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E’ la società che in qualche modo struttura le relazioni che definiscono lo spazio fisico; a
sua volta lo spazio fisico potrebbe condizionare lo spazio sociale che vincolerà in maniera
diversa quello relazionale. Diciamo infatti che per loro natura “le società umane sono
composte da popolazioni di esseri umani che interagiscono con il loro ambiente naturale
(spazio fisico), e anche con il loro ambiente umanizzato (spazio relazionale) ” [Laszlo,
1995].
Le teorie esposte da Carlo Emilio Gadda in uno dei suoi romanzi a proposito del mondo
visto come “sistema di sistemi” [Gadda cit. in Calvino, 1993] e “soprattutto come rete di
connessioni fra i fatti, tra le persone, tra le cose “ [Calvino, 1993] racchiude bene i concetti
di mutua dipendenza sopra esposti dato che il mondo ancor più delle città e delle società
può esser visto come una composizione di singoli sistemi che si condizionano
vicendevolmente. Per questo motivo e dunque d’obbligo partire dall’analisi della città
quale matrice e mappa cognitiva valida per affrontare correttamente questo percorso di
ricerca.
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LA CITTA’ E LA SUA DIMENSIONE SOCIALE
1. Un organismo, tanti organismi: la città
Descrivere le città è un’arte molto rara
perché si sottraggono alla descrizione.
Le si può percepire così facilmente con i
sensi, fiutandone l’odore, ascoltandone
i rumori, con l’esperienza diretta,
tramite la vista, ovviamente, anzitutto
cogli occhi.
[Wenders, 1992]
La città potrebbe pensarsi come un organismo vivente composto da una molteplicità di
dimensioni quella spaziale, temporale, ambientale, sociale, economica e territoriale; mentre
può essere definita come una “macchina non banale” in cui tutte le sue dimensioni, a loro
volta, costituiscono macchine non banali che interagiscono tra loro non banalmente.
La macchina è qui ipotizzata come strumento puramente concettuale, nonché
imprevedibile, dato che per un determinato input impostatogli, non necessariamente
riceveremo sempre lo stesso output. Il campo di variabilità dello stato finale, e quindi
dell’output, dipende da una molteplicità di fattori, nel rispetto del principio fondamentale
della macchina non banale [von Foerster, 1995].
Tale macchina per esistere nel tempo e nello spazio ha necessita di qualcosa che le
permetta di vedere, di vedersi e di essere vista dall’esterno, ma anche di auto-correggersi in
seguito ad azioni inconsulte rivolte verso se stessa o verso l’esterno del sistema. L’entità
che le permette questo genere di azioni, determinandone quindi il cambiamento, è l’uomo.
Esso ha il compito di dar vita alla città e per questo assume inconsapevolmente il ruolo di
osservatore della grande macchina, rimanendovi imprescindibilmente incluso. Può inoltre
rilevare comportamenti che la macchina, come entità isolata, non sarebbe in grado di
leggere se non attraverso un’osservazione esterna.
La città però non risulta esclusivamente un sistema osservato, ma anche un sistema
osservante in quanto complesso di elementi e regole con le quali è possibile definire, anche
se in maniera sfumata, la concreta realtà delle relazioni che in essa nascono [Pasquino,
1995].
Bisogna, dunque, analizzare l’uomo non solo come un tutt’uno con l’organismo-città ma
come un’entità inclusa in esso. Possiamo, infatti, avere uomini senza città, ma non città
senza uomini. Ne consegue che qualsiasi teoria riguardante la città non possa prescindere
dall’analizzare l’uomo quale entità elementare del sistema.
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Quando si ha a che fare con un sistema di questo tipo si deve necessariamente tener conto
non solo degli agenti esterni e quindi degli osservatori, delle entità elementari, ma anche e
non in misura minore della sua costituzione interna [Tagliagambe, 1994].
Non si può neppure studiare il comportamento del sistema-città limitandolo ad una
semplice analisi delle sue componenti individuali, siano essi individui o elementi fisici,
dato che molteplici sono i fattori da cui esso può dipendere.
Il complesso di elementi fisici, relazionali o viventi che caratterizzano dunque la macchina
non banale, porta a definire quest’ultima come un sistema complesso. Ci si chiede per
quale motivo la città sia assimilabile ad un sistema, e ancora, perché tale sistema venga
definito come complesso. Sono questi i primi interrogativi che nascono.
Si è già definita la città e la molteplicità di dimensioni o parti, non solo fisiche ma anche
relazionali, che la compongono. Queste parti analizzate nella loro globalità ci daranno
sempre un qualcosa in più della somma delle singole parti prese come individualità. Il
valore globale del sistema-città, nonché le relazioni che in esso si riscontrano, saranno
dunque sempre maggiori di quelle di ogni sua parte analizzata singolarmente e poi
sommata alle altre senza nesso causale o relazionale.
La sua complessità è legata alla globalità degli individui che compiono ciascuno differenti
osservazioni, facendo così aumentare il grado di complessità dell’intero sistema che non
possiede quindi un limite ben preciso, non essendo a priori determinato il numero di
osservatori. Il sistema-città inoltre verrà analizzato da ogni singolo osservatore da una
molteplicità di punti esterni ed interni che possono far assumere al sistema diversi
significati [Fabbri Montesano, Munari, 1995] e una diversa strutturazione che rappresenta
un altro modo di manifestarsi della complessità sistemica [Pasquino, 1995].
La complessità è dunque direttamente legata alla presenza dell’osservatore che compie
“azioni motorie volontarie” [von Foerster, 1995] dotate di un vasto grado di autonomia
rispetto al sistema che li contiene, non veicolate e difficilmente prevedibili nel tempo
“soggettivamente vissuto e determinato” [Mandich, 1996], all’interno di un certo spazio
fisico e relazionale. L’attività relazionale rilevabile nel sistema nasce dalla cooperazione,
dal livello di comunicazione presente tra le varie parti e dal modo in cui egli stesso entra in
relazione con l’ambiente circostante.
L’entità uomo dall’istante in cui ha plasmato questa grande macchina è
contemporaneamente entrato in simbiosi con essa dando vita ad un sistema in continua
evoluzione: il sistema-società, che risulta essere il prodotto della città come dell’uomo.
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Per questo si deve cercare di progettare a partire dalle individualità, dagli elementi che
caratterizzano il sistema-società, e il sistema-città che li contiene, per arrivare al progetto
del “complesso di elementi interdipendenti” [Morin, 1995] che li associano.
L’uomo dunque visto come entità elementare è il modello semplice, anche se complesso
per sua intrinseca natura, a partire dal quale possono assumere un senso gli strumenti e le
tecniche che ci permetteranno di capire il sistema-società. La sua comprensione, a sua
volta, ci aiuterà a percepire la città come una macchina vivente. Dato che “ogni essere
vivente può essere assimilato ad un processo di rivelazione dell’informazione” [Stengers,
1995] anche la città vista come tale ci darà valide informazioni per la conoscenza delle
dinamiche del sistema-società.
Viene quindi così definita, attraverso queste strette connessioni, la natura inscindibile del
trinomio uomo, società, città. Si crea dunque uno stretto rapporto biunivoco tra città e
dimensione sociale che per essere compreso deve in qualche modo essere esplorato e in
seguito rappresentato.
Il sistema-società non può dunque prescindere dalla città, dall’ambiente in cui ha avuto
origine, come la città non può prescindere dall’uomo.
L’analogia tra uomo e città risiede nel fatto che entrambi sono in grado di emettere
messaggi esterni significativi (informazioni) [Scandurra, 1996] indispensabili per la
crescita e l’evoluzione del sistema. Si sviluppa dunque una coevoluzione tra dimensione
sociale e dimensione spaziale. “La città può essere (...) letta come un ecosistema (magari
artificiale) nel quale c’è uno scambio continuo tra organismi viventi e ambiente fisico
antropizzato (il secondo ambiente) nel quale essi vivono” [Scandurra, 1996].
“L’organismo e l’ambiente, in realtà, non sono determinati separatamente. L’ambiente non
è una struttura imposta agli esseri viventi dall’esterno, ma è in realtà una loro creazione.
(...) Proprio come non esiste un organismo senza un ambiente, così non c’è un ambiente
senza un organismo” [Lewontin, cit. in Tagliagambe, 1994].
La loro evoluzione nel tempo e nello spazio avviene in maniera congiunta quasi parallela.
In definitiva l’uomo e la città, evolvono insieme come un unico sistema. La legge che
regola questa evoluzione ci dice che “non soltanto le specie che lasciano il maggior
numero di discendenti tendono a ereditare l’ambiente, ma tende ad essere mantenuto anche
l’ambiente che favorisce il maggior numero di discendenti. (...) La vita e il suo ambiente
sono due parti strettamente accoppiate di un sistema in cui fra queste due componenti si
produce un anello di retroazione. Le perturbazioni di una delle componenti influenzeranno
l’altra, e questa a sua volta retroagirà sul cambiamento originario” [Lovelock, 1995].
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Questo stretto legame può risultare fondamentale per comprendere i meccanismi regolatori
dell’omeòstasi del sistema analizzato. Tali meccanismi constano di un complesso ma
equilibrato intreccio di processi, di diversa natura, che garantiscono una relativa
indipendenza degli organismi dal mezzo città, fintanto che entrambe “non incontreranno
perturbazioni superiori alla capacità di regolazione dei sistemi esistenti. Le grandi
perturbazioni, siano esse dovute a cambiamenti ambientali o siano il risultato di
contraddizioni interne di ordine biologico, sembrano far si che il sistema si sposti,
attraverso una serie di oscillazioni, in un nuovo stato stazionario caratterizzato da differenti
proprietà dell’ambiente e da un differente insieme di specie” [Lovelock, 1995].
In realtà gli organismi viventi e l’ambiente sono entità estremamente complesse e
caratterizzate da molteplici interconnessioni, ed è difficile che esista anche un solo aspetto
della loro interazione che possa essere descritto in maniera univoca senza incorrere nel
rischio del riduzionismo [Lovelock, 1995].
Per la presenza all’interno del sistema-città di tutti questi legami intrinseci la città con tutte
le sue trasformazioni spazio temporali appare all’osservatore come lo specchio
dell’evoluzione delle varie dimensioni e quindi anche di quella sociale. La sua forma è la
rappresentazione di questo cambiamento tuttora in atto. Essa “emerge attraverso
interazioni successive” seppur piccole [Oyama 1985, cit in Maciocco, Tagliagambe, 1997],
delle diverse dimensioni e dei vari elementi che compongono il sistema.
Lo scopo di questo lavoro in prima istanza è quello di cercare di costruire delle conoscenze
vincolate al sistema, ai giochi delle parti e all’ambiente, attraverso il paradigma della
complessità per indagare il quale sarà necessario costruire un quadro di realtà e di
possibilità, nonché di rappresentazione.
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2. Lo spatium estensione del tempo
Per riuscire a capire la differenza e la distanza intercorrente tra reale e possibile non si può
prescindere dall’analizzare sia la dimensione spaziale sia quella temporale. Esse risultano
direttamente connesse attraverso la dimensione relazionale che tende ad includerle dentro
di se e a regolare i rapporti tra gli individui o tra i gruppi. Entrambe risultano dipendenti
dal mondo in cui si proiettano, e per questo vanno pensate come una struttura di relazione
[Mandich, 1996], per costruire la quale, va però effettuato un indispensabile passaggio
dalla dimensione macro spazio temporale, del mondo o meglio della città, a quella micro
del sistema delle relazioni nella quale si ritrovano i soggetti analizzati.
La realtà indagata in questo contesto, può essere definita come quello che un determinato
osservatore percepisce, nell’atto di vedere, in un certo spazio fisico, in un istante
determinato.
Lo spazio diventerà un luogo solamente qualora venga investito di un particolare valore e
significato, non solo dal punto di vista spaziale ma anche dal punto di vista temporale. Per
definizione quindi non tutti gli spazi possono essere visti come luoghi. I luoghi sono
identitari, relazionali e storici, creano senso simbolico, molteplicità di relazioni e un tempo
vissuto. N’è un esempio lo spazio locale che rappresenta il riferimento simbolico per una
comunità e viene al tempo stesso da essa plasmato [Mandich, 1996].
Spazio e tempo risultano quindi contemporaneamente sia le invarianti riferite ad un tempo
trascorso sia le variabili di un tempo futuro del complesso sistema ambiente-osservatore-
oggetto visualizzato. Si viene a creare dunque un vero e proprio schema spazio-temporale
relazionato non solo al sistema analizzato ma anche alla conoscenza dell’osservatore. Per
poter definire dunque la realtà la si deve presupporre nota e presente all’interno del
bagaglio conoscitivo dell’osservatore operante. Tali conoscenze si costruiscono nel tempo
della vita, attraverso passaggi successivi e singolari esperienze. Si parte dunque da una
base vissuta fatta di esperienze consolidate presenti nella memoria dell’osservatore che
rappresentano la base per un futuro concretamente realizzabile [Maciocco Tagliagambe,
1997]. Secondo Charles Sanders Peirce, l’uomo non ha nessun potere d’intuizione ma tutto
risiede nella conoscenza che si costruisce attraverso interazioni successive e quindi
attraverso un vero e proprio processo di costruzione della conoscenza.
All’interno di questa realtà non si può dimenticare quella relativa al sistema osservato. Si
dovranno quindi indagare tutte le realtà relazionate e connesse al sistema in studio
all’interno della dimensione spazio tempo precisata.
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Tutto ciò che non passa per una tale determinazione è definito realtà possibile. E’ inoltre
lecito definire anche i limiti di queste realtà possibili. Il principio regolatore è quello della
non contraddittorietà. Nessuna possibilità, infatti, che porti implicitamente e
intrinsecamente un principio di contraddittorietà potrà essere contemplata nello spazio del
possibile. Il campo dei possibili potrà essere limitato inserendo vincoli sempre in numero
maggiore che dipenderanno in maniera diretta dai sistemi osservati. Dunque nulla di ciò
che è possibile potrà mai risultare indipendente da questi sistemi analizzati. Sarà questa la
principale chiave di lettura del modello che s’intende qui costruire, sarà dunque necessario
calarsi all’interno delle varie dimensioni al fine di poter in qualche modo assegnare al
modello stesso dei legami precisi con la realtà e delle basi che ne potranno confutare la
veridicità.
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3. La realtà vista nel corso del tempo
Viviamo nella città,
le città vivono dentro di noi….
Il tempo scorre.
[Wenders, 1992]
Le identità della città, i suoi caratteri, stanno all’uomo come l’uomo sta alla città. Nel corso
del tempo si continuerà a creare la vita, a distruggerla, senza mai farla morire totalmente.
Anche la città allora non morirà mai?
Si parla spesso di tutto ciò che dovrebbe essere preservato al fine di permettere alle
generazioni future di vivere con le potenzialità presenti la propria esistenza. Col passare
del tempo potranno estinguersi molte risorse, o addirittura specie viventi ma è
scientificamente dimostrato che l’uomo continuerà a vivere per secoli anche senza tutto
questo e con lui continueranno ad esistere gli spazi fisici, per eccellenza, simboli mutevoli,
dell’ultimo millennio: le città.
Mutevole è la parola chiave. Se in un domani l’uomo imparerà a fare a meno di un
qualcosa ora necessario ma non ancora indispensabile, dovrà forse cambiare totalmente il
suo stile di vita e dovrà conseguentemente disegnarsi anche nuovi spazi dove vivere,
quindi nuove dimensioni.
Forse accadrà che il tempo possa rallentare, o dato che necessità fa virtù, esso potrà
accelerare oltre misura. Lo spazio conseguentemente si restringerà o si dilaterà in relazione
al tempo. Queste due dimensioni formano dunque un unico sistema di coordinate,
attraverso le quali è definibile l’intricato rapporto spazio-temporale esistente. Ai percorsi
spaziali corrisponderanno immediatamente delle coordinate temporali e viceversa
[Mandich, 1996]. Emblematico è il concetto di distanza dove lo spazio percorso non ha
alcun significato se non connesso al tempo impiegato a percorrerlo. La distanza dunque è
solo in apparenza un concetto spaziale ciò che in realtà si verifica è un annullarsi “dello
spazio attraverso il tempo” [Mandich, 1996].
Essendo il tempo per sua natura dinamico e lo spazio per sua natura statico, è necessario
operare una lettura in senso temporale dello spazio vissuto e quindi della realtà. Una tale
lettura per le caratteristiche intrinseche del tempo porta ad una visione dinamica del
sistema analizzato e al prevalere del tempo sullo spazio facendo così aumentare lo
“spessore temporale dell’esperienza” [Mandich, 1996] vissuta e creando una stretta
dipendenza dei contesti spaziali analizzati dallo spessore temporale così determinato.
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Il tempo aiuterà quindi a definire lo spazio dinamicamente attraverso differenti
osservazioni esterne. Esso non è pensabile senza un osservatore che lo viva, che lo
percepisca come fuggente, infatti “le strutture temporali ci appaiono solo attraverso i
soggetti che vivono il tempo” mentre “lo spazio sembra essere dotato di una propria
oggettività indipendente (...), non può essere considerato quindi un elemento esterno alla
società, ma è un prodotto della società (...). Cogliere, quindi, il carattere dei fenomeni
spazio-temporali nelle nostre società, implica il rifiuto di accettare interpretazioni
unidirezionali e lineari dei processi di mutamento” [Mandich, 1996].
Cosa accadrà dunque ai luoghi, alle città, nello spazio e nel tempo?
Disegnare a priori una città possibile è un’utopia. “I diversi modelli (...), via via elaborati,
col passare del tempo si trasformano da possibili futuri della città a giocattoli che, un
minuto dopo essere stati costruiti, possibili non lo sono ormai più. (...) Ogni elaborazione
progettuale che sfocia nella proposta di un diverso futuro deve dunque fare i conti con il
fatto che il mondo è già mutato, mentre essa prescrive i mezzi per cambiarlo, e che, di
conseguenza, gli strumenti e le modalità del mutamento vanno sottoposti a continua
revisione e aggiornati sulla base delle modificazioni nel frattempo intervenute nella realtà”
[Maciocco, Tagliagambe, 1997]. Parliamo dunque di modifiche tutt’altro che prevedibili.
Simon afferma che per procedere a previsioni è necessario che un dato fenomeno sia
piuttosto ricorrente e sufficientemente compreso. Dal momento che queste due condizioni
sono difficilmente soddisfatte quando si parla di città, di dimensione spaziale, temporale e
sociale, altrettanto difficilmente si può giungere a previsioni univoche, dato che i sistemi
analizzati risentono notevolmente degli eventi temporali.
Risulta dunque difficoltoso, dato il campo di variabilità in cui si opera, costruirsi un quadro
delle condizioni iniziali, e ancor più uno di condizioni future; dato che per una qualunque
variazione seppur piccola si potranno riscontrare “ripercussioni estremamente grandi sul
corso ulteriore degli eventi” [Simon, 1988 cit. in Scandurra, 1996].
“Dall’impossibilità, non soltanto pratica, ma di principio, di definire le condizioni iniziali
con precisione infinita, discende dunque una sostanziale imprevedibilità dello stato del
sistema che diventa sempre meno dominabile con il crescere dell’intervallo di tempo
trascorso dall’istante iniziale” [Lorenz, cit. in Scandurra, 1996].
Puntualizziamo il fatto che un sistema ha in ogni modo bisogno di queste variazioni per
poter evolvere, per crescere verso forme sempre più complesse, da cui non si può
prescindere.
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4. Le nuove forme di città come riflesso delle trasformazioni sociali
Migriamo da una città all’altra,
da un paese all’altro,
cambiamo lingua,
cambiamo abitudini,
cambiamo opinioni, cambiamo
vestiti, ci trasformiamo.
Tutto si trasforma, si trasforma
velocemente.
[Wenders, 1992]
Nelle città in generale ma soprattutto in quelle d’antica fondazione, si ritrova spesso la
sovrapposizione di tessuti urbani che hanno avuto origine in periodi differenti e che in
alcuni casi risultano tra loro difficilmente compatibili. Differenti sono anche i modi in cui
la popolazione si distribuisce in questo intricato tessuto generando altrettanti
comportamenti diversi.
Wells fin dall’inizio del secolo diceva: “la città si diffonderà finché non avrà conquistato
grandi aree e molte delle caratteristiche di quella che oggi è la campagna. La campagna
assumerà a sua volta molte delle qualità della città. L’antica antitesi scomparirà e le linee
di confine cesseranno di esistere” [Wells cit. in Martinotti, 1998]. Tali linee divisorie tra
città e campagna sono oggi ricostruibili con difficoltà all’interno di una città, sono invece
ben visibili quelle relative ai differenti tessuti urbani che difficilmente riescono ad
interagire e a formare un unico tessuto omogeneo non solo dal punto di vista della forma e
quindi spaziale ma soprattutto dal punto di vista relazionale. Il degrado crescente delle aree
periferiche accentua queste differenze e produce spesso grosse sacche di emarginazione
sociale con tutti i problemi che questo comporta.
Viviamo dunque in un periodo nel quale la nuova forma urbana va delineandosi, ma non
risulta ancora totalmente definita, ne sono del tutto chiare le ragioni di un tale
cambiamento. Per studiare una forma forse è sufficiente descriverla ma per spiegarla è
necessario scoprire e descrivere i processi che l’hanno generata [Barth 1966, cit. in
Gribaudi, 1996].
Parliamo quindi non più di forma urbana ma di una nuova forma che mostra il carattere e
le problematiche della società moderna cui si è dovuta adattare. Cambia dunque non solo la
forma ma l’idea stessa di città, la popolazione che la vive, il suo tempo e la dimensione
sociale che la rappresenta. Parliamo dunque anche di tempo vissuto, che nella società
moderna acquista un valore ben più elevato del tempo passato. “Nella vita antica gli anni
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non avevano importanza, (...) per noi ogni ora, ogni minuto, perfino ogni secondo hanno un
significato” [Spengler, 1981 cit. in Mandich, 1996].
Il tempo assume dunque un valore formale come del resto lo spazio, nell’orientare l’agire
dei singoli e ancor più delle masse, provocando una profonda ridefinizione non solo dei
valori, delle relazioni, ma soprattutto dei luoghi e quindi delle città [Mandich, 1996]. Si
definiscono quindi nuovi canoni di appartenenza spaziale più o meno autentica.
Il tempo e lo spazio risultano poi strettamente connessi al concetto di mobilità, di
spostamento che acquista oggi una velocità di gran lunga superiore rispetto al passato. Per
questo la mobilità costituisce uno dei tratti fondamentali della definizione delle nuove
morfologie creando anche nuove forme di distanza sociale [Mandich, 1996].
In queste nuove forme urbane, in questi nuovi luoghi temporali della mente, in questi
differenti tessuti, si scoprono nuovi elementi di socialità: la città non è più solo quella degli
abitanti o dei lavoratori ma s’individuano soggetti che ne usufruiscono in maniera diversa,
che tendono ad essa per motivi differenti, non legati esclusivamente allo studio o al lavoro.
Si creano dunque nuovi canoni comportamentali che spesso disegnano le forme e creano
nuovi luoghi.
“Lo scompaginarsi delle categorie consuete e il bisogno di formarne di nuove vengono in
genere considerate condizioni che favoriscono il cambiamento sociale. (...) L’indebolirsi
delle modalità abituali d’interazione fra le persone e l’inadeguatezza degli schemi
tradizionali con cui in una determinata società s’interpretavano i significati dell’agire,
determinando incertezze di valore e quindi, precludendo il formarsi della fiducia reciproca
e della cooperazione, conducono alla ricerca di nuove forme di relazioni sociali” [Pizzorno,
1996], e quindi conseguentemente al cambiamento della forma della città.
Si rileva dunque un’elevata corrispondenza tra le forme dello spazio e le forme sociali che
riguardano “non solo il modo in cui lo spazio viene costruito, frazionato, umanizzato, ma
anche il modo in cui viene concettualizzato e percepito” [Mandich, 1996].
E’ lo spazio-sociale dunque ad inserirsi nella città, assegnandogli nuovi valori prima
inesistenti, che s’impongono non solo come linee evolutive ma soprattutto disegnandone
una forma, allo stesso tempo anche la città e le sue nuove forme s’inseriscono nella spazio-
sociale operando anch’esse delle modifiche, creando dunque sostanziali cambiamenti.
Bisogna però effettuare contemporaneamente all’analisi spaziale anche quella temporale,
dato che le due analisi non possono essere scisse e quindi risulta necessario tener conto dei
differenti tempi nei quali le diverse forme sociali e fisiche si vanno determinando. In
definitiva il tempo dello spazio fisico e dello spazio sociale non scorrono nello stesso
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modo. Lo spazio-sociale rappresenta dunque un valido strumento per la percezione delle
linee evolutive delle forme spaziali.
Non si può però stabilire un concetto di spazio valido “a priori” [Simmel, 1989 cit. in
Mandich, 1996] senza tener conto della dimensione temporale, dell’ambiente in cui si
opera e del condizionamento vicendevole tra città e società. Lo spazio, infatti, non è il
prodotto standard che si ottiene applicando a priori una serie di regole, né la somma di una
serie di luoghi non relazionati, lo spazio-sociale “dunque non è, di per se, una forma, ma
produce forme nello strutturare i rapporti d’interazione. (...) lo spazio viene considerato
quindi per il modo in cui influenza le relazioni sociali e non per come ne è determinato.
(...) Le forme spaziali sono quindi quelle configurazioni di relazioni sociali che trovano
nello spazio la loro concretizzazione” [Mandich, 1996].
La creazione di questi rapporti d’interazione, fa si che lo spazio, da vuoto e nullo, divenga
qualcosa di vissuto [Simmel, 1989 cit. in Mandich, 1996]. “In quanto ambito della
coesistenza lo spazio è il luogo che fonda la società, traduce, incarna i fenomeni sociali”
[Mandich, 1996].
Il concetto di confine (parliamo di confine soggettivo) può facilmente spiegare questa
stretta dipendenza tra spazio-fisico, spazio-sociale e spazio-relazionale, e mettere in luce
come un confine vero e proprio sia difficilmente definibile se non in ambiti sociali
decisamente ristretti. Lo spazio-fisico che potrebbe in una certa misura essere definito in
base alle linee d’influenza dello spazio-sociale, dovrebbe essere rappresentato attraverso le
relazioni che si creano in quel determinato ambito. Sappiamo anche che: quando si parla di
città è difficoltoso delimitare il campo relazionale di un individuo o di un gruppo in quanto
la vita quotidiana porta ad intrattenere i rapporti più diversi, senza che possano
effettivamente sussistere limitazioni temporali o spaziali. Diverso è per un individuo che
vive la propria esistenza in una comunità di piccole proporzioni, nella quale risulta in
teoria più limitata la possibilità d’interagire con l’esterno.
Ne consegue dunque come lo spazio-fisico e quindi la forma di città non possa prescindere
dallo spazio relazionale e dalla comunità che crea quello spazio e viceversa dato che in
alcuni casi come si è già detto è lo spazio-fisico a plasmare lo spazio relazionale con le sue
caratteristiche materiali dando gli una vera e propria forma. S’individuano in quest’ultimo
caso delle forme sociali singolari che s’identificano con un particolare territorio e trovano
in esso un valido punto di riferimento [Mandich, 1996].
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Nelle grandi città, sono dunque presenti spazi della socialità differenti da quelli che
tradizionalmente si riscontrano in centri minori o che si potevano ritrovare in passato.
Si può dire che la qualità della vita “dal punto di vista delle relazioni che si intrattengono,
non è inferiore nelle grandi città rispetto a quelle piccole, è lo stile di vita che è diverso”
[Piselli,1995]: questo evidenzia come risulti differente il modo di vivere la socialità a
seconda dell’ambiente vissuto.
In contesti rurali i rapporti, che sono di tipo tradizionale, vengono definiti a “maglia
stretta” essendo caratterizzati da un alta densità di relazioni e da contenuti relazionali poco
specializzati, mentre in contesti urbani, dove possono essere rappresentati dal termine
modernità, vengono definiti a “maglia larga” essendo a differenza delle precedenti a bassa
densità, più ampie, maggiormente diversificate, più disperse geograficamente e con
contenuti specializzati [Mutti, 1996]. “La minore densità dei reticoli degli abitanti urbani
(connessa al maggior numero di attori che ne fanno parte) e la maggior specializzazione
dei contenuti relazionali non implicano però il venir meno dei legami forti” [Mutti, 1996].
In questi vasti ambiti, le città, difficilmente si ritrovano raggruppamenti di persone uniti
dagli stessi interessi e accomunati dalle medesime abitudini. Diciamo difficilmente perché
le forme di socialità non si può dire siano totalmente scomparse, tutt’altro: anch’esse si
sono evolute cambiando semplicemente i canali di comunicazione. Le mutazioni subite da
queste forme sono strettamente connesse alle variazioni che hanno subito i luoghi stessi in
cui queste forme si esprimono e vivono. I nuovi luoghi difatti non sono più caratterizzati
come in passato da confini fissi e regolari, e non ci sono più luoghi nei quali si svolga una
sola funzione relativa alla vita umana ma molteplici funzioni contemporaneamente.
Nascono dunque nuove attività umane organizzate che hanno necessariamente bisogno di
nuovi luoghi ove svilupparsi.
L’enorme mobilità della popolazione impone nuove figure come: [Martinotti,1993]
- Abitanti: vivono e lavorano nella città
- Pendolari: coloro che lavorano in città in modo stabile
- City-users: frequentano la città nel tempo libero usufruendo dei vari servizi che essa
mette a disposizione
- Metropolitan businessmen: coloro che appartengono non a una sola città ma a tutte
indistintamente.
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“Queste nuove popolazioni sono al tempo stesso il prodotto e una delle componenti
principali della trasformazione metropolitana” [Martinotti,1993]. Da questi differenti modi
di vivere la città e da queste molteplici trasformazioni ne conseguono le nuove forme di
città. Queste prendono però le distanze dai normali schemi forti.
Si rileva quindi un processo di mutazione che ha bisogno per essere rappresentato di nuovi
e diversi modelli cognitivi che siano in grado di cogliere queste trasformazioni.
La percezione di questo fenomeno di mutazione della forma e della struttura urbana non è
altro che la costruzione di un processo in senso temporale.
Il modello rappresenta qui il limite di una conoscenza che non riflette semplicemente una
realtà oggettiva ma è un riflesso dell’ambiente in cui si proietta. Sono i luoghi infatti che
comunicano informazioni all’uomo per la loro ricostruzione e per la loro crescita.