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Introduzione
Nell’ambito degli studi inerenti alla psicologia cognitiva, un’area di indagine
importante riguarda i disturbi specifici dell’apprendimento.
Il termine disturbo di apprendimento si riferisce ad un gruppo eterogeneo di
disturbi manifestati da significative difficoltà nell’acquisizione e nell’utilizzo
di abilità di ascolto, espressione orale, lettura, ragionamento e delle abilità
matematiche, presumibilmente dovuti a disfunzioni del sistema nervoso
centrale.
Possono coesistere con i disturbi dell’apprendimento problemi nei
comportamenti di autoregolazione, nella percezione e nell’interazione sociale,
ma non costituiscono di per se un disturbo dell’apprendimento.
Tutti i disturbi dell’apprendimento possono verificarsi in concomitanza con
altri fattori di handicap o con influenze estrinseche (culturali, d’istruzione ecc.
ecc.), ma non sono il risultato di quelle indicazioni o influenze.
L’analisi dei disturbi dell’elaborazione numerica e del calcolo, definita più
propriamente con il termine di discalculia evolutiva, rientra in tale area di
indagine.
Questo lavoro sperimentale è diretto proprio ad analizzare nello specifico la
discalculia evolutiva ed il rapporto tra le difficoltà di calcolo e gli altri disturbi
di apprendimento.
Partendo dal concetto di numerosità come caratteristica innata negli animali e
nei neonati, nel primo capitolo analizzeremo alcuni aspetti delle abilità
matematiche, come le tappe di acquisizione nei bambini, le strutture cerebrali
coinvolte ed i principali modelli neuropsicologici di riferimento.
Una volta delineate le basi teoriche delle abilità matematiche, nel secondo
capitolo entreremo maggiormente nel dettaglio del disturbo, descrivendo la
sintomatologia, la diagnosi e le principali classificazioni che riguardano la
discalculia evolutiva, con riferimento particolare al problema della
comorbidità.
La terza parte è dedicata alla ricerca sperimentale, la cui struttura può essere
suddivisa in tre fasi distinte: una prima fase di screening, utile per identificare
le frequenze dei vari disturbi di apprendimento esaminati; una seconda fase di
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approfondimento, per analizzare più specificatamente le caratteristiche del
disturbo di discalculia; una terza fase nella quale verranno approfonditi i
possibili correlati cognitivi delle abilità matematiche, con lo scopo di
esaminare le caratteristiche cognitive dei bambini con difficoltà di calcolo.
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CAPITOLO I
Le basi teoriche delle abilità matematiche
In questo primo capitolo verrà proposta una panoramica generale riguardo i
principali aspetti delle abilità matematiche, sia dal punto di vista evolutivo che
dal punto di vista cognitivo.
Partendo dalle evidenze sperimentali che considerano il concetto di numerosità
innato sia negli animali che nei neonati, verranno descritte le più importanti
tappe di apprendimento delle capacità aritmetiche nei bambini.
Successivamente, attraverso le ipotesi accumulatesi negli anni, si analizzerà il
ruolo di alcune strutture cerebrali coinvolte nell’analisi matematica.
Infine verranno presentati i principali modelli neuropsicologici di riferimento,
che hanno come obiettivo quello di identificare l’architettura cognitiva del
sistema aritmetico.
1.1 La numerosità come concetto innato negli animali e
nei neonati
Lerner (1981) definisce la matematica come “un linguaggio universale che
rende gli individui in grado di operare, registrare e comunicare idee inerenti gli
elementi e le loro relazioni di quantità”. Definire le relazioni tra varie quantità
non significa altro che codificare semanticamente un numero, attraverso una
rappresentazione concettuale che corrisponde al significato stesso di numero.
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Proprio lo stabilire relazioni di quantità tra gli elementi della realtà offre una
considerevole possibilità adattiva e ci sono ragioni per poter ritenere che queste
abilità siano filogeneticamente antiche e già presenti in specie subumane
(Dehaene, 2000), sia pure in forme rudimentali e non certamente come
linguaggi formalizzati.
La capacità di prestare attenzione alle caratteristiche di numerosità e di
manipolarle internamente attraverso elementari operazioni è presente in
determinati animali in assenza di precedente apprendimento.
Hauser, Carey e Hauser (2000) descrivono i risultati di 225 prove sperimentali
effettuati su un gruppo di scimmie di un’isola di Portorico. Nell’esperimento
ogni scimmia veniva posta di fronte a due contenitori, nei quali
successivamente due ricercatori, in tempi diversi e assicurandosi che lo
sguardo della scimmia fosse orientato nella giusta direzione, inserivano pezzi
di mela, in quantità però sempre differenti (ad esempio 2-1; 3-2; 4-3; 8-3).
I risultati evidenziano come le scimmie scegliessero, con preferenza costante, il
contenitore nel quale si trovavano più pezzi di mela. La preferenza mostrata era
statisticamente significativa fin quando una o entrambe le alternative, costituite
dal numero di pezzi di mela, non superava i quattro elementi.
Quindi, secondo tali prove sperimentali, alcuni animali possiederebbero una
innata capacità di rappresentazione numerica, che però appare limitata a
determinate e ristrette quantità numeriche.
Queste elementari abilità numeriche riscontrate negli animali sono molto simili
a quelle identificate nei neonati precedentemente alla scolarizzazione e perfino
allo sviluppo delle abilità linguistiche. Ben prima del loro ingresso alla scuola
elementare ed indipendentemente dal coinvolgimento degli adulti in atti di
insegnamento formale, i bambini mostrano un livello di competenza sui numeri
e sui calcoli superiore a quanto era stato ipotizzato negli studi di Piaget (1952).
Starkey e Cooper (1980) hanno evidenziato per la prima volta discriminazioni
visive della numerosità in neonati che si trovavano tra i 6 ed i 7 mesi di vita
attraverso l’utilizzo del classico metodo dell’abituazione, che prevede il
rilevamento costante dei tempi di osservazione degli stimoli.
I neonati venivano posti di fronte a schermi in un set sperimentale nel quale era
possibile osservare, tramite telecamere, sia la direzione dello sguardo del
soggetto, che ciò che compariva all’interno dello schermo. Successivamente ai
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neonati veniva presentata una immagine contenente 2 punti neri. L’immagine
veniva riproposta continuamente fino a che il tempo di osservazione del
neonato non diminuiva, indicando l’avvenuta abituazione. A questo punto
veniva presentata una immagine identica ma con un numero diverso di punti, 3.
I risultati evidenziavano un significativo aumento del tempo di osservazione
dello stimolo, indicando la presenza di disabituazione e quindi, secondo gli
autori, l’avvenuta discriminazione tra numerosità differenti (2-3). Tuttavia tali
risultati non si ripetevano nel caso in cui venivano aumentati i punti al di sopra
del numero 3. Osservazioni di 4 o più punti non mostravano aumenti
consequenziali e significativi a livello statistico del tempo di osservazione,
stabilendo una sorta di limite discriminativo.
Questo limite fu esaminato successivamente da Xu e Spelke (2000), che
decisero di sperimentare la possibilità che neonati di 6 mesi potessero essere in
grado di discriminare anche quantità più elevate di numerosità, sia all’interno
di confronti con ampie differenze tra le numerosità (8-16), che all’interno di
confronti tra numerosità più ravvicinate (8-12).
Nel primo esperimento il gruppo di neonati conteneva otto maschi ed otto
femmine, con una età media di 6 mesi e 4 giorni. Anche in questo caso, come
nell’esperimento precedente, utilizzando il metodo dell’abituazione, gli
sperimentatori avevano la possibilità di controllare contemporaneamente sia
ciò che compariva all’interno del monitor, che la direzione dello sguardo dei
neonati. Le immagini stimolo (ovvero le quantità da discriminare) erano
costituite da punti neri proiettati sullo sfondo bianco del monitor. Nella prima
fase vennero formati due gruppi contenenti lo stesso numero di maschi e
femmine, sottoposti rispettivamente all’abituazione tramite le immagini con 8 e
16 elementi. Successivamente, raggiunta l’abituazione, ai neonati venivano
presentati 6 prove, nelle quali le immagini con 8 punti e quelle con 16 punti
venivano alternate, in un ordine ortogonalmente controbilanciato. Analizzando
le medie di osservazione delle sei prove sperimentali gli autori notarono come i
neonati osservavano più a lungo le nuove numerosità, rispetto a quelle familiari
della sessione di abitazione.
Il secondo esperimento fu eseguito attraverso l’utilizzo dello stesso metodo
dell’esperimento precedente. Anche in questo caso il gruppo di neonati era
costituito da otto maschi ed otto femmine. L’unica differenza era rappresentata
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dalla sostituzione delle immagini con 16 punti, attraverso l’introduzione di
immagini con 12 punti.
Analizzando i risultati però gli autori notarono come, successivamente
all’abituazione, i neonati presentavano, all’interno delle sei prove sperimentali,
tempi di osservazioni all’incirca uguali sia per le immagini familiari che per le
immagini nuove. Non si osservava nessuna differenza statistica in seguito
all’osservazione di numerosità differenti.
Quindi i neonati sembrano possedere una rappresentazione dei numeri
all’interno della quale l’imprecisione cresce in maniera inesorabilmente
proporzionale al numero che deve essere analizzato. Di conseguenza soltanto
numeri veramente piccoli, all’incirca fino al 3, possono essere analizzati
correttamente, a meno che il compito di discriminazione non sia inserito
all’interno di un confronto tra quantità distanti nella linea dei numeri (es. 8-16).
Le profonde analogie tra le abilità dei neonati e degli animali evidenziano una
vera e propria continuità filogenetica e ipotizzano l’esistenza di un modulo
numerico innato che consente di riconoscere le numerosità e i vari mutamenti
all’interno di insiemi ridotti, il tutto in un contesto evolutivo pre-simbolico e
pre-linguistico.
Wynn (1992) pone l’accento sulle espressioni e sui comportamenti dei neonati
che fanno seguito ad elementari modificazioni aritmetiche tramite oggetti,
come 1+1 = 2 o 2–1 = 1. Le evidenti reazioni e le modificazioni delle
espressioni facciali nei casi di manipolazioni errate da parte dello
sperimentatore (es. 1+1 = 1) suggeriscono la presenza di particolari aspettative
riguardo la natura dei numeri.
Wynn pensa che nella mente dei neonati, come in altre specie animali, agisca
un meccanismo a contatore che emette dei battiti ad intervalli costanti; i battiti
così emessi vengono passati ad un accumulatore ogni volta che una nuova
entità deve essere contata. La percezione della numerosità corrisponde alla
numerazione alla quale è arrivato il contatore. Il meccanismo a contatore non
ha nulla a che vedere con il nome del numero (uno, due, tre ...), che deve essere
appreso e, in qualche modo, associato al contatore. E' necessario perciò un
adeguato periodo di tempo per coordinare tra loro la rappresentazione del
numero (sia essa verbale o grafica) e il contatore interno. Solo dopo aver
raggiunto questo apprendimento il bambino sarà in grado di contare in modo
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automatico utilizzando l'output verbale. Ovviamente non è in grado di
utilizzare l'output grafico in quanto ancora non sa scrivere i numeri.
1.2 Le tappe di sviluppo delle abilità matematiche
I neonati dunque sembrano rispondere alle proprietà numeriche del loro mondo
visivo senza i benefici delle abilità linguistiche, del ragionamento astratto o
della possibilità di manipolare il loro mondo.
Uno dei primi e probabilmente dei più importanti contatti tra il senso dei
numeri dei neonati e gli strumenti concettuali proposti dalla cultura matematica
è il counting (abilità di conteggio).
Il counting assume le sembianze di un vero e proprio ponte di collegamento tra
l’innata capacità dei bambini dimostrata nei giudizi di numerosità e le più
avanzate conoscenze matematiche, che variano dipendentemente dalla cultura
nella quale il bambino è immerso.
L’acquisizione del conteggio avviene tra i 2 ed i 4 anni nei bambini con
sviluppo nella media ed all’incirca intorno ai 6 anni vengono acquisite le
capacità necessarie per utilizzare il counting dipendentemente dalle richieste
esterne ed in maniera simile all’utilizzo degli adulti.
Gelman e Gallistel (1978) hanno identificato le capacità, da loro denominate
principi, necessarie per essere in grado di utilizzare l’abilità di conteggio. Per
gli autori tra i 2 ed i 3 anni il bambino apprende il principio dell’ordine stabile,
secondo cui deve conoscere la sequenza di numeri, immodificabile ed
indispensabile, per contare, per esempio, cinque oggetti (uno, due, tre…… ecc
sempre nello stesso ordine) ed il principio di relazione biunivoca, per cui
durante la fase di counting un oggetto è legato sempre e solo ad un unico
aggettivo numerico. Successivamente tra i 3 ed i 4 anni troviamo il principio di
cardinalità, secondo cui il bambino deve essere in grado di definire il numero
di oggetti contati attraverso l’ultimo numero della sequenza presa in
considerazione (es. uno, due, tre. Tre matite sul tavolo). Superati i 4 anni il
bambino deve acquisire due ulteriori principi per rafforzare l’apprendimento