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svanisce la sicurezza dello stipendio fisso, spariscono i
rapporti sociali nella comunicazione tramite computer…
Tutti questi aspetti si ritrovano all’interno del mio lavoro che
risulta così suddiviso:
• Capitolo 1: All’inizio prendo in considerazione
l’evoluzione e l’introduzione delle nuove tecnologie;
esamino successivamente i cambiamenti che si sono
verificati nell’organizzazione del lavoro e nel
commercio; rispetto a quest’ultimo aspetto esamino i
problemi relativi alla sicurezza e al rispetto della
privacy.
• Capitolo 2: Esamino le vecchie e le nuove
professioni mettendone in risalto i radicali
cambiamenti.
Dedico ampio spazio agli aspetti sociologici legati
all’introduzione delle nuove tecnologie.
• Capitolo 3: Tra le tante professioni nate con le nuove
tecnologie, conduco un’analisi approfondita su una in
particolare: quella del Web Master che riveste
carattere di significatività in riferimento al fenomeno
oggetto di studio. Le affermazioni teoriche vengono
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comparate con i risultati di un’analisi empirica che
conclude la ricerca.
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Capitolo 1
Informatica e Lavoro
1.1 La rivoluzione informatica.
La miniaturizzazione dei componenti elettronici e la
costruzione di microprocessori a basso costo sempre più
sofisticati e potenti resero possibile nel 1981 l’introduzione
sul mercato e poi il successo del Personal Computer. Su
questo prodotto si sono poi sviluppati velocemente sistemi
operativi e software applicativi che hanno permesso di
allargare enormemente il mercato offrendo in modo
relativamente semplice soluzioni che hanno riguardato uno
spettro sempre più largo di attività umane.
Mentre il PC come postazione isolata si affermava subito
come prodotto di consumo e come strumento versatile, per
lo sviluppo di una rete aperta di computer si dovettero
aspettare ancora diversi anni. Questo non perché mancasse
la possibilità tecnica di interconnessione. In tempi
addirittura antecedenti ai primi Pc la rete muoveva i primi
passi sotto il nome di Arpanet.
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Questo sfasamento si spiega col fatto che Internet
inizialmente nasce come un progetto da parte di ricercatori
e scienziati che operano connettendo grandi computer con
linguaggi specialistici non accessibili a un pubblico più
vasto.
La grande diffusione del PC ha comunque posto nel 1993 le
basi per l’esplosione di Internet, così come si conosce oggi:
la diffusione di modem a basso costo e di un linguaggio di
comunicazione universale e semplice, l’ HTML.
Il computer diventa, così, uno strumento di comunicazione
grazie al quale si sono prodotti significativi cambiamenti nel
modo di vivere dell’uomo e nel modo di rapportarsi con i
propri simili.
Oggi Internet, è un fenomeno economico, sociale e culturale
con caratteristiche di fortissima innovazione, in grado, cioè,
di cambiare radicalmente vecchie abitudini e di creare nuovi
assetti sociali con prospettive imprevedibili.
Ci sono coloro che vedono in Internet un potente strumento
di comunicazione non gerarchica; ma ci sono anche quelli
che rispetto alla Rete hanno dubbi ed altri che vedono solo
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disordine, eversione e, in alcuni casi, si è arrivati anche a
parlare di corruzione della cultura alta e seria.
I requisiti cognitivi, tecnologici, di reddito e infrastrutturali
richiesti per la cittadinanza in rete determinano una certa
selettività, che comporta l’esclusione di fasce più o meno
ampie di persone.
Gli scettici, per qualche tempo, hanno pensato che Internet
fosse solo un fenomeno di moda passeggera, scarsamente
utilizzabile, destinato a essere sfruttato più come pretesto
per servizi di colore che come strumento di comunicazione.
A rafforzare la loro tesi contribuivano diversi segnali che
facevano sorgere dei dubbi sulle effettive potenzialità del
nuovo mezzo di comunicazione.
Ma come si spiega questa euforia?
Nel 2000, il Nasdaq Composite, l’indice più rappresentativo
dell’andamento dei titoli tecnologici, chiuse con una perdita
del 40% rispetto all’anno precedente.
Dall’inizio dell’anno e fino ai primi di marzo si verificò una
elevata crescita dei prezzi dei prodotti tecnologici e delle
telecomunicazioni e una supervalutazione dei rispettivi titoli.
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La New Economy aveva stimolato le Borse mondiali e ciò
aveva comportato un ingiustificato vertiginoso aumento dei
prezzi delle azioni.
In termini economico-finanziari, il mercato fu interessato da
un’ampia bolla speculativa, con i prezzi in crescita
esponenziale: solo a un anno di distanza, lo stesso indice
registrava un crollo del 60%, pari a 5 miliardi di euro.
La fiammata speculativa che aveva accompagnato la
rivoluzione di Internet si spense; ma, nonostante ciò, il
mondo, alla fine del millennio, si trovò all’interno di una
grande trasformazione che ha molte dimensioni:
tecnologiche, economiche, sociali, culturali, politiche e
geopolitiche.
Su ciascuna di queste dimensione, però, il giudizio non è
uniforme e, in alcuni casi, è addirittura contrastante.
Da un lato ci sono, infatti, i profeti della tecnologia che sono
convinti delle virtù magiche del libero mercato, che esaltano
i nuovi mezzi che permettono di dare libero sfogo
all’inventiva e alla concorrenza; che ritengono che la
corruzione non è un problema grave perché ad esso può
porsi rimedio con pochi provvedimenti; che sono convinti
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che, grazie alle nuove tecnologie, si possono rimuovere gli
ostacoli dell’eccessiva burocrazia intesa come impedimento
principale del progresso.
Essi ostentano ottimismo e propagandano una visione
salvifica della ipermodernità.
Altri, invece, tra cui coloro che non idolatrano la tecnologia
e che, magari, vivono sulla propria pelle i licenziamenti, la
mancanza di servizi sociali fondamentali, il crimine, la
povertà, vedono nella Tecnologia dell’Informazione uno
strumento per nuove forme di sfruttamento, un mezzo che
porta alla distruzione di nuovi posti di lavoro, al degrado
ambientale e alla invasione della sfera privata.
Si può, dunque, parlare di tre posizioni delle Tecnoèlites:
“entusiasti, scettici e neoluddisti”.
In mezzo stanno coloro che giudicano con più realismo i
rivolgimenti tecnologici che hanno caratterizzato la fine del
millennio, senza manifestare eccessivi trionfalismi, né
sottovalutare l’importanza che tali innovazioni possono
assumere nella determinazione del progresso dell’umanità.
Ma esaminiamo con più dettaglio la situazione in riferimento
soprattutto alla dimensione del lavoro che certamente ha
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risentito di più dei cambiamenti ormai irreversibili dell’era
dell’informazione.
A partire dagli anni ’90, l’intero pianeta è organizzato
intorno a reti telematiche di computer.
La maggior parte delle attività umane si basa sul possesso
di una nuova materia prima: l’informazione.
La produzione, la selezione ed il controllo dell’informazione
è vista come l’attività principale per produrre sviluppo.
In effetti il possesso delle informazioni più aggiornate
assieme all’enorme potenza di calcolo dei supercomputer
possono generare nuove conoscenze e, quindi, nuovo
progresso.
Per fare un esempio emblematico, l’ingegneria genetica,
servendosi delle capacità di elaborazione delle informazioni,
avanza a passi da gigante consentendoci, per la prima volta
nella storia, di svelare i segreti della materia vivente e di
manipolare la vita, aprendo la strada a straordinari sviluppi.
Ma le nuove conoscenze non possono essere patrimonio di
pochi: si creerebbero oligarchie culturali inaccettabili e
gruppi dominanti che potrebbero imporre le loro regole al
resto dell’umanità.
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Si pone, così, il problema della disponibilità generalizzata
dei mezzi tecnologici per acquisire le conoscenze.
Per rendere disponibili le nuove tecnologie al maggior
numero possibile di persone, occorre trasformarle in
ambienti amichevoli e accessibili a tutti.
Un grande passo avanti in questa direzione è stato
compiuto con l’invenzione delle interfacce grafiche e dei
linguaggi di programmazione orientati agli oggetti che,
separando nettamente la macchina virtuale da quella reale,
hanno avvicinato al computer centinaia di milioni di utenti.
L’usabilità del mezzo informatico è un fattore indispensabile
per la sua diffusione.
Per la definizione data dalla norma ISO 9241, l’usabilità è
il: “grado in cui un prodotto può essere usato da particolari
utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza
e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso”.
Tale norma nasce nel 1993 e si rivolge ai prodotti
informatici in genere. Ma il concetto di usabilità appare già
negli anni 60 quando, discutendo sull’ergonomia, veniva
fatto riferimento all’interazione uomo-artefatto.
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Nel corso degli anni esso si sviluppa maggiormente nel
campo dell’informatica e viene utilizzato come ausilio alla
progettazione, applicandolo in particolare alle interfacce.
Infatti l’utente si relaziona con l’interfaccia di un software e
attraverso questa interagisce con la macchina.
Fino agli anni 70 il problema dell’usabilità non era avvertito,
perché il computer non essendo ancora un prodotto di
massa, era utilizzato solo dagli stessi progettisti o da
persone esperte per cui, se una persona progettava un
software, era anche capace di utilizzarlo.
Il problema comincia a sorgere nel corso degli anni 80, con
l’introduzione delle nuove tecnologie a livello di ufficio e di
famiglia ed esplode del tutto nel corso degli anni 90 con la
diffusione del Personal Computer.
Per questo motivo i progettisti hanno dovuto cominciare a
preoccuparsi degli utenti finali, e Macintosh fu il primo a
portare sul mercato un computer con un sistema operativo
completamente visuale, basato sulla metafora della
scrivania e dello spostamento intuitivo degli oggetti. Poco
dopo Windows fece lo stesso, ma con una politica di vendita
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più decisa e aggressiva che impose la sua interfaccia alla
maggior parte delle macchine in uso.
Un ulteriore passo verso l’uso globale delle risorse
informatiche è rappresentato dalla nascita di Internet, una
rete di comunicazione fra milioni di computer che si
scambiano informazioni multimediali, digitalizzate, i cui
utenti aumentano di anno in anno e il cui sviluppo ha reso
possibile la nascita della New Economy.
Attraverso l’uso della Rete e, quindi, delle nuove tecnologie
della comunicazione, ogni individuo può interferire con
qualunque altro munito di analoghe tecnologie.
Non bisogna, però, dimenticare che la diffusione delle
Tecnologie dell’Informazione avviene in modo disomogeneo.
Esistono tuttora delle zone, come la maggior parte delle
nazioni Africane, alcune nazioni dell’Asia e dell’America
Latina che sono confinate in una sorta di apartheid
tecnologico. Lo stesso fenomeno si verifica persino nei paesi
industrializzati in cui il progresso tecnologico è concentrato
più in alcune zone che in altre. Non tutti, infatti,
possiedono i requisiti idonei per l’uso dei mezzi informatici
come la conoscenza di determinati linguaggi, la possibilità di
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disporre di una linea telefonica che risulta fondamentale per
collegarsi ad Internet etc.
Per queste persone l’era dell’informazione non è ancora
iniziata, né si prevede che possa iniziare presto se non si
provvede a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono
l’attecchimento: arretratezza culturale, sperequazione
sociale, vaste sacche di povertà e di sottosviluppo.
Nelle stesse nazioni tecnologicamente avanzate esistono
differenze macroscopiche di utilizzo delle risorse. Già
intorno agli anni 90 si cominciò a parlare di Digital divide,
concetto che indica la condizione di relativo svantaggio di
alcune categorie di utenti in termini di accessibilità e di
costi. In quegli anni Internet esplose come fenomeno di
massa, diventando sempre più un mezzo di lavoro e di
business: non essere connessi alla rete ( o non avere gli
strumenti cognitivi per farlo), significava essere relegati ai
margini della società. Il digital divide si manifesta, quindi, in
molteplici aspetti del vivere e dell’agire sociale e dipende
anche dall’esistenza o meno di infrastrutture di
comunicazione, dal grado di socializzazione e dal rispetto o
meno dei diritti politici e civili.
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In questi paesi possiamo distinguere due categorie di
persone: tecnoèlites e disabili tecnologici. I primi
posseggono le risorse e le competenze tecniche per
sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici, i secondi, che
sono la maggioranza, hanno serie difficoltà dovute
soprattutto alla loro condizione sociale. Alcuni fattori
discriminanti possono essere:
• L’età, perché i giovani risultano più competitivi e più
predisposti al cambiamento rispetto agli anziani;
• Il sesso, perché la percentuale di users maschili è
maggiore rispetto a quella delle donne che, oltre a
essere svantaggiate nell’uso, sono sottorappresentate
ai vertici della net economy;
• Il reddito, perché i gruppi sociali più ricchi hanno
maggiori possibilità di accesso alle ICT e di ricambio
tecnologico, fattore quest’ultimo importantissimo,
vista la rapida obsolescenza dei prodotti tecnologici;
• L’educazione, perché gli individui con titoli di studio
superiori hanno maggiori possibilità di produrre
contenuti.
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All’interno delle tecnoèlites si distinguono inoltre: gli
Entusiasti, gli Scettici e i Neoluddisti.
I primi, gli utilizzatori di Windows, sono in maggioranza
rispetto alle altre due categorie e ritengono che la
penetrazione delle nuove tecnologie avrà una diffusione
uniforme, del tutto simile a quanto si è verificato per altri
mezzi di comunicazione (radio, telefono, televisione).
Gli scettici, che usano in genere Mac e Linux, affermano
l’importanza della diffusione delle nuove tecnologie ma,
nello stesso tempo, si mostrano cauti nell’esaltarne gli
effetti.
Infine ci sono i neoluddisti, i cosiddetti Pirati Informatici,
che, però, rappresentano una minoranza rispetto alle prime
due categorie.
Essi giudicano negativamente l’introduzione delle nuove
tecnologie perché sono convinti che porteranno solo
povertà, perdita di posti di lavoro, limitazione delle libertà
individuali e, a loro modo, cercano di contrastarne la
diffusione, diffondendo virus e violando l’accesso ad archivi
riservati.