello straniero.
Dalla seconda norma consuetudinaria descritta si può far derivare implicitamente
tutta una serie di diritti, quali: il rispetto della vita e dei beni dello straniero, il
divieto di espulsione collettiva, il divieto di discriminazione e il diritto alla difesa
da attivare davanti ai tribunali dello Stato ospitante qualora avesse subito un
danno 5
. In più, la mancata attivazione di tali misure costituiva ciò che in dottrina
è comunemente definito diniego di giustizia, che avrebbe potuto comportare il
ricorso all’istituto della protezione diplomatica da parte dello Stato offeso
attraverso l’attivazione delle procedure giudiziali internazionali per ottenere la
cessazione dell’illecito e il risarcimento del danno subito dal proprio cittadino.
Se su questi obblighi gravanti sullo Stato ospite oggigiorno non c’è discordia in
dottrina, diversa è la situazione che attiene a quale debba essere il livello di
protezione da garantire allo straniero. A tal riguardo, sono due le posizioni
dottrinali sulle quali si concentra il dibattito, ossia: lo standard nazionale e lo
standard minimo internazionale. Brevemente, secondo il primo approccio,
conosciuto anche come “dottrina Calvo” dal nome del suo ideatore, si dovrebbe
procedere ad una sostanziale equiparazione tra lo straniero e il cittadino in
materia di protezione, venendo meno ogni distinzione basata sul possesso o meno
della cittadinanza. Dall’altra parte, invece, si vorrebbe assoggettare lo straniero
presente sul territorio di uno Stato ospite, ad un regime di protezione che tenga
conto di quei diritti fondamentali che risultano riconosciuti e accettati a livello
internazionale. Delle due, a parere di chi scrive, è solo la seconda a poter
garantire una più omogenea ed efficace protezione dello straniero, dato che in
4
Erano fatti salvi tutti gli altri obblighi di natura patrimoniale, civilistica e di potestà punitiva nei
confronti dello straniero.
5
E. B enedetti, op. cit., p. 12.
5
questo modo, il livello di protezione viene fatto dipendere da un “parametro
internazionale”, che sfugge agli interessi particolaristici e spesso, quando non
sempre, egoistici dei singoli Stati nazionali.
Se questa era la posizione classica del diritto internazionale nei confronti dello
straniero, parte della dottrina oggigiorno ritiene che le cose stiano evolvendosi, e
per certi versi sono già mutate a favore del riconoscimento di maggiori diritti per
lo straniero. Tale sviluppo, in parte rivoluzionario, è reso possibile da quella che
ormai viene considerata una certa integrazione fra diritto degli stranieri e tutela
dei diritti umani. Si parla a riguardo di un effetto di sostituzione delle norme sui
diritti umani rispetto a quelle classiche che regolavano il trattamento degli
stranieri, in virtù del quale le prime vengono ad espandersi e a sostituirsi
gradualmente alle seconde, nonostante le resistenze di queste ultime, fino al
punto da attribuire alle ultime soltanto una valenza residuale laddove le norme
sui diritti umani non possano trovare applicazione 6
.
Alla stessa logica risponde anche quello che viene definito effetto di
trasformazione operato dai diritti umani nei confronti del diritto degli stranieri,
sorretto dall’idea che l’individuo venga protetto dal diritto internazionale non più
in quanto suddito dello Stato, come era nella visione tradizionale della protezione
dello straniero, ma bensì in quanto persona umana possibile titolare di diritti ed
obblighi internazionali. Si verrebbero così a creare quelle che la dottrina
definisce relazioni trilaterali, tra Stato offeso, Stato offensore ed individuo 7
.
Il quadro fin qui tracciato mostra chiaramente quanto la questione del trattamento
dello straniero possa assumere ancor più rilevanza in materia di immigrazione,
quando lo spostamento di individui dallo Stato di cittadinanza ad uno Stato ospite
6
R.P. Mazzeschi, op. cit., 2010, p. 13 ss.
7
R.P. Mazzeschi, op. cit., 2010, p. 30 ss; sullo stesso punto vedi anche: E. B enedetti, op. cit., 2010, pp.
32-33, laddove partendo dal principio di non discriminazione, afferma che: “[…] le disposizioni
contenute nei diversi trattati internazionali [sono] applicabili a tutti gli individui, ivi inclusi gli stranieri,
in virtù della loro appartenenza al genere umano. In tal modo gli strumenti internazionali di tutela dei
diritti umani, dovendo essere rispettati nei confronti di tutti gli individui, si applicano indubbiamente al
tema del trattamento degli stranieri”.
6
per un lungo periodo di tempo 8
, contribuisce a rendere ancora più delicati i
rapporti fin qui delineati.
Da sempre il mondo è stato caratterizzato da continui flussi migratori riguardanti
intere popolazioni o categorie di individui costretti ad emigrare per le ragioni più
disparate e che mettono a dura prova gli Stati che ne vengono interessati. Questo
discorso vale oggi come ieri.
In riferimento al rapporto che viene a crearsi tra il migrante ed il diritto
internazionale consuetudinario si può ripetere grosso modo, lo stesso discorso
fatto per gli stranieri. A prima vista sembrerebbe che il migrante non abbia alcun
diritto specifico, avendo lo Stato il diritto di regolare la materia attinente
all’immigrazione e gli aspetti ad essa collegati nel modo che ritiene più consono
ai suoi interessi interni. In altre parole, la facoltà di regolare l’ammissione e
l’espulsione degli stranieri/migranti poggia le sue fondamenta sul “principio della
piena e completa sovranità territoriale che lascia totale libertà agli Stati di
definire e regolare la propria politica, e quindi le proprie leggi, nel campo
dell’immigrazione […]” 9
Ne deriva che, il diritto internazionale consuetudinario non riconosce al migrante
alcun diritto di ingresso o di soggiorno nel territorio di uno Stato, a meno che non
siano obblighi convenzionali a prevederlo, secondo la classica e tradizionale
logica bilaterale fondata su rapporti di reciprocità tra Stati.
In realtà invece, a voler essere più chiari, anche il migrante può fare affidamento
ad una serie di diritti, a partire da quelli che abbiamo visto per gli stranieri, ossia
l’attaccamento sociale e l’obbligo di protezione, ai quali, sia grazie al
progressivo sviluppo del diritto internazionale convenzionale sia come
conseguenza degli effetti di trasformazione e di sostituzione dei diritti umani sul
diritto degli stranieri, si è aggiunta tutta una serie di diritti che, per loro natura,
8
Il periodo di tempo in questione deve essere di almeno un anno per evitare che turisti o semplici
visitatori vengano definiti “migranti”.
9
E. B enedetti , op. cit., 2010, p. 17.
7
devono trovare applicazione anche nel caso dei migranti. Si tratta di un “nocciolo
duro” di diritti umani 10
assolutamente fondamentali ed inderogabili 11
.
Il primo di questi, per importanza, è il diritto alla vita, un diritto consuetudinario
ormai cristallizzato nei più importanti trattati internazionali sui diritti umani,
come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Convenzione Americana
sui Diritti Umani e il Patto sui Diritti Civili e Politici che lo prevedono
rispettivamente agli artt. 2, 4 e 6. Si tratta di un diritto che pone in capo agli Stati
obblighi di non facere e di facere necessari a proteggere lo straniero, o il
migrante, in ogni circostanza in cui vengano a trovarsi 12
.
Stesso carattere di ius cogens viene riconosciuto al divieto di schiavitù o altre
forme di servitù, al divieto di tortura e di trattamenti o punizioni inumani e
degradanti, anch’ essi recepiti e cristallizzati rispettivamente negli articoli 4, e 3
della Convenzione Europea dei Diritti Dell’ Uomo, negli articoli 6, e 5 della
Convenzione Americana sui Diritti Umani e negli articoli 8 e 7 del Patto sui
Diritti Civili e Politici.
A questi diritti vanno aggiunti anche quelli relativi alle garanzie procedurali in
tema di espulsione dello straniero come l’art. 13 del Patto sui diritti Civili e
Politici, l’art. 4 del Quarto Protocollo Addizionale alla CEDU, l’art. 1 del
Settimo protocollo Addizionale alla CEDU, l’art. 19 (punto 8) della Carta Sociale
Europea (riveduta) e l’art. 19 par. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea.
10
R.P. Mazzeschi, op. cit., 2010, p, 16; G. Raimondi, Il Consiglio d’Europa e la Convenzione Europea
dei diritti dell’Uomo, II edizione, Napoli, 2008, p. 144: parla anch’egli di questo nucleo di diritti
inderogabili recepiti dalla Convenzione, all’art. 15 comma 2. L’autore definisce tali diritti come
appartenenti allo “zoccolo duro” o “noyau dur” della Convenzione.
11
A tal riguardo anche la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non sono cittadini del paese
in cui vivono, adottata nel 1985 con la risoluzione n. 40/144 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
contiene all’art. 5 par. 1 una serie di diritti che si rivolgono direttamente agli stranieri, come il diritto alla
vita, alla sicurezza personale, alla riservatezza, ad un equo processo e ad assistenza necessaria, il diritto a
formare una famiglia, il diritto alla libertà di pensiero e di credo religioso, il diritto a conservare la propria
lingua cultura e tradizioni, il diritto di trasferire all’estero i propri guadagni e risparmi, il diritto ad
un’equa retribuzione, all’assistenza sanitaria, alla libertà di associazione ed altri ancora. Una copia della
Dichiarazione in lingua inglese è disponibile al seguente link:
http://www.un.org/documents/ga/res/40/a40r144.htm 12
Si pensi al caso dell’espulsione dello straniero/migrante in un paese in cui la sua vita venga messa in
pericolo o durante l’iter migratorio quando il rischio è ancora più alto.
8
Accanto a questi diritti umani fondamentali che, come abbiamo detto, devono per
loro natura trovare applicazione anche nel caso degli stranieri/migranti, la
dottrina ne riconosce altri che, pur importanti nel quadro della protezione dello
straniero/migrante, finiscono per creare distinzioni tra coloro che sono
regolarmente ammessi nel territorio dello Stato e coloro i quali invece sono
clandestini o irregolari, o ancora diritti che possono essere giuridicamente limitati
nei confronti degli stranieri, ed infine diritti umani degli stranieri soggetti al
margine d’apprezzamento statale. Per avere un’idea del primo tipo di diritti
appena menzionati si pensi al diritto di matrimonio, al diritto di riconoscimento
dei figli, a vari diritti di carattere giudiziario, al diritto al lavoro, alla salute e
all’istruzione verso i quali lo straniero irregolare o clandestino non può avanzare
alcuna pretesa, pena una procedura di espulsione 13
. Al secondo tipo invece,
appartengono quei diritti umani il cui esercizio da parte dello straniero/migrante
può essere limitato dallo Stato, ad esempio: la libertà di riunione e associazione o
il godimento di diritti economici, contro i quali a poco vale il principio di non
discriminazione che subisce anch’esso una contrazione che tuttavia è legittima
soltanto se la limitazione adottata risponde ai criteri di oggettività,
ragionevolezza e proporzionalità rispetto allo scopo che si vuole raggiungere 14
.
Per quanto riguarda infine l’ultima categoria di diritti umani riguardanti lo
straniero, si può menzionare per esempio il diritto al rispetto della vita privata e
13
R.P. Mazzeschi, op.cit., 2010, pp. 27-28, riconosce che in realtà, almeno alcuni di questi diritti come
per il diritto alla salute e all’assistenza sanitaria, e alcuni diritti essenziali nel mondo del lavoro sono stati
riconosciuti anche agli irregolari e ai clandestini. Caso emblematico è la pronuncia della Corte
Costituzionale riguardo al diritto alla salute e all’assistenza sanitaria che deve trovare applicazione anche
nei confronti degli stranieri “che si trovano senza titolo legittimo nel territorio dello Stato” (Corte Cost.
5-17 luglio 2001, n. 252). Ancora, la stessa ratio ha ispirato la Corte Costituzionale anche in relazione ai
diritti alla libertà personale, alla difesa ed alla tutela giurisdizionale (Corte Cost. 8-15 luglio 2004, n.
222).
14
La stessa preoccupazione riguardo alla legittimità di misure “discriminatorie” tra cittadini e non
cittadini è stata espressa dal relatore speciale Weissbrodt nella sua relazione finale intitolata:
“Prevenzione delle discriminazioni. I diritti dei non cittadini” nell’ambito dei lavori della Commissione
dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite (oggi Consiglio dei Diritti dell’Uomo) e della
Sottocommissione sulla prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze, dalle quali
scaturì la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non sono cittadini del paese in cui vivono. In
particolare Weissbrodt si esprimeva in favore della sostanziale equiparazione di trattamento tra cittadini e
non-cittadini riconoscendo la possibilità di eccezionali deroghe a tale principio soltanto se giustificate da
un legittimo obiettivo dello Stato e solo nella misura in cui esse fossero proporzionali al raggiungimento
dello scopo prefissato.
9