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1. LA COMPLESSITA' DELL'INDAGINE. LE ORIGINI DELL'ISTITUTO
a) Primi fondamenti dell'indagine
Tra gli istituti giuridici che descrivono la storia del diritto in Europa, sicuramente uno
spazio di rilievo è occupato dal tentativo, la cui origine e il cui sviluppo percorrono
secoli e realtà sociali diverse. Lo studio di tale argomento pertanto non può prescindere
da un esame di più esperienze giuridiche in proposito, di più ordinamenti giuridici
differenti
1
. Tutti accomunati dall'aver fatto i conti - nel tempo e con esiti assai diversi -
con questo istituto penalistico. Il tentativo è stato ed è oggetto di studio storiografico ad
alto indice di interesse scientifico, ed è di tale attualità che può essere considerato
strumento di misurazione degli esiti e della qualità della dottrina penalistica di un'epoca.
Anzi l'istituto è, nella storia di ogni ordinamento giuridico, spia - per così dire - della
situazione degli studi storici relativi all'ordinamento stesso
2
.
Una ricostruzione del fenomeno è sicuramente difficoltosa. Anzitutto l'ostacolo più
evidente è quello intrinseco allo studio del diritto penale: campo del diritto assai
complesso e, mai fino ad epoche tarde - come indica comunemente la storiografia -
pienamente affrancato dal diritto civile. Alle origini, lo stesso diritto romano non riuscì
1
Il concetto di "esperienza giuridica" è frutto di uno studio che appartiene al secolo ventesimo. In
particolare è stato utilizzato da P. GROSSI nel suo saggio L'ordine giuridico medievale, Roma 2006, p.
23 e ss. E tra gli altri, anche G. CAPOGRASSI, Studi sull'esperienza giuridica, 1932 e il sociologo
francese del diritto G. GURVITCH: L'expérience juridique et la philosophie pluraliste du droit, 1937. La
rilevanza di tale concetto, di origine filosofico-giuridica, si manifesta nell'essere strumento adeguato per
la corretta ordinazione di dati giuridici collocati nel tempo. Come scriveva il Grossi nell'opera suddetta,
l'esperienza giuridica riesce a "sottolineare l'inabdicabile umanità del diritto, il suo continuo
coinvolgimento con la vita. 'Esperienza giuridica' significa un modo peculiare di vivere il diritto nella
storia...".
2
Così si esprimeva A. CAVANNA nel suo saggio Il problema delle origini del tentativo nella storia del
diritto italiano, in Ann. Genova 1970, p.5.
6
a delineare quella generalità di principi propri dell'ambito privatistico.
3
E fu materia
sfuggente anche per la sistemazione dei criminalisti medievali, innovata dal diritto
statutario e tenuta in stretta considerazione dal diritto della Chiesa. Nella tradizione
germanica, diritto penale significò soprattutto elementare prassi locale, ben lontana da
una formale impostazione dottrinale
4
.
Insomma, più d'una sono le complessità ricostruttive, e i giuristi di diverse epoche
storiche e di diverse nazionalità hanno avuto modo di sottolinearlo
5
. Soprattutto la
delicatezza della trattazione si colloca sul piano esegetico e dogmatico e, di
conseguenza, anche sul piano storico-giuridico. Perchè se è vero che la questione ha
complicati risvolti tecnici, si aggiungono anche implicazioni di politica criminale, che
ampliano e inaspriscono il discorso.
Una massima, che si trova spesso ripetuta nelle opere dei giuristi, è perdifficilis et
perobscura est quaestio de conatu delinquendi
6
, nella consapevolezza che, nel
susseguirsi delle epoche storiche e delle esperienze giuridiche, gli studiosi del diritto e
gli stessi pratici hanno dovuto confrontarsi con la definizione dell'esatto significato
dell'istituto del tentativo.
Ma lo studio in questione si presenta indubbiamente utilissimo, e non solo da un punto
di vista ricostruttivo-sistematico, ma anche sul piano del legame tra tentativo e stadio di
3
Questa impostazione dello studio si deve a CAVANNA, Il problema delle origini cit., p. 7.
4
Per una prospettiva sistematica sul diritto penale, visto nell'orbita italiana, dal Medioevo al 1800, è
interessante l'opera di G. SALVIOLI, Storia del diritto italiano, Torino 1930, in particolare pp. 659-708.
5
Si veda ad esempio l'opera di G. D. ROMAGNOSI, Genesi del diritto penale, Parma 1840, § 659, p. 3,
dove l'autore afferma che la materia del delitto tentato "largamente influisce su tutto quanto il sistema
criminale". Nell'ambito del diritto francese, il problema si ripresenta e, tra gli altri, lo affrontarono A.
CHAUVEAU e F. HELIE, Théorie du code Pénal, Bruxelles 1862, p. 187: gli autori, nel commento al
Codice penale francese definivano il tentativo come "la partie du droit penal la plus élevée et la plus
hérissée de difficultés; ... celle qui commande l'intérét au plus haut degré".
6
Tale è la frase contenuta nell'opera di A. CREMANI, De iure criminali libri tres, Ticini 1791, I, Cap. V,
I, p. 77. Essa sintetizza il comune sentire intorno al delitto tentato.
7
sviluppo della cultura giuridica e della tecnica legislativa, in un determinato
ordinamento giuridico di riferimento.
Spostando ora l'attenzione più da vicino sulla struttura del tentativo, occorre prendere in
considerazione il rapporto tra i due elementi, dai quali sono stati comunemente ricavati,
nelle opere della dottrina, i suoi aspetti primari: da una parte l'intenzione criminosa e lo
scopo di perpetrare un delitto; dall'altra parte l'atto esterno, il comportamento che ha
rilievo quando l'azione non raggiunge il suo compimento, o l'evento voluto non si pone
in essere. Rinviando l'analisi di questi elementi al prosieguo del capitolo, bisogna già da
ora chiarire che è sulla base di essi che si determina la conseguenza giuridica e che,
quindi, l'argomento può essere avvicinato allo studio dagli storici del diritto. La sottile
operazione concettuale è indispensabile: l'interprete deve valutare in senso soggettivo
l'atto esterno e concreto, e collegarlo col l'elemento interno del pensiero. Pertanto,
sebbene il soggetto agente non abbia integrato tutti gli elementi di un reato consumato,
risulta dal suo comportamento - che pur non ha ottenuto lo scopo prefissato, che pur non
ha completato l'azione ai fini della consumazione - una rilevanza per il diritto penale,
cui corrisponde una maggior mitezza della pena
7
.
In questa linea di ragionamento la dottrina, nel corso del tempo, ha potuto allora
affrontare diverse problematiche, relative alla determinazione della fase esecutiva del
reato, al limite tra atti punibili e non punibili, e ha potuto distinguere con chiarezza la
concezione materiale e oggettiva del reato consumato dal tentativo di reato, che
7
Gli elementi ora menzionati (la non punibilità della "nuda cogitatio"; la necessaria sussistenza del
comportamento penalmente rilevante; la maggior mitezza della pena comminata per il tentativo) si
presentano come costanti della nozione giuridica di tentativo, e dovranno essere fatti ciascuno oggetto di
analisi più avanti.
8
richiama invece ad una concezione psicologica dell'istituto, necessitante una operazione
prettamente mentale di ricostruzione del concetto
8
.
Si cercherà pertanto, qui di seguito, di richiamare l'attenzione su alcuni snodi cruciali
del percorso storico-giuridico di elaborazione della nozione, nella piena consapevolezza
che tale operazione non può che ritenersi meramente strumentale alla migliore
esposizione dell'istituto nel prosieguo della trattazione.
b) La frammentarietà della fonte del diritto romano e di quella germanico-barbarica in
riferimento al diritto tentato. Cenni alle fonti del diritto canonico
La questione, come si è visto, è assai tecnica e ci si può chiedere allora se la
precisazione del concetto del tentativo sia stata operazione risalente nel tempo oppure
no. In verità la risposta non può esser positiva. Se volgiamo l'attenzione al diritto antico,
che pure è la radice di ogni moderno istituto giuridico, l'opinione radicata degli storici
del diritto è che il diritto romano - anzitutto - ha manifestato una concezione empirica
del diritto penale, a configurare certamente la rilevanza dell'evento dannoso, ma senza
elaborare propriamente il concetto di tentativo. Le antiche regole, nella generalità dei
casi, non parevano considerare punibile una condotta che concretamente non avesse
violato alcun bene giuridico.
Senza qui voler pretendere di ricostruire compiutamente l'argomento nel complesso e
secolare contesto romanistico, si vuole soltanto precisare che, anche a voler ricercare
8
Per un inquadramento in generale sul tentativo cfr. l'opera di F. ANTOLISEI, Origine e svolgimento
della dottrina del delitto mancato, in Rivista di diritto e procedura penale, 1911, II, pt. I, pp. 321 -349;
9
solo alcune tracce del tema in tale rilevante ambito storico-giuridico, gli esiti non
aiutano l'indagine ricostruttiva. In effetti, il diritto romano, secondo un principio valido
sia per i delitti pubblici, sia per i delitti privati, avrebbe ritenuto punibili soltanto gli atti
giunti all'estremo grado di consumazione del reato, costituenti chiare manifestazioni
esterne della volontà criminosa
9
.
La fonte romanistica insomma non sarebbe stata così giuridicamente evoluta, sul piano
della distinzione tra delitto consumato e delitto tentato, da configurare una
responsabilità anche prima del momento consumativo.
In particolare, soltanto in ipotesi straordinarie, determinati atti di esecuzione parziale
avrebbero trovato repressione, ma non nella forma di delitto tentato, ma come reati
autonomi, e coerentemente con quanto appena detto, puniti con la stessa pena del delitto
consumato.
Possono essere citati alcuni esempi di norme romanistiche, come quelle rintracciate
dagli storici del diritto nella Lex Cornelia de sicariis o nella Lex Pompeia de parricidiis,
ove non si punisce una condotta a titolo di tentativo, bensì pericolosi comportamenti
ritenuti già fatti penalmente rilevanti al pari di un reato consumato. Come dire che
sarebbe anticipato il momento consumativo del reato, in relazione a fattispecie penali di
indubbia gravità.
Con ciò, tuttavia, si può forse sostenere che queste siano le prime risalenti e incompiute
manifestazioni del concetto di tentativo. Resta il fatto che non si può - alla luce della
storiografia sull'argomento - parlare di un principio generale di punibilità, e neanche in
l'opera di L. SCARANO, Origine e sviluppo storico della nozione di tentativo, in Archivio Penale, 1946,
II; nonchè L. SCARANO, Il tentativo, Napoli 1960.
9
A questa conclusione giunge CAVANNA, Il problema delle origini cit., p. 12.
10
epoca tarda, giustinianea. L'elaborazione teorica quindi fu latente, o comunque non si
avvalse del clima favorevole indotto dall'etica cristiana.
L'esperienza giuridica romanistica sul tentativo certamente non offre spunti sostanziali
di riflessione all'interprete, tuttavia può essere considerata base di partenza dello studio,
nella consapevolezza che pur da frammenti, primi abbozzi, l'indagine deve prendere le
mosse. E d'altra parte, senza queste pur minime tracce, la stessa storiografia medievale e
rinascimentale non avrebbe potuto svolgere più lucide argomentazioni sul tentativo
10
.
Un ulteriore spunto di riflessione, in un altro, diverso contesto sociale - anzitutto - prima
che giuridico, è dato dall'atteggiarsi del fenomeno nella tradizione del diritto germanico:
la domanda che ci si può porre è se una pur vaga concezione di tentativo vi fosse oppure
no. Il lungo periodo storico da prendere in considerazione - pur nella consapevolezza
che qui non possono che darsi semplici e brevi notazioni in proposito - è quello
corrispondente all'alto Medioevo barbarico. Certo è che, in questo contesto,
caratterizzato da fonti del diritto dispersive, primitive e materialistiche, la conclusione
cui la storiografia è pervenuta è stata che, soltanto a partire dal '200 - con l'apporto
illuminante della scuola di Bologna - è divenuto possibile un sostanziale inquadramento
concettuale della nozione di tentativo.
Ma ciò che qui si vuole sottolineare è che, come già per la dimensione romanistica,
anche per quella del diritto germanico occorrerebbe svolgere un'indagine più
approfondita, per ravvisare, già a partire dall'epoca medievale, una qualche
anticipazione del concetto di delitto tentato. Almeno parte della storiografia, invero, si è
10
Per questi esiti interpretativi, cfr. CAVANNA, Il problema delle origini cit., p. 12. Per l'esame del
tentativo nel contesto del diritto romano, cfr. anche SCARANO, Origine e sviluppo storico cit., p.441 e
ss.
11
occupata con molta cautela dell'argomento
11
, e sebbene sia assai facile concludere per la
soluzione che il diritto germanico abbia sempre avuto tratti di materialità
12
, e di
tendenza all'impostazione naturalistica - tratti che si oppongono alla configurazione del
tentativo - forse la conclusione più ovvia non è qui anche quella esatta.
Certo è che per i cosiddetti diritti primitivi le costruzioni concettuali sono materia quasi
ignota: come poter concepire la rilevanza - diremmo oggi penale - del delitto tentato, se
un atto, dal punto di vista materialistico, non può pensarsi come non realizzato, in
quanto inesistente per il diritto? Il reato, in quest'ottica, esiste e rileva solo se
consumato, non ponendosi allora punibilità per azioni meramente tentate
13
. Ma ad
un'analisi più approfondita, si coglie come alcuni storici abbiano approfondito assai la
disamina delle fonti medievali, che, pur nella loro stringatezza e materialità, non
mancano di offrire un primo abbozzo dell'istituto.
Volgendo ora l'attenzione più nello specifico della normazione germanica, per cogliere
la prova di quanto da ultimo affermato, bisogna sottolineare che, nel nutrito insieme di
disposizioni penalistiche, non è dato trovare una norma generale e di principio che
preveda il tentativo per i delitti in genere. In effetti, la mancanza di una regola generale -
in proposito assente anche in diritto romano - è tipica delle leggi barbariche. Ciò non
toglie che da figure specifiche di reato, quali l'omicidio o il furto, quelli cioè a più forte
impatto sociale, si sia elaborato, in qualche modo, il delitto tentato. Pertanto abbiamo
11
Lo studio del tentativo nella storia del diritto germanico è stato approfondito in specie dalla dottrina
tedesca. In particolare può essere ricordata l'opera di H. BRUNNER, Deutsche Rechtsgeschicte, II Neu
bearbeitet von C. F. VON SCHWERIN, Munchen u. Leipzig, 1928, p. 732 e ss.
12
Cfr., in termini di materialismo, naturalismo e primitivismo giuridico, con acute osservazioni,
GROSSI, L'ordine giuridico, p. 39 e ss.
13
Questa è la problematica che si pone CAVANNA, Il problema delle origini, p. 14 e p. 75. L'autore
cerca di darne una risposta nella sua opera dove, nel corso della trattazione, ripercorre le tracce del diritto
12
che in varie fonti è legittimata l'uccisione di chi viene colto in flagranza di delitto. Ad
esempio, chi è sorpreso nel perpetrare un furto, nel cercare di porre a compimento la
condotta criminosa, può essere impunemente ucciso dal padrone di casa
14
. Infatti può
essere ucciso chi venga colto in furto per la Lex Thuringorum. E altre, consimili
disposizioni, sono previste in altre coeve compilazioni, quali la Lex Wisigothorum o la
Lex Baiuwariorum. Si può sostenere che queste fattispecie siano sorrette da una
concezione germanico-barbarica - e quindi primitiva - di legittima difesa, in cui è
concesso, al padrone, come suddetto, di uccidere impunemente colui che tenta il furto.
In verità, ciò che qui è maggiormente rilevante, è che al privato è concesso di impedire
il compimento del delitto e di punirne l'iniziata esecuzione paralizzando l'azione
criminosa nel suo iter, prima che la condotta integri il reato consumato.
Insomma, anche se non vi è, in queste epoche arcaiche, un'affermazione di principio
della nozione di delitto tentato, comunque è percepito che la violazione della pace non
sussiste solo in caso di delitto consumato, ma anche nel caso di delitto tentato. Allora
certo è che la sanzione, nelle leggi barbariche, dell'atto flagrante, pur caratterizzata da
una pena "estrema" come quella della morte, può aver costituito un primo abbozzo, una
prima apertura concettuale all'elaborazione del cosiddetto delitto tentato.
A conferma di ciò v'è anche questo dato di fatto: se la realtà barbarica configurava il
diritto solo sul piano della sua percezione obiettiva e materiale, tuttavia vi era spazio per
germanico e identifica elementi, dalle fonti germaniche, che gli consentono di parlare di una, pur
incompleta, configurazione del delitto tentato.
14
Tanto è previsto infatti nella Lex Frisionum, ove è scritto che in fossa, qua domum alterius effodere
conatur, fuerit repertus.
13
la rilevanza anche del tentativo, o, per meglio dire, di quel tentativo che si manifestasse,
si presentasse visibile e volto ad arrecare pregiudizio a cose o persone
15
.
In questa, pur sintetica, ricostruzione del percorso storico-giuridico della nozione di
tentativo, una brevissima menzione deve essere fatta, con riguardo all'esistenza di una
dottrina canonistica del tentativo. Certamente vi è stata un'influenza nell'elaborazione
del concetto da parte dell'etica cristiana, e quindi non solo sulla formazione dei tratti
fondamentali del diritto penale. La religione, la fede, i precetti della Patristica,
comportano una valutazione etica delle coscienze, spostano la riflessione dall'atto
esterno all'interno del pensiero umano.
In verità il diritto canonico amplifica la discussione sull'argomento, giustificando una
contrapposizione tra giudizio divino e giudizio umano, tra punibilità spirituale del puro
peccatum di pensiero, nel foro interno, e impunità del pensiero stesso, che non si
esteriorizzi, non si manifesti nella realtà, nel foro esterno. Tale puntualizzazione
chiarisce perchè il principio romano cogitationis pena nemo patitur fu accolto dallo
stesso Graziano, figura di indubbia rilevanza nello sviluppo dell'edificio normativo della
Chiesa medievale
16
.
Precisando come un'indagine relativa allo ius divinum esuli da questa trattazione, d'altra
parte ci si può chiedere che rilevanza abbia avuto il delitto tentato nel diritto penale
canonico, sul piano della disciplina relativa al foro esterno. Ora, la storiografia che si è
15
Per queste problematiche, analizzate con ampio studio e secondo conclusioni rispondenti alla
configurazione, pur frammentaria, del delitto tentato nel diritto germanico, si rinvia a BRUNNER,
Deutsche Rechtsgeschicte cit., II, pp. 732-733. Una ulteriore analisi, sempre di letteratura tedesca, a
conferma di quanto la questione sia stata sentita maggiormente in area teutonica, è data da G. DAHM,
Das Strafrecht Italiens im aus gehenden Mittelalter, Berlin 1931, pp. 185-187.
16
Tra le altre opere, che ricostruiscono l'attività di spiritualizzazione del diritto dell'Alto Medioevo, e che
sottolineano anche la coeva forza civilizzatrice della Chiesa, si segnala F. CALASSO, Medio Evo del
diritto, Milano 1954, p. 218 e ss.
14
occupata dell'argomento, ha sostenuto che il diritto canonico, di radici peraltro
romanistiche, non conosce sul punto - anch'esso - alcuna categoria generale di tentativo,
e tanto meno presenta una disciplina esauriente. Tale è la conclusione laddove si
analizzi il contenuto del Corpus Iuris canonici, tale è l'esito dell'opera di Graziano e dei
suoi successori
17
. In verità, occorre precisare che poche decretali conterrebbero una
qualche massima generica, ma sulla base di esse non può pensarsi ad una linea di
impostazione autonoma del tentativo da parte dei canonisti medievali.
Ciò nonostante è stato sostenuto che, partendo dal principio che vi è reato punibile,
nell'ambito del foro esterno, laddove si possa accertare un comportamento
oggettivamente manifesto e contrario al diritto canonico, quest'ultimo avrebbe punito
anche il tentativo, quanto meno in casi gravissimi. Il tentativo sarebbe stato sanzionato
come reato a se stante, gravato della stessa pena prevista per il reato consumato
18
.
Come già ricordato, tale identità di pena sarebbe frutto della tradizione del diritto
romano, che, per quegli esigui casi riferibili in qualche modo al tentativo, parifica la
pena del conatus a quella del delitto consumato.
Insomma, ad una più attenta osservazione, spunti per una concezione, pur vaga, di
tentativo, si hanno anche nel diritto canonico. La punizione, laddove prevista, è, non a
caso, della stessa entità di quella prevista per il delitto consumato
19
.
17
A queste conclusioni giunge la storiografia, senza rilevanti contrasti di opinione. Si può segnalare in
proposito l'opera di F. ALIMENA, La questione dei mezzi inidonei nel tentativo. Contributo alla teoria
del conato criminoso, Roma 1930, p. 54 e ss.; nonchè SCARANO, Origine e sviluppo storico, p. 452 e ss.
18
Sono stati vagliati alcuni passi che, pur in via assolutamente eccezionale, configurerebbero la punibilità
del tentativo. Ad esempio il dictum di Graziano al c. 22 D. de poenit o la glossa ordinaria ex consilio.
Queste osservazioni si devono alla ricostruzione critica di CAVANNA, Il problema delle origini, p. 19.
19
Merita di essere ricordato, a proposito dell'uguaglianza di pena tra delitto consumato e delitto tentato,
un ulteriore aspetto, a riprova di come il tentativo sia analizzabile con profitto solo da un'ampia
prospettiva storico-giuridica. Quando, a seguito dell'introduzione in Italia del Code pénal francese del
1810, anche nella nostra penisola comparve il principio della stessa pena per il delitto tentato, al pari del
delitto consumato, la pratica e la dottrina italiana si resero conto della differenza rispetto alle tradizione