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CAPITOLO I
LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN ITALIA; DISCIPLINA GIURIDICA E
LIMITI AD ESSA APPONIBILI
SOMMARIO: 1. L’origine della tutela alla libertà di espressione - 2. Dal periodo
preunitario alla crisi democratica nel Ventennio fascista; il riconoscimento della
libertà di espressione in Italia - 3. La disciplina giuridica sulla libertà di
espressione in Italia; garanzie costituzionali e limiti costituzionalmente previsti -
3.1. L’interpretazione evolutiva dell’art. 21 nella giurisprudenza costituzionale -
3.2. Limiti alla libertà di espressione nella giurisprudenza comune; un focus sul
diritto di cronaca e di critica - 4. Evoluzione della disciplina giuridica sui discorsi
d’odio in Italia.
1. L’origine della tutela alla libertà di espressione
La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e i propri ideali affonda
le sue radici nell’antica Grecia
1
; le polis democratiche ateniesi erano infatti
animate da frequenti dibattiti tra i cittadini, ai quali la legge riconosceva eguale
diritto di partecipazione e parola nelle assemblee pubbliche tenutesi nelle agorà
(iṡegorìa) e il diritto-dovere morale di “dire tutto” ciò che si pensava,
esprimendosi con franchezza (parreṡìa).
La libertà di espressione ottenne il primo riconoscimento formale nell’art. 9 del
Bill of Rights del 1689; tuttavia, essendo finalizzato alla mera tutela dei
parlamentari in sede di assemblea, non fu concesso ai singoli cittadini come libertà
fondamentale
2
.
1
H. GLYKATZI-AHRWEILER, European Community as An Idea: The Historical Dimension in Chrysos, Kitromilides &
Svolopoulos (eds.), The Idea of European Community in History, Conference Proceedings, Athens: National &
Capodistrian University of Athens 2003, p. 29.
«The ancient Greek values of equal rights of birth (isogonia), before the law (isopoliteeia), in the body politics (isonomia)
and to freedom of speech (isegoria), underpin the virtue of today’s Europe, the democracy that is established through
dialogue, justice and respect for human rights […]».
2
Dichiarazione dei diritti civili e politici concessa da Guglielmo III d'Orange e da sua moglie Maria II Stuart. Fu approvata
dal Parlamento nel 1689, in seguito alla Gloriosa Rivoluzione (1688) che portò alla deposizione di Giacomo II d’Inghilterra.
Questo documento, considerato una pietra miliare del sistema di Common law inglese, sanciva una forte limitazione al
potere assoluto del sovrano.
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Il riconoscimento costituzionale della libertà di espressione giunse in un s econdo
momento, come reazione alle rivoluzioni del XVIII secolo, che videro protagonisti
Stati Uniti e Francia. Nonostante alcune differenze presenti tra le due rivoluzioni
3
,
ad accomunarle fu la finalità di affermare diritti e libertà che John Locke, teorico
del giusnaturalismo, riteneva dovessero essere sottratte alla giurisdizione del
legislatore in quanto intangibili. Il suo pensiero si fondava sull’idea che l’uomo,
essendo libero nella sua coscienza, nelle manifestazioni e nella proprietà, fosse
soggetto titolare di diritti non derivanti dallo stato , ma dalla legge di natura. A
partire dall’illuminismo, dunque, si può dedurre che la libertà di espressione è
diventata il fondamento stesso della libertà
4
.
La cristallizzazione di tali diritti avvenne nel 1789, con la pubblicazione
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
5
e nel 1791, con
l’approvazione dei primi dieci emendamenti alla Costituzione Americana
6
. Il primo
emendamento integrò il Bill of Rights della Virginia, pubblicato nel 1776
7
; dalla
mera tutela riservata alla libertà di stampa, il campo di applicazione si estese fino
a ricomprendere tutte le forme di espressione.
Il grado di tutela giurisdizionale destinata alla libertà di espressione è
storicamente legato al processo di democratizzazione dei singoli paesi. Nello
specifico, le due rivoluzioni hanno permesso l’affermarsi di una concezione
prescrittiva di Costituzione, essendo un atto normativo fondamentale in ragione
Riguardo al riconoscimento della libertà di espressione prevedeva: «And thereupon the said lords spiritual and temporal,
and commons […] for the vindicating and asserting their ancient rights and liberties, declare: […] 9. That the freedom of
speech, and debates or proceedings in parliament, ought not to be impeached or questioned in any court or place out of
parliament».
3
F. VON GENTZ, L’origine e i princìpi della Rivoluzione Americana a confronto con l’origine e i princìpi della Rivoluzione
Francese, Milano, Sugarco, 2011.
4
K. MALIK, From Fatwa to Jihad: The Rushdie Affair and Its Legacy, Atlantic Books, 2017, p. 156. «From the
Enlightenment onwards, freedom of expression had come to be seen not just as an important liberty, but as the very
foundation of liberty».
5
Art. 11, Déclaration des droits de l’homme et du citoyen: «La libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno
dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere
dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge».
6
I Emendamento, Bill of Rights: «Il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione
o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma
pacifica e d'inoltrare petizioni al governo per la riparazione di ingiustizie».
7
Sezione 12, Virginia Declaration of Rights: «That the freedom of the press is one of the great bulwarks of liberty, and
can never be restrained but by despotic governments».
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del suo contenuto tipico e non a prescindere da esso. Dunque, per poter definire
uno Stato costituzionale di diritto, non è più necessaria la mera presenza di una
Costituzione descrittiva articolata in regole scritte, ma lo Stato, come
organizzazione politica sovrana, deve prevedere specifici contenu ti atti a garantire
diritti e doveri dei consociati, arginando l’assolutismo regio mediante la
separazione dei poteri.
In luce di quanto considerato, il XIX secolo e i primi decenni del XX secolo hanno
visto la concessione da parte dei sovrani di varie Co stituzioni tipiche dello Stato
liberale che consacrano forme primitive di diritti e libertà fondamentali dell’uomo,
tra cui, la libertà di espressione
8
.
2. Dal periodo preunitario alla crisi democratica nel Ventennio fascista; il
riconoscimento della libertà di espressione in Italia
Le carte costituzionali tardosettecentesche, caratteristiche dell’Italia preunitaria e
concesse dai sovrani, si fecero garanti di un nucleo di libertà inviolabili come
applicazione concreta dei principi dello Stato liberale. Esse traevano ispirazione
dall’esperienza statunitense poiché erano considerate le “guardiane dei poteri”; il
concetto di potere costituente era strettamente interconnesso con quello di rigidità
costituzionale ed era determinante «la presenza di un nucleo forte e rigido del
patto costituente, che deve essere difeso in primo luogo dal possibile arbitrio del
legislatore, anche e soprattutto in funzione di garanzi a e tutela dei diritti e delle
libertà individuali»
9
.
In accordo con questa teoria, gli statuti concessi da Napoleone Bonaparte, seppur
transitori e di breve applicazione, videro nel riconoscimento della libertà di
espressione un elemento indispensabile per la Costituzione di governi liberali nelle
neonate Repubbliche giacobine; in particolare, la Costituzione della Repubblica
Cisalpina
10
, concessa nel 1797 e la Costituzione della Repubblica Napoletana
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,
concessa nel 1799, sancirono la libertà di manifes tare le proprie idee e pensieri a
8
È importante menzionare la Costituzione del Belgio del 1831, considerata il prototipo per le costituzioni degli stati
monarchici del XIX secolo. Tuttora vigente, in forza della sua capacità di cambiare nel tempo attraverso processi adattativi
che riguardano la sua revisione, tutela la libertà di stampa e di espressione nel Titolo II “Dei belgi e dei loro diritti”,
rispettivamente negli artt. 14 e 18.
9
M. FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, 2014, p. 94.
10
Art. 354, Costituzione della Repubblica Cisalpina, 1797, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/cisalpina1797.htm.
11
Art. 398, Costituzione della Repubblica Napoletana, 1799, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/napoli1799.htm.
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mezzo di parola, scrittura, stampa, impedendo censure preventive non motivate da
norme di legge. Ogni legge proibitiva era «essenzialmente provvisoria», perdendo
di efficacia entro un anno se non rinnovata.
Nel 1820 la Costituzione del Regno delle Due Sicilie, interamente modellata sulla
Costituzione di Cadice del 1812, attribuì al parlamento l’incombenza di tutelare
la libertà di stampa che poteva essere esercitata da ciascun cittadino «senz’aver
bisogno di licenza, revisione o approvazione anteriore, ma sotto la responsabilità
che le leggi determineranno»
12
.
Analoghe garanzie vennero tutelate nelle Costituzioni liberali concesse dai sovrani
nel 1848, in reazione ai moti rivoluzionari insorti contro i regimi assolutistici
presenti in Europa; lo Statuto del Granducato di Toscana
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sancì la libertà di
stampa, assoggettandola a una legge repressiva mentre la Costituzione del Regno
delle Due Sicilie, concessa nel 1848, prevedeva l’applicazione della censura
qualora gli scritti fossero offensivi rispetto «[…] la religione, la morale, l’ordine
pubblico, il Re, la famiglia, i sovrani esteri e le loro famiglie, non che l’onore e
l’interesse de’ particolari»
14
.
Decisamente più longevo fu lo Statuto Albertino, promulgato dal re Carlo Alberto
nel 1848 come «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della monarchia»
15
e
destinato a diventare lo Statuto del Regno d’Italia. Carta ottriata, concessa dal
sovrano in seguito alle incessanti richieste di democratizzazione e liberalizzazione
dello Stato sabaudo, assunse la fisionomia del modello costituzionale francese
poiché riconobbe, in capo ai sudditi, un catalogo di diritti fondamentali (libertà
individuali, di domicilio, di stampa e di riunione) e, in capo alla legge, il compito
di definirne i limiti di esercizio e di sanzionarne gli abusi. La libertà di
espressione, pur non essendo menzionata esplicitamente, v eniva annoverata tra le
libertà individuali citate dall’art. 26, in quanto costitu ente l’essenza dello Stato
liberale: la sua mancanza avrebbe determinato l’esistenza di uno Stato dispotico
16
.
12
Art. 358, Costituzione del Regno delle Due Sicilie, 1820, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia182.htm.
13
Art. 5, Statuto del Granducato di Toscana, 1848, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/Granduc_tosc1848.htm.
14
Art. 30, comma 1, Costituzione del Regno delle Due Sicilie, 1848, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilie1848.htm.
15
Preambolo, Statuto del Regno di Sardegna, 1848, in http://www.dircost.unito.it/cs/docs/albertino1848.htm.
16
B. SPINOZA, Trattato teologico-politico, Einaudi, 2016, p. 480.
«In un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre ad
uomini di diverse, anzi contrarie opinioni, l’obbligo di parlare esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal
sommo potere. […] Sarà dunque un governo estremamente dispotico quello che nega a ciascuno la libertà di dire e di
insegnare quello che pensa, mentre invece sarà moderato quello che riconosce ad ognuno codesta libertà».
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L’indirizzo liberale dello Statuto venne compromesso, per ciò che concerne nello
specifico la stampa, dall’Editto sulla stampa
17
; emanato con regio decreto,
introdusse la possibilità di censura preventiva della stampa qualora «invece di
servire ad un generoso svolgimenti di idee» causasse all’impero «malaugurate
passioni». In altri termini, il sovrano volle scongiurare lo scoppio di contrasti
sociali, cagionati da ideali divergenti, che potess ero turbare la governabilità del
regno.
L’evoluzione dello Stato liberale subì una forte battuta d’arresto in seguito
all’avvento del regime fascista che impose, in senso autoritario, la negazione di
ogni pluralismo sociale, dei diritti e delle libertà fin o ad allora conquistati.
L’intenzione di negare ogni forma di dissidenza si concretizzò nella Legge sulla
stampa; entrata in vigore il 31 dicembre 1925, stabilì che ogni giornale o altra
pubblicazione poteva essere diretta e stampata sotto la supervisione di un direttore
o redattore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la corte di
appello e quindi, indirettamente, dal regime
18
. Mussolini fu abile nel comprendere
che la potenza dello Stato fascista non potesse prescindere da un sistematico
accentramento della cultura di massa unitamente a d un assiduo controllo sulle
notizie in fase di pubblicazione; pertanto, fu necessario «improntare il giornale a
ottimismo, fiducia e sicurezza nell’avvenire», contingentando i l flusso di
informazioni e conservando solo quelle utili al regime, non «allarmistiche,
pessimistiche e deprimenti»
19
.
Per realizzare il suo progetto, Mussolini utilizzò una spiccata retorica finalizzata
a celare la realtà, convincendo gli interlocutori che le sue azioni avrebbero reso
l’Italia uno Stato migliore; in contraddizione rispetto all’indirizzo autoritario sul
quale improntò il regime, sostenne che «la stampa più libera del mondo intero è la
stampa italiana […] perché serve soltanto una causa e u n regime; è libero perché,
nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di
controllo, di critica, di propulsione»
20
.
17
R.D. 5 aprile 1848, n. 695, Editto sulla stampa.
18
L. 31 dicembre 1925, n. 2307, Disposizioni sulla stampa periodica, in G.U. 5 gennaio 1926, n.3.
19
Ufficio Stampa della presidenza del Consiglio, 1931, Direttive per la stampa.
20
Dalle parole rivolte ai giornalisti a Palazzo Chigi, 10 ottobre 1928, in B. MUSSOLINI, “Scritti e discorsi”, vol. VI, 250 -
251.