Premessa
4
contabile degli enti locali , e n. 286 del 1999, il quale, in modo particolare, ha
eliminato le ambiguit teoriche ed operative deriva nti dall espressione
controllo interno introdotta dal decreto legislat ivo n. 29 del 1993,
differenziando gli strumenti a disposizione della pubblica amministrazione in
controllo di regolarit amministrativa e contabile , controllo di gestione ,
valutazione della dirigenza e valutazione e cont rollo strategico .
Nonostante questo, all interno dei governi locali, permangono alcuni
problemi di interpretazione che riguardano il controllo di gestione, dati, forse,
dal fatto che Ł difficile implementare un controllo che vada oltre le analisi
meramente contabili e finanziarie, e che cerchi di introdurre un vero e proprio
controllo direzionale, in grado di guidare l azione politico amministrativa
verso gli obiettivi prefissati, e, soprattutto, che sia in grado di valutare e
correggere il rapporto tra costi e risultati.
D altra parte il processo di cambiamento che tende ad investire gli enti
locali ci mostra che le innovazioni richiedono certe volte anche dei sacrifici,
soprattutto di carattere culturale: uno degli ostacoli piø duri da superare per
tutti gli operatori dell amministrazione pubblica consiste nel cambiare
metodologia di lavoro, passando da una cultura del la procedura ad una
cultura del risultato , e nell imparare ad utilizz are nuovi strumenti
manageriali di razionalizzazione dell azione politico-amministrativa.
Il controllo di gestione, infatti, rientra in questo passaggio, in quanto
permette di considerare l ente locale come un istit uzione che lavora e produce
per il cittadino utente, il quale ha il diritto d i usufruire di certi servizi
pubblici, che devono sempre andare in una direzione di maggiore qualit e
complessit .
Detto brevemente, il governo locale ha ormai capito, a livello politico, ma
anche burocratico, che per poter effettivamente erogare servizi pubblici di
qualit , ed agire in modo efficiente, efficace ed e conomico avendo a
disposizione poche risorse finanziarie e temporali, Ł assolutamente
indispensabile incentrare il lavoro complessivo sui sistemi di
programmazione e controllo interno , anche in funzi one di un apprendimento
Premessa
5
organizzativo costante che coinvolga l intera struttura amministrativa
dell ente.
Introduzione
6
Introduzione
Il presente lavoro ha lo scopo generale di analizzare le principali
innovazioni che hanno riguardato gli aspetti organizzativi, funzionali e
culturali della pubblica amministrazione locale, all interno del generale
dibattito sulla riforma dei sistemi di programmazione e controllo interno.
L attenzione Ł rivolta al tema dell implementazione del controllo di
gestione che rappresenta, senza dubbio, l aspetto piø rilevante e interessante di
tutto il processo di pianificazione, programmazione e controllo.
Il lavoro Ł suddiviso in quattro parti.
Nella prima parte l analisi sar concentrata sull e voluzione delle autonomie
locali e sul decentramento italiano, che negli ultimi quindici anni ha subito
degli importanti risvolti. L argomento comunque sar affrontato partendo da
piø lontano, ovvero dall istituzione delle Regioni a statuto ordinario, nel 1970,
anche se ci sar un attenzione maggiore sulle rifor me degli anni Novanta: in
primo luogo sulla legge 142 del 1990 Ordinamento d elle autonomie locali ,
sulle leggi Bassanini, sulle riforme riguardanti i sistemi elettorali di Regioni,
Province e Comuni, fino ad arrivare al Testo Unico degli enti locali.
Successivamente verranno analizzate le disposizioni del nuovo Titolo V della
Costituzione, e gli sviluppi piø recenti, compresa la legge 131 del 2003.
Sempre nella stessa parte verr descritto l ente co munale, partendo dalle sue
origini e cercando di coniare un adeguata definizione di Comune . Si
prenderanno in considerazione le norme che regolano la sua attivit , facendo
riferimento soprattutto al decreto legislativo 267 del 2000, ossia il Testo Unico
degli enti locali, e si descriveranno le sue forme di autonomia funzionale e
finanziaria, che hanno portato qualche addetto ai lavori a parlare di
aziendalizzazione dell ente comunale.
La seconda parte fa una ricostruzione storica dei controlli in Italia e mette in
evidenza l evoluzione di questi nella pubblica amministrazione, evoluzione
che procede da un controllo burocratico verso un controllo manageriale,
ispirato da una corrente di pensiero, diffusa in tutta Europa a partire dagli anni
Introduzione
7
Ottanta, denominata New Public Management . Questa dottrina Ł artefice
dell aziendalizzazione dell ente pubblico, anche se questo processo incontra
per la sua strada diversi ostacoli, soprattutto in Italia, dove la pubblica
amministrazione ha notevoli difficolt ad inserire nei suoi processi strumenti
che derivano dal settore privato. Inoltre, sempre nella stessa parte del lavoro, si
comincer ad entrare nel vivo dell argomento, veden do la teoria del controllo
di gestione, la sua organizzazione, i suoi strumenti e le sue fasi. Osserveremo e
analizzeremo quindi tutti gli ingredienti necessa ri ad implementare un
adeguato controllo di gestione.
La terza parte prender in considerazione dei dati concreti sul controllo di
gestione. Vedremo come questo strumento si Ł diffuso in Italia: si far
riferimento ai tempi di diffusione, alle differenze territoriali nell introduzione
dei controlli di gestione negli enti locali italiani, ed anche alle differenze
istituzionali. Verranno resi noti dei dati ripresi da indagini sul campo di
importanti ricercatori che nel corso degli anni si sono occupati di questo
strumento, e grazie ad interviste e ricerche sono stati in grado di vedere la
geografia e la tempistica del controllo di gestione in Italia. Vedremo poi gli
effetti che questo strumento ha generato all interno delle pubbliche
amministrazioni, le novit che ha portato e, in par ticolare, quali soggetti sono
stati in grado di diffonderlo e di applicarlo all azienda pubblica. Dopo di chØ
ci sar una valutazione di questi dati: si vedr se nella pratica Ł stato realizzato
ci che le leggi di riforma avevano prospettato nel la teoria; vedremo gli
scenari futuri, ossia gli aspetti da migliorare e i punti di forza sui quali
insistere; e considereremo lo strumento del Benchmarking, ovvero il confronto
tra esperienze diverse, che pu davvero diventare i l maggior punto di forza di
questo strumento, grazie al quale produrre valutazioni piø significative, e
soprattutto utile a diffondere pratiche sempre migliori.
La quarta ed ultima parte Ł invece dedicata all indagine empirica. La mia
esperienza di stage mi ha portato a prendere in considerazione il caso del
Comune di Montepulciano, che ormai da qualche anno adotta lo strumento del
controllo di gestione per valutare l attivit della propria macchina
Introduzione
8
amministrativa. Verranno in questa parte valutati dei dati, fatti degli esempi,
analizzate criticit , e saranno esposte delle consi derazioni personali, frutto
dell interessante esperienza svolta nei mesi di ottobre e novembre 2008
all ufficio Controllo di Gestione del Comune di Montepulciano, in un periodo
in cui venivano analizzati e valutati i dati che riguardavano l anno 2007, e si
procedeva all implementazione del referto del controllo di gestione per l anno
2007; inoltre si iniziava ad implementare il controllo di gestione per l anno
2008, attraverso un lavoro di inserimento degli indicatori in un apposito
software di cui poi parleremo nel prosieguo di questa tesi.
PARTE PRIMA
L evoluzione delle autonomie
locali e decentramento
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
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CAPITOLO PRIMO
Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
1.1. Le origini
Nella Costituzione del 1948 si procedette ad affermare il principio
autonomistico: come recita l articolo 5, infatti, la Repubblica, una e
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il piø ampio decentramento amministrativo, adegua i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell autonomia e del
decentramento . Tale proclamazione dell autonomia f a in modo che vengano
riconosciute a Comuni e Province, enti esponenziali di collettivit territoriali,
potest pubbliche nel perseguimento di finalit e d i interessi propri delle
rispettive collettivit , secondo un proprio indiriz zo politico-amministrativo,
distinto e relativamente indipendente da quello statale. Questo attraverso
garanzie che possono estendersi a diversi aspetti, dal carattere elettivo degli
organi alla delimitazione dei controlli, dall ampiezza e rilievo delle funzioni
alla adeguatezza dei mezzi finanziari per farvi fronte1.
Dopo aver stabilito questo principio, il Costituente del 48 non riserv
molto spazio o attenzione agli enti locali; infatti gli articoli del Titolo V,
dedicato a le Regioni, le Province, i Comuni 2, erano gran parte dedicati
proprio alle Regioni, mentre a Comuni e Province facevano riferimento poche
disposizioni; ci perchØ le questioni che riguardavano l ordinamento regionale
erano percepite come piø problematiche e politicamente rilevanti. Invece il
fatto che il sistema comunale e provinciale presentasse una importanza
esclusivamente amministrativa e, al tempo stesso, una tradizione solida e
radicata, indusse ad un dibattito assai meno vivace, approfondito e innovativo.
1
VANDELLI L., Il sistema delle autonomie locali, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 21, 22.
2
Titolo V della Costituzione.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
11
Per questo il sistema locale italiano Ł rimasto a lungo regolato, in
larghissima parte, da normative emanate in epoca precostituzionale, a loro
volta spesso ripetitive di schemi e formule risalenti ad epoca assai piø antica.
Prima del 1990 vi sono stati interventi legislativi sulle autonomie locali, ma
si Ł trattato principalmente di interventi che interessavano profili specifici,
mentre la parte essenziale dell ordinamento comunale e provinciale rimaneva
regolata da disposizioni contenute nel T.U. 3 marzo 1934, n. 383 e nel T.U. 4
febbraio 1915, n. 148, nonchØ del regolamento n. 297 del 1911. Infatti tali
interventi riguardavano la materia attinente alle elezioni dei Consigli comunali
e provinciali (si pensi al T.U. n. 570 del 1960, e successive modificazioni; alla
legge 122 del 1951, sulla elezione dei Consigli provinciali; alla legge 154 del
1981, in materia di ineleggibilit ed incompatibili t ); la materia dei controlli
(legge 62 del 1953) o del decentramento urbano (legge 278 del 1976); o,
ancora, gli interventi che hanno riconosciuto funzioni agli enti locali, a partire
dal DPR 24 luglio 1977, n. 616, attuativo della legge 382 del 1975; oppure
quelli che hanno delineato nuovi moduli di aggregazione a livello
intercomunale (come le Comunit montane, disciplina te dalla legge 1102 del
1971)3.
1.2. L istituzione delle Regioni a statuto ordinario
Nonostante le Regioni fossero presenti fin dalle origini nella Carta
costituzionale, esse dovettero aspettare piø di venti anni prima di essere
effettivamente istituite. Le Regioni a statuto speciale, Sicilia, Sardegna,
Trentino-Alto Adige, Valle d Aosta e Friuli Venezia Giulia, infatti vennero
istituite molti anni prima, tra il 1944 e il 1946, con l eccezione del Friuli
Venezia Giulia che ebbe l autonomia nel 1963.
L istituzione delle Regioni a statuto ordinario fu resa possibile
dall approvazione della legge per l elezione dei Co nsigli regionali (legge 17
3
VANDELLI L., Il sistema delle autonomie locali, op. cit., pp. 25, 26.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
12
febbraio 1968, n. 108) e di quella con i necessari provvedimenti finanziari
(legge 16 maggio 1970, n. 281).
Tuttavia, anche con il supporto della giurisprudenza della Corte
costituzionale, prevalse allora l opinione che, una volta costituite, le Regioni
non potessero esercitare direttamente le funzioni loro spettanti sulla base della
Costituzione, ma dovessero attendere che a questa fosse data attuazione con le
leggi di passaggio alle Regioni, da un lato, delle funzioni statali ad esse
attribuite e, dall altro lato, dei funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle
amministrazioni centrali, che risultasse necessario in base al nuovo
ordinamento. Per ogni trasferimento di funzioni e personale per , finiva per
rendersi necessaria una trattativa per conciliare i contrapposti interessi degli
organi statali e delle Regioni. Le previsioni costituzionali inoltre, non
aiutavano a superare tali difficolt : la loro indet erminatezza sugger allora ad
alcuni autori di sostenere che quella relativa alla individuazione delle funzioni
regionali null’altro era che una pagina bianca de lla Costituzione, destinata ad
essere riempita dal legislatore ordinario con il solo vincolo del rispetto dei
nomi utilizzati dall’art. 117 Cost. per definire le materie di competenza
regionale, e con l’obbligo di attenersi a criteri di coerenza e ragionevolezza
nelle conseguenti scelte di dettaglio4.
Il primo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni venne disposto, in
base a legge delega del Parlamento, con undici decreti legislativi del gennaio
1972. Tuttavia questi ricalcavano modelli di trasferimento gi praticati dallo
Stato nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale all’atto dell’adozione
dei decreti legislativi di attuazione degli Statuti di queste, adottando molteplici
tecniche di ritaglio delle materie regionali, in modo da trasferire alle Regioni
soltanto una parte delle funzioni incidenti su quelle materie e conservare,
quindi, in capo allo Stato quelle ritenute di interesse nazionale.
Pochi anni dopo, con la legge di delega 22 luglio 1975, n. 382, si fece il
tentativo di far adottare al Governo decreti di riorganizzazione dell’apparato
4
BARTOLE S., BIN R., FALCON G., TOSI R., Diritto regionale. Dopo le riforme, Il Mulino,
Bologna 2003, p. 15.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
13
dello Stato e decreti per un nuovo trasferimento di funzioni alle Regioni, che,
alleggerendo il peso dei compiti amministrativi gravanti sugli uffici dello
Stato, agevolasse la riorganizzazione di questi. L’abbinamento non and al di
l delle dichiarazioni di intenti, e il legislatore delegato fu solo in condizione di
portare a compimento il secondo corno del mandato, disponendo, con il D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616, un ulteriore passaggio di funzioni dallo Stato alle
Regioni ordinarie. L’operazione risult di grande r ilievo in quanto, anzichØ
affidarsi soltanto ai tradizionali elenchi delle funzioni trasferite, il Governo,
stimolato e sostenuto dal Parlamento, si preoccup innanzitutto di definire i
contenuti di massima della materie oggetto del trasferimento, cos lasciando
chiaramente intendere che quegli elenchi avevano una portata meramente
esemplificativa. Molti ritagli e altre limitazioni delle competenze regionali
vennero pertanto a cadere, anche se chi predicava l’esclusivit delle
attribuzioni regionali non poteva ritenersi soddisfatto, risultando le attivit di
Stato e Regioni ancora strettamente interconnesse e reciprocamente
dipendenti5.
1.3. Le Riforme degli anni ’90
Dopo un periodo di rallentamenti e difficolt , l’attenzione per le riforme
istituzionali, mostrata nel dibattito politico negli anni 1988-90, ha consentito
l’approvazione, con la legge 8 giugno 1990, n. 142, di un nuovo ordinamento
delle autonomie locali.
La legge 142 ridefin gli assetti del sistema comunale e provinciale sulla
base di alcuni criteri. In primo luogo viene riconosciuta a Comuni e Province
l Autonomia statutaria6, che avrebbe dovuto portare a stabilire le norme
fondamentali per l organizzazione dell ente, determ inando, in particolare, le
attribuzioni degli organi, l ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le
5
Ibidem, p. 16.
6
Legge 142 del 1990, art. 2.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
14
forme di decentramento e di accesso dei cittadini alle informazioni ed ai
procedimenti amministrativi.
Gli statuti dovevano comunque rimanere nell ambito dello schema definito
dalla legge, con organi di governo ben precisi, identificati, sia per il Comune
che per la Provincia, in una assemblea elettiva (Consiglio), in un collegio
esecutivo (Giunta) e in un organo monocratico (Sindaco o Presidente della
Provincia). Al Consiglio spetta un ruolo di indirizzo e controllo, adottando gli
atti fondamentali tassativamente indicati dalla legge (statuti, regolamenti,
bilanci, piani, programmi, ecc.); la Giunta Ł in possesso della competenza
generale-residuale; il Sindaco e il Presidente della Provincia rappresentano
l ente, convocano e presiedono il Consiglio e la Giunta, sovrintendono al
funzionamento dei servizi e degli uffici nonchØ all esecuzione degli atti7.
Per quanto riguarda la forma di governo vi sono pochi ritocchi, con
l elezione del Sindaco o del Presidente della Provincia e della Giunta che
spetta al Consiglio e si effettua con unica votazione, a scrutinio palese e con
maggioranza assoluta. Vi Ł poi la possibilit , per ci che concerne la
composizione della Giunta, di eleggere assessori, quando Ł previsto dallo
statuto, dei cittadini che non fanno parte del Consiglio.
Nel complesso si tende a circoscrivere il ruolo degli organi elettivi,
valorizzando i compiti e le responsabilit del segr etario e dei dirigenti, cui
spetta in generale l attuazione degli obiettivi fissati dai primi.
Vengono poi previste varie forme associative tra gli enti locali (unioni di
Comuni, consorzi, convenzioni, accordi di programma) per la gestione
associata di uno o piø servizi8. Alle Province viene riconosciuto un ruolo
rilevante sia nella programmazione, sia nella gestione di funzioni
amministrative di una serie di settori (difesa del suolo e ambiente, beni
culturali, trasporti, caccia e pesca, smaltimento rifiuti ecc. ecc.)9.
Per la prima volta, inoltre, vengono previste le aree metropolitane,
situazioni urbane espressamente indicate dalla legge (Torino, Milano, Venezia,
7
Ibidem, artt. 30 e 32.
8
Ibidem, artt. 24 27.
9
Ibidem, artt. 14 16.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
15
Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli) dove, in luogo della Provincia,
si istituisce la Citt metropolitana, a cui spettan o, oltre alle funzioni
normalmente spettanti alla Provincia, una serie di funzioni attribuite,
nell ambito delle materie indicate dalla stessa 142, dalla legge regionale10.
Per la gestione dei servizi pubblici da parte di Comuni e Province si prevede
una pluralit di forme, tra cui la societ per azio ni a prevalente capitale
pubblico, l azienda speciale e, per l esercizio di servizi sociali, l istituzione11.
I controlli sugli atti vengono circoscritti ai soli atti del Consiglio, mentre per
gli atti della Giunta si configura un controllo meramente eventuale, su
richiesta. I controlli sugli organi sono invece riservati allo Stato; la legge
regola le varie cause che possono dar luogo a rimozione e sospensione di
amministratori o a scioglimento dei Consigli (tra le quali la maggiore novit Ł
rappresentata dall ipotesi di ritardo nella elezione degli esecutivi)12.
La legge 142 opera un complessivo rinvio ad un futuro provvedimento di
riordino della materia, limitandosi a indicare alcuni principi di carattere
generale, a partire da quelli di autonomia finanziaria fondata su certezza di
risorse proprie e trasferite e di potest impositiv a autonoma. Si riaffermano i
principi di universalit , integrit e pareggio econ omico e finanziario, mentre la
novit di maggiore rilievo attiene alla introduzion e di organi di revisione
economico-finanziaria a composizione esterna al Consiglio e tecnicamente
qualificata13.
Complessivamente alle Regioni viene riconosciuta una serie di compiti non
marginali, per quanto attiene alla disciplina delle funzioni, alle procedure della
programmazione, alle forme di associazione e di collaborazione, alla revisione
delle circoscrizioni, alle aree metropolitane, ai controlli ed anche, sotto qualche
profilo, al riparto delle risorse finanziarie. Ci non significa che la legge 142
abbia reciso i tradizionali legami tra l amministrazione statale e gli enti locali;
lo stesso ruolo del prefetto risulta, sotto vari profili, ribadito. In tal senso,
10
Ibidem, artt. 17 21.
11
Ibidem, artt. 22 e 23.
12
Ibidem, artt. 39 50.
13
Ibidem, artt. 54 57.
1. Il decentramento italiano dal dopoguerra ad oggi
16
significative sono le disposizioni in materia di controlli sugli organi e di
compiti svolti dal Comune nei servizi di competenza statale, con la conferma
delle varie forme di supremazia nei confronti del Sindaco quale ufficiale di
Governo14.
Con la 142 il legislatore deline il riordino degli enti locali; si limit , in
un ampia e rilevante serie di aspetti, a tracciare alcune direttrici di fondo,
affidandone lo sviluppo a fonti statali, regionali, locali. Si intendeva perci
avviare un processo di rinnovamento complessivo del sistema locale nei suoi
vari profili, da quelli funzionali a quelli piø tipicamente organizzativi.
Tuttavia, lo sviluppo di questo processo si Ł mosso lungo direttrici tutt altro
che lineari, tra vistosi ritardi, riforme di grande rilievo, interventi parziali ed
estemporanei. Tra i ritardi piø rilevanti vi sono i temi fondamentali della
finanza locale e dell autonomia impositiva; e attendono ancora attuazione le
previsioni sulle Citt metropolitane o sulle fusion i dei piccoli Comuni.
Altra legge di grande importanza, che va a modificare il contesto in cui si
colloca la 142, Ł la legge 81 del 25 marzo 1993, sulla elezione diretta del
Sindaco e la riforma del sistema elettorale per i Consigli.
Stabilendo che il Sindaco e il Presidente della Pr ovincia sono eletti dai
cittadini a suffragio universale e diretto 15 e, conseguentemente, nell assegnare
ad essi il potere di nominare e di revocare i componenti della Giunta, la legge
81 ha ridisegnato tratti essenziali del sistema di governo locale. La legge, in
particolare, prevedeva l elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle
Province, con sistema a doppio turno per le Province ed i Comuni maggiori,
mentre nei Comuni inferiori a 15.000 abitanti si applica un sistema a turno
unico; l elezione dei Consigli comunali e provinciali secondo sistemi
differenziati per Province, Comuni superiori a 15.000 abitanti, Comuni
inferiori, ma tutti basati su collegamenti con la candidatura a Sindaco o a
Presidente tenendo a garantire a questi ultimi una consistente maggioranza in
Consiglio; l accentuazione della separazione e della reciproca autonomia tra
14
VANDELLI L., Il sistema delle autonomie locali, op. cit., p.29.
15
Legge 81 del 1993, art. 6, comma 1.