Si accenna alle possibili applicazioni di tali tecnologie alle varie utenze (domestica,
istruzione, sanità, Pubblica Amministrazione e imprese), soffermandosi in particolare
sull’impatto aziendale.
Inoltre viene fornita una panoramica specifica sulle forme di telecomunicazioni che hanno
direttamente interessato il presente studio.
Nel capitolo 3 si entra effettivamente nel “vivo” dell’indagine spiegando la metodologia
utilizzata.
Si descrivono i criteri e le modalità di selezione delle aziende studiate e si definisce l’
insieme di variabili economiche e tecnologiche considerato.
Inoltre si espongono i risultati ottenuti dal questionario con la funzione di mettere a
disposizione tutte le informazioni ritenute interessanti e indispensabili ai fini dell’analisi.
Nel capitolo 4 si riporta l’intero “iter” seguito sull’analisi statistica effettuata sia dal
punto di vista teorico che operativo.
Si riportano quindi i concetti riguardanti le tecniche univariate, bivariate e multivariate
applicate all’intero campione.
Il capitolo 5 contiene tutti i risultati delle tecniche statistiche preliminari univariate e
bivariate utilizzate con le relative interpretazioni e considerazioni.
Il capitolo 6 riporta il seguito dell’analisi statistica effettuata con le tecniche multivariate
e le considerazioni dirette che ne derivano.
Quest’ultima fase consente l’ individuazione di una tassonomia di imprese che conferma
le ipotesi di partenza.
Il capitolo 7 infine contiene la sintesi delle conclusioni derivanti dall’intera analisi e
un’interpretazione organica di esse.
Capitolo 1
LA DIFFUSIONE
DELL’ INNOVAZIONE
1.1 Innovazione tecnologica
Nel mondo attuale l’innovazione tecnologica è riconosciuta come il fattore chiave della
competitività tra imprese e di condizione essenziale per la crescita economica.
L’innovazione tecnologica si può definire come un miglioramento nella progettazione e
nella produzione di beni e servizi.
Questa definizione comprende sia l’introduzione di tecniche di produzione sconosciute o
non utilizzate in precedenza, che consentano una maggiore efficienza nella fabbricazione,
sia la creazione di beni totalmente o parzialmente nuovi.
In particolare ci si riferisce ai miglioramenti sia di carattere organizzativo che quelli
derivanti dal learning by doing da parte del personale impiegato in produzione. Le
innovazioni tecnologiche quindi fanno riferimento sia all’innovazione di prodotto che di
processo.
Nel lungo periodo gli effetti dell’innovazione tecnologica non riguardano solo il singolo
produttore, ma l’intero sistema economico, con la conseguenza di una crescita della
produzione e del reddito complessivo.
Schumpeter fa una netta distinzione tra invenzione e innovazione.
La prima è il concepimento di una nuova idea, mentre la seconda è la realizzazione
dell’idea, ossia il trasferimento del concetto in un’applicazione pratica.
Si possono inoltre distinguere i concetti di diffusione e di progresso tecnologico.
La diffusione è la fase di propagazione del prodotto o del processo innovativo a gran
parte dei potenziali utilizzatori, mentre il progresso tecnico è l’effetto risultante della
diffusione che in generale porta alla crescita della produzione e del reddito nell’intero
sistema economico.
1.2 Condizioni per l’innovazione
Le innovazioni possono generarsi solo a partire da un insieme di conoscenze preesistenti.
Da ciò deriva l’importanza di un elevato tasso di istruzione, esiste infatti una correlazione
tra crescita economica e sviluppo dell’istruzione di tipo scientifico.
Si possono distinguere due tipologie di conoscenze: il tipo competence enhancing e il
tipo competence destroying.
Nel primo tipo si includono quelle cognizioni che valorizzano e sviluppano quelle
esistenti, nel secondo tipo si comprendono tutte quelle che rendono obsolete la maggior
parte delle conoscenze accumulate in passato.
Per favorire il fenomeno dell’innovazione sono necessarie alcune determinanti.
La presenza del mercato e quindi di una adeguata domanda effettiva o potenziale, e’
molto importante per lo sviluppo dell’innovazione.
Gli ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, in ingegnerizzazione e per i nuovi impianti
di produzione che le imprese devono effettuare possono essere recuperati infatti solo
attraverso elevati volumi di vendita1.
Allo stesso tempo anche l’esistenza di un’offerta dei fattori di produzione richiesti dalle
nuove tecnologie in quantità e prezzi adeguati è necessaria.
La disponibilità di capitali e di personale qualificato con le competenze e le
specializzazioni richieste sono elementi fondamentali per il successo di una innovazione.
Anche la struttura del sistema industriale e le caratteristiche delle singole imprese
influenzano il processo innovativo. Un paese ad esempio potrebbe non aver ancora
completato il suo sviluppo in senso industriale moderno, oppure potrebbe essere già
entrato in una fase post-industriale; evidentemente le opportunità che si manifesterebbero
e il mercato che si presenterebbe alle imprese sarebbero molto differenti nei due casi.
3.1 Innovazione e firm size
Anche la struttura del sistema industriale e le caratteristiche delle imprese influenzano il
processo innovativo e determinano delle diverse opportunità di sviluppo delle
innovazioni.
La dimensione delle imprese e’ una grandezza critica che ha fondato due scuole di
pensiero a riguardo.
1Un esempio e’ la gran quantità di fenomeni innovativi durante la seconda guerra mondiale dovuti sia ad
una ingente spesa in Ricerca e Sviluppo , sia ad una crescita vertiginosa della domanda direttamente o
meno collegata agli armamenti.
In una economia di pace questo e’ possibile con un aumento del reddito pro capite quindi dei consumi, o
degli investimenti fatti dalle imprese.
Secondo alcuni le grandi imprese hanno maggiori possibilità innovative delle piccole in
quanto riescono a controllare maggiormente la domanda e a crearsi nuovi sbocchi di
mercato.
Inoltre hanno la possibilità di accedere piu’ facilmente ai fondi pubblici per la ricerca e lo
sviluppo.
Le grandi dimensioni consentono di superare facilmente la soglia minima esistente per gli
investimento in ricerca, al disotto della quale non sarebbe efficiente operare.
Altri elementi a favore della grande industria sono le economie di scala e le economie di
scopo.
Le prime si verificano perche’ i costi medi per unità di prodotto decrescono
all’aumentare della scala produttiva.
Le seconde hanno origine dal fatto di poter utilizzare conoscenze, strutture produttive e
organizzative comuni per la produzione e vendita di prodotti diversificati. In altri termini,
il fatto di operare su gamme di prodotti molto ampie consente di ottenere sinergie e
risparmi dall’uso di servizi o input comuni.
Secondo altri la posizione spesso monopolistica occupata dalle grandi imprese e i
problemi di riconversione di strutture di elevate dimensioni che le caratterizzano, sono un
vincolo che non favorisce un’innovazione spinta.
Le piccole e medie imprese viceversa, spinte da una maggior concorrenza, hanno una
propensione all’innovazione maggiore.
Il fatto di operare spesso su singole fasi del processo produttivo consente di non
disperdere le risorse disponibili e di introdurre con rapidità delle innovazioni nuove o
incrementali. Storicamente e’ stato rilevato che molte innovazioni molto importanti sono
nate proprio nelle piccole imprese, passando quindi da invenzioni fatte a livello
individuale a nuove tecnologie integrate in un secondo tempo dalle imprese piu’ grandi.
Le innovazioni incrementali sono dei miglioramenti di prodotti o fasi di processi basati su
tecnologie esistenti. In alcuni casi addirittura si sviluppano delle tecnologie interamente
nuove, oppure se ne adottano altre di cui non è ancora stata dimostrata la validità tecnica
ed economica.
Le piccole imprese riescono spesso ad avvalersi delle “economie di specializzazione”
derivanti dal fatto di operare su una singola fase o porzione del processo produttivo; in
tal modo non si disperdono le risorse disponibili e a volte si ottengono dei risultati
tecnologici di rilievo.
1.4 Natura della conoscenza e della comunicazione
La diffusione delle innovazioni dipende essenzialmente dalla possibilità che le
informazioni, di qualunque natura esse siano, possano circolare sia in paesi che in settori
o imprese.
Si possono distinguere due forme principali di conoscenza:
1. Conoscenza codificata
2. Conoscenza tacita
La prima, detta anche conoscenza scientifica, è caratterizzata da un alto grado di
generalità; è formalizzata e perciò facilmente traducibile in un linguaggio.
La sua natura fa si che non sia appropriabile perchè patrimonio pubblico ed essendo
facilmente riproducibile non dà un vantaggio competitivo diretto ai detentori.
Questo è essenzialmente il motivo per cui le imprese raramente tendono ad effettuare
investimenti nella ricerca di base i cui risultati andrebbero in prevalenza a beneficio della
comunità, a favore della ricerca applicata che viceversa fornisce dei risultati in genere per
la sola impresa.
La seconda, detta piu’ semplicemente conoscenza pratica, riguarda il “saper fare” e non
e’ codificata.
Proprio per questo motivo è difficilmente appropriabile da altri; inoltre chi la mette a
punto nella maggior parte dei casi ne trae vantaggio in modo esclusivo.
Si riassumono le differenze principali nella tabella 1.1.
conoscenza tacita conoscenza codificata
input • regole pratiche
• routine
• regole scientificamente provate
natura • non formalizzata
• apprendimento con esempi
pratici
• formalizzata
• facilmente comunicabile
• non ambigua
output • “saper fare”
• Know how
• descrizione delle leggi universali
tabella 1.1. Conoscenza tacita e codificata
La natura completamente diversa tra questi due tipi di conoscenza porta inevitabilmente
ad adottare diversi modi di comunicazione.
In questa sede se ne distingueranno due:
1. comunicazione diretta
2. comunicazione indiretta
La prima, detta anche primaria, si attua faccia a faccia tra due soggetti comunicanti.
La seconda e’ formalizzata e generalmente si effettua a distanza.
Incrociando i due tipi di conoscenza descritti precedentemente con queste due tipologie
di comunicazione si può costruire una semplice tassonomia conoscenza-comunicazione:
conoscenza formale conoscenza pratica
comunicazine diretta • riunioni
• colloqui
• meeting
• lettura
• colloqui informali
• apprendimento
• associazioni
professionali
comunicazione indiretta • libri, archivi
• reti formali
• telefonate
• sistemi esperti
• reti informali
tabella 1.2 conoscenza-comunicazione
1.5 La comunicazione aziendale
In un’ottica aziendale le modalità di comunicazione si espandono anche verso gli
eventuali partner di rete o verso gli affiliati del gruppo.
Si estenderà quindi la precedente tassonomia su due nuove traiettorie:
• i teleservizi, cioè l’accesso a basi di dati audio-video e ai servizi di intermediazione
• la comunicazione “universale” (UDVC, Universal Data Voice Communication)
(Arcangeli e Genthon, 1995), che rappresenta la facilità della comunicazione dei
dati alla stregua dell’odierno telefono.
In maggior dettaglio distinguiamo:
Teleservizi
• informazione
• commerciale
• professionale
• intermediazione
• E.D.I.
UDVC
• scambio dati
• posta elettronica
• groupware
• videoconferenza su PC
Nonostante i teleservizi veicolino la conoscenza formale e gli UDVC quella tacita, le
tecnologie attuali permettono delle combinazioni di entrambe i tipi. Per esempio la posta
permette di inviare un documento formale, viceversa E.D.I. permette di allegarne uno
informale e così via.
Nella tabella seguente vengono classificate le tecnologie di comunicazione piu’ usate in
azienda in base alla natura della comunicazione da un lato e al tipo di utilizzo dall’altro,
introducendo anche la dimensione relativa all’interfaccia tra interno ed esterno delle
organizzazioni.
Formale informale
interno • sistemi informativi • CUVD
rete • sistema informativo di rete
• EDI
• CUVD
• estensione sistemi informativi
esterna • Teleservizi
• Internet
• posta elettronica pubblica
tabella 1-3 Il sistema conoscenza-comunicazione
Nella pratica tra le forme usuali di scambi informali oggigiorno è preponderante l’uso
della posta elettronica, mentre le restanti forme di CUVD sono agli inizi. La conseguenza
diretta è che le nuove tecnologie che verranno introdotte produrranno delle discontinuità
con il passato e saranno necessarie delle forme di apprendimento.
Bisognerà valutare quindi i vantaggi relativi alle imprese sull’adozione di tecnologie
appartenenti a delle nuove traiettorie.
1.6 Determinanti dell’innovazione tecnologica
Negli ultimi vent’anni si sono contrapposte diverse teorie sulla questione che
l’innovazione tecnologica sia una causa indipendente o se invece sia dipendente dai
mutamenti economici.
Si riportano sinteticamente di seguito le varie ipotesi che si sono succedute negli anni.
1.6.1 Approccio neoclassico
Le ipotesi piu’ rilevanti di questa teoria si possono così sintetizzare.
L’ impresa è rivolta alla massimizzazione del profitto, quindi alla riduzione dei costi di
fabbricazione; ciò comporta che vengano adottati dei processi produttivi che siano
soprattutto efficienti verso i fattori di produzione piu’ costosi.
Le alternative tecnologiche sono tutte indistintamente adottabili dalle imprese, la
tecnologia che verrà scelta sarà quella che corrisponde alla combinazione ottimale dei
fattori.
La conoscenza tecnologica è ugualmente nota e accessibile a tutte le imprese, così come
i mercati sono perfettamente conosciuti.
Schumpeter pur continuando a considerare la produzione di invenzioni esogena rispetto
ai meccanismi economici, dà importanza all'intuizione a alla capacità di molti imprenditori
di modificare l’ambiente innovando di continuo avendo come premio il profitto.
1.6.2 Approccio neo-schumpeteriano
In questa teoria la principale determinante dell’innovazione è la domanda.
Un mercato di dimensione adeguata infatti è considerato necessario per lo sviluppo di
un’attività innovativa in un settore.
L’effetto demand-pull ha trovato riscontro nello sviluppo negli ultimi cinquant’anni di
molte industrie. Tuttavia esistono settori che anche puntando solo su prodotti
completamente nuovi hanno notevole successo.
Questo filone di studi, detto neo-schumpeteriano, capovolge l’ ipotesi di autonomia della
tecnologia, precedentemente sostenuta, riferendosi invece alla adattabilità di questa alle
esigenze economiche.
1.6.3 Approccio neotecnologico
I settori research intensive sono stati lo spunto per la teoria neotecnologica.
Al contrario della precedente, si considera la tecnologia come determinante
dell’innovazione, ossia il techology push è il mezzo che consente nuovi sbocchi di
mercato.
In altre parole, la crescita della domanda non precede quella degli investimenti fissi, né
l’introduzione dell’innovazione; ma sono le opportunità tecnologiche che consentono di
ottenere nuovi spazi di mercato.
Questa impostazione se da un lato richiama l’ipotesi neoclassica di autonomia della
tecnologia, dall’altro abbandona l’idea di un rapido adattamento da parte delle imprese.
L’innovazione è addirittura considerata causa di squilibri gravi che vengono ristrutturati
tramite il processo diffusivo.
1.6.4 Teorie evolutive
Nelson e Winter hanno recentemente proposto il modello evolutivo in cui si sostiene
come le imprese per generare innovazione non utilizzano solo conoscenza scientifica, ma
anche una componente tacita (vedi paragrafo 1.4).
La tecnologia è quindi un bene intrinseco dell’azienda e risulta perciò costoso, se non
impossibile, usarla altrove.
La generazione di conoscenza tacita è il risultato di forme di apprendimento altamente
localizzate con specifici riferimenti alla storia e all’esperienza dell’innovatore.
Praticamente avviene un processo induttivo dal basso verso l’alto che parte
dall’esperienza diretta e si oppone al processo deduttivo che ha inizio dai processi
scientifici generali.
1.7 Modelli di diffusione
Lo studio dei processi di diffusione in campo economico è iniziato negli anni ’50 con una
serie di studi empirici con l’obiettivo di individuare le variabili chiave che hanno
determinanti il processo.
Essenzialmente si voleva spiegare il fatto che la diffusione non è un processo istantaneo,
il motivo per cui alcune tecnologie si diffondono piu’ velocemente di altre e perche’ certe
imprese adottano le nuove tecnologie piu’ o meno rapidamente.
Rogers ha determinato alcune delle variabili che influenzano il tasso di adozione di un’
innovazione:
• la natura del sistema sociale,
• i mezzi di propagazione dell’informazione
• gli attributi percepiti dell’innovazione (vantaggio offerto, complessità, osservabilità,
sperimentabilità)
• la natura degli sforzi promozionali dell’ “agente del cambiamento”
Di seguito verranno descritte sinteticamente le teorie principali a riguardo.
1.7.1 Modello epidemico
Questo modello si rifà agli studi epidemiologici sulla propagazione delle malattie infettive
all’interno di una popolazione di individui.
Il modello si basa sulla definizione di una curva logistica che descrive come varia nel
tempo il numero di individui che hanno già adottato l’innovazione rispetto al totale.
L’andamento è caratterizzato dal fatto che il contagio aumenta con un tasso crescente
fino a quando metà della popolazione è coinvolta, successivamente il processo rallenta
fino al completo arresto con il contagio dell’ultimo individuo.
La curva logistica ha come equazione:
mt/N=1/[(1+exp (-a-bt)]
mt : numero di individui che al tempo t hanno subito il contagio
N : numero totale di individui
Il coefficiente b regola il processo di diffusione (dipende da vari fattori ad esempio la
frequenza dei contatti tra individui), per questo è spesso denominato “velocità di
diffusione”.
Le ipotesi del modello sono:
• uguali opportunità di profitto a tutti i membri a seguito dell’introduzione
dell’innovazione.
• i membri della popolazione sono identici ma non ugualmente informati.
• la velocità di diffusione è direttamente legata alla opportunità di profitto.
• la diffusione è determinata dal contatto tra chi ha già adottato ed i potenziali
utilizzatori .
Questo modello è stato impiegato per la prima volta in campo economico da Griliches
sulla diffusione delle colture di mais ibrido.
Mansfield, in un successivo studio sulla propagazione di dodici innovazioni di processo
in quattro settori, conclude che la velocità di diffusione di una nuova tecnologia dipende
da :
• il vantaggio economico rispetto alle soluzioni tradizionali, ossia la profittabilità
relativa
• l’incertezza sulle prestazioni ottenibili
• la dimensione dell’investimento richiesto per l’ innovazione
• il tasso di riduzione dell’incertezza
Questo modello segue una logica Schumpeteriana della diffusione.
Infatti secondo Schumpeter la diffusione è riconducibile ad una sequenza di
comportamenti imitativi resi possibili da scambi di informazioni tra adottatori e non.
Le maggiori critiche a questo modello riguardano le ipotesi di costanza e di omogeneità
della popolazione di riferimento, il fatto di considerare statica la tecnologia con il
procedere della diffusione e l’ irrilevanza dell’offerta.
1.7.2 Modello di equilibrio
In alternativa al modello epidemico, negli anni ‘70 si è sviluppato il modello di equilibrio
o modello probit.
Questa alternativa, sviluppata negli anni ‘50 in campo biologico, nasce dalla necessità di
dover spiegare come per ogni soggetto esiste un livello di intensità di uno stimolo, o
soglia, superato il quale il soggetto risponde.
La definizione di approccio di equilibrio deriva dal fatto che il processo diffusivo è
descritto come “una sequenza di equilibri determinati da cambiamenti negli attributi
economici dell’innovazione e dell’ambiente” (Silverberg e al. 1988).
Il modello è fondato esclusivamente su basi microeconomiche; si considera inoltre che
una popolazione eterogenea di adottatori fronteggia un ambiente dinamico dove i costi
dei fattori e le caratteristiche tecnologiche dei beni innovati si modificano nel tempo.
Uno dei modelli probit piu’ noti è quello fornito da Davies; le ipotesi sono:
• la conoscenza da parte dei potenziali adottatori dell’innovazione non appena questa è
disponibile
• l’ informazione dei non-adottatori migliora con il passare del tempo, questi inoltre
possono esercitare una ricerca attiva per incrementare la loro informazione
• l’ innovazione è compresa dai soggetti in modo diverso
• c’è una valutazione economica sulla convenienza di adottare o meno l’innovazione
• imprese appartenenti allo stesso settore possono avere obiettivi molto diversi
Secondo questa teoria ogni adottatore potenziale rimanda razionalmente la acquisizione
per tutto il tempo in cui le condizioni di costo legate all’utilizzo della vecchia tecnica si
manifestano per lui migliori di quelle conseguenti all’utilizzo della nuova tecnica.
L’adozione quindi avviene gradualmente nel tempo, mano a mano che i costi operativi
delle imprese diventano superiori ai costi di produzione della nuova tecnologia.
Siccome i valori dei pay-off variano in funzione della dimensione aziendale, esiste una
dimensione critica dell’ azienda che e’ la soglia sopra la quale avviene l’introduzione
dell’innovazione.
Il modello tiene in considerazione l’evoluzione della tecnologia, infatti con un
miglioramento di essa avviene una diminuzione della soglia e perciò un aumento della
diffusione in quanto c’è maggiore convenienza economica.
Questo approccio però soffre di due limiti rilevanti.
Innanzitutto vengono esclusi tutti gli effetti dovuti ad asimmetrie informative e cognitive
dei potenziali adottatori i quali assumono un comportamento iper-razionale per le
decisioni di investimento degli innovatori.
Inoltre il modello non considera il costo delle informazioni tecnico-economiche e che la
determinazione di adottare un bene capitale innovativo implica anche una decisione
d’investimento.
1.7.3 Modello evolutivo
Negli anni ‘80 Richard Nelson e Sidney Winter tentarono di superare la visione statica
della tecnologia sostenuta negli anni precedenti.
Anche negli anni precedenti con l’approcio schumpeteriano e successivamente con quello
neotecnologico si cercò un certo dinamismo nella tecnologia, ma con il modello
evolutivo si vuole analizzare il cambiamento economico ed industriale in condizioni di
incertezza e si considera l’ impresa come una organizzazione caratterizzata da razionalità
limitata.
Questo va contro la legge teorica del massimo profitto, le imprese creano delle routine
adeguate che devono garantire la crescita o almeno la permanenza sui mercati, o al limite
la sopravvivenza stessa.
Simon afferma come le imprese, coscienti di avere conoscenze limitate, non mirano
all’ottimo ma al satisficing behaviour.