I
INTRODUZIONE
SOMMARIO: I.1. Premessa – I.2. Scopo del lavoro
I.1 Premessa
Proprio nel periodo di massima coesione economica e monetaria di
tutta la storia comunitaria, in cui 17 Paesi su 27 hanno una sola moneta ed
un’unica politica monetaria, il mercato unico è consolidato dalle quattro
libertà fondamentali sancite dal Trattato di Roma e da importanti misure di
convergenza quali la completa liberalizzazione del mercato interno dell’energia
elettrica
i
fino alla cosiddetta Direttiva “Bolkenstein” concernente la
liberalizzazione dei servizi
ii
, il maggior paradosso è rappresentato dal fatto che
la fiscalità del risparmio sia sfuggita fino ad oggi a qualsiasi serio tentativo di
armonizzazione, trascurando il fattore di produzione più mobile e
incontrollabile quale è il capitale finanziario. A complicare la questione vi è la
crisi sistemica che stiamo vivendo: i Paesi mediterranei e l’Irlanda, i cosiddetti
“PIIGS”
iii
, sono alle prese con critiche situazioni riguardanti il debito sovrano,
in particolare la Grecia che può rappresentare i l possibile inizio di un
pericoloso “effetto domino” che rischia di abbattersi sui bilanci pubblici e
sugli istituti finanziari dell’intero continente.
Senza chiamare in causa le principali relazioni macroeconomiche, è
assolutamente chiaro quanto il risparmio, quindi l’investimento, siano alla
base della crescita di ogni Paese e, di conseguenza, di una unione monetaria
(e sempre più anche economica) quale è oggi l’Unione europea. L’Unione vive
una situazione di carente legislazione nel campo della fiscalità, specialmente
diretta, mentre, nonostante appaia per certi versi assurdo, ha una accurata
(iper-) regolamentazione paradossale (necessaria?) riguardante altre
tematiche quali, a titolo di esempio, gli standard di mercato per la
commercializzazione delle banane
iv
fino alle recenti e precise linee guida da
i
UE, Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, 13 luglio 2009.
ii
UE, Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno, 12
dicembre 2006.
iii
S igla ormai con solid ata in amb ito econ omico e giorn alistico, P IIGS è l’acron imo ch e in d ica P ortogallo, Italia,
Irlanda, Grecia e Spagna.
iv
COMMISSIONE CE, Regolamento n. 2257/94 della Commissione che stabilisce norme di qualità per le banane, 16
settembre 1994.
II
adottare nel settore del trasporto aereo in caso di presenza di nubi di cenere
vulcanica
v
.
Questo paradosso è sicuramente da imputare alla reticenza dei singoli
Stati membri ad approvare norme che restringano sensibilmente la propria
potestà impositiva: se da un lato è comprensibile come il controllo sul proprio
sistema fiscale sia una prerogativa che ogni Paese ha interesse a mantenere,
dall’altro una prolungata situazione conflittuale a metà del guado come
quella attuale può portare a consistenti rischi per l’Unione europea e, di
conseguenza, per l’Eurosistema. A partire dall’entrata in vigore del Trattato
di Lisbona è stata affermata sempre più la cosiddetta “procedura legislativa
ordinaria”
vi
: prevista originariamente in via di eccezione, ora è divenuta
regola, ad eccezione di alcuni campi tra cui la politica fiscale! Il requisito del
voto all’unanimità in materia fiscale è rimasto quindi immutato, garantendo
in questo modo il mantenimento della potestà tributaria in capo ad ogni
Stato membro.
Le principali problematiche che risultano evidenti dal prolungarsi di
questo periodo di stasi sono quattro, tutte strettamente connesse tra loro
vii
:
i) la concorrenza fiscale dannosa intra- e d e x t r a -europea - la
concorrenza che gli Stati membri e i Paesi terzi mettono in atto al fine di
attrarre capitali comporta un’allocazione inefficiente del risparmio influenzata
in gran parte dalla variabile fiscale, che mette in secondo piano scelte
razionali basate sulle migliori possibilità di investimento o di gestione del
risparmio. Vista la struttura sociale ed economica dei P aesi comunitari, è
inevitabile che tale contesto vada per la maggior parte a giovare le molteplici
entità all’infuori dell’Unione che garantiscono una minore pressione fiscale
grazie al loro status di paradiso fiscale o Paese a bassa fiscalità. Tale
competizione al ribasso (“ race to the bottom”) rischia di portare ad una
guerra fiscale, la cui conclusione è nel lungo periodo destinata ad
un’imposizione ad aliquota nulla: il conseguente forte calo di gettito, nei Paesi
industrializzati, si tradurrebbe (e già oggi si traduce) in un accanimento
fiscale sui fattori produttivi meno mobili, come il lavoro e il capitale immobile,
disincentivando l’impiego e creando rilevanti ineguaglianze sociali causate
dallo spostamento del carico fiscale sui ceti più deboli e sulla classe media, che
rappresentano la maggioranza della popolazione e spesso non possono
sfuggire al prelievo. D’altro canto, non si può negare che in assenza di alcuna
forma di armonizzazione i capitali non si dirigano “naturalmente” ove la
fiscalità è più favorevole: se per gli investimenti non è la sola variabile fiscale
v
COMMISSIONE CE/EASA, European Guidance for volcanic ash disruption, Bruxelles, 2010.
vi
Art. 294 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), Lisbona, 2008.
vii
Inter alia, si legga FUCHS (1999), op. cit.
III
ad avere rilevanza (si tengono in considerazione anche la qualità dei servizi, la
stabilità politica, etc., in altre parole, lo “spazio economico di sostegno”
viii
), per
il risparmio ad essere fondamentale è l’imposizione sui guadagni di capitale e
sugli interessi, che determinano il tasso di rendimento netto; ad essere
attraente, è anche la possibilità di essere coperti dal segreto bancario, che
caratterizza ancora oggi la maggior parte delle piazze finanziarie con cui gli
Stati membri hanno relazioni in qualità di territori associati o dipendenze;
ii) la perdita di controllo su moneta e capitale - la liberalizzazione dei
movimenti di capitale
ix
ha aperto numerose possibilità per gli istituti
finanziari e per i risparmiatori stessi, cambiando radicalmente l’economia
europea e trasformando il mercato finanziario sia quantitativamente che
qualitativamente. Nondimeno, gli Stati che hanno aderito alla moneta unica
non possono più gestire autonomamente la propria politica monetaria,
impedendo loro di gestire il flusso di capitali per porre rimedio alle necessità
contingenti. La caduta delle barriere tra i singoli Paesi ha accresciuto a
dismisura la fluidità dei flussi finanziari transfrontalieri
x
e investitori e
risparmiatori hanno potuto beneficiare di un maggior numero di operatori e
di una gamma di prodotti più ampia, eliminando completamente all’interno
dell’Eurozona il rischio di cambio e potendo usufruire di un sistema dei
pagamenti sicuro ed efficiente quanto quello nazionale. Senza una condivisa
modalità di imposizione e controllo dei flussi come è possibile impedire fughe
di capitali e fenomeni di concorrenza fiscale sleale?
iii) regimi fiscali differenti per i residenti - tra i singoli Stati membri,
numerose sono le forme di imposizione che si differenziano per diversi
elementi: vi sono regimi opzionali o obbligatori che prevedono esenzioni,
crediti d’imposta, imposte sostitutive, prelievi alla fonte, abbattimenti della
base imponibile, equalizzatori, integrazioni al reddito globale; il risultato è che
in Europa, a parità di prodotto di investimento, vi sono 27 regimi di
tassazione e molteplici rendimenti netti differenti dovuti alle possibili
combinazioni delle modalità previste dai singoli sistemi impositivi
xi
;
viii
RATTI, R., Leggere la Svizzera. Saggio politico-economico sulle origini e sul divenire del modello svizzero, ISPI/G.
Casagrande, Milano/Lugano, 2005.
ix
Art. 73, comma 1, Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), GUCE C 191 del 29 luglio 1992.
x
La SEPA (Single Euro Payments Area - Area Unica dei Pagamenti in Euro) è l’area in cui cittadini, imprese e tutti
gli operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro secondo condizioni di base, uguali diritti ed
obblighi, indipendentemente dalla loro ubicazione. Lo scopo è quello di creare un mercato dei pagamenti
armonizzato che offra degli strumenti di pagamento comuni che possono essere utilizzati con la stessa facilità e
sicurezza del proprio contesto nazionale. Questo processo di armonizzazione permette di raggiungere l’obiettivo di
innovare e creare un sistema dei pagamenti per il mercato unico che meglio risponda alle esigenze di tutti gli utenti
comunitari. La Direttiva che ha introdotto la SEPA è la PSD (“sui servizi di pagamento” – n. 2007/64/CE).
xi
A titolo d’esempio, basandosi su dati del 2007 (Sole24Ore, Milano, 10 gennaio 2007), semplicemente guardando le
mere aliquote, si passa da un’imposizione sugli interessi del 40% o 20% dell’Inghilterra a seconda del tipo di
investimento, al 20% o 12,5% (dal 2012) dell’Italia, fino all’aliquota unica spagnola del 15%.
IV
iv) regimi fiscali discriminatori/preferenziali per non residenti -
anche i non residenti incontrano una molteplicità di regimi differenti che, a
seconda del Paese, possono essere uguali a quelli dei residenti o essere
sottoposti a regimi ad hoc, solitamente più favorevoli per attrarre capitali
esteri come, in particolare, hanno i microstati (Andorra, Monaco, San
Marino, Lussemburgo). All’estrema diversità dei regimi impositivi, si
aggiunge il fatto che sono estremamente eterogenei e complessi e spesso si
applicano solo in presenza di Convenzioni bilaterali contro le doppie
imposizioni.
I.2 Oggetto del lavoro
Nella Comunicazione del 5 novembre 1997 intitolata “Un pacchetto di
misure volte a contrastare la concorrenza fiscale dannosa nell’Unione
europea”, la Commissione ha evidenziato la necessità di intraprendere
un’azione coordinata a livello comunitario contro la concorrenza fiscale
dannosa, con l’obiettivo di ridurre le distorsioni ancora esistenti nel mercato
unico. Sulla base di ciò che nel 1989 il Commissario Scrivener sostenne con la
sua proposta di imposizione minima sul risparmio, il Consiglio ECOFIN di
un mese più tardi, nel dicembre 1997, ha approvato una proposta di
tassazione del risparmio come base di lavoro per una direttiva in quest o
ambito.
Cinque anni più tardi, con la Direttiva 2003/48/CE del 3 giugno 2003
il Consiglio dell’Unione Europea approvò le norme disciplinanti la tassazione
sulla corresponsione di interessi a persone fisiche residenti, approvando ciò
che da quattordici anni stava animando il dibattito all’interno delle
istituzioni europee.
La Direttiva, frutto di anni di accordi a livello politico, è risultata un
evidente compromesso tra le più disparate richieste dei singoli Paesi membri,
ognuno con propri esigenze ed interessi.
Nonostante giunsero per tempo le prime critiche riguardo alla
Direttiva da parte di illustri studiosi del diritto tributario comunitario
xii
, in
seguito ad uno scandalo che coinvolse il Principato de l Li e c hte nste i n la
Commissione europea decise di redigere una proposta di revisione
xiii
alla
Direttiva per prevenire fenomeni di elusione ed evasione fiscale e correggere i
bachi contenuti nel testo. Nel febbraio 2008, le autorità fiscali tedesche
xii
Si vedano a riguardo CAPPELLOTTO (2003), op. cit., COMI-GIGANTINO (2003), op. cit., DASSESSE (2004), op.
cit., JIMÉNEZ (2006), op. cit. et altera.
xiii
COMMISSIONE UE, COM/2008/727 finale, Bruxelles, 13 novembre 2008.
V
entrarono in possesso di una lista di soggetti
xiv
che avevano sottratto
illecitamente a tassazione nel proprio Stato di residenza ingenti patrimoni
canalizzandoli in trusts e fondazioni di giurisdizione del Principato
xv
.
Nel summit del G20 di Londra del 2 aprile 2009 è stata riconfermata
la volontà di contrastare i paradisi fiscali e il segreto bancario, con Francia e
Germania a capo di questa battaglia; dall’altro lato, Lussemburgo, Austria, e
Svizzera hanno sostenuto la necessità di proteggere la sfera privata dei loro
clienti e hanno giustificato il mantenimento del segreto bancario, che trova in
Austria garanzia anche nel testo costituzionale. A questo si sommano le
pressioni esercitate dall’OCSE e dai Paesi aderenti, che spinsero i Paesi
nell’occhio del ciclone ad adottare il Modello di Convenzione OCSE contro le
doppie imposizioni ed a prevedere uno scambio di informazioni efficace anche
per violazioni secondo il diritto fiscale interno di un Paese
xvi
, pena
l’inserimento in black lists con i relativi problemi politici e commerciali che ne
discenderebbero per questi Stati.
D’altro canto, la crisi finanziaria attuale, in corso dal 2008, ha messo a
dura prova i bilanci pubblici dei Paesi industrializzati, costringendoli ad
operare una stretta sui capitali esportati e sull’evasione fiscale, torchiando in
special modo le giurisdizioni ritenute informalmente come “paradisi fiscali”.
Il gruppo di esperti nominato dalla Commissione europea per
revisionare la Direttiva “Risparmio” dovrebbe terminare i lavori in questi
mesi, procedendo all’approvazione di una proposta di revisione della Direttiva
stessa entro la fine dell’anno, probabilmente verso novembre 2011: visto il
periodo di forte tensione e la precedente durata dell’iter di approvazione della
Direttiva 2003/48/CE, è possibile ritenere come si possa essere distanti da
una approvazione definitiva di revisione ma, conosciuti i termini della nuova
proposta, si riaprirà un acceso dibattito, infuocato soprattutto dalle recenti
vicende che hanno coinvolto altri Paesi, come la Svizzera con la firma dei
nuovi accordi “Rubik”.
xiv
Heinrich Kieber, un tecnico informatico del Liechtenstein, fornì al servizio segreto federale tedesco (BND) un CD-
rom con una lista di cittadini europei che avevano esportato capitale presso la LGT Bank e altre istituzioni collegate
per la presunta cifra di 4.2 milioni di euro (secondo The Wall Street Journal del 20 febbraio 2008): attualmente è
ricercato dall’Interpol con un mandato di cattura internazionale pendente.
xv
Il “Liechtenstein tax affair” è una serie di indagini fiscali effettuate da diversi Paesi i cui governi temevano vi
fossero fughe illecite di capitali finalizzate all’evasione fiscale verso istituti finanziari e trusts d el P rin cip ato d el
Liechtenstein, coinvolgendo soprattutto la LGT Bank, l’istituto di proprietà della famiglia regnante: in particolare, la
Germania avviò la più grande indagine fiscale di tutta la sua storia (secondo il Süddeutsche Zeitung del 15 febbraio
2008), scoprendo circa 700 cittadini coinvolti nella vicenda. L’affair fece particolare scandalo in Germania poiché il
14 febbraio 2008 venne reso noto che Klaus Zumwinkel, CEO di Deutsche Post AG, era sospettato di aver evaso
circa 1 milione di euro di imposte, vicenda che lo costrinse a rassegnare le dimissioni. Si veda anche DE RIJKE –
VAN KAMPEN (2008), op. cit.
xvi
Noto è il caso della Svizzera, che nella Legge sull’imposta federale diretta distingue la sottrazione d’imposta e la
frode fiscale, ritenendo solamente il secondo come reato per il quale è quindi consentita la collaborazione con altri
Stati.
VI
Questo lavoro di tesi ha come oggetto l’analisi approfondita della
Direttiva “Risparmio” n. 2003/48/CE e dei problemi legati alla sua
applicazione; partendo dal progetto europeo di armonizzazione fiscale, si
giungerà all’analisi dei possibili interventi di revisione della Direttiva, con un
approfondimento sulla Confederazione elvetica, che ha giocato un ruolo
fondamentale nell’iter legislativo del provvedimento ed ancora oggi è al centro
di ogni discussione relativa al progetto di modifica e riguardo agli accordi
bilaterali che ha stipulato con la Germania e il Regno Unito nell’agosto 2011.
1
CAPITOLO PRIMO
IL CAMMINO VERSO UN’ARMONIZZAZIONE FISCALE EUROPEA
SOMMARIO: 1.1. Unità nella diversità - 1.1.1. Processo di ravvicinamento delle
legislazioni - 1.1.2. Coordinamento in materia di tassazione del risparmio - 1.2.
Trent’anni di intenso dibattito sull’armonizzazione - 1.2.1. Il rapporto Neumark
(1962) sul coordinamento fiscale comunitario - 1.2.2 . Il rapporto Segrè (1966)
sulle distorsioni nella circolazione dei capitali - 1.2.3. L’Unione Economica e
Monetaria - 1.2.4. La svolta degli anni Ottanta - 1.2.4.1 Gli interventi della Corte
di giustizia in ma teria di fiscalità diretta - 1.2.5. Ripensamenti nel processo di
armonizzazione - 1.3. Il Trattato sull’Unione europea del 1992 - 1.3.1. Risvolti
fiscali del Trattato - 1 . 3 . 2 . La presidenza tedesca post-Maastricht - 1.4.
L’orientamento verso il “global approach” - 1.4.1. L’intervento della Commissione
con il “Memorandum Monti” (1996) - 1.4.2. Il ritorno dell’armonizzazione fiscale
nel dibattito politico - 1.4.3. Le proposte della Commissione - 1.4.4. Il Consiglio
ECOFIN del 1° dicembre 1997 - 1.5. Il pacchetto fiscale del Commissario Monti -
1.5.1. Il Codice di condotta - 1.5.2. Aiuti di Stato a carattere fiscale - 1.5.3.
Proposta di direttiva su interessi e royalties tra imprese consociate - 1.5.4. Il
“Gruppo Primarolo”
1.1 “Unità nella diversità”
1
Lo scopo primario per il quale la Comunità europea è nata è la
promozione “mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale
ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo
armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità,
un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un
miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra
gli Stati che ad essa partecipano”
2
. Tale disposizione del Trattato di Roma
3
è
rimasta intatta nel suo contenuto fino alle più recenti modifiche apportate
nel 2008 a Lisbona
4
.
1
E’ il motto dell’Unione europea, scelto nel 2000 dal Presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine in seguito
ad un concorso pubblico online.
2
Art. 2, Trattato che istituisce la Comunità economica europea, Roma, 25 marzo 1957.
3
Si intende il Trattato che istituisce la Comunità economica europea, il cui nome è stato successivamente cambiato
in Trattato che istituisce la Comunità europea (di seguito, TCE) dopo l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht
e di nuovo cambiato in Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (di seguito, TFUE), all’entrata in vigore del
Trattato di Lisbona.
4
v. p. 649 e 653, GARBARINO (2008), op. cit.
2
I processi di continua integrazione europea, che implicano anche nuove
spinte dovute a fasi di allargamento ad altri Paesi, accrescono maggiormente
la problematica di poter convivere con sistemi fiscali alquanto eterogenei tra i
diversi ordinamenti: dopo l’introduzione della moneta unica nella
maggioranza dei paesi dell’Unione, la questione è risultata particolarmente
rilevante e pare contraddittorio aver eliminato le distorsioni legate al
disallineamento tra tassi di cambio e non porre rimedio a quelle provocate
dalla presenza di regimi fiscali differenti
5
e, sempre più, concorrenti.
1.1.1 Processo di ravvicinamento delle legislazioni
Secondo il Trattato, “il Consiglio, deliberando all’unanimità su
proposta della Commissione, stabilisce direttive volte al ravvicinamento
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati
membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul
funzionamento del mercato comune […]”
6
, consentendo al ravvicinamento dei
sistemi legislativi di essere il più efficace strumento di cui la Comunità
europea dispone per costruire un vero mercato comune.
Nonostante la legislazione comunitaria utilizzi il termine
“ravvicinamento” senza distinzione con altri quali “armonizzazione” e
“coordinamento”
7
, il primo non presuppone una unicità di mezzi nel
perseguire tale obiettivo. Ben diversa è la ”unificazione” delle legislazioni, che
si realizza nei fatti con i regolamenti, direttamente applicabili e sostitutivi
della legislazione interna; il ravvicinamento, invece, si esplicita attraverso
l’approvazione di direttive specialmente, che necessitano di un passaggio
parlamentare nei singoli Stati membri e consentono di essere recepite con i
mezzi che i Paesi ritengono più adatti, a condizione che l’obiettivo della
direttiva rimanga inalterato. Per “armonizzazione” si hanno tre di ffe re nti
interpretazioni semantiche
8
:
- è un concetto mediano tra una completa unificazione ed un
ravvicinamento delle legislazioni
9
;
- in campo fiscale, è una particolare declinazione del concetto di
“ravvicinamento”;
- è l’eliminazione di disparità esistenti attraverso la modifica di norme,
seguendo un modello unico deciso di comune accordo.
5
Questo paradosso è ben evidenziato in COMMISSIONE CE, La politica tributaria nell'Unione europea, SEC(96) 487
def., Bruxelles, 20 marzo 1996.
6
Art. 100, Capo 3 - Ravvicinamento delle legislazioni, Trattato che istituisce la Comunità economica europea, op.
cit., poi modificato in art. 94 del TCE ed oggi art. 115 del TFUE.
7
Una dimostrazione è individuabile negli artt. 114, 115 del TFUE per “ravvicinamento”, art. 113 per
“armonizzazione” e gli artt. 52 e 53 per “coordinamento”.
8
v. p. 782, GARBARINO (2008), op. cit.
9
v. p. 449, FERRANTI (2008), op. cit.
3
Vista l’indifferente intercambiabilità dei termini nella prassi
comunitaria, la dottrina ritiene che tali distinzioni non siano più rilevanti e i
termini sono oggi poco più che sinonimi.
A differenza delle imposte indirette, le imposte dirette non sono
espressamente trattate nel Trattato di Roma per due principali motivi: il
primo è da imputare al fatto che nel 1957 la fiscalità diretta non
rappresentava una priorità per la realizzazione del mercato interno, così come
evidenziato anche dal Rapporto Tinbergen
10
, il secondo è da addebitare alla
volontà degli Stati membri di mantenere le proprie competenze in materia
tributaria in virtù di un utilizzo della leva fiscale per risolvere problemi di
portata sociale ed economica. In deroga alle disposizioni sulla procedura
legislativa ordinaria, anche oggi il Trattato dispone che le norme riguardanti
la fiscalità diretta siano approvate solamente all’unanimità, in attuazione
prima degli articoli del Capo 2 sulle Disposizioni fiscali del TCE, oggi
dell’articolo 115
11
del recente TFUE, che torna sulla questione sostenendo che
le decisioni del Consiglio sono prese a maggioranza qualificata escludendo, nel
secondo paragrafo, i provvedimenti di natura fiscale (che richiedono
l’unanimità).
Nondimeno, oggi si ritiene che una maggiore realizzazione del mercato
unico necessiti soprattutto di una forma di armonizzazione fiscale, per lo
meno riguardante i fattori produttivi più mobili come il risparmio; d’altro
canto, una uniformità nella tassazione del fattore lavoro consentirebbe
l’eliminazione di ogni distorsione nel mercato del lavoro comunitario ma
risulta più urgente un’armonizzazione dell’imposizione societaria e sui redditi
di capitale, onde evitare fittizie domiciliazioni, elevata mobilità delle sedi legali
di società, holding e altri soggetti, fughe di capitali e forme di elusione,
finalizzati al solo scopo di individuare i Paesi fiscalmente più favorevoli, senza
altre giustificazioni
12
.
Come prodotto del flebile processo di armonizzazione fiscale
comunitaria, sono stati emanati solamente sei provvedimenti
13
in materia di
fiscalità diretta, che esulano dal diritto comunitario primario e fanno parte
del cosiddetto diritto “derivato” o “secondario”
14
:
10
CECA, Rapporto della Commissione Tinbergen, Bruxelles, 1953. Si veda REALE (2010), op. cit.
11
Ex art. 95 del TCE.
12
cfr. FERRANTI (2008), op. cit. e GARBARINO (2008), op. cit.
13
v. p. 774, GARBARINO (2008), op. cit.
14
Il diritto comunitario derivato è composto dall’insieme di provvedimenti che sono emanati dalle istituzioni
comunitarie. L’art. 288 del TFUE (ex art. 249 TCE, ex art. 189 Trattato di Roma, 1957) li enuncia, recitando che
“per esercitare le competenze dell'Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e
pareri”.
4
- Direttiva “relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti
degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e di quelle sui premi
assicurativi”, n. 77/799/CEE
15
;
- Direttiva “relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni,
alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti
società di Stati Membri diversi”, n. 90/434/CEE, oggi n. 2005/19/CE, “che
modifica la direttiva 90/434/CEE […]”;
- Direttiva “concernente il regime fiscale comune applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri diversi” (la cosiddetta “madre-figlia”), n.
90/435/CEE, oggi n. 2003/123/CE, che “modifica la direttiva 90/435/CEE
[…]”;
- Convenzione “relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso
di rettifica degli utili di imprese associate”, n. 90/436/CEE;
- Direttiva “in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto
forma di pagamenti di interessi”, n. 2003/48/CE;
- Direttiva “concernente il regime fiscale comune applicabile ai
pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri
diversi”, n. 2003/49/CE.
Inoltre, la Commissione europea esercita una notevole funzione di
moral suasion nel promuovere comportamenti e norme a livello comunitario
in ambito fiscale, limitandosi però a strumenti di soft law (privi quindi di
efficacia vincolante), per cercare di aggirare l’ostacolo dell’approvazione
unanime.
1.1.2 Coordinamento in materia di tassazione del risparmio
In assenza di coordinamento, anche nel contesto di un mercato unico
quale quello comunitario, le differenze impositive tra Stati membri possono
creare distorsioni nell’allocazione del capitale, influendo sulle scelte di
investimento.
Un coordinamento delle norme impositive, in particolar modo sul
risparmio per i motivi sopraesposti, permette di
16
:
a) prevenire le distorsioni nella libera circolazione di capitali;
b) realizzare il principio di non discriminazione;
15
Oggi Direttiva n. 2004/106/CE del Consiglio del 16 novembre 2004 che modifica le direttive 77/799/CEE relativa
alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette, di talune accise
e imposte sui premi assicurativi, e 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai
controlli dei prodotti soggetti ad accisa. Dal 2013, entrerà in vigore la nuova Direttiva n. 2011/16/UE del Consiglio
del 15 febbraio 2011 relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva
77/799/CEE.
16
v. p. 197, DRAGONETTI et al. (2010), op. cit. e p. 61, KUBICOVÁ, J., Tax co-ordination when the rest of the
world does not cooperate, in The taxation of interest savings income in the European capital market: […] (a cura di
AIGNER, D. J. - GLÄSER, L., TUMPEL, M.) (2006), op. cit.
5
c) limitare, attenuare, eliminare fenomeni di doppia imposizione;
d) prevenire l’elusione fiscale;
e) garantire una maggiore trasparenza sul mercato dei capitali;
f) combattere la corruzione, la criminalità organizzata internazionale e il
riciclaggio di denaro;
g) restringere le possibilità di treaty shopping
17
;
h) ridurre la concorrenza fiscale tra gli Stati membri.
Per queste ragioni, gli organi comunitari, sin dai primi rapporti sul
tema, evidenziarono come il ravvicinamento della legislazione sulla tassazione
del risparmio fosse fondamentale per un futuro prospero ed equo dell’intera
Comunità.
1.2 Trent’anni di intenso dibattito sull’armonizzazione
1.2.1 Il rapporto Neumark (1962) sul coordinamento fiscale comunitario
Gli intenti di armonizzazione sono stati numerosi fin dai primi anni
successivi alla firma del Trattato di Roma del 25 marzo 1957. Inizialmente
tali proposte andavano nel senso di realizzare un effettivo mercato interno
attraverso l’armonizzazione delle imposte indirette e, in seconda analisi, delle
imposte sui redditi, con particolare attenzione a quelle societarie e ai fenomeni
di doppia imposizione economica sui dividendi
18
.
La prima proposta organica di coordinamento comunitario della
tassazione risale al 1962, anno in cui il Comitato fiscale e finanziario (CFF)
diretto dal professor Fritz Neumark dell’Università di Francoforte pubblicò
un rapporto che è rimasto al centro del dibattito in materia per tutti gli anni
Sessanta
19
.
Il Comitato, istituito nel 1960 e composto da dieci illustri professori
20
,
aveva il compito di assistere la Commissione europea nell a formulazione di
una politica finanziaria atta a realizzare “una sorta di compromesso razionale
fra la necessità da un lato di eliminare, o almeno ridurre fortemente,
nell’interesse del miglior funzionamento del mercato comune, le disparità
fiscali o finanziarie che ostacolano il gioco leale della concorrenza tra i
17
“”Il treaty shopping consiste nell’utilizzazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni al fine di
ottenere un beneficio fiscale. […] si manifesta comunemente o mediante lo sfruttamento delle differenze nei trattati
stipulati fra le varie nazioni oppure mediante l’interposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo nel flusso
reddituale Stato della fonte – S tato del ben ef i ci ar i o ef f etti vo ”, da PERRONE, C., Treaty shopping e clausole
antiabuso nelle Convenzioni stipulate dall’Italia con Stati Uniti e Kazakhstan, Rivista SSEF, Roma, 2004.
18
v. p. 782, GARBARINO (2008), op. cit.
19
cfr. p. 1233, ROCCATAGLIATA (2005), op. cit.
20
I componenti del Comitato provenivano dai paesi fondatori della Comunità economica europea (CEE) ovvero
Italia, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania ovest, con due membri per Stato: a rappresentare
l’Italia vi erano i professori Cesare Cosciani (1908-1985) e Gaetano Stammati (1908-2002).
6
Paesi membri; dall’altro il desiderio di non ingerirsi nella politica degli Stati
membri, intesa a conservare le caratteristiche nazionali risultanti da fattori
naturali e/o da un’evoluzione storica”
21
. Il contesto storico e legale rendeva la
situazione alquanto più semplice di oggi in cui coesistono all’interno di una
stessa Unione ventisette paesi, alcuni di common ed altri di civil law, con
origini e trascorsi differenti, una parte con una moneta unica ed altri ancora
con le proprie valute nazionali. Nell’anno del cosiddetto rapporto “Neumark”
gli Stati membri erano solamente sei
22
e tutti con un impianto giuridico civile
di derivazione romana. Pur essendovi un ambiente favorevole, le difficoltà
riscontrate dal Rapporto erano numerose e di difficile soluzione, almeno nel
breve periodo
23
.
Il Comitato aveva individuato importanti differenze nella finanza
pubblica dei Paesi membri, in particolare nella “politica finanziaria dei poteri
pubblici nella realizzazione degli obiettivi e nella determinazione di un
ordine gerarchico di questi obiettivi”
24
. Come facilmente comprensibile, tali
punti di differenziazione erano dati “dalla diversa natura dei singoli Paesi e
dei loro abitanti, dalla particolarità d i o r d i n e s t o r i c o , p s i c o l o g i c o e
sociologico che ognuno di detti Paesi presenta”. Le disparità sono
riscontrabili “negli oneri fiscali globali, nella struttura della fiscalità […], nel
grado, voluto e realizzato, della ridistribuzione dei redditi e dei patrimoni
ottenuta mediante il prelievo fiscale, […]”
25
. Visti i numerosi ostacoli, “ogni
tentativo di unificare completamente la struttura dei sistemi fiscali degli
Stati membri della Comunità è a priori destinato a fallire”
26
. Il Rapporto
riteneva più corretto un ravvicinamento graduale delle legislazioni e una
collaborazione sempre più intensa tra le amministrazioni fiscali dei diversi
membri, al fine di giungere all’adozione di regole convergenti
27
.
Nonostante la tematica sollevata riguardasse principalmente le imposte
indirette, il Rapporto proponeva un ampliamento dell’intervento,
coinvolgendo le imposte dirette grazie a norme tributarie, anche
transfrontaliere, sui redditi di capitale, in particolare i dividendi: si prevedeva
un sistema comune di tassazione simile a quello vigente all’epoca in Germania
con il metodo detto del “doppio tasso”
28
, secondo cui l’imposta sulle società si
applica prevedendo due aliquote differenti, una maggiore per la parte di utile
21
CFF, Rapporto del Comitato fiscale e finanziario, Bruxelles, 1962, p. 4.
22
Si veda nota 19.
23
cfr. p. 1234, ROCCATAGLIATA (2005), op. cit.
24
CFF, Rapporto del Comitato fiscale e finanziario, Bruxelles, 1962, p. 3.
25
ibid.
26
ibid., p. 31
27
v. p. 450, FERRANTI (2008), op. cit.
28
Si tratta della cosiddetta “Dual income tax” (DIT) introdotta anche nel sistema fiscale italiano per breve tempo
negli anni ’90. Si vedano GIANNINI, S., Il decreto fiscale e la dual income tax (DIT): cosa cambia, Lavoce.info, 26
settembre 2002 e v. p. 1, LONGOBARDI-PORCELLI (2004), op. cit.
7
accantonato e una minore per quella distribuita sottoforma di dividendi.
Riguardo a quest’ultimo punto ed in particolare all’eliminazione della doppia
imposizione, il Rapporto indica sinteticamente la necessità di trovare quindi
un certo grado di convergenza nella determinazione della base imponibile (che
opera come elemento essenziale nell’adozione di convenzioni fiscali
multilaterali tra gli Stati membri) e individua come migliore strumento per la
creazione di un vero unico mercato una tassazione calcolata nello Stato di
residenza con ripartizione della base imponibile tra i Paesi coinvolti
29
, anche
per evitare una fuga dei capitali verso gli Stati a fiscalità minore.
A dispetto dei diversi interventi della Commissione per implementare
le proposte del Rapporto Neumark, benché solo poche di esse abbiano
trovato applicazione, si è trattato sicuramente di provvedimenti di
importante rilevanza: è possibile infatti considerare tale contributo come
primo documento all’origine del sistema di IVA comunitaria e delle Direttive
“madre-figlia” n. 90/435/CEE, sul risparmio n. 2003/48/CE, sugli interessi e
royalties n. 2003/49/CE e sulle fusioni transfrontaliere n. 2005/56/CE
30
.
1.2.2 Il rapporto Segrè (1966) sulle distorsioni nella circolazione dei capitali
Negli anni successivi, la Commissione europea cercò di studiare i
possibili strumenti per implementare i principi contenuti nel Rapporto
Neumark: ulteriori pubblicazioni a supporto di essa furono di aiuto per
sviluppare tali progetti.
Il cosiddetto “Rapporto Segrè”
31
, redatto nel 1966 su richiesta della
Commissione da un gruppo di esperti indipendenti, evidenziò come le
(differenti) legislazioni nazionali incidessero in modo distorsivo sulla libera
circolazione dei capitali, caposaldo delle libertà fondamentali contenute nelle
norme sul mercato comune del Trattato di Roma. In attuazione dell’art. 67
del medesimo Trattato
32
, la soppressione graduale delle restrizioni ai
movimenti di capitale evidenziò fin dai primi anni come alcuni Stati membri,
29
Tale strumento, risalente come idea proprio al Rapporto del CFF, ha trovato riscontro con la attesa proposta di
Direttiva sulla Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB), presentata dalla Commissione europea il 16
marzo 2011. Sin dal 2001, anno di inizio dei lavori, con la Comunicazione n. 582 del 23 ottobre 2001, la
Commissione enunciava i vantaggi per le imprese comunitarie derivanti dall’applicazione della CCCTB, tra cui
proprio la riduzione dei casi di doppia imposizione, eliminazione di casi di discriminazione e restrizioni, etc. Il metodo
CCCTB prevede l’introduzione di un’unica normativa fiscale comunitaria, applicabile in via opzionale, volta a
rimpiazzare gli attuali ventisette regimi fiscali nazionali proprio come delineato dalle concise indicazioni del
Rapporto Neumark (calcolo del reddito d’impresa su base consolidata e base imponibile ripartita fra i Paesi
interessati secondo un meccanismo di allocazione (“sharing mechanism“) basato su una formula appositamente
predisposta. Si veda in merito l’opera di AUJEAN (2008), op. cit.
30
v. REALE (2010), op. cit.
31
COMMISSIONE CEE, Lo sviluppo del mercato europeo dei capitali, Bruxelles, 1966.
32
CEE, Trattato di Roma, 1957, art. 67, comma 1: “Gli Stati membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il
periodo transitorio e nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni ai movimenti
dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate
sulla nazionalità o sulla residenza delle parti, o sul luogo del collocamento dei capitali.”, oggi abrogato.
8
fiscalmente meno attrattivi, potevano subire danni in assenza di
un’armonizzazione fiscale comunitaria. Onde ovviare a tale pericoloso
processo, il Rapporto riteneva necessario procedere con l’eliminazione della
doppia imposizione internazionale, sia giuridica che economica, delle disparità
di trattamento fiscali tra soggetti residenti e non e delle agevolazioni fiscali
concesse ai soggetti operanti investimenti nel proprio Paese di residenza
33
.
Queste misure rientrano a pieno titolo tra quelle possibili atte a rendere un
sistema fiscale ‘neutrale’ (termine definito per la prima volta proprio in
questo rapporto)
34
, ovvero a non influenzare la localizzazione nelle scelte di
investimento degli operatori economici.
Questi temi furono riproposti nel “Programma di armonizzazione
fiscale”
35
del 26 giugno 1967, conosciuto anche come “Memorandum di
armonizzazione delle imposte dirette”, che costituisce il documento
comunitario più rilevante in materia di fiscalità diretta prima del successivo
“Rapporto Ruding”, di due decenni più tardo. Esso prevedeva, per lo
sviluppo di una equa concorrenza all’interno della Comunità, che fosse
garantita quanto possibile la neutralità fiscale sui costi di produzione e sulla
redditività dei capitali investiti e che gli Stati membri si impegnassero al più
stretto coordinamento delle politiche fiscali nazionali; risorse finanziarie,
movimenti di capitale, localizzazione degli investimenti, inoltre, non fossero
influenzati dalle variabili fiscali ma solamente da differenze economico-sociali;
infine, chie i sistemi fiscali permettessero lo sviluppo del sistema economico
nella nuova veste di mercato allargato sovranazionale
36
.
1.2.3 L’Unione Economica e Monetaria
Bisognerà aspettare il termine del periodo transitorio
37
per vedere
passi concreti in materia di armonizzazione delle imposte comunitarie, al fine
di accelerare il cammino dell’integrazione anche grazie ad espansioni
geografiche della Comunità, come avvenuto con l’ingresso di Danimarca,
Irlanda e Regno Unito del 1973. Il nuovo corso, sancito dalla Conferenza dei
capi di Stato e di Governo del dicembre 1969 riunito a L’Aja, comportava il
passaggio dal Mercato comune all’Unione Economica e Monetaria (UEM). Il
primo ministro lussemburghese Pierre Werner fu nominato a capo di un
33
v. p. 1236, ROCCATAGLIATA (2005), op. cit.
34
ibid.
35
CEE, Programma d’armonizzazione fiscale, Supplemento Bollettino CEE, n. 8, 1968.
36
ibid., ROCCATAGLIATA (2005), op. cit.
37
Ibid., Trattato di Roma, cit., art. 8: “Il mercato comune è progressivamente instaurato nel corso di un periodo
transitorio di dodici anni. Il periodo transitorio è diviso in tre tappe, di quattro anni ciascuna, […]. Le disposizioni dei
paragrafi precedenti non possono avere per effetto di prolungare il periodo transitorio aldilà di una durata complessiva
di quindici anni a decorrere dall’entrata in vigore del presente Trattato. […].” Il periodo durò effettivamente dodici
anni, terminando il 31 dicembre 1969.
9
gruppo di lavoro che aveva come scopo lo studio del piano di realizzazione
dell’Unione, facendo leva anche sulla rimozione delle barriere fiscali
intracomunitarie. Il “Rapporto W e r ne r ”
38
, pubblicato nel 1970, sostenne
l’importanza di intervenire primariamente sulle imposte indirette (accise e
imposta sul valore aggiunto) e circostanziò l’analisi di armonizzazione delle
imposte dirette relativamente alle sole coinvolte nei movimenti di beni e merci
intracomunitari (“al fine di permettere l’abolizione delle frontiere fiscali”
39
),
a quelle relative alla tassazione degli interessi dei valori mobiliari a reddito
fisso e dei dividendi e ad una progressiva convergenza delle imposte
societarie
40
.
Da ricordare, lo studio del professor Van den Tempel
41
dello stesso
anno, svolto per conto della Commissione, che individuava la doppia
imposizione sui dividendi transfrontalieri come uno degli ostacoli più evidenti
all’integrazione del mercato unico
42
. Tra gli altri contributi in materia si
trovano il “Programma d’azione fiscale”
43
, la proposta di Direttiva per
l’armonizzazione dei sistemi di imposizione societaria e delle ritenute alla fonte
sui dividendi
44
, entrambi del 1975, e la Comunicazione sulla convergenza dei
sistemi fiscali (conosciuta come “Rapporto Burke”) del 1980
45
.
Nonostante un i nte nso percorso di rapporti, studi ed un maturo
dibattito politico intorno a tali tematiche, le buone fondamenta poste dal
Programma d’armonizzazione fiscale del 1967 non trovarono immediatamente
frutto fino alla fine degli anni Ottanta; per due decenni, quindi, sul fronte
delle imposte sui redditi non vi furono significativi progressi. Un esempio è la
Direttiva “madre-figlia” n. 90/435/CEE, presentata il 15 gennaio 1969 e
approvata ventuno anni dopo. In questi anni furono avviate anche
consultazioni per predisporre un modello di Convenzione multilaterale contro
le doppie imposizioni relativamente alle imposte sui redditi e sui capitali
38
Ibid., Rapporto del Consiglio e della Commissione sulla realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria
della Comunità, Supplemento Bollettino CEE, n. 11, Lussemburgo, 8 ottobre 1970.
39
Ibid.
40
v. p. 1237, ROCCATAGLIATA (2005), op. cit.
41
Ibid., Imposta sulle società ed imposta sulle persone fisiche nelle Comunità europee, Bruxelles, 1970, comunemente
conosciuto come “Rapporto Van Tempel”.
42
v. p. 13, BADRIOTTI (2007), op. cit.
43
Ibid., Programma d’azione in materia fiscale, Bollettino CEE, n. 9, 1975.
44
Ibid., Proposta di Direttiva concernente l’armonizzazione dei sistemi d’imposta sulle società e dei regimi di ritenute
alla fonte sui dividendi, in C 253, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GUCE), 5 novembre 1975.
Riprendendo l’idea contenuta nel Rapporto Neumark, tale proposta prevedeva una tassazione societaria tra il 45% e
il 55% con un sistema di imputazione parziale dei dividendi con aliquota al 25% e credito di imposta anch’esso
variabile tra le medesime aliquote. Nonostante l’intento di uniformare le aliquote, una decisione sul calcolo comune
della base imponibile non venne mai raggiunta, trovando quindi restii a tale proposta anche i più favorevoli
all’armonizzazione fiscale. La proposta, ufficialmente ritirata nel 1990, non ha più avuto seguito e progetti di
uniformazione della base imponibile societaria sono ancora oggi allo studio, come quello descritto sulla Common
Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB) in nota 29, a cui si rimanda.
45
v. p. 784, GARBARINO (2008), op. cit.