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Introduzione
La presente tesi si propone di esaminare il legame tra spazi e generi e la
dimensione spaziale della paura. L’ambito di ricerca si inserisce all’interno degli
studi urbani e della geografia femminista che hanno contribuito, soprattutto a
partire dagli anni Ottanta e Novanta, a mettere in luce la presenza di
diseguaglianze di genere nell’utilizzo degli spazi. Diversi studi concordano nel
definire la produzione dello spazio come un fatto strettamente legato (anche) al
genere (Hayden, 1980; Wilson, 1991; Massey, 1994). Questo aspetto è reso
evidente anche nella pianificazione delle città, la quale riflette e, a sua volta,
esacerba i problemi relativi ai ruoli di genere.
La paura può essere una lente attraverso cui analizzare le disparità sociali. Non
tutti gli individui vivono la paura negli e degli spazi nella stessa maniera, in
quanto essa, quando diventa sistematica, viene utilizzata come mezzo con cui certi
gruppi possono esercitare e mantenere determinati equilibri di potere. Ciò
comporta la creazione di spazi “proibiti” per le categorie più vulnerabili e la
conseguente negazione del loro “diritto alla città” (Lefebvre, 1974; Fenster, 2005).
Applicando un’ottica intersezionale, si può comprendere come la paura si
costituisca a partire e (nell’) incrocio di diversi assi identitari. Pertanto, al fine di
comprendere la sistematicità dell’oppressione e della discriminazione è necessario
prendere in considerazione le connessioni tra le esperienze degli individui e le
loro categorie biologiche e socioculturali (Crenshaw, 1991).
In tempi più recenti, alcune città hanno iniziato a porre attenzione alle
diseguaglianze derivanti dalla carenza di spazi pensati per le esigenze, in
particolare, delle donne. Grazie anche al contributo di gruppi femministi, si è
cercato di dare una risposta a tale problema attraverso l’integrazione della
prospettiva di genere nella pianificazione urbana.
Tenendo in considerazione che le donne non rappresentano un gruppo
omogeneo e biologicamente definito e che esistono una pluralità di generi,
l’obiettivo della tesi è di rispondere ai seguenti quesiti:
- Quali sono i legami tra generi, paura e controllo negli spazi?
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- In che modo la questione di genere ha influito sull’agenda urbana a livello
europeo?
- Quali sono i limiti e le potenzialità della pianificazione urbana di genere?
Il lavoro di ricerca, articolato in quattro capitoli, si propone di raggiungere tali
obiettivi tramite l’analisi documentale della letteratura nell’ambito degli studi
urbani, della geografia femminista e dei gender studies. Infine, la tesi esamina i
casi studio di Vienna e della Catalogna attraverso l’analisi di politiche messe in
atto e la realizzazione di un’intervista a una cooperativa operante a Barcellona.
Il primo capitolo è dedicato al quadro teorico della tesi attraverso la
presentazione della geografia dei corpi, le geografie emozionali e affettive, la
geografia della paura e della paura della criminalità. Questi campi di ricerca hanno
avuto un ruolo fondamentale nel mettere in discussione gli approcci tradizionali
della geografia che, per lungo tempo, hanno escluso tutto ciò che veniva
considerato irrazionale. L’introduzione di una prospettiva femminista ha messo in
luce dicotomie presenti nell’ambito della produzione della conoscenza che hanno
opposto la razionalità, la mascolinità e l’autocontrollo all’irrazionalità, la
femminilità e all’emotività (Bondi, 2005). Questa interpretazione della società ha
portato a svalutare e a marginalizzare tutto ciò che veniva considerato femminile,
in quanto non ritenuto opportuno nella ricerca.
Nel secondo capitolo vengono discussi aspetti affrontati dai gender studies e
dalla geografia femminista, relativi alla costruzione sociale e narrativa del genere
e al legame tra quest’ultimo e lo spazio. Generi e spazi interagiscono
continuamente tra loro, riflettendo e, allo stesso tempo, avendo effetti sui modi in
cui questi vengono costruiti e compresi nella società (Massey, 1994). Entrambi
condividono l’essere costrutti sociali, in costante divenire, prodotto e mezzo
attraverso cui esercitare e mantenere determinati equilibri di potere e
contribuiscono a creare confini, definendo chi vi appartiene e chi no. La paura
interviene nel dare forma ai confini tra appartenenza ed estraneità, determinando il
modo in cui gli spazi vengono vissuti e costruiti.
Il terzo capitolo indaga le differenze di genere nella maniera in cui viene
vissuta la paura, nei comportamenti e nei rapporti che gli individui instaurano in
relazione all’ambiente sociale e fisico circostante. La paura derivante dalla
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violenza di genere, in particolare, viene considerata uno strumento sistematico di
controllo sociale (Pain, 1994). Questo controllo costruisce sia la vittima, sia
l'aggressore, con il duplice risultato di controllare tanto il corpo delle donne
quanto quello - individuale e collettivo - di alcuni gruppi sociali, che vengono
visti come indesiderati e pericolosi. Tale controllo può essere esercitato attraverso
forme di molestie e violenze che possono essere concettualizzate come
“intrusioni”, ossia un’invasione dello spazio altrui con cui si cerca di far dominare
la propria presenza (Vera-Gray, 2016). Tali intrusioni influenzano il senso di
libertà di movimento e di sicurezza della persona che le subisce, ledendo così il
proprio diritto a utilizzare liberamente gli spazi.
Il quarto capitolo, infine, presenta il dibattito relativo al rapporto tra
pianificazione urbana e sicurezza, nato nel contesto nordamericano attorno gli
anni Sessanta e giunto successivamente anche in quello europeo. Solo più di
recente, tuttavia, si è data maggiore attenzione alla prospettiva di genere, anche se
con risultati diversi. In particolare, in Europa è stato gradualmente integrato il
gender mainstreaming nelle politiche e sono stati sviluppati strumenti finanziari
per aiutare le città nella cosiddetta “dimensione urbana” della politica di coesione
(Fedeli e Zimmermann, 2021). Sebbene questi sforzi abbiano avuto risultati
diversi e non omogenei sui territori, essi hanno ha in parte rappresentato una
spinta per diverse città che hanno introdotto la prospettiva di genere nella
pianificazione urbana. Vienna è stata la prima città in Europa ad attuare alcune
azioni trasformative negli anni Novanta e rappresenta ancora oggi un modello. In
questo capitolo viene analizzato anche il contesto della regione spagnola della
Catalogna che ha approvato una legge – la Llei 2/2004 - fondamentale per l’avvio
di azioni partecipative e trasformative nel suo territorio. Quest’ultimo caso viene
esaminato anche attraverso la testimonianza di Equal Saree, cooperativa di
Barcellona.
La tesi conclude che gli spazi, risultato di rapporti di potere, riflettono una
concezione patriarcale della società che controlla e opprime le donne e tutte le
soggettività considerate “devianti”. Le relazioni di matrice patriarcale
rappresentano un fattore negativo nell’esercizio del diritto alla città poiché
limitano la possibilità di utilizzare e partecipare liberamente alla produzione degli
spazi (Fenster, 2005). Tuttavia, le disparità tra generi che prendono forma negli
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spazi possono, in parte, essere sovvertite attraverso azioni trasformative e la
partecipazione attiva delle persone che vengono abitualmente emarginate.
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CAPITOLO 1
Paura e spazi
La paura è un tipo di emozione che ciascun individuo sperimenta nel corso
della propria vita e che può scaturire in, e a partire da, situazioni e contesti
differenti. Tra le paure che una persona o una società può percepire vi è quella in
riferimento alla violenza e alla criminalità. Entrambe costituiscono dei fattori
fondamentali che influenzano il senso che noi assegniamo alla sicurezza e agli
spazi che quotidianamente viviamo e occupiamo.
Spesso, i discorsi riguardanti la paura, il senso di insicurezza e la sicurezza
urbana tendono ad attribuire un carattere neutrale e universale a questi elementi.
In realtà, i significati che vengono a costruirsi attorno a tali concetti
corrispondono a narrazioni culturali e politiche che riflettono una determinata
visione del mondo. Dietro alla percezione di universalità si nasconde l’adesione a
un dato ordine sociale e normativo, frutto di dinamiche di potere, che risulta
dominante in quel tempo e quello spazio specifico.
Nell’ambito della produzione della conoscenza si sono create e sono state
condivise nel tempo narrazioni e griglie interpretative che hanno riprodotto
diseguaglianze e gerarchizzazioni sociali, escludendo una parte della realtà
rappresentata da quelle categorie tradizionalmente marginalizzate. Nel caso della
ricerca geografica, è stato essenziale il contributo di una prospettiva femminista
che ha condotto verso la messa in discussione di un paradigma fazioso e limitato
che per molto tempo è stato quello dominante. Da questa nuova e recente lettura
della società sono nati vari campi di ricerca della geografia, che verranno discussi
in questo capitolo.
1.1 La geografia dei corpi
Attorno agli anni Novanta, a partire dal contributo della geografia femminista,
si inizia a adottare come oggetto di studio il corpo inteso come spazio geografico.
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Nel tentativo di delineare una definizione di “corpo”, la filosofa femminista
Elizabeth Grosz (1992, p. 243) sostiene:
By body I understand a concrete, material, animate organization of flesh,
organs, nerves, muscles and skeletal structure which are given unity,
cohesiveness, and organization only through their psychical and social
inscription as the surface and raw materials of an integrated and cohesive
totality. […] The body becomes a human body, a body which coincides
with the ‘shape’ and space of a psyche, a body whose epidermic surface
bounds a psychical unity, a body which thereby defines the limit of
experience and subjectivity, in psychoanalytic terms through the
intervention of the (m)other, and ultimately, the Other or Symbolic order
(language and rule-governed social order).
Nella geografia femminista, dunque, il corpo va al di là della sua materialità
(organi, nervi, muscoli) e viene analizzato come un’entità socialmente e
culturalmente costruita. Di conseguenza, il corpo non è mai neutrale ma presenta
un carattere politico.
Nella letteratura geografica, si trovano associati al corpo espressioni quali
“campo di battaglia” (Simonsen, 2000) o ancora “sito di politica” (Longhurst,
2001). I corpi, infatti, «ci collocano […] al crocevia di numerose linee di potere,
che ci attraversano in modo differente e specifico» (Castelli, 2019, p. 63). Ciò
sottolinea ulteriormente come l’adozione del corpo come unità di studio implica
una considerazione della presenza di determinate relazioni di potere, dalle quali
possono conseguire processi di inclusione, esclusione, controllo, oppressione e
resistenza. A tal proposito, Adrienne Rich (1986, p. 215), saggista femminista,
afferma:
[T]o locate myself in my body means more than understanding what it has
meant to me to have a vulva and clitoris and uterus and breasts. It means
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recognizing this white skin, the places it has taken me, the places it has not
let me go.
Nell’analisi di Rich viene ribadita l’idea che il corpo non dovrebbe essere
preso in considerazione come un qualcosa di neutrale. Esso è, infatti, legato al
sesso, al genere, alla “razza”. La materialità corporea, e in particolar modo le
narrazioni e le politiche che vengono a costituirsi attorno a questa, determinano un
elemento essenziale di definizione della nostra presenza nello spazio. Poiché i
corpi sono associati a varie significazioni sociali che li codificano e li rendono
leggibili, da essi vengono a delinearsi le possibilità o i limiti di vivere determinate
esperienze in tali spazi (Castelli, 2019).
La geografia dei corpi intende scardinare una serie di concetti tipici del
pensiero occidentale che per lungo tempo hanno contribuito ad attribuire un
significato incompleto al corpo (Valentine, 2001). Uno di questi concetti è la
dicotomia mente/corpo. Nel dibattito filosofico occidentale, mente e corpo sono
stati a lungo considerati come entità distinte e, soprattutto, connotati in termini di
genere. Infatti, se alla mente venivano associati valori positivi come la razionalità,
l’autocontrollo, la ragione e la mascolinità, alla mente sono stati assegnati
l’emotività, l’irrazionalità, la femminilità e la natura.
Secondo tale pensiero, le donne avrebbero uno stretto rapporto con il corpo,
essendo tradizionalmente associate a fenomeni naturali come il ciclo mestruale, la
gravidanza e il parto. Le donne e la natura sono considerate come potenzialmente
incontrollabili, se non dalla razionalità maschile. Gli uomini, dall’altra parte,
riuscirebbero a separarsi dalle emozioni e quindi dal loro corpo, il quale
diventerebbe un semplice contenitore della loro coscienza. Pertanto, gli uomini
sono contenuti nei loro corpi ma non sono controllati da essi, a differenza delle
donne. Come osservato dall’antropologa Kirby (1991, p. 12-13):
Although it is granted that Man has a body, it is merely as an object that he
grasps, penetrates, comprehends and ultimately transcends. As his
companion and complement, Woman is the body. She remains stuck in the
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primeval ooze of Nature's sticky immanence, a victim of the vagaries of
her emotions, a creature who can't think straight as a consequence.
Sebbene uomini e donne possiedano entrambi dei corpi, in questa concezione
gli uomini sarebbero capaci di liberarsi dalle limitazioni del corpo, collocato nel
tempo e nello spazio, e perseguire una conoscenza universale. Le donne, invece,
sarebbero legate agli istinti e ai desideri del proprio corpo (Longhurst, 1997).
Questo tipo di differenziazione, connotata in maniera positiva per gli uomini e
negativa per le donne, delinea una struttura gerarchica che permette l’esistenza di
gruppi privilegiati che prendono parte alla costruzione dei corpi “altri”, dettando
così le norme e gli standard a cui devono rispondere tali corpi (Simonsen, 2000).
Da questo squilibrio di potere tra corpi deriva la creazione di un confine netto tra
il Sé e l’Altro, il quale non ammette l’esistenza di nient’altro nel mezzo: né di un
termine che non sia né l’uno né l’altro, né di un termine che sia tutti e due
(Longhurst, 1997). Tra i due si instaura inevitabilmente un rapporto gerarchico, in
cui il termine A (il Sé, l’Uomo, l’Eterosessuale) rappresenta lo stato positivo e
indipendente dal termine B (l’Altro, la Donna, l’Omosessuale), che invece è
negativo e dipende da A (ibidem). Da ciò si delinea un sistema di dominazione in
cui A sta sempre al di sopra di B.
Da qui si creano spazi di dominazione per i corpi privilegiati e spazi di lotta
per il riconoscimento e l’appropriazione per i corpi “altri”. A partire da queste
considerazioni, la geografia dei corpi cerca di porre particolare attenzione sulle
questioni di potere, di politica e del corpo come sito di contestazione. In
particolare, le lotte femministe per il diritto al proprio spazio corporeo agiscono in
questo contesto, ad esempio nelle lotte per la sessualità, l'aborto, la gravidanza e la
paura della violenza nello spazio pubblico e privato (Simonsen, 2000).