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INTRODUZIONE
In Europa le relazioni industriali si sono svolte, nella maggior parte dei paesi e
con gradi differenti, nell‟ambito di un contesto corporativo. L‟unica eccezione è
rappresentata dalla Gran Bretagna che, anche per tradizioni antiche, ha visto prevalere
un assetto pluralista.
1-LA DEFINIZIONE DI CORPORATIVISMO
Il termine corporativismo, nell‟ambito delle relazioni del lavoro, è anche spesso
definito “corporativismo sociale” o “democratico” per distinguerlo da quello
“autoritario” in cui i gruppi di interesse
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venivano completamente controllati dallo
stato. La definizione più chiara e che ha avuto più successo nella letteratura è quella di
Schmitter (1974)
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che ne individua due significati sostanziali:
1) Il corporativismo si riferisce ad un sistema di rappresentanza nel quale
i gruppi di interesse sono organizzati in associazioni nazionali,
specialistiche, gerarchiche e monopolistiche.
2) Il secondo significato di corporativismo fa riferimento
all‟incorporazione dei gruppi di interesse nel processo di formazione
delle politiche pubbliche. Tale processo viene anche definito
“concertazione”.
La caratteristica dei gruppi di interesse corporativi è di essere relativamente grandi
nelle proprie dimensioni e relativamente limitati nel numero. Essi sono ulteriormente
coordinati in organizzazioni di vertice a livello nazionale.
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Un gruppo di interesse può essere definito come un insieme di persone, organizzate su basi volontarie,
che mobilita risorse per influenzare decisioni e conseguenti politiche pubbliche.
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Schmitter, P.C. (1974), Still the Century of Corporatism? in “Review of Politics”, 36, pp. 85-131; e in
Schmitter e Lehmbruch (1979, pp. 7-52); trad. it. Ancora il secolo del corporativismo? in La Società
Neocorporativa, a cura di M. Maraffi, Bologna, Il Mulino, 1981.
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Per quanto riguarda la “concertazione”, essa implica il verificarsi di consultazioni
regolari da parte dei leaders di queste associazioni di vertice tra di loro e con i
rappresentanti del governo. Questo accade per lo più per arrivare ad accordi tripartiti
che vincolano, appunto, le associazioni dei lavoratori, le associazioni degli imprenditori
e il governo.
2-LE BASI STORICHE PER LO SVILUPPO DEL CORPORATIVISMO
Storicamente lo sviluppo di una realtà corporativa è riconducibile a determinati
eventi storici che avvengono agli inizi del 1900. L‟affermazione della società di massa
con la sua visione collettivistica (contrapposta all‟individuo atomizzato)
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vede la
formazione di grandi organizzazioni burocratiche (Weber, 1922): lo stato, l‟azienda, il
partito politico di massa (Michels, 1911), il sindacato. A livello economico, vi è
l‟integrazione tra interessi finanziari e industriali, sorgono nuovi metodi di produzione
basati sull‟economia di scala, grandi uffici e grandi fabbriche. Hilferding (1910)
definisce questo contesto socio-economico “il capitalismo organizzato”.
In questo periodo, molti movimenti sindacali cominciano ad organizzarsi in
confederazioni che costituiranno l‟embrione di organizzazioni complesse e durature.
Da un punto di vista istituzionale, l‟era dell‟organizzazione vede l‟affermarsi
della contrattazione collettiva
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(sebbene ad un livello locale) in quasi tutti i paesi
europei, con l‟eccezione di Belgio, Francia ed Europa meridionale. È la Danimarca il
paese più avanzato per quanto riguarda la contrattazione collettiva. Infatti viene firmato
3
Emblematico di questa condizione di solitudine e “atomizzazione” dell‟uomo è lo studio di Emile
Durkheim (1858-1917) sulle società complesse e sul rischio dell‟anomia. Con tale termine il sociologo
francese indica l‟assenza di norme morali condivise e il conseguente smarrimento del singolo individuo.
Durkheim intravede nel corporativismo una delle cure dell‟ anomia.
4
La funzione della contrattazione collettiva è quella di far valere determinate condizioni di lavoro per
tutti i soggetti che forniscono una prestazione ad un datore di lavoro.
3
il primo accordo tra confederazioni antagoniste (Hovedafteling) che ha carattere
nazionale ed è valido per molti settori. Inoltre, il movimento sindacale danese ha un
alto grado di articolazione e un sistema di rappresentanza a livello aziendale (negli altri
casi, Gran Bretagna a parte, i sindacati locali sono esterni alle fabbriche). Sistemi
avanzati di contrattazione collettiva esistono anche in Svizzera e nel Regno Unito. In
Germania ed in Austria i lavoratori non sono più totalmente esclusi dalla vita politica e
si creano commissioni elette di lavoratori per la gestione di pensioni e assistenza
sociale (Traxler, 1982; Heidenheimer, 1980; Weitbrecht e Berger, 1985).
Tuttavia, la contrattazione collettiva rimane limitata alle professioni
specializzate e a livello locale. Inoltre, nonostante i governi promuovano strategie per
inglobare i rappresentanti dei lavoratori in qualche forma di integrazione nazionale
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,
non ci si trova di fronte ad una fitta rete di relazioni, ma solo a sporadiche ed isolate
iniziative. Per questi motivi non siamo ancora in presenza di un contesto corporativo.
Le relazioni industriali organizzate tra le due guerre subiscono una
trasformazione notevole dovuta alla situazione bellica. Prima e durante il conflitto
acquisisce una priorità assoluta l‟integrazione nazionale. I movimenti dei lavoratori
acquisiscono un ruolo importante, vengono incorporati nelle politiche dello stato; in
molti dei paesi belligeranti (Austria, Francia, Germania, Regno Unito) le
organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro sono coinvolte nei piani di guerra. Si
intensificano gli sforzi per mantenere l‟unità nazionale e per organizzare la produzione
e la distribuzione.
Il periodo immediatamente successivo alla „Grande Guerra‟ vede la ripresa del
processo di incorporazione del lavoro e un suo rafforzamento tramite l‟organizzazione
5
Gli assetti corporativi prevedono sia un ruolo dei governi nella contrattazione salariale sia un
coinvolgimento dei sindacati nella formazione delle scelte di politica economica.
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internazionale del lavoro (OIL) che stimola le nazioni a coinvolgere il lavoro nelle loro
politiche. In Austria, Belgio, Germania, Francia, Paesi Bassi sono istituiti consigli dei
lavoratori nelle fabbriche e agenzie consultive a livello nazionale. In Gran Bretagna, si
formano organismi consultivi congiunti a tutti i livelli e in tutti i settori (i cosiddetti
Whitley Councils). Singolare è il caso della dittatura di Primo de Rivera in Spagna dove
intorno agli anni Venti si ha uno sviluppo istituzionale particolare. Grazie all‟appoggio
alla dittatura del sindacato socialista, l‟Uniόn General de Trabajadores (UGT) (Ben-
Ami, 1985) si crea in Spagna una struttura di comités paritarios che si estende dal
livello aziendale a quello politico nazionale e nel quale sono rappresentati sia i
lavoratori che i datori di lavoro. I comités hanno compiti di consultazione e di
partecipazione alla gestione degli organismi amministrativi nazionali. Queste strutture
sono da considerare, a tutti gli effetti, forme di rappresentanza autonoma dei lavoratori
e degli imprenditori. Diversamente avviene nelle dittature italiana e portoghese dove i
regimi fascisti aboliscono le istituzioni autonome prima di avviare una struttura
corporativa autoritaria.
Anche alla vigilia della seconda guerra mondiale (precisamente nei sei anni tra
il 1933 e il 1939) le relazioni industriali di molti paesi sono interessate da grandi
cambiamenti, ma non vi è ancora l‟affermazione di un contesto corporativo maturo. In
Germania, Austria e Spagna il sindacalismo autonomo fu distrutto. Hitler, che in un
primo momento aveva appoggiato le strategie laburiste corporative, liquida
successivamente ogni forma d‟istituzione che non sia direttamente controllata dal
regime. Anche l‟annessione dell‟Austria comporta l‟immediata cancellazione, da parte
dei tedeschi, di alcune istituzioni autonome di tipo corporativo, create dall‟ala cattolica
del sindacato austriaco.
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A parte il caso delle dittature fasciste e naziste che vanno verso regimi di tipo
totalitario o semi-totalitario, i paesi scandinavi e la Svizzera sviluppano un modello di
relazioni industriali neocorporativo (allo stato iniziale). Si formano sistemi di
contrattazione, consultazione, mediazione e amministrazione, specie a livello
nazionale, in cui le confederazioni dei sindacati e dei datori di lavoro sono i soggetti
principali.
Gli anni del secondo dopoguerra sono legati alla necessità di una rapida
ricostruzione e vedono una convergenza quasi generale degli stati europei verso un
modello di stretta cooperazione tra capitale, lavoro e stato nelle politiche economico-
sociali. È a partire da questo periodo che si sviluppa uno scambio politico generalizzato
in molti paesi (con tratti marcati in Scandinavia e Austria). Con tale pratica si intende
lo scambio di potere politico tra i tre soggetti che di norma caratterizzano le relazioni
industriali: il sindacato, le associazioni imprenditoriali e lo stato. Detti soggetti
sviluppano una complessa rete di relazioni su temi vari che, di solito, riguardano
dinamiche salariali, d‟occupazione e strategie di pianificazione economica. L‟elemento
fondamentale in questo scambio politico nelle relazioni industriali è che gli attori
centralizzati di capitale e lavoro condividono uno spazio nella pubblica
amministrazione. In Scandinavia le organizzazioni sindacali e imprenditoriali sono
coinvolte in estesi accordi di consultazione e di gestione di politica economica. Anche
in Austria, a livello d‟azienda, troviamo un sistema di consigli di fabbrica dominati dai
sindacati. In Svizzera le confederazioni e gli altri organismi centrali sono integrati a
livello governativo. In Belgio e in Olanda il governo impone alle parti sociali forme di
cooperazione. Questi due paesi hanno una caratteristica comune che è il
“consociazionismo” (Crouch, 1986). Con tale termine si intende definire un sistema di
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governo in cui lo spazio politico è condiviso tra vari gruppi che sono divisi per ragioni
religiose (frattura tra calvinisti e cattolici) e per ragioni culturali. In tale contesto lo
stato ha bisogno di cooptare i gruppi esistenti nella società civile perché, per la forza
dei conflitti interculturali, non è in grado di monopolizzare lo spazio politico.
Quest‟incorporazione di differenti comunità nella gestione delle funzioni pubbliche
favorisce uno sviluppo in senso corporativo. In Olanda si formano due nuove istituzioni
di carattere neocorporativo: la Fondazione del Lavoro che media sulle questioni
dell‟occupazione e il Consiglio Sociale ed Economico che si occupa di questioni
politiche. Nella Repubblica Federale Tedesca i lavoratori acquisiscono importanti diritti
di elezione: possono eleggere un terzo del comitato di controllo di una (grande) società
e hanno il diritto di eleggere i consigli di fabbrica. Anche in Gran Bretagna si sviluppa
una forma di corporativismo perché le associazioni di interesse vengono coinvolte
nell‟attività di politica economica, ma bisogna sottolineare che le funzioni di queste
associazioni sono solo di carattere consultivo e informativo e quasi mai hanno potere
decisionale negli organismi amministrativi (Olsen, 1983).
Gli anni Sessanta vedono una prosecuzione delle politiche neocorporative nei
paesi scandinavi e in Austria. Lo scambio politico generalizzato è consolidato o in
rapido sviluppo, le organizzazioni del capitale e lavoro sono potenti e articolate. Anche
Germania, Svizzera e Olanda si avvicinano allo scambio politico generalizzato sebbene
con sindacati più deboli di quelli scandinavi.
Gli anni Settanta sono attraversati dalla crisi petrolifera e dal conseguente
aumento vertiginoso dell‟inflazione. La risposta di molti stati a questo mutato quadro
economico è l‟intensificazione di politiche neocorporative dove già esistevano tali
istituzioni (paesi scandinavi, Austria, Germania, Belgio, Olanda) o la scelta di un
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neocorporativismo allo stadio iniziale (Finlandia, Irlanda, Italia) dove tali istituzioni
non erano fin a quel momento presenti.
Se la maggior parte dei paesi europei ha visto prevalere un quadro
neocorporativo (a stadi diversi e con modalità differenti), la Gran Bretagna merita
un‟attenzione particolare perché qui le relazioni industriali hanno mantenuto, di fatto,
un assetto pluralista. Per pluralismo, si intende far riferimento all‟esistenza di una
molteplicità di gruppi di interesse caratterizzati da scarsa gerarchia e coordinamento.
Tali gruppi sono poco propensi alla negoziazione sia tra di loro sia col governo (in
particolare vi è una limitata partecipazione dei sindacati al policy making).
3-IL REGNO UNITO
La Gran Bretagna è l‟unico paese in cui hanno quasi sempre prevalso la
contrattazione collettiva e la mancanza di centralizzazione delle organizzazioni dei
lavoratori e del capitale. Secondo Dunlop (1958) queste caratteristiche, insieme ad un
alto grado di industrializzazione, avrebbero conferito al sistema di relazioni industriali
del Regno Unito il più alto grado di maturità ed efficienza in Europa.
Storicamente la Gran Bretagna, quale patria della rivoluzione industriale, ha
visto sorgere ben presto un forte movimento sindacale. Grazie alle Trade Unions già
nel XIX secolo il sistema di relazioni industriali poteva contare sulla contrattazione
collettiva. Tuttavia il TUC (il più importante sindacato inglese) ha quasi sempre avuto
scarsa capacità di coordinamento e non è riuscito a creare confederazioni generali per
obiettivi comuni. Nonostante il suo quadro pluralista, anche la Gran Bretagna ha avuto
dei periodi in cui vi sono stati forti elementi di corporativismo. Negli anni Quaranta, le
associazioni sindacali e quelle degli imprenditori sono coinvolte in attività di politica
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economica per far fronte allo sforzo bellico. Agli inizi degli anni Sessanta il governo
inglese comincia a procedere nuovamente in una direzione corporativa, tuttavia
prevalgono ancora la contrattazione collettiva e una frammentata organizzazione di
gruppi di interesse. Varie iniziative di cooperazione triangolare falliscono e vengono
sostituite da interventi normativi. L‟ultimo periodo in cui in Gran Bretagna sono
presenti forti elementi corporativi è durante il Patto Sociale (alla metà degli anni
Settanta), momento in cui il sindacato cerca di influire sulla politica del governo
promettendo in cambio moderazione e limitazione delle richieste (Crouch, 1977).
Gli anni Ottanta sono caratterizzati da una forte conflittualità tra governo e
sindacati dovuta alla politica neoliberista thatcheriana. Da questo momento in poi
hanno prevalso, di gran lunga, in Gran Bretagna la contrattazione del singolo
imprenditore (single-employer bargaining) e una sostanziale disorganizzazione delle
relazioni industriali (Brown e Walsh, 1991). Inoltre, un‟ ulteriore causa del pluralismo
inglese può essere ricercata nel sistema elettorale. Infatti il modello elettorale
maggioritario e il sostanziale bipartitismo creano un meccanismo di scontro tra governo
e opposizione che è competitivo e avversariale. Ciò contribuisce a far sì che vi sia una
molteplicità di gruppi di interesse non coordinati e competitivi che non mirano al
compromesso, ma ad influenzare il governo e il parlamento con l‟attività di lobbying
(azione di delegati dei gruppi di interesse, in contatto diretto con parlamentari, membri
del governo, burocrati, con il fine d‟influenzare le scelte politiche).
4-LE TENDENZE NEO-CORPORATIVE IN EUROPA
Le tendenze corporative in Europa (già presenti in alcuni paesi tra le due guerre)
si fanno più consistenti nell‟immediato dopoguerra nella fase di ricostruzione
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economica. Un sistema di relazioni industriali cooperativo sembra il modello migliore
per conciliare crescita economica e pace sociale attraverso una regolazione salariale
consensuale e politiche del welfare. Inoltre Katzenstein (1985) e Rogowsky (1987)
hanno mostrato che le piccole nazioni hanno adottato (nel corso degli anni) il sistema
proporzionale e le pratiche corporative per compensare gli svantaggi che esse
subiscono nel commercio internazionale per le loro ridotte dimensioni (es. Belgio).
Ciascun paese ha poi adottato schemi e gradi diversi di corporativismo. Lehmbruch
(1982), ad esempio, traccia una mappa transnazionale in cui classifica i paesi in base al
grado di corporativismo:
CORPORATIVISMO
DEBOLE
CORPORATIVISMO
MEDIO
CORPORATIVISMO
FORTE
Regno Unito Islanda Austria
Italia Finlandia Svezia
Belgio Paesi Bassi
Germania Norvegia
Danimarca
La scala tiene conto di molteplici fattori come l‟esistenza di strutture rappresentative
dei gruppi di interesse (le camere, il consiglio economico e sociale) e di strutture
consultive (comitati, commissioni, consigli). Inoltre, importanti sono anche gli
indicatori di partecipazione delle organizzazioni al governo e il tipo di configurazione
delle organizzazioni stesse con riferimento alla concentrazione e centralizzazione.
Al di là dei differenti gradi di corporativismo, che contraddistinguono ciascun
paese, e al di là dell‟esistenza di numerose scale di rilevazione del suo grado, la tesi che
si intende dimostrare è che il cambiamento di politiche economiche e la maggior
internazionalizzazione dei mercati non hanno abbattuto il corporativismo, ma ne hanno
accelerato il processo di trasformazione.
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Il pensiero corporativista ortodosso
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, affermatosi pienamente agli inizi degli
anni Settanta, lega i risultati del corporativismo alla sua struttura (“tesi della
congruenza”). Ciò significa affermare un rapporto di tipo funzionale tra la struttura del
corporativismo classico e il suo rendimento. In pratica la performance del
corporativismo nel lungo periodo e sotto le spinte di pressioni convergenti
internazionali troverebbe un‟unica soluzione transnazionale. Così il corporativismo
funzionerebbe solo in presenza di strutture di intermediazione degli interessi inclusive,
centralizzate e riconosciute dallo stato. Più di recente, però, si è assistito ad un
ridimensionamento del corporativismo, cioè ad un “decentramento organizzato” della
contrattazione salariale che non ha penalizzato il suo rendimento (e ciò smentisce la tesi
della congruenza). Queste forme meno inclusive del corporativismo sono varianti
autonome della forma classica e centralizzata e ciò comporta una definizione dei salari
conclusa al di sotto del livello centrale (settoriale o a livello di azienda). Questo
spostamento centrifugo del livello di contrattazione è innanzitutto un riflesso del
passaggio da una politica keynesiana dal lato della domanda (aggregata) ad una dal lato
dell‟offerta (supply-side).
In termini sostanziali il compromesso keynesiano è basato sulla moderazione
del salario per una politica antinflazionistica. Ciò si ottiene con un mix di politica
fiscale e politica dei redditi: si introducono, in pratica, variazioni della spesa pubblica e
controlli e regolamentazioni sui salari. In termini procedurali si mira ad una
contrattazione centralizzata per aumenti di salario moderati e solidaristici. In questa
situazione di pieno impiego e di forza lavoro scarsa, il sindacato è avvantaggiato e può
ottenere condizioni più favorevoli per i lavoratori (per esempio, il mercato del lavoro è
6
Esso prevede che la negoziazione del salario tra associazioni sindacali e imprenditoriali avvenga a
livello centrale.
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rigido e i lavoratori sono tutelati contro facili licenziamenti). Viceversa, il capitale, si
trova costretto a fare concessioni e a centralizzare la contrattazione per evitare un‟
eccessiva competizione per accaparrarsi la forza lavoro.
Il compromesso keynesiano diviene insostenibile con la nuova politica
economica dal lato dell‟offerta in cui la misura principale contro l‟inflazione è
rappresentata da una politica monetaria restrittiva e intransigente. Gli imprenditori
perdono interesse in una politica centralizzata perché la competizione inter-aziendale
decresce con la crescente disoccupazione. Inoltre, stante l‟asimmetria strutturale nel
mercato del lavoro che avvantaggia i datori di lavoro rispetto alle associazioni dei
lavoratori, la tendenza del capitale è quella di preferire relazioni industriali
disorganizzate e più decentrate. In questo contesto politico ed economico che ha inizio
dalla fine degli anni Settanta, le relazioni industriali nell‟Europa occidentale
continentale non seguono un modello neoliberista (come era stato previsto da molti
economisti), ma si verificano un rinnovamento e una modifica del compromesso
corporativista.
5-LA PREVALENZA DELLA PATH-DEPENDENCY
Una delle ipotesi relative alla direzione delle relazioni del lavoro sostiene che la
crescente internazionalizzazione dei mercati conduce inevitabilmente ad una
disorganizzazione delle relazioni industriali, le quali convergerebbero verso istituzioni
omogenee e guidate dal mercato. L‟evidenza empirica, però, in molti casi smentisce
questa teoria e dimostra come le istituzioni non seguono un percorso “pre-
confezionato” simile in tutti i paesi. Al contrario, le istituzioni si adattano alle pressioni
del mercato riferendosi a se stesse (in modo autoreferenziale). In pratica, i vari stati
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nazionali seguono traiettorie diverse durante i periodi di crescita come in quelli di crisi
strutturale per la forte influenza che hanno su ciascun paese la storia e le conseguenti
istituzioni (Boyer, 1988). Può anche succedere che le istituzioni non evolvano affatto
per le forti relazioni simbiotiche che si sviluppano tra gli attori sociali e per l‟alto costo
che comporta il cambiamento. Per esempio, Stark (1992) nel suo studio sui paesi
dell‟Europa centro-orientale in transizione dal regime comunista verso forme
democratiche, sottolinea come il processo di trasformazione sia specifico per ogni
paese. Innanzitutto, la “teoria della convergenza” che prefigurava uno sviluppo verso
un‟unica forma di capitalismo in tutti i paesi, è smentita dagli sviluppi dei fatti. In
secondo luogo, l‟evoluzione istituzionale in questi paesi è la conseguenza d‟interazioni
di varie forze: non solo i policy makers, ma anche élites economiche e istituzioni che
sono sopravvissute al vecchio regime. Gli interessi diversi legati a differenti gruppi
sociali hanno frenato un‟economia basata su una fredda logica di mercato. I managers,
per esempio, hanno dovuto rivedere (in parte) i loro piani di privatizzazione tenendo
conto degli interessi del sindacato e di forti gruppi di pressione che hanno difeso
istituzioni e posti di lavoro (talvolta obsoleti e improduttivi).
La prevalenza della path-dependency si evidenzia, ancora, con il rinnovamento
di una politica neocorporativa in tutti i paesi europei (tranne che in Gran Bretagna).
Infatti, nonostante l‟internazionalizzazione dei mercati e il ruolo delle multinazionali
che cercano di accordarsi direttamente e singolarmente con il sindacato, il periodo
compreso tra il 1980 e il 1996 vede ancora il prevalere della contrattazione
pluriaziendale (multi-employer bargaining) e delle politiche salariali coordinate. E ciò
per un motivo molto chiaro ai governi: le politiche coordinate hanno una ricaduta
positiva sulla macroeconomia (cosa che non avviene con la contrattazione del singolo
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imprenditore). Questo nuovo modello neocorporativo si afferma, però, in un nuovo
contesto economico: quello dal lato dell‟offerta. Un mercato del lavoro più flessibile e
nuove politiche neoliberiste richiedono una dispersione dei salari. Il nuovo
compromesso corporativo è consistito, quindi, nel rendere il coordinamento salariale
compatibile con la flessibilità. Il “decentramento organizzato” ha attraversato due fasi:
Quella degli anni Ottanta, che ha visto il trasferimento dei poteri
negoziali dal livello centrale a quello settoriale.
Quella degli anni Novanta, che prevedeva la delega della competenza
salariale dal centro alla dirigenza delle imprese e ai rappresentanti
aziendali dei dipendenti.
Per concludere, la fine del periodo keynesiano e l‟affermazione di una politica
economica basata sull‟offerta e su una maggior liberalizzazione dei mercati hanno visto
riaffermarsi il corporativismo, ma sotto forme diverse, più decentrate. Ciò significa che
vi è una minor rigidità nella contrattazione e che gli accordi di livello centrale
definiscono un quadro normativo di riferimento dentro il quale gli attori di livello più
periferico possono trovare forme di flessibilità e cambiamenti relativi. Questo nuovo
quadro di relazioni industriali vede ancora il prevalere della contrattazione pluri-
aziendale che assicura un coordinamento macroeconomico competitivo insieme ad una
micro flessibilità.
6-IL RUOLO DELLO STATO
Gli aggiustamenti delle relazioni industriali dipendono dalle caratteristiche
dell'accordo collettivo e dal tipo di regolamentazione dello stato. Lo stato ha spesso il
ruolo di incentivare il coordinamento degli interessi ed è, in generale, favorevole ad un
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buon esito della contrattazione collettiva perché ciò permette il raggiungimento di
obiettivi macroeconomici e di solito una più equa distribuzione del reddito (con effetti
positivi sulla stabilità sociale). L'intervento dello stato nella formazione della
contrattazione salariale può essere di due tipi: sostanziale o procedurale. Nel primo
caso vi è un diretto intervento dello stato che influenza il risultato dell'accordo. Nel
secondo caso lo stato pone le regole del gioco per favorire durature e stabili relazioni
tra le parti.
Con la pressione dei mercati finanziari e delle istituzioni internazionali, in molti
paesi lo stato ha ridotto al minimo il suo ruolo di produttore (in condizioni spesso di
monopolista) ed ha assunto quello di regolatore. Emblematico è al riguardo, il tentativo
di sviluppare il dialogo sociale tra le parti coinvolte nell‟Europa centro-orientale. Dopo
la caduta del comunismo, uno dei maggiori problemi dei paesi in quest‟area (il
riferimento è soprattutto a Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia), è quello di creare un
quadro legislativo dentro il quale gli attori sociali possano interamente e
indipendentemente agire tra di loro.
Le leggi sul lavoro spesso definiscono un quadro per la contrattazione collettiva
con procedimenti vincolanti per le parti. Se lo stato si fa promotore e organizzatore
della contrattazione collettiva per evidenti vantaggi di ricadute macroeconomiche
positive e di stabilità sociale, talvolta però tale contrattazione non va a buon fine. In
molti paesi infatti, i datori di lavoro guardano con sospetto ai sindacati e non
riconoscono la loro funzione di rappresentanza dei lavoratori. Altre volte, ed è una
tendenza recentemente molto diffusa, la contrattazione collettiva viene conclusa a
livello di azienda o di fabbrica mettendo a rischio lo sviluppo di riforme economico-
sociali che perdono di efficacia con un sistema di relazioni industriali decentrato (ci si
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riferisce soprattutto ai paesi dell‟Europa centro-orientale dove si sono formate relazioni
tripartite centralizzate).
Lo stato interviene poi, nelle relazioni del lavoro, per garantire determinati
diritti alle parti sociali (es. diritto di sciopero) e per mediare conflitti (conciliazione,
mediazione, arbitrato).
Concludendo, si può dire che, cambiamenti economici, organizzativi e
tecnologici hanno reso le performance economiche sempre più vulnerabili ad ogni tipo
di disturbo. Per questo lo stato si è spostato da una regolazione della contrattazione
collettiva ad una orientata anche ai risultati, specie in termini macroeconomici,
rendendo le relazioni industriali più responsabili.
La parte successiva della tesi tratterà del passaggio dal fordismo al
postfordismo. Tali denominazioni non riguardano solo un tipo di produzione, ma anche
un modo di regolazione sociale e un particolare sviluppo istituzionale nei vari paesi. La
crisi del modello fordista, avvenuta a partire dagli anni Settanta, ha comportato un
cambiamento di strategie delle aziende che hanno seguito, fondamentalmente, due vie
alternative e opposte di organizzazione:
1. La specializzazione flessibile
2. L‟automazione flessibile
Tali modelli riflettono, per molti aspetti, la distinzione che fanno Hall e Soskice (2003)
tra economie di mercato liberali (EML) e coordinate (EMC). Nel primo caso, le
imprese coordinano le proprie attività in prevalenza attraverso la gerarchia e i mercati
concorrenziali. Nel secondo caso, invece, le imprese dipendono in misura maggiore dal
coordinamento strategico tra loro stesse e tra gli altri attori istituzionali (associazioni
degli imprenditori, sindacati forti, ampie reti di partecipazioni incrociate).