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A. Terrorismo e terrorismi.
Questa sezione è consacrata ad un approccio generale al tema del terrorismo,
o, per meglio dire delle molteplici forme che il terrorismo ha assunto,
specialmente negli ultimi trent’anni. Il discorso sarà articolato in tre
paragrafi, che prenderanno in considerazione dapprima la genesi storica e lo
sviluppo del fenomeno (1), quindi l’attualità del problema (2) ed infine le
forme in cui si manifesta (3).
1. Origini storiche del termine e del fenomeno
1
Il termine ‘terrorismo’ nasce in Francia all’indomani della Rivoluzione; per
la prima volta nel 1794 in un supplemento del dizionario dell’Académie
Française il lemma compare come neologismo per indicare une fenomeno e
un periodo storico preciso, ossia quello della “Terreur”, il regime instaurato
da Robespierre e Saint Just tra il giugno del 1793 e il luglio del 1794.
Malgrado l’evidente riferimento alla radice latina “terror”, la parola
definisce in origine un’esperienza politica marcatamente francese, che
appare quasi come una estrema degenerazione dell’idea stessa della
Rivoluzione, dovuta ad un regime di governo eccezionale e transitorio
volto alla fisica eliminazione di ogni fattore di opposizione, reale o
presunta, all’instaurazione di un nuovo ordine economico, politico e
1
Per questo paragrafo cfr. in particolare Gayraud « Définir le terrorisme: est-ce
possible, est-ce souhaitable? » in Revue de criminologie et police technique n.41 del
1988, pag. 185 – 201 e Renar « Les infraction de terrorisme contemporain au régard du
droit pénal » Tesi, Università di Parigi I, 1996.
9
sociale. Il terrorismo è dunque, innanzitutto, il “governo attraverso il
terrore” che, ben lungi dal fondarsi su azioni eversive, trova le sue basi e la
sua legittimazione nella legge, nei tribunali repubblicani e nella
maggioranza parlamentare; una prima e terribile manifestazione del
fenomeno si ha con la Loi 17 séptembre 1793, detta “Legge dei sospetti”
che permetteva la costituzione di comitati di sorveglianza incaricati di
controllare le opinioni dei cittadini e di segnalare tutti coloro che,
esprimendo critiche al governo rivoluzionario, ponevano, in modo più o
meno mediato, intralci o freni alla causa della Rivoluzione. Tant’è che i
primi ad essere definiti terroristi altro non sono che i “conventionnels”,
ossia i componenti della Convention Nationale, inviati in provincia con la
precisa missione di reprimere le residue frange monarchiche o federaliste.
Un incarico svolto sempre con zelante osservanza delle direttive di Parigi,
che causeranno decine di migliaia di vittime “di Stato”, fino alla presa di
coscienza da parte degli stessi rivoluzionari della degenerazione del
sistema, con la conseguente caduta di quel regime e dei suoi artefici il 9
termidoro. Per qualche tempo dunque “terrorista” è sinonimo di
“repubblicano” e, almeno fino al trionfo della “terreur blanche” di destra,
il terrorista è il giacobino, il sostenitore della sinistra parlamentare.
Un carattere interessante emerge, dunque, immediatamente, ossia il fatto
che, contrariamente all’accezione in cui il termine ricorre oggi con più
frequenza, nella sua fase genetica il terrorismo si manifesti come
espressione dello Stato e non dell’anti-Stato: siamo di fronte dunque ad un
terrorismo di Stato e non a quel terrorismo di opposizione che si affermerà
poi, nel corso del XIX secolo. Una faccia di quel Giano bifronte che è il
terrorismo destinata a tornare all’ordine del giorno nel XX secolo con il
fiorire e l’affermarsi dei regimi totalitari fascisti, nazisti e comunisti.
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Ma se il ‘terrorismo’ come termine non nasce che all’indomani della
Rivoluzione Francese, ben più risalente è il concetto che significa, tanto da
affondare le sue radici nell’antichità.
Se circoscriviamo il significato a quello di terrorismo di Stato, l’Antica
Grecia ci offre non pochi esempi di governo attraverso il terrore, sia in
relazione ai regimi tirannici
2
, sia in relazione al regime spartano, fondato
sulla Gran Rhètra di Licurgo, che prevedeva annualmente la dichiarazione
di guerra agli iloti
3
, oltre che istituzioni quali la kripteia
4
che consolidavano
2
Sarebbe un errore ritenere che sussista una coincidenza fra la tirannide e un regime
fondato sul terrore di Stato, anche perché l’esperienza di ogni polis fa storia a sé. Certo
è che si hanno numerosi esempi di regime tirannico improntato su una durissima
repressione delle opposizioni, in particolare fra i tiranni di “seconda generazione”, ossia
fra coloro che non ottengono la tirannia conquistandola con l’appoggio del popolo, ma
la ricevono per successione. Con il fenomeno della successione al tiranno, infatti, difetta
una legittimazione “popolare” in capo al successore, che necessita di affermare il
proprio potere con la forza, laddove il prestigio non soccorre. E’ questo, per citare un
esempio, il caso del tiranno Periandro di Corinto, succeduto al padre Cypselo, che per
garantire il proprio regime incoraggia lo spionaggio e la delazione in città, giungendo a
vietare di stazionare sull’agorà o di riunirsi, pena l’incorrere in un sospetto di
cospirazione. Altro esempio classico è quello del regime dei Trenta Tiranni ad Atene
alla fine della Guerra del Peloponneso, ma ben altri se ne potrebbero riportare anche
considerando che il termine “tyrannos” prima dell’affermazione dei regimi tirannici,
non aveva la connotazione negativa che acquisirà in seguito.
3
Annualmente gli efori dichiaravano la guerra degli omoioi, ossia dei cittadini spartani
di pieni diritti, contro gli iloti, gli schiavi pubblici di Sparta che potevano essere
liberamente uccisi in combattimento.
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a Sparta una forma di governo in parte difesa con il terrore pubblico. Roma,
poi, non ne restò immune a partire da Silla, passando per le numerose
rivolte degli schiavi, fino alla diffusione dell’istituto delle liste di
proscrizione di cui la dittatura sillana aveva dimostrato l’efficacia.
Al contrario, se estendiamo il concetto anche al “terrorismo di
opposizione”, ossia a quel tipo di terrorismo che per le più svariate ragioni
5
lotta contro un ordine costituito, gli esempi si moltiplicano. Nel I secolo
d.C. in Giudea si costituisce una società segreta che lotta contro la
dominazione romana e in particolare contro l’amministrazione tributaria
dell’Impero: sono i sicari che, attraverso omicidi, rapimenti e incendi,
colpiscono in forma mediata i romani, attaccando i propri compatrioti ebrei
collaborazionisti. Nel XII secolo in Siria la setta islamica degli Assassini
6
del “Veglio della Montagna” Hassan Ibn Sabbath, come ricorda anche
Marco Polo, pratica il crimine politico in nome dell’ismailismo riformato;
4
La Kripteia era la polizia segreta composta dai migliori soldati spartani con funzioni
diversificate che andavano dal controllo della vita privata e della moralità dei cittadini,
alle ispezioni dirette a reprimere la detenzione, illegale a Sparta, di oro e argento oppure
le attività artigianali da parte degli omoioi, alla vigilanza notturna con licenza di
assassinare gli iloti che non avessero rispettato il coprifuoco.
5
Per una tipizzazione dei vari fenomeni di terrorismo d’opposizione contemporaneo si
veda infra, Cap. I A.3
6
Il nome della setta deriva probabilmente dal fatto che secondo la tradizione,
compissero le loro azioni sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, principalmente hascisc:
in arabo, infatti, haššāšî significa “bevitore di hascisc”. Meno credibile la tesi che
rimanda l’etimologia del nome ad Hassan, loro capo militare e religioso.
12
la modalità d’azione è quasi sempre la stessa: gli adepti incaricati di
assassinare un personaggio politico avverso si infiltravano segretamente nel
suo entourage e lo colpivano con un pugnale sovente avvelenato
7
.
Un sostegno “teorico” alle azioni di terrorismo d’opposizione si affaccia in
epoca moderna, a partire dal XVI secolo, con l’affermazione di dottrine
politiche che apologizzano il tirannicidio
8
e che trovarono illustrazione
pratica con gli assassini di Enrico III
9
nel 1589 e di Enrico IV
10
nel 1610.
7
L’azione individuale era destinata a concludersi con il sacrificio dell’adepto, che
costituiva, nell’ottica mistico religiosa della setta, garanzia di ascesa al Paradiso per
quest’ultimo.
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In realtà, già nel Medioevo, Giovanni da Salisbury (1115 ca. – 1180) giustificava ed
esigeva il tirannicidio nei confronti dei governanti empi, corrotti o usurpatori, partendo
da riflessioni bibliche e religiose. In epoca rinascimentale Lorenzino de’ Medici (1514 –
1548) nel suo scritto sull’Apologia lo considera estremo e doveroso atto d’amore verso
la libertà. Con le guerre di religione numerosi pensatori, definiti in seguito
“monarcomachi”, ne tenteranno una giustificazione teorica, introducendo nei loro scritti
alcuni concetti quali la sovranità popolare e il contratto sociale: fra i protestanti si
ricordano Teodoro di Beza, Francesco Hotman, Eusebio Filadelfo Cosmopolita,
Giovanni Althusius; fra i cattolici Giovanni de Mariana e Francisco Suarez, gesuiti
spagnoli, nonché il cardinale Roberto Bellarmino.
9
Enrico III di Valois, re di Francia e di Polonia, ucciso dal Clément, un fanatico
domenicano dopo aver assediato Parigi, occupata dai cattolici nel quadro delle guerre di
religione in Francia.
10
Enrico IV di Borbone, re di Francia, autore dell’editto di Nantes sulla libertà di
coscienza degli ugonotti (1598). Fu ucciso dal Ravaillac, un fanatico cattolico.
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Numerosissime poi le manifestazioni del fenomeno nel corso
dell’ottocento. In Italia proliferano le società segrete e si moltiplicano le
azioni patriottiche volte all’unificazione e alla liberazione dalla
dominazione asburgica. In Russia fra il 1878 e il 1881 opera il movimento
nichilista Norodnya Volya, cui si addebitano gli omicidi del governatore
generale di S. Pietroburgo, del capo della polizia e dello Zar Alessandro II.
Un’ondata di terrorismo travolge la Francia fra il 1892 e il 1894 con
numerosi attentati incendiari, esplosioni e omicidi eccellenti, primo fra tutti
quello del Presidente della Repubblica Sadi Carnot: la reazione decisa dello
Stato è attuata anche con le “leggi scellerate” che danno competenza ai
tribunali militari per il giudizio dei crimini politici, in particolare
reprimendo l’associazione e la propaganda anarchica. Qualche anno dopo,
fra il 1911 e il 1912, è la celebre “banda Bonnot” che si segnala per un
considerevole numero di attentati e assassini a scopo di furto o rapina:
anche in questo caso la motivazione politica sottostante era di tipo
anarchico, malgrado la banda versasse per la causa politica solo il 10% dei
proventi delle azioni criminali; i suoi componenti, fra cui Ravachol,
Vaillant, Caserio e Emile Henry, furono ben presto arrestati, giudicati e
condannati alla pena capitale.
Un discorso del tutto isolato occorre poi fare per il terrorismo
contemporaneo, un insieme eterogeneo di fenomeni diversi per origini e
finalità, accomunati da un’identica modalità di espressione che vede nella
violenza simbolica e indiscriminata, diretta ad intimidire e a terrorizzare
l’opinione pubblica un metodo di autoaffermazione.
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Le ragioni dell’opportunità di un’analisi separata del terrorismo
contemporaneo sono molteplici. Innanzitutto è il contesto storico peculiare
del secondo dopoguerra che offre un terreno fertile allo sviluppo di
movimenti terroristi di diversa ispirazione: lo sgretolamento degli imperi
coloniali, le guerre nel Sud Est asiatico, la creazione dello Stato di Israele,
l’opposizione fra il blocco americano e quello sovietico non sono che
alcune delle cause della proliferazione di movimenti eversivi in tutto il
mondo.
Un secondo fondamentale carattere del terrorismo contemporaneo, che lo
differenzia dalle forme tradizionali, è la volontà di colpire – o, per meglio
dire, di impressionare – l’opinione pubblica utilizzando la violenza
eversiva come un’arma psicologica; è questo un carattere “nuovo” in
relazione alla diffusione mediatica dell’evento criminoso, una
“spettacolarizzazione” che il soggetto agente ricerca e calcola per
amplificare al massimo l’effetto destabilizzante dell’azione, attraverso una
più vasta pressione psicologica sulla società.. Come nota acutamente
Badie
11
il terrorismo ha, fra gli altri, anche l’obiettivo di “accelerare la
sostituzione del governo dell’opinione pubblica a quello del cittadino”: in
questo senso la diffusione e la ancor più la libertà dei media sono fattori
essenziali.
11
Badie Bertrand, Terrorisme et Etat, in Etudes Polémologiques 1989 Institut français
de Polémologie, Paris pagg. 7-19.
15
In terzo luogo il terrorismo contemporaneo è un terrorismo di opposizione
che passa per la negazione della democrazia. Il terrorista cerca di affermare
o di promuovere i propri interessi, le proprie ambizioni attraverso la
violenza, la minaccia e l’intimidazione, anziché servirsi dei mezzi
espressivi offerti da un regime democratico. L’atto eversivo dunque si pone
fuori dalla legalità con l’obiettivo di minare la struttura democratica dello
stato; questo non perché l’azione, per quanto grave, sia realmente idonea a
compromettere la democrazia in quanto tale, ma piuttosto perché lo stato
reagisce con misure che assai spesso compromettono le istituzioni
democratiche, svuotandole di senso: legislazione d’emergenza,
concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo a detrimento del potere
giudiziario, limitazione dei diritti della difesa, creazione di giurisdizioni
speciali non sono che alcune delle misure di reazione adottate dagli stati
per rispondere efficacemente al problema. Senza contare che spesso la
necessità di reagire contro una minaccia terrorista stravolge la necessaria
dialettica politica, creando un consenso acritico all’azione dell’esecutivo e,
per converso, portando a bollare come “lassisti” se non come
“filoterroristi” gli oppositori della linea dura, addebitando loro, quali capri
espiatori, gli eventuali insuccessi dello Stato
12
: il tutto secondo uno schema
che diverge sensibilmente dal modello ideale democratico.
12
Badie, op. cit.
16
Queste poche notazioni sul tema del terrorismo contemporaneo danno, allo
stesso tempo, la misura di quale sia la pericolosità insita in questo tipo di
crimine; ciò non solo per via dell’allarme sociale che suscita nel momento
in cui si esprime, ma ancor più per la finalità di destabilizzazione dello
Stato che si prefigge più o meno direttamente. Oltre a ciò, la frequenza e la
violenza con cui i movimenti terroristi hanno cercato affermazione in un
passato recente e tutt’ora la cercano, ben giustifica il fatto che il termine sia
oggi utilizzato in un’accezione totalmente diversa rispetto alla sua
originale.
In questa accezione, dunque, e a questo tipo di terrorismo ci riferiremo
d’ora in poi, tentando di ricostruirne più specificamente i contorni, per
procedere poi, su questa base imprescindibile, ad un’analisi approfondita
delle risposte dello Stato in materia di repressione.
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2. L’attualità del problema
Dagli anni sessanta ad oggi il fenomeno terrorismo ha assunto dimensioni a
dir poco preoccupanti in ogni parte del mondo. Per comprendere la portata
del fenomeno mi pare opportuno riportare alcuni dati forniti dal
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
13
, in relazione all’andamento del
terrorismo negli ultimi anni, sintetizzati nel seguente grafico:
13
I dati riportati possono essere consultati via internet sul sito
http://www.state.gov/www/global/terrorism/ del U.S. Departement of State.
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Tali dati si riferiscono al quinquennio 1994 – 1999 e riportano il numero di
attentati di matrice terrorista verificatisi nei diversi anni (indicati da colori
diversi secondo la legenda) nelle differenti aree geografiche del mondo.
Da tale statistica possono trarsi alcune osservazioni. Innanzitutto, il
fenomeno in esame non ha un andamento costante nel tempo, ma è
soggetto ad escursioni, a “picchi”, che possono in qualche caso essere
anche molto marcati, come nel caso dell’anno 1995 nell’Europa
Occidentale. Ciò significa che in linea generale la strategia terrorista non si
manifesta in modo continuativo, ma è soggetta ad ondate su cui influiscono
certamente sia la situazione sociale, politica ed economica, ma anche la
reazione degli Stati interessati direttamente dal fenomeno che assai spesso
costringono i gruppi terroristi a mantenersi in uno stato di relativa latenza.
In proposito si noti il brusco calo di azioni terroriste in Europa dopo il
biennio 1995/96. Parimente interessante la curva discendente del Medio
Oriente in corrispondenza del processo di pace nel conflitto israelo –
palestinese, destinata probabilmente a modificarsi in controtendenza per
l’anno 2000 a causa dell’interruzione di detto processo.
Non deve poi trarre in inganno il dato relativo al Nord America, dove si
registrano appena quindici attentati in cinque anni: non bisogna infatti
scordare che la statistica non tiene conto degli obiettivi statuali dell’azione
terrorista, bensì esclusivamente del luogo in cui essa si è verificata.. Può
ben darsi dunque che uno Stato sia oggetto di un attentato in un altro Stato,
attraverso l’attacco di obiettivi simbolici: l’attentato dell’ottobre 2000
contro il cacciatorpediniere americano Cole, di stanza ad Aden, attribuito
agli integralisti di Osama Bin Laden, ad esempio, aveva un univoco
19
significato di attacco agli Stati Uniti, benché verificatosi in territorio
yemenita.
Queste poche notazioni ci pongono dunque di fronte ad un fenomeno
estrema attualità, che interessa in modo particolarmente cruento l’Europa,
la quale ha assistito, nel quinquennio di riferimento, a ben 754 attentati di
matrice terrorista. Le ragioni sono molteplici: in primo luogo in Europa
operano, ed hanno operato in passato, numerose formazioni, sia inserite nel
quadro del terrorismo internazionale, sia, al contrario, specifiche dell’area
geografica In secondo luogo, il fatto di essere un crocevia fra Est ed Ovest
ha indubbiamente contribuito, in particolare negli anni della Guerra Fredda
allo sviluppo di estremismi di opposta tendenza che assai spesso si sono
espressi con metodi eversivi. In terzo luogo gli Stati Europei hanno
coltivato fino alla seconda guerra mondiale una politica imperialista che,
nel momento dello smantellamento delle colonie ha in qualche caso avuto
degli strascichi terroristi. In ultimo non si deve sottacere che uno dei fattori,
non certo causativi, ma sicuramente agevolativi del terrorismo è
rappresentato dalla cultura democratica e garantista dei paesi dell’area (in
particolar modo nei confronti dell’estradizione per reati “politici”), oltre
che dal processo di unificazione, passato attraverso il riconoscimento della
libertà di circolazione nell’Unione.
L’Europa, per queste ragioni, rappresenta un osservatorio privilegiato tanto
per le manifestazioni quanto per la repressione del terrorismo, giacché, a
cominciare dalla seconda metà del novecento, ha conosciuto pressoché
tutte le tipologie di terrorismo, da quello separatista a quello politico-
estremista, fino al terrorismo internazionale.