reciproco tra differenti Paesi comunitari di diplomi ed attestati
professionali validi.
Il secondo capitolo inizia indicando i riferimenti storici basilari che aiutano
a comprendere sia la complessità della materia che la sua stretta
connessione con le più importanti vicende comunitarie degli ultimi
decenni, nonché tutto il l’iter dettagliato d’approvazione della direttiva
ex Bolkestein: da come e perché venne posta in essere la prima sfortunata
proposta di direttiva servizi, alla sofferta e sperata convalida definitiva del
secondo progetto, senza dimenticare di focalizzare l’importante ruolo
nelle decisioni normative della giurisprudenza orientativa della Corte di
Giustizia europea.
Nel terzo capitolo si propone di dotare il lettore delle effettive disposizioni
che l’ultima versione approvata della direttiva 2006/123/CE presenta,
esaminando il dettato dei vari articoli della normativa, soffermandosi
soprattutto sull’esame delle due fattispecie di stabilimento e circolazione
servizi, e “traducendone” per quanto possibile il significato degli aspetti
più importanti ed eloquenti.
Il quarto capitolo, invece, tratta inizialmente della complessa
interpretazione delle problematiche, delle proteste ed opposizioni alla
normativa relativa al libero circolo dei servizi che ne hanno determinato
un parziale stravolgimento durante l’iter d’approvazione.
Successivamente, è sembrato interessante porre attenzione alle
peculiarità e posizioni dottrinali di alcuni esperti ed addetti ai lavori,
che, pur lasciando trasparire la loro generale o parziale opinione sulla
direttiva ex Bolkestein, riescono con le loro osservazioni a far cogliere
proprio gli aspetti più ostici che hanno reso l’approvazione di questa
V
normativa disciplinare una delle sfide più difficili che la Comunità
Europea, nel suo complesso, ha dovuto affrontare nell’ultimo decennio.
Infine, nelle conclusioni, si è cercato di mettere insieme i pezzi, cercando,
con molta cautela, di ragionare coerentemente e di prendere in
considerazione sia i pregi e difetti dell’azione dei soggetti rivelatisi
protagonisti del delinearsi della direttiva servizi, sia il possibile oggettivo
tasso di razionalità di cui le rispettive posizioni potevano fregiarsi.
VI
Capitolo I
Concetti teorici generali e fondamentali sulla Libera
Circolazione dei Servizi
1.1 Mercato comune, mercato interno e
principi d’interpretazione della libera circolazione
Il primo concetto fondamentale cui si deve avere familiarità trattando di
libera circolazione comunitaria, è basato sul fatto che le Comunità
Europee, fin dal lontano inizio del loro iter costitutivo, si sono
costantemente prodigate per l’instaurazione di un forte mercato comune
1
tra gli Stati aderenti, sancito dal Trattato delle Comunità Europee
2
come
strumento che permettesse il miglioramento della qualità e del tenore di
vita delle popolazioni comunitarie.
Gli elementi costitutivi su cui è basata l’idea di mercato comune sono
due: da un lato la realizzazione di un’unione doganale, il quale permetta
sia l’abolizione dei dazi doganali tra gli Stati membri che la creazione di
una tariffa doganale unica e comune nei rapporti commerciali esterni con
paesi terzi, requisito quest’ultimo che differenzia propriamente l’unione
doganale stessa dalla zona di libero scambio. Dall’altro lato, elemento
che più interessa ai fini della nostra trattazione, la previsione di quattro
libertà di circolazione all’interno delle Comunità: delle merci, dei capitali,
dei lavoratori dipendenti e dei servizi professionali, le quali libertà,
nell’ottica liberoscambista del Trattato CE e grazie altresì a strette regole
1
Mercato comune realizzato dal 1 luglio 1968, circa un anno e mezzo prima della scadenza prevista dai Trattati
di Roma istitutivi le Comunità Europee, firmati il 25 marzo 1957.
2
Art. 2 CE
1
concorrenziali, mirerebbero a sviluppare un mercato forte ed efficiente al
suo interno, presupposto necessario per un’effettiva competitività
potenziale anche nei confronti dei mercati stranieri e globali.
Rispetto a questi propositi d’integrazione e di libera circolazione, la
prassi in base alla quale la nozione di mercato comune si caratterizzava
era la necessità e l’obbligo per tutti gli Stati membri di evitare, nelle
diverse materie attinenti le suddette libertà di circolo, qualsiasi
discriminazione basata sulla nazionalità
3
: questa concezione era
caratterizzata dalle regole del Paese di destinazione, secondo le quali era
imperativamente da garantire la parità di trattamento tra merci, servizi,
persone e capitali di un paese d’origine con i corrispondenti nazionali di
un eventuale paese di destinazione delle stesse. Ben presto, però, con
questo sistema non solo si vennero a creare casi di sostanziale
discriminazione che esulavano dall’intento originario di una formale
parità di trattamento, ma non veniva assicurata neppure un’effettiva
libertà di circolazione: si pensi alla disparità di fatto suscitata tra persone
di diversa nazionalità dall’apposizione di condizioni particolari per
l’accesso a certe professioni, quali ad esempio il superamento di un
difficile esame nella lingua autoctona o la richiesta d’ottenimento di un
diploma necessariamente nello Stato membro dove verrebbe posta in
essere l’attività, boicottando così di fatto eventuali diplomi equivalenti
conseguiti in Stati membri diversi.
Un tentativo di compensare simili squilibri fu posto in essere dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale dalla fine degli anni ’70,
tramite alcune famose sentenze
4
, introdusse la concezione secondo cui
3
Art. 12 CE
4
Sentenza del 20 febbraio 1979, causa 120/78, caso Cassis de Dijon; sentenza 5 maggio 1982, causa 15/81, caso
Schul; sentenza del 7 febbraio 1979, causa 115/78, caso Knoors; sentenza del 30 aprile 1986, causa 96/85,
Commissione c. Francia.
2
nessuna restrizione alla circolazione di merci regolarmente prodotte in
un qualsiasi Stato membro o nessuna limitazione all’esercizio di attività
legalmente abilitate in Stati membri differenti da quello di destinazione
possano esser tollerate: a meno che tale tolleranza non sia giustificata da
necessità di salute, di sicurezza pubblica, di tutela dei consumatori e
affini. Grazie a questa impostazione si passa dal principio del Paese di
destinazione, alle regole del Paese di origine, concezione che impedisce
nella prassi di libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone
l’imposizione da parte di uno Stato membro di condizioni e limitazioni
maggiormente onerose rispetto a quelle che metterebbe in pratica il
paese d’origine degli stessi elementi circolanti. Questa lettura, a sua
volta, ha permesso il breve passo verso l’ulteriore principio a cui si ispira
il tutto processo integrativo europeo, il mutuo riconoscimento, riconosciuto
ed immesso nel Trattato comunitario tramite l’Atto Unico Europeo
5
e
grazie al quale il mercato comune precedentemente instaurato venne
sostituito dalla nuova impostazione di mercato interno. Mettendo in
pratica il principio del paese d’origine si avrebbe assistito ad eventuali
casi discriminazione a rovescio, con la paradossale disparità tra condizioni
più favorevoli degli elementi provenienti da Stati membri con minori
oneri e restrizioni, e condizioni maggiormente gravate e legate dei
potenziali concorrenti nazionali. Sempre all’interno dell’AUE, infine, il
quadro fu completato da nuove disposizioni in materia di
ravvicinamento delle legislazioni
6
dei diversi Stati membri nell’ottica
d’instaurazione e meccanica del mercato interno. Con l’intento di ridurre
alla radice le eventuali discriminazioni a rovescio, questi provvedimenti
5
L’AUE, prima revisione di tipo generale ai Trattati di Roma, è stato firmato nel febbraio 1986 ed è entrato in
vigore il 1° luglio 1987: tra le altre cose, si faceva portatore dell’obiettivo d’instaurazione progressiva del
mercato interno entro il 31 Dicembre 1992.
6
Nuovo art. 95 CE, oltre all’art. 94 CE
3
amministrativi e normativi sarebbero stati adottati a maggioranza
qualificata
7
dal Consiglio ed supportati dall’attività della Corte di
Giustizia: la quale, per risolvere direttamente il problema, mise in pratica
il principio di non discriminazione anche nei confronti dei cittadini
nazionali
8
, non limitandosi più a lasciare l’incombenza all’applicazione
da parte dei giudici interni dei principi d’uguaglianza costituzionali
degli Stati membri
9
.
1.2 La libera circolazione dei Servizi:
libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi
Focalizzando l’attenzione specificatamente sulla materia riguardante la
libera circolazione dei servizi quest’ultima, originariamente qualificata
come variante della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito
specifico di attività autonome e non salariate, è disciplinata e definita nel
Trattato CE secondo 2 distinti profili: la libertà di stabilimento
10
, avendo a
che fare con lo stanziamento di una attività in un Paese diverso da quello
originario oppure libera prestazione dei servizi
11
, nel caso si sia in presenza
di un’attività avente carattere occasionale o temporaneo, espletata in un
qualsiasi Stato membro pur mantenendo lo stanziamento nello Stato
d’origine. Questa normativa ha l’obiettivo di permettere l’esercizio di
7
Art. 205, n. 2, CE; art. 12 Atto d’Adesione; dal 1 novembre 2004 la maggioranza qualificata è calcolata prima
tramite ponderazione dei voti a seconda della grandezza demografica dei Paesi membri, con l’aggiunta di
sostanziali correttivi; successivamente le disposizioni sono approvate con una maggioranza di 2/3 di voti degli
Stati membri, che in sede di verifica devono rappresentare almeno il 62 % della popolazione totale dell’Unione
Europea.
8
Sentenza dell’11 luglio 2002, C-60/00, caso Carpenter
9
Sentenza del 16 giugno 1994, causa C-132/93, caso Steen II
10
Artt. 43-48 CE
11
Artt. 49-55 CE
4
attività di servizi su tutto il territorio della Comunità Europea, quale che
sia la forma ed il profilo d’esercizio delle stesse.
Per servizio
12
s’intende in modo residuale una prestazione retribuita non
regolata da disposizioni normative in relazione alle libertà di circolo di
merci, capitali e persone: prestazioni industriali, artigianali, commerciali
o libere professioni. Le attività da considerarsi secondo questa accezione
sono quelle non salariate, mentre sono incluse nei provvedimenti di
libera circolazione anche la costituzione e gestione d’imprese e società
secondo le condizioni definite dalle leggi del Paese di stabilimento
13
.
Interpretazioni restrittive della Corte di Giustizia
14
hanno determinato
esclusione dalla normativa relativa alla libera circolazione di tutte quelle
attività in cui vi è partecipazione attiva, diretta e specifica dei poteri
pubblici
15
, lasciando al Consiglio la prerogativa di esonerare alcune
attività da questa esclusione
16
.
La nozione di stabilimento attiene ad una concezione statica,
considerando che l’elemento interstatuale è presente solo nel momento
specifico dello stesso stanziamento in un Paese diverso da quello
d’origine, mentre le successive attività esercitate in quello Stato membro,
svolgendosi interamente all’interno dello stesso, non sono toccate dalla
caratteristica interstatuale. In pratica, l’esercizio di tale prerogativa è
legato all’effettivo trasferimento e all’insediarsi dell’attività nel Paese di
destinazione del servizio: «Vi sarà stabilimento quando una persona o
un’impresa si trasferisce in un altro Stato membro ove, attraverso l’uso o
la costituzione di un ufficio, una sede secondaria, una filiale, un’agenzia,
12
Art. 50, co. 2, CE
13
Art. 48, co. 2, CE
14
Sentenza del 21 giugno 1974, caso Reyners; sentenza del 15 marzo 1988, Commissione c. Grecia; sentenza del
13 luglio 1993, Thijssen; sentenza del 26 aprile 1994, Commissione c. Italia
15
Art. 43, co. 2, CE
16
Art. 45, co. 2, CE
5