2
stata indicata dal legislatore, in realtà il compito di tracciarla è stato
pressoché integralmente delegato alla concreta e quotidiana azione dei
giudici alle prese con l’irrimediabile e insopprimibile pressione
esercitata dalle esigenze del caso. Come è stato efficacemente scritto,
«il caso preme sul diritto» e qualunque interprete, alla ricerca della
regola di diritto da applicare al caso concreto che è chiamato a
giudicare, «è necessariamente orientato nella sua ricerca» dalla natura
di quel caso, rispetto al quale è chiamato a ricercare soluzioni
«adeguate» nelle norme a sua disposizione (così G. Zagrebelsky, La
giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1988, 41 e ss.).
Quando un giornalista nell’esercizio di un suo diritto (ovvero quello di
cronaca-critica) va a compiere il reato di diffamazione punito dal
nostro codice penale all’art. 595? E quando invece egli va oltre il
diritto lui consentito non rispettandone i limiti di verità, pubblico
interesse e continenza?
Nel lavoro che di seguito presento cercherò di dare una risposta a
queste e ad altre domande attraverso l'esposizione del complesso
argomento a riguardo. Aprirò la mia trattazione con un primo capitolo
dove esporrò in linea generale il diritto di manifestazione del pensiero
e le sue accezioni, ponendo l'accento sulle forme del diritto di cronaca,
critica e satira. Un secondo capitolo sarà dedicato alla diffamazione
(con le varie fattispecie presenti nel Codice Penale e nella Legge sulla
Stampa 47/1948) che colpisce i beni dell'onore, della reputazione,
della riservatezza e verrà posto l’accento sulle forme civilistiche del
risarcimento del danno, seguirà una disamina relativa alla
diffamazione commessa attraverso il mezzo della stampa e alla figura
del direttore responsabile. Infine, un terzo e ultimo capitolo sarà
3
dedicato alla diffamazione commessa col mezzo della radiotelevisione
e tramite internet e al diritto di rettifica.
4
Capitolo 1
La libertà di manifestazione del pensiero e le sue accezioni
5
1.1 Libertà di espressione e articolo 21 della Costituzione: aspetti
generali
La Costituzione repubblicana dedica una parte rilevante delle sue
disposizioni alle libertà e, tra queste, regola la libertà di
manifestazione del pensiero. Essa tra le libertà fondamentali è
certamente quella che caratterizza i rapporti tra Stato e cittadini
concorrendo in maniera fondamentale a delineare una determinata
forma di Stato, anzi si può dire che il grado di sviluppo della sfera
pubblica si misura anche “con il livello della polemica tra Stato e
stampa”1.
Il rilievo politico e sociale che la libertà di manifestazione del
pensiero possiede è innegabile, tanto da poter essere considerata la
“pietra angolare della democrazia” e il “pilastro della società
democratica”2. Il buon funzionamento di un ordinamento democratico
si fonda infatti sulla libertà di pensiero essendo essa che alimenta la
forza sociale di base che è la pubblica opinione3.
Il riconoscimento di tale libertà è prerogativa di tutti gli stati
democratici e la stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo la
consacra all’art. 10 come uno tra i più importanti diritti dell’individuo.
“Ogni persona ha il diritto alla libertà di espressione. Tale diritto
include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o comunicare
informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità
pubbliche e senza considerazione di frontiera. …” (Art. 10, I comma,
CEDU).
L'intreccio esistente nel rapporto tra stampa e politica è sempre stato
1 J. Habermas, Storia e critica della opinione pubblica, Editori Laterza, Bari, 2002, p.71
2 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sunday Times c. Regno Unito ,25/04/1979, A-30.
3 C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1969, p. 973.
6
una costante storica della società italiana che dal paternalismo
ottocentesco approdò al controllo dell'informazione durante il
fascismo con la costituzione del consenso e la propaganda attraverso
la manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa.
Il processo di democratizzazione del Paese dopo la caduta del regime
ha trovato la sua massima espressione nell'art. 21 della Costituzione
repubblicana: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione. La Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure...(omissis)...”4
La norma costituzionale, al fine di evitare il ripetersi delle nefaste
esperienze passate, più che disciplinare le prospettive future
dell'informazione, appare attenta a vietare ogni forma di censura o di
limitazione amministrativa della libertà di stampa5 evitando
formulazioni ambigue come quelle contenute nello Statuto Albertino il
quale proclamava la libertà di stampa , ma subito dopo la consegnava
alla discrezionalità del legislatore: “ la stampa è libera, ma una legge
4 La norma continua: << Si può procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria, nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o
nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei
responsabili. In tali casi, quando via sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo
intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da
ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre 24 ore fare
denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle 24 ore successive, il
sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di
carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono
vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon
costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni>>.
5 G. Gardini, Le regole dell'informazione, Bruno Mondadori, Roma, 2005, p.26, secondo il quale
nell'articolo 21 si registra : <<l'assenza di una puntuale e specifica disciplina della libertà di
informazione e, particolarmente, del diritto all'informazione: la Costituzione italiana si
preoccupa di tutelare espressamente il solo versante attivo della libertà di espressione
trascurando o mantenendo implicite le garanzie formali relative al versante passivo e riflessivo
della medesima libertà>>.
7
ne reprime gli abusi”6. Questa formula avrebbe poi aperto la strada
alle inique limitazioni dettate dal regime fascista che adottò
provvedimenti particolarmente restrittivi i quali culminarono nella
legge n. 2307 del 31 dicembre 1925 che conferì al Prefetto ampi e
numerosi poteri di intervento atti a mettere il bavaglio agli oppositori7.
Successivamente ai giornalisti vennero dati veri e propri ordini per ciò
che dovevano pubblicare quanto per ciò che non doveva essere portato
a conoscenza dei lettori.
A differenza dello Statuto Albertino, l'art.21 della Costituzione vieta al
legislatore ordinario di sopprimere o limitare la libertà di parola non
ammettendo né censure preventive circa la produzione di stampati né,
tantomeno, censure di uno scritto. Il comma 3° dell'articolo 21
ammette il sequestro in un momento successivo alla pubblicazione e
“soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti
per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso
di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per
l'indicazione dei responsabili”.
L'art 21, 3° comma, Cost. “prevede una riserva c.d. riserva rinforzata
di legge e una riserva di giurisdizione solo relativamente all'adozione
dei provvedimenti di sequestro preventivo (...), ma non esclude la
vigilanza dell'autorità amministrativa sull'esercizio della libertà di
stampa e di diffusione del pensiero, né la sua competenza ad irrogare
sanzioni repressive (e non preventive) salva solo la possibilità di
6 R. Zaccaria, Diritto dell'informazione e della comunicazione, CEDAM, Padova, 2007, p. 2
7 Ad esempio, il Prefetto aveva il potere di diffidare e revocare il gerente responsabile della
stampa per tutte le pubblicazioni svolgenti <<attività informativa difforme dal giudizio del
governo>>. L'iscrizione all'albo dei giornalisti era altresì subordinata ad apposita attestazione
prefettizia certificante la <<condotta politica>> dell'interessato. P. Murialdi, Storia del
giornalismo Italiano, Il Mulino, Bologna, 2000.
8
sottoporre a controllo giurisdizionale (da parte del giudice ordinario e
per scelta discrezionale del legislatore ordinario) il provvedimento
sanzionatorio adottato in via amministrativa”8.
Per tornare alla libertà di stampa - e, più in generale, alla libertà di
manifestazione del pensiero - l'art. 21 attribuisce a tutti (sia cittadini
che stranieri) la titolarità del diritto di manifestazione del pensiero in
quanto si tratta di un vero e proprio diritto dell'uomo. Naturalmente i
titolari del diritto possono essere sia i singoli che le formazioni sociali
in quanto la Corte Costituzionale ha riconosciuto “l'esercizio in forma
collettiva” di questa libertà9.
Alla libertà di pensiero è sottinteso il diritto di portare a conoscenza
del pubblico fatti di interesse generale, di esprimere la propria
opinione su questioni di rilevanza sociale, di criticare l'attività del
Governo e della Pubblica Autorità10. Dunque l'art. 21 della
Costituzione include non solo la libertà di esprimere le proprie
opinioni e di divulgarle con ogni mezzo, ma anche il diritto di
informazione comprensivo sia della libertà di informare che di quella
di essere informati e di informarsi11.
In pratica è possibile affermare che l'attività di informazione coperta
dalla garanzia costituzionale non si limita a quella che si esplica nella
sola forma della parola scritta o orale, ma si estende fino a
ricomprendere anche quell'attività che si svolge attraverso altri mezzi
8 Trib. Milano, 26 settembre 1994, in AIDA, 1995, p.556
9 R. Zaccaria, Diritto dell'Informazione, cit., p. 6
10 G. Grisolia, Libertà di manifestazione del pensiero e tutela penale dell'onore e della
riservatezza, CEDAM, Padova, 1994, p.48
11 M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, CEDAM, Padova, 1998, p.18: <<dall'esercizio
della libertà di informazione nasce , di fatto, la libertà di informarsi, che è libertà di attingere,
secondo modalità influenzate da vari fattori, ai prodotti informativi che siano disponibili. La
libertà di informarsi, insomma, si nutre della libertà di informazione, e viceversa>>.
9
di espressione ed in particolare attraverso le immagini, siano esse fisse
– come le fotografie o i grafici informativi – o in movimento come
accade nelle riprese effettuate con telecamera (o videocamera). Ne
consegue che l'attività di informazione può avvalersi dei più diversi
mezzi di diffusione, non solo della stampa, della radio o della
televisione, ma anche dei più moderni mezzi di comunicazione come
internet e la telefonia mobile.
Prima di approfondire i vari aspetti della libertà di manifestazione del
pensiero è necessario ricordare il problema dei limiti della libertà.
La Corte Costituzionale nella sua prima decisione in materia ha
statuito che il concetto di “limite” è insito nel concetto stesso di diritto
dal momento che «nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere
giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, affinché
queste possano coesistere nell’ordinata convivenza civile»12. È questo
il concetto su cui si fonda l’ammissibilità di specifici limiti
all’esercizio di qualsiasi libertà fondamentale per quanto
solennemente proclamata dalla Costituzione a tutela di altri diritti,
parimenti degni di tutela.
L'unico limite che l'art.21 Cost. espressamente prevede è quello
relativo al buon costume: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli
spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La
legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le
violazioni” (VI comma).
La dottrina prevalente ha accolto il concetto penalistico di buon
costume inteso come “comune senso del pudore e di pubblica decenza
12 Corte Costituzionale 1\1956
10
e relativo essenzialmente alla sfera della morale sessuale”13. Infatti
l’art. 529 c.p. precisa che “ agli effetti della legge penale si
considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune
sentimento, offendono il pudore”.
La Corte ha precisato che il buon costume non può essere fatto
coincidere con la morale o la coscienza etica ma deve intendersi come
un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento
nella vita sociale di relazione, l’inosservanza dei quali comporta in
particolare la violazione del pudore sessuale, della dignità personale e
del sentimento morale dei giovani.
A questo limite però non è soggetta l’opera d’arte o di scienza. In tal
senso va osservato che nell'articolo 33 della Costituzione non vi è
alcun riferimento al limite del buon costume: “l'arte e la scienza sono
libere e libero ne è l'insegnamento”. Inoltre il secondo comma dell'art.
529 c.p. testualmente dispone che “non si considera oscena l'opera
d'arte o l'opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di
studio sia offerta in vendita, venduta o procurata, comunque, a
persone minori degli anni diciotto”.
Rimane una questione di fondo ossia quella generale dei criteri per
identificare le opere artistiche o scientifiche per via della difficoltà,
appunto, a individuare i confini tra arte e non arte, scienza e non
scienza ai fini della determinazione di un'opera d'arte o di scienza.
Appare evidente che la libertà di manifestazione del pensiero incontra
anche altri limiti c.d. impliciti derivanti dalla necessità di tutelare altri
beni o interessi garantiti o protetti dalla Costituzione. Primi fra tutti
quei limiti che derivano dai c.d. “diritti della personalità”, ossia la
13 R. Zaccaria, Diritto dell'Informazione, cit., p.14
11
tutela dell'onore, della reputazione, della riservatezza altrui ma anche
la realizzazione di giustizia, la presunzione di non colpevolezza, tutti
diritti che possono trovarsi in situazioni di conflitto con l’art. 21. Il
delicato compito di equo bilanciamento tra la libertà di pensiero e un
altro diritto di rilievo costituzionale, spetta al giudice.
Tutto ciò vale, ovviamente, non soltanto con riguardo alla libertà di
manifestazione del pensiero in senso stretto (ossia alla libertà
concernente la divulgazione delle proprie opinioni e dei propri
orientamenti in ordine a qualsiasi argomento), ma altresì in
riferimento alla libertà, a quest’ultima correlata e parimenti sorretta
dalla tutela costituzionale di cui all’art. 21 Cost., di “informazione”,
intesa come supremo e fondamentale “interesse generale della
collettività ad informare e ad essere informati”. Anche tale ultima
forma di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero
costituisce, secondo il giudice delle leggi, una “condizione
preliminare” e un “presupposto insopprimibile” per l’attuazione, a
tutti i livelli, dei principi fondanti la forma di Stato democratica
sancita dalla Costituzione14.
14 Corte Cost. 348/1990
12
1.2 Il diritto di cronaca
Il giornalista estrinseca il suo lavoro in un'attività di tipo intellettuale
finalizzata alla raccolta, all'elaborazione e al commento di fatti
d'attualità, destinati a formare oggetto di comunicazione
interpersonale attraverso organi d'informazione.
Il giornalista dunque acquisisce la conoscenza di un evento, ne valuta
la rilevanza e confeziona un messaggio.
In questo contesto vediamo che per diritto di cronaca si intende la
narrazione obiettiva dei fatti precedentemente raccolti dall'operatore
dell'informazione e diffusi tramite mezzi di comunicazione di massa,
invece il diritto di manifestare le proprie opinioni viene definito diritto
di critica.
Secondo la giurisprudenza il diritto di cronaca giornalistica rientra
nella vasta categoria dei “diritti pubblici soggettivi, relativi alla
libertà di pensiero e di stampa riconosciuti dall'art.21 Cost., e
consiste nel potere-dovere conferito al giornalista di portare a
conoscenza dei lettori fatti, notizie e vicende interessanti la vita
associata”15.
Il diritto di cronaca rappresenta dunque una diretta estrinsecazione
della libertà di manifestazione del pensiero di cui costituisce una
species.16
Esistono però dei limiti all'esercizio del diritto di cronaca giustificati
dalla necessità di contemperare la libertà di manifestazione del
pensiero con la tutela di altri interessi egualmente garantiti dalla Carta
Costituzionale (onore, decoro, dignità personale).
15 Cass., sez. V, 18 dicembre 1980
16 M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, cit., p.92
13
Tradizionalmente i limiti del diritto di cronaca si identificano nella
verità dei fatti narrati, nell'interesse pubblico-sociale alla loro
diffusione e nella continenza delle modalità espressive17.
La verità della notizia è il primo requisito indispensabile per la
correttezza di ogni messaggio informativo e il cronista ha l'obbligo di
sottoporre ad attento controllo l'autenticità della fonte da cui la notizia
viene attinta.
L'obbligo di accertare la verità della notizia, controllando
l'attendibilità della fonte, non può essere omesso in virtù di un
convincimento personale in quanto non sono state riconosciute fonti
attendibili idonee a svincolare il giornalista dall'obbligo del controllo.
Dall'obbligo della verità sostanziale dei fatti discende come corollario:
- la necessità dell'assoluto rispetto del limite interno della verità
oggettiva di quanto viene riferito risultando inaccettabili le
verosomiglianze dei fatti narrati;
- l'obbligo del cronista di rappresentare fedelmente gli avvenimenti
nel pensiero e nella parola tali e quali essi sono.
Per tali ragioni la giurisprudenza ha ritenuto illecite le “mezze verità o
verità incomplete”18, fattispecie che si realizza quando una notizia
viene confezionata attraverso la narrazione di alcuni fatti
corrispondenti a verità, ma anche attraverso l'omissione (volontaria o
colposa) di altri fatti legati ai primi e che se fossero riferiti
muterebbero completamente il significato della notizia; oppure
quando alla narrazione di fatti veri si accompagna la narrazione di
notizie incerte o aggiuntive tali da rappresentare i fatti come
17 T.Vitarelli, I delitti contro l'onore, Giappichelli Editore, Torino, 2001
18 Cass. Civ., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2066
14
sostanzialmente diversi.
Solo la verità oggettiva – intesa come corrispondenza tra i fatti come
sono accaduti e i fatti come sono narrati – è funzionale a soddisfare le
esigenze di informazione e formazione dell'opinione pubblica alle
quali è collegata la libertà di manifestazione del pensiero sancita
dall'art. 21 della Carta Costituzionale.
La giurisprudenza in relazione alla c.d. verità putativa19 – discrepanza
tra i fatti narrati e quelli accaduti – si è attestata su due orientamenti
opposti. Secondo il primo orientamento sul giornalista graverebbe
l'onere di valutare l'attendibilità della notizia la cui verità deve essere
reale e non supposta. Il secondo orientamento, meno rigido e
attualmente vigente, prevede che il cronista può far cessare la sua
responsabilità se è in grado di fornire la prova che fatti e circostanze
l'hanno indotto in errore malgrado la cura e la cautela poste dallo
stesso per vincere ogni dubbio o incertezza riguardo alla verità
sostanziale dei fatti (l'errore circa la verità non può mai essere frutto di
negligenza o imperizia o colpa non scusabile del giornalista)20.
Da questa impostazione consegue che, in caso di discrepanza tra i fatti
narrati e quelli realmente accaduti, può essere invocato l'esercizio
putativo del diritto di cronaca quando il giornalista “pur avendo
assolto tutti gli oneri connessi all'obbligo di un adeguato controllo
delle notizie che intende diffondere, si trovi ad avere una percezione
difettosa della realtà”21.
Il secondo elemento che opera come scriminante nei confronti della
19 “La verità putativa, cioè solo disposta dal fatto diffamatorio, senza previa acquisizione,
attraverso le opportune verifiche e controlli, della certezza dell'effettiva sussistenza dei fatti
denunciati”. Cass. Pen., Sez. V, 11 agosto 1998, n. 11199
20 Cass., sez. V, 2 dicembre 1999
21 Cass. Sez. V, 26 marzo 1983