2
Ciò nonostante, viene qui analizzata tutta la storia dei rapporti tra lo
Stato e la Chiesa, a partire dall’avvento al potere di Mussolini, fino al
definitivo scambio delle ratifiche e con una breve narrazione dei
tentativi precedenti.
Le diatribe tra i due interlocutori, gli scontri nel Fascismo e nel Partito
Popolare, l’atteggiamento di Vittorio Emanuele III, ma soprattutto tutta
la fase delle trattative, vengono ricostruite nella maniera più dettagliata
possibile e mettendo in luce quella che per chi scrive è la vera posta in
gioco. Non manca neanche una parte riguardante le prese di posizione
all’estero, in particolare quella della Società delle Nazioni.
Non è un lavoro politico. Il dualismo Fascismo-antifascismo esula da
quest’elaborato, il quale prende semplicemente atto del periodo storico,
di quello che passava per la mente a Mussolini ed al Pontefice, di quello
che ottennero in base a ciò che si prefiggevano e quali furono i risultati
conseguiti da entrambi a breve e lungo termine e, conseguentemente, chi
tra Fascismo e Chiesa fu il vero vincitore degli accordi del 1929.
A questo proposito esiste una sezione dedicata alle conclusioni dove
viene fatta una comparazione tra il Cattolicesimo ed il totalitarismo
fascista, i compiti del secondo nel campo dell’educazione e della
gioventù, il suo essere anch’esso religione, se davvero la Conciliazione
fu un atto così rivoluzionario come il Fascismo, ovviamente, la dipinse e
perché perse la sfida per la sua esistenza.
In coda, una serie di documenti come appendice che, nonostante siano
editi, sono una selezione scelta di quelli più importanti che
contraddistinguono le fasi cruciali delle trattative; una sorta di loro
“bignami” compreso tra la metà del 1921 e la fine del 1928.
3
Alla fine questa tesi non ha la pretesa di aver detto certamente tutto.
Mancano gran parte delle fonti vaticane (non c’è motivo di credere che
non esistano). Rimane allora la speranza che qualcuno torni ad
approfondire di nuovo un giorno il tema, magari definitivamente, con la
fiducia che anche da parte della Chiesa risultino accessibili tutti quei
documenti inerenti ad una vicenda, seppur ancora preda di viscerali
passioni politiche e nostalgiche rivendicazioni, di cui nessuno si deve
vergognare e che in fondo non rappresenta di certo la pagina più nera
della storia della Chiesa Cattolica.
4
CAPITOLO PRIMO
PROVE TECNICHE DI CONCILIAZIONE.
DALL’INCONTRO ORLANDO-CERRETTI A QUELLO BARONE-
PACELLI (1919-1926).
1.1 I tentativi di Orlando e Nitti
Già dopo la legge delle Guarentigie del 1871, la questione romana è
sempre stata al centro dell’attenzione dei governi post-unitari. Tuttavia,
nella realtà, solo due di essi cercarono seriamente di avviare delle
trattative: quello di Vittorio Emanuele Orlando e quello di Francesco
Saverio Nitti, entrambi nel 1919.
Orlando conduce i negoziati con il cardinale Bonaventura Cerretti
incontrandosi di persona, per la prima ed unica vota, il 1° giugno dello
stesso anno a Parigi
1
e nei suoi diari parla di uno Stato con sovranità
internazionale, indipendente, confinato alle mura vaticane, con la
possibilità di annettere dei territori circostanti; Cerretti, per far
riconoscere l’accordo agli altri paesi, propone di far entrare il Papa nella
Lega delle Nazioni perché nello statuto di quest’ultima esiste una
disposizione che garantisce il territorio di tutte le nazioni aderenti e
addirittura viene ventilata la possibilità della stipulazione di un vero e
proprio concordato che avrebbe disciplinato i rapporti di diritto
ecclesiastico
2
. Orlando si dimostra favorevole e assicura che l’Italia si
sarebbe mossa in tal senso verso la Lega. Il progetto fallisce non perché,
come sostiene Orlando, il governo cade, ma perché Vittorio Emanuele
1
Vittorio Emanuele Orlando, Miei rapporti di governo con la Santa Sede, edizioni Garzanti, Milano, 1944, p. 133.
2
V. E. Orlando, op. cit., p. 124.
5
III è contrario e ancora sostenitore della linea delle «due parallele» di
Giovanni Giolitti e cioè che Italia e Santa Sede debbano condurre
autonomamente la propria politica, fermo restando per quest’ultima il
divieto di restaurare il vecchio potere temporale
3
.
Per quello che riguarda il tentativo di Nitti, ci viene incontro il conte
Carlo Sforza
4
:
Nitti - scrive Sforza – mi confidò in gran segreto che aveva già avuto degli scambi
confidenziali di idee col cardinale Gasparri […] e che l’intesa era sicura sulla base dei
seguenti punti: i palazzi ed i giardini del Vaticano eretti in teorico Stato indipendente;
scambio di ambasciatore e nunzio tra l’Italia e la Santa Sede.
Nitti, come in seguito Mussolini, tiene molto a passare alla storia come
l’uomo politico che avrebbe risolto il cinquantennale dissidio, inoltre ha
ottimi rapporti con il cardinale Pietro Gasparri, già a quel tempo
Segretario di Stato vaticano, tanto che la Santa Sede nel 1921 vede di
buon occhio un suo ritorno al governo. Il re, però, non si smuove dalle
sue posizioni e anche questa volta manda tutto a monte
5
.
3
Francesco Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla Grande Guerra alla Conciliazione, edizioni Laterza, Bari,
1966, pp. 56-58 e in V. E. Orlando, op. cit., pp. 5-7, 141, 177. Il re non si fece scrupoli affermando che, se fosse stato
necessario, sarebbe sceso in piazza col fucile.
4
Carlo Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale la vidi io, edizioni Mondatori, Roma, pp. 145-146 e F. Margiotta
Broglio, op. cit., p. 68.
5
F. Margiotta Broglio, op. cit., p. 71.
6
1.2 L’avvento di Mussolini e la Chiesa davanti al Fascismo.
Intanto, nella turbolenta Italia post-bellica, si assiste alla crescente
affermazione dei Fasci di Combattimento, formazione politica nata il 23
marzo 1919 su iniziativa principale di un ex maestro forlivese, già capo
dell’ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano, ex direttore dell’
«Avanti!» e attualmente alla guida del giornale da lui fondato nel 1914
«Il Popolo d’Italia»: Benito Mussolini.
Alla loro fondazione, i Fasci presentano assai radicale in tutti i suoi
punti, compreso quello delle relazioni diplomatiche tra Stato e Chiesa ed
i suoi aspetti economici: la vecchia idea futurista dello
«svaticanamento» dell’Italia e la confisca dei beni delle mense
vescovili. Come è noto, per il Futurismo il Vaticano rappresenta un’idea
passata, bigotta e vigliacca e ragion per cui va distrutto per fare posto
all’educazione alla Patria, al dinamismo, alla nuova gioventù guerriera
ed eroica. Tra i sostenitori del programma anticlericale dei Fasci, anche
quel Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo nel 1909, che
seguirà Mussolini fino al crepuscolo di Salò.
Questi proclami rispecchiano anche il Mussolini-pensiero. Nato da un
padre fabbro, socialista anticlericale e assessore al comune di Predappio
e da una madre cattolica, Mussolini prende le linee ideologiche del
primo e all’anticlericalismo somma perfino l’anticristianesimo. Le sue
polemiche contro la Chiesa, i suoi dogmi ed i suoi sacerdoti sono noti e
vogliamo qui ripercorrerne alcuni episodi.
7
Nel periodo in cui è insegnante elementare ad Oneglia (in Liguria)
6
, è
anche direttore del giornale socialista «La Lima» dove ha la
consuetudine di attaccare le gerarchie ecclesiastiche affermando che i
Vangeli sono dei falsi, Cristo non è mai esistito ed i preti non sono che
dei gendarmi neri al servizio del capitalismo. A coronamento di tutto
ciò, lo pseudonimo con cui firma i suoi articoli: «Vero Eretico». Quando
nel 1909 è a Trento, in quell’epoca austriaca, dirige il settimanale
«L’Avvenire del Lavoratore» dove è presentato come fervente
propagandista votato in particolare nell’anticlericalismo. Con questa
emblematica descrizione è ben difficile aspettarsi un abbassamento dei
toni. Per lui la Chiesa non è che un «grande cadavere», il Vaticano «il
covo dell’intolleranza e di una banda di rapinatori», la teologia un
insieme di «assurdi mostruosi». Epici sono gli scontri con De Gasperi
(«pennivendolo senza idee e uomo senza coraggio che soffre di
stitichezza intellettuale») e con alcuni sacerdoti via via definiti «pezzo
d’asino sgrammaticato chiercuto e prete dalla mentalità piccina», oppure
«bugiardo microbo e povera bertuccia non si sa come fuggita dalla
colonia residua di Gibilterra» e infine «lurido personaggio, povero
scemo e prete idrofobo». A lui questi articoli costano pene sia detentive
che pecuniarie, mentre per il giornale si provvede al sequestro.
Per il giornale «Popolo» si occupa di vicende come quella di Rosa Broll,
la «santa di Susà», che, tra un miracolo e l’altro che pare compia, trova
il tempo di fare figli col sacerdote del paese; in più pubblica in
cinquantasette puntate un romanzo su un fatto vero del Seicento:
6
Giordano Bruno Guerri, Fascisti. Gli italiani di Mussolini, il regime degli italiani, edizioni Mondatori, Milano, pp. 42-
43.
8
«Claudia Particella. L’amante del cardinale» che ha un grandissimo
successo
7
.
Eppure, gia nel programma del 1921, queste istanze in pratica
scompaiono. Sui motivi della svolta si potrebbe andare avanti per molto
tempo, vere o presunte che siano.
Ad ogni modo le fasi della svolta sono due. Il discorso alla Camera del
21 giugno 1921 e il programma del Partito Nazionale Fascista dello
stesso anno. Da segnalare anche un presunto incontro Mussolini-
Gasparri preparato dal conte Santucci nel quale il prelato sembra che
dica al futuro Duce che prima bisogna che prenda il potere e poi liquidi
la Massoneria
8
.
È tuttavia pur vero e ovvio che dietro a questa svolta debbano esserci
delle motivazioni ben precise. Partiamo da alcuni presupposti: che
Mussolini voglia conquistare il potere è indiscutibile, ma sa bene che è
difficile farlo con un partito che, pur avendo circa trecentomila iscritti,
ha soltanto trentacinque parlamentari ed è visto dalla classe politica (e
come vedremo più tardi anche dallo stesso Vaticano), come una forza
politica provvisoria che si sarebbe presto dileguata o comunque
confluita nel costituzionalismo.
Quindi, per entrare nella stanza dei bottoni, Mussolini deve rassicurare
ogni componente della società italiana, compresa quella cattolica
largamente maggioritaria, soprattutto quella parte di essa che non ha per
lui alcuna simpatia o addirittura lo odia, ma sa bene che per conquistare
i cattolici occorre prima rassicurare la Chiesa. La soluzione del quesito
sulla svolta, si presenta come un’equazione algebrica: per allargare il
7
G. B. Guerri, op. cit., pp. 44-45.
8
Renzo De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere (1921-1925), edizioni Einaudi, Torino, 1966, p. 128 e
Il Secolo d’Italia, 4 febbraio 1959. Bisogna ammettere, però, che l’incontro non ha mai avuto conferma nella
bibliografia degli accordi del Laterano.
9
partito e giungere al potere servono i cattolici e per assicurarsi
quest’ultimi occorre aprire al Papa; oltretutto bisogna anche fare in
fretta perché, come si è visto, si fa avanti la candidatura di Nitti alla
quale il Vaticano risulta essere particolarmente sensibile. Se Mussolini
vuole raggiungere il suo scopo, deve prima di tutto togliersi di mezzo il
partito cristiano per eccellenza: il Partito Popolare Italiano.
Da ciò si può desumere l’atteggiamento della Santa Sede verso il
Fascismo: fino alla marcia su Roma niente di più che una forza d’ordine
in grado di sconfiggere gli ultimi focolai di Socialismo e Bolscevismo in
Italia; ma il passato di Mussolini non rassicura le alte sfere vaticane e in
più le Squadre d’Azione imperversano anche contro le associazioni e le
organizzazioni cattoliche. È quindi sbagliato ritenere che il Vaticano
pensi (ripetiamo: prima della marcia su Roma) ad un Fascismo come
controparte in eventuali trattative per la risoluzione della questione
romana.
Prima si è accennato al discorso del 21 giugno 1921 come la prima vera
svolta di Mussolini verso la Santa Sede. Andiamo a vedere di che cosa
si tratta.
Quel giorno, alla Camera, il futuro «uomo della Provvidenza» prende la
parola in un discorso definito da Pantaleoni su «La vita italiana», il più
«antisocialista, antidemagogico, più manchesteriano degli ultimi venti
anni». È un discorso a trecentosessanta gradi, ma per l’argomento qui
trattato è importante sapere ciò che dice a proposito del Partito Popolare
e del Vaticano. Mussolini rivendica i punti di comunanza col partito di
Sturzo, ma sulla questione vaticana lo sfida e, in pratica, si rivolge
direttamente alla Santa Sede, affermando che la carducciana «vecchia
lupa cruenta» è ormai anacronistica e non esita ad affermare che «la
10
tradizione latina ed imperiale di Roma, oggi è rappresentata dal
Cattolicesimo» e che «l’unica idea universale che oggi esista a Roma, è
quella che si irradia dal Vaticano»; inoltre dichiara che se il Papato
rinunciasse ai suoi sogni di ristabilimento del potere temporale, lo Stato
gli fornirebbe gli «aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole,
chiese, ospedali o altro che una potenza profana ha a sua disposizione»,
in quanto lo sviluppo del Cattolicesimo nel mondo deve essere «di un
interesse e di un orgoglio» anche per gli italiani
9
.
La già citata preferenza della Santa Sede per un governo Nitti, porta
Mussolini a compiere due passi: il primo riguarda l’accennato
cambiamento dello statuto del PNF. Nelle «Linee programmatiche del
Partito Fascista» elaborate dallo stesso Mussolini e pubblicate sul
quotidiano del partito il 9 ottobre 1921
10
, i postulati in materia religiosa
dei Fasci del 1919 cambiano radicalmente: adesso viene propugnato il
principio della piena libertà della Chiesa Cattolica nell’esercizio del suo
ministero spirituale e si manifesta esplicitamente il desiderio di risolvere
il dissidio con la Santa Sede. Tuttavia, si prospetta anche la
conservazione ed il «rafforzamento dell’autorità dello Stato per tutto ciò
che concerne eventuali inframettenze del clero nella vita civile» e si
dichiara che nella politica ecclesiastica e religiosa il Fascismo esigeva il
rispetto di tutte le fedi.
Al congresso fascista di Roma del 7-10 novembre 1921
11
, quello dei
rapporti col Vaticano è uno dei tre grandi temi al centro del dibattito. Di
fronte alle argomentazioni dell’opposizione interna di Dino Grandi
riassunte da egli stesso in un discorso di critica della politica
mussoliniana (nel quale, tra l’altro, si contesta che il Fascismo debba
9
Il Popolo d’Italia, 9 ottobre 1921 e documento in appendice n. 1.
10
Ibidem.
11
R. De Felice, op. cit., p. 177.
11
appoggiarsi ai conservatori ed al Vaticano), la posizione di Mussolini
verso la Chiesa si fa più cauta.
Lo Stato – scrive il Duce – è sovrano in ogni campo dell’attività nazionale. Prima di
togliere la legge delle Guarentigie occorrono cautele. La diplomazia vaticana è più abile di
quella della consulta. Bisogna imporre il rispetto di ogni fede, perché per il Fascismo il
fatto religioso rientra nel campo della sfera individuale
12
.
Tiene comunque a ribadire il concetto di utilità del Cattolicesimo come
elemento necessario per l’espansione nazionale.
Il programma del PNF nell’ambito Chiesa-Stato cambia così
13
:
Lo Stato è sovrano: e tale sovranità non deve essere intaccata o sminuita dalla Chiesa alla
quale si deve garantire la più ampia libertà di esercizio del suo ministero spirituale. […]
Lo Stato deve favorire lo sviluppo della Nazione non monopolizzandolo, ma
promuovendo ogni opera intesa al progresso etico, intellettuale, religioso […] della vita
nazionale.
Quando nel 1922 si profila un’azione della Santa Sede in favore di un
governo Nitti sulla base d’intese per la conciliazione con l’Italia,
Mussolini cerca di far intervenire lo stesso Vaticano per far pressione
sui popolari. Alla morte di Benedetto XV, sul suo giornale del 22
gennaio, esalta la missione universale della Chiesa Cattolica e la
rinascita del sentimento religioso proclamandone il potere d’evasione
per le masse tormentate e miserabili
14
.
Intanto, il 26 febbraio 1922, fascisti e popolari si ritrovano a votare la
fiducia al governo Facta. Due giorni dopo, sul «Giornale d’Italia»,
Mussolini attacca don Sturzo (contrario alla caduta di Bonomi, e ad un
12
Duilio ed Edoardo Susmel, Mussolini. Opera omnia, vol. XVII, edizioni La Fenice, Firenze, 1964, p. 221.
13
R. De Felice, op. cit., pp. 756-757.
14
Il Popolo d’Italia, 22 gennaio 1922.
12
ritorno di Giolitti) definendo il suo modo d’agire un pericolo sia per i
cattolici, che per il Cattolicesimo
15
.
A questo punto Mussolini ha davanti a sé la seguente possibilità:
dividere il PPI isolando Sturzo sostenendo l’ala più clericale,
dimostrando che la linea politica intransigente del sacerdote
comporterebbe la perdita di potere in zone periferiche già prese
d’assalto dalle Squadre d’Azione e rafforzare l’idea della parte moderata
del partito che l’autonomia politica dei cattolici non tutelerebbe né gli
interessi della Chiesa, né quelli del suo apostolato religioso; solo il
Fascismo può farlo, ma la Chiesa deve prendere le distanze da Sturzo
16
.
A rincarare la dose ci pensa Alfredo Rocco, futuro ministro di Grazia e
Giustizia. Sul «Resto del Carlino» del 4 aprile 1922, pubblica un
articolo intitolato « Chiesa e Stato» in cui sostiene che con il Partito
Popolare era cominciato «delicato e critico» per il manifesto disegno
della Chiesa di «accettare la democrazia, servirsi delle masse per
dominare legalmente lo Stato». Per fronteggiare tali pericoli, Rocco
ripropone la ricetta di Mussolini pronunciata nel celebre discorso allla
Camera e cioè
17
:
[…] da parte dello Stato la rinuncia al vecchio programma liberale dello Stato laico della
separazione tra Stato e Chiesa e dello Stato indifferente in materia religiosa. Da parte della
Chiesa rinuncia un disegno di rafforzamento interno e per la sua necessaria espansione
esterna […]. Assuma lo Stato un contenuto religioso, difenda positivamente quella
religione cattolica che è la Fede dell’immensa maggioranza degli italiani. Cessi la Chiesa
dall’ingerirsi nella politica interna dello Stato per indebolirlo, gli dia anzi il suo aiuto leale
per il mantenimento civile e nazionale.
15
Giornale d’Italia, 28 febbraio 1922.
16
R. De Felice, op. cit., p. 247.
17
Il Resto del Carlino, 4 aprile 1922.
13
La situazione continua a volgere dalla parte di Mussolini. Nel settembre
1922, a Milano, si conclude un’alleanza per le elezioni amministrative
tra fascisti, liberali, democratici e popolari (che si spaccarono con un
25% di contrari)
18
. Il 20 ottobre don Sturzo lancia un appello al Paese
richiamandosi allo spirito del ’19 e chiamando «i liberi ed i forti», ma il
giorno prima, la Santa Sede, tramite la Segreteria di Stato dei vescovi,
dirama una circolare nella quale si dichiara estranea al PPI e invita il
clero a non fare politica. Il giorno della marcia su Roma Pio XI fa
rendere nota una lettera nella quale invita alla «pacificazione degli animi
e dei cuori» e a sacrificare i propri interessi in nome del bene pubblico,
ispirandosi ai princìpi cristiani ed ai sentimenti di carità. Il giorno
seguente «L’Osservatore Romano» plaude a Vittorio Emanuele III per
avere evitato, con la nomina di Mussolini, un bagno di sangue e, più in
generale, non è contrario a collaborazioni col nuovo governo
ricordando, in conclusione, che Benedetto XV non ha mai riconosciuto
il PPI
19
.
Occorre cancellare da subito il dubbio che, con questa presa di
posizione, la Chiesa si sia improvvisamente fascistizzata. Certo, ci sono
figure come il Segretario di Stato cardinal Gasparri, che non vedono
l’ora che il Fascismo metta in pratica i suoi propositi di conciliazione,
ma ci sono anche i gesuiti risolutamente contrari ad accordi con i
fascisti, capitanati da padre Enrico Rosa il quale, dalle colonne della
rivista da lui diretta «Civiltà Cattolica», asserisce che le origini del
Fascismo sono le stesse del Bolscevismo, in quanto entrambi attingono
dalla stessa base materialistica e violenta e in più mette l’accento sui
18
R. De Felice, op. cit., p. 288. Per le reazioni del Vaticano cfr. L’Osservatore Romano, 27 settembre 1922, in cui
l’episodio meneghino è definito «chiarificatore» e una «premessa logica» a nuovi rapporti anche a livello nazionale tra
il PPI e gli altri partiti politici.
19
L’Osservatore Romano, 29 ottobre 1922. Su quest’ultimo punto la Santa Sede si preoccupa che una probabile crisi tra
fascisti e popolari possa compromettere i suoi rapporti col governo.
14
connotati anticristiani del Fascismo
20
. Eppure la Chiesa mantiene una
posizione di attesa. Teme che la politica del Partito Popolare possa
provocare dure reazioni del PNF verso essa e, in particolare, degli
squadristi contro le sue organizzazioni. Da parte sua, Pio XI, non è
pregiudizialmente contrario al Fascismo e, come abbiamo visto, lo vede
allo stesso tempo una forza per il mantenimento dell’ordine, ma ne teme
alcune sue caratteristiche e sviluppi. Di questo attendismo, se ne ha
conferma quando, negli ultimi giorni dell’ottobre 1922, la Santa Sede fa
sapere, tramite un “alto emissario”, che desidererebbe «conoscere i
propositi politici del Fascismo verso la Chiesa»
21
; in particolare il
cardinal Gasparri fa sapere che la Chiesa gradirebbe il ripristino del
Crocefisso in scuole e tribunali e della festa di San Giuseppe. Da parte
fascista si risponde dando le più ampie rassicurazioni
22
.
Ora che ha conquistato il potere, Mussolini può procedere con la
realizzazione del suo progetto politico:
[…] come condizione essenziale l’eliminazione o, più esattamente, lo svuotamento del
Partito Popolare: si trattava cioè di dimostrare la inutilità dell’esistenza del partito nel
momento in cui, dopo la conquista del potere da parte del Fascismo, lo Stato stesso
assumeva tra i suoi obiettivi quello della valorizzazione del Cattolicesimo
23
.
Il 30 ottobre viene presentato al re il nuovo governo: i popolari hanno
due ministri (Tangorra al Tesoro e Cavazzoni al Lavoro) e quattro
sottosegretari; per rassicurare al tempo stesso PPI e Chiesa, nel suo
20
Civiltà Cattolica, aprile 1922.
21
Gabriele De Rosa, Storia del movimento cattolico, edizioni Laterza, Bari, 1962, volume II, p. 321. Che la Chiesa
abbia una sua componente nel PNF sembra sicuro. Nel novembre 1922, quando si affaccia la possibilità che Mussolini
apra al PSU, si contrappongono due tendenze: una di sinistra, massonica e anticlericale che farebbe capo allo stesso
Duce; l’altra di destra, conservatrice e clericale, guidata da Federzoni e sostenuta addirittura dalla Monarchia, dagli alti
gradi dell’esercito, dal mondo industriale, finanziario e agrario (cfr. ibidem).
22
R. De Felice, op. cit., pp. 377-378.
23
Pietro Scoppola, Chiesa e Stato nella storia d’Italia, edizioni Laterza, Bari, 1967, p. 517.
15
discorso di insediamento del 16 novembre
24
, Mussolini annuncia che
tutte le fedi religiose saranno rispettate a partire da quella Cattolica e
conclude invocando l’Assistenza Divina per svolgere il proprio compito.
Anche il Partito Popolare gli concede la fiducia seppur controvoglia.
Dopo il discorso d’insediamento, il gruppo parlamentare decide di
rimandare ogni presa di posizione a dopo le dichiarazioni di Mussolini.
Dopo il suo intervento molti popolari propendono per l’astensione o a
votare contro. Alla fine scelgono il voto favorevole quando Mussolini
mitiga il senso delle sue parole dicendo che non intendeva attaccare la
Camera come istituzione, ma quella eletta nel 1921 (l’aula “sorda e
grigia”)
25
.
Particolarmente convinti del «sì» a Mussolini sono i «destri», mentre
Merizzi vota addirittura contro; altri si allontanano dall’aula. È un
comportamento figlio del disorientamento generale, del modo nel quale
viene presa a suo tempo la decisione della partecipazione del partito al
governo e del desiderio di non mettere in una situazione insostenibile i
suoi potenziali ministri, resa tale dalle posizioni della sinistra interna,
che vede la nascita della rivista «Domani d’Italia» e il messaggio al
partito di Sturzo in cui chiede la convocazione di un congresso per
stabilire una volta per tutte la questione sulla collaborazione col
Fascismo, ritenuta dal sacerdote siciliano e dai suoi amici assolutamente
contraria agli ideali ed agli interessi politici del PPI
26
.
Adesso il compito di Mussolini è, prima di tutto, portare a tutti i costi al
governo non tanto il Partito Popolare, quanto la sua destra interna. Invita
personalmente Cavazzoni (leader della suddetta ala del partito) a farne
parte. A quel punto al sua corrente si pronuncia per la collaborazione,
24
R. De Felice, op. cit., pp. 482-483.
25
G. De Rosa, op. cit., p. 322.
26
G. De Rosa, op. cit., pp. 339-341.
16
ufficialmente sancita dai membri del direttorio del gruppo parlamentare
ed in particolare Grosoli (che spera così di ottenere il salvataggio del
Banco di Roma, potendo far continuare a vivere i giornali cattolici che
dipendono da esso), Santucci, Mattei-Gentili e lo stesso Cavazzoni. La
direzione del partito non può far altro che ratificare l’accordo, anche per
il fatto che Mussolini assicura De Gasperi che il sistema elettorale
proporzionale non sarà toccato
27
.
27
Gabriele De Rosa, I conservatori nazionali. Biografia di Carlo Cantucci, edizioni Morcelliana, Brescia, 1962, p.87 e
sempre De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, volume II, pp. 304-306.