4
conseguenze politiche e sociali di un tipo di alimentazione piuttosto che di
un’altra. Date queste premesse, il mio scopo è evidenziare le implicazioni
della progressiva estremizzazione delle abitudini alimentari occidentali, vale a
dire l’aumento della quota riservata agli alimenti di origine animale in
un’alimentazione già prevalentemente basata su questo tipo di cibo, e la loro
estensione alle società che si affacciano allo sviluppo e che in questo processo
imitano a tal punto i paesi sviluppati da volerne mutuare anche il modello
alimentare, abbandonando i loro costumi tradizionali o comunque adattandoli
ad esso, e il più delle volte con nefaste conseguenze
3
. Anche se negli ultimi
anni il discorso ambientalista, fondamentale nell’analisi di questo problema, è
andato perdendo spazio sui mezzi di informazione a causa delle nuove sfide
poste dal terrorismo internazionale, bisognerebbe considerare la situazione
ecologica come non meno importante della questione della sicurezza, anzi è
importante ricordare come ne sia parte integrante: i temi legati alle risorse
ambientali sono infatti ineludibili per creare le condizioni per un mondo più
giusto e pacifico
4
.
L’alimentazione su base carnea che le nostre società continuano ad adottare,
ben supportata da ‘tradizioni’ secolari, o più semplicemente abitudini malsane
i cui nodi ora vengono al pettine, non è assolutamente sostenibile per il nostro
pianeta, né per il nostro organismo, né per l’organizzazione delle nostre
società nel loro complesso (sempre se vogliamo rendere possibili altre
generazioni dopo di noi), né per le popolazioni dei paesi del Sud del mondo.
Se questo è un grosso problema oggi, nel momento in cui il fenomeno è
limitato ai paesi più economicamente sviluppati, non è difficile immaginare
cosa potrebbe accadere se ogni abitante della Terra volesse cibarsi di cibi
animali, anche se con frequenza limitata: per portare tutti i paesi del mondo a
3
In Cina la frequenza di sovrappeso e obesità dei bambini in età scolare nelle città è passata dall’8% nel 1991
al 12% nel 1997; in Brasile, dal 4% del 1970 al 13% del 1997. Dei 22 milioni di bambini obesi in età
prescolare di tutto il mondo, 17 milioni abitano nei paesi in via di sviluppo. Rivista di scienza
dell’alimentazione, n. 4, 2004, p. 251.
4
Wolfgang Sachs, Ambiente e giustizia sociale - i limiti della globalizzazione. Ed. Riuniti, Roma, 2002,
Presentazione di Giuseppe Onufrio, p. 7.
5
uno standard pari a quello dei paesi occidentali occorrerebbero 5 pianeti da
utilizzare come risorse per gli input e come discariche del progresso
economico
5
. Il problema è che questa prospettiva non è così irrealistica:
l’argomento di cui tutti oggi parlano, vale a dire il pericolo cinese, oggi
considerato dal punto di vista commerciale, dovrebbe essere, tra l’altro,
analizzato anche sotto questo ulteriore aspetto. Infatti, nel momento in cui un
miliardo e trecento milioni di persone decidono, come di fatto accade, di
abbandonare la dieta tradizionale della Cina interna, basata prevalentemente
su soia e verdure, e di adottare le nostre scorrette abitudini alimentari, il
reperimento delle risorse per sfamare il nostro pianeta sempre più ingordo
sarà sempre più difficile, e ciò a spese, come sempre, di quei milioni di
persone per cui si organizzano concerti, manifestazioni e progetti e si
raccolgono fondi, senza mai raggiungere anche solo uno degli obiettivi decisi
nelle riunioni delle grandi potenze, dato lo scarso potere contrattuale dei
governi di questi paesi. Quello cinese è ovviamente un esempio
paradigmatico, perché si tratta di un problema che si presenta enorme fin dal
principio ( bisognerà trovare un modo per chi sfamare un miliardo e trecento
milioni di persone che nel giro di pochissimo tempo decidono di mangiare
carne tutti i giorni ), ma tutti gli altri paesi che si stanno affacciando allo
sviluppo economico ne sono coinvolti. E’ difficile trovare una cittadina
abbastanza popolata ed economicamente rilevante in cui, per esempio, manchi
un ristorante McDonald’s ( oltre ad altri aspetti dell’incipiente
omogeneizzazione culturale, dannosi per altri motivi ). E’ triste osservare
come una delle prime misure adottate dal governo di un paese che si sta
avviando verso un significativo aumento del Pil sia generalmente la
costruzione di allevamenti, visto che molto spesso ci sono problemi nel
reperimento di risorse idriche potabili per la popolazione, se non addirittura di
desertificazione. Infatti, non appena diventa accessibile dal punto di vista
5
W. Sachs, cit, p. 80.
6
economico e tecnologico, i governi incoraggiano la scalata alla piramide delle
proteine animali: prima i polli, poi i maiali, poi i bovini. In questo processo
abbiamo un disastroso consumo crescente di energia, acqua, cereali, una
produzione sempre più problematicamente gestibile di deiezioni e dei danni
ambientali ingentissimi e spesso permanenti, ma ciò di cui si tiene conto è
solo il maggior profitto ricavato dall’allevamento ( rispetto a un precedente
inutilizzo o alla coltivazione ). La maggior parte dei paesi in via di sviluppo
che non riescono ad assicurare alla loro popolazione un adeguato fabbisogno
calorico giornaliero sono paradossalmente esportatori di cereali destinati a
diventare mangimi per animali d’allevamento, con un notevolissimo spreco di
energia in termini calorici e di risorse minerali. Sono questi sprechi, in realtà,
a costituire una delle cause principali della denutrizione di una larga e
crescente fascia della popolazione mondiale, problema che si vuole
falsamente risolvere con le colture OGM (che del resto vengono utilizzate
quasi completamente per l’alimentazione animale).
Bisogna poi considerare che oggi l’allevamento è qualcosa di molto diverso
dal passato, visto che il settore zootecnico, come del resto ogni altro settore
economico, ha subito negli ultimi decenni notevolissime trasformazioni:
anche per queste attività il principio fondamentale è diventato l’aumento
esponenziale della produzione (se di questo si può parlare nel momento in cui
si tratta di animali), in quanto l’industrializzazione del settore è stata l’unica
soluzione individuata per rispondere alla crescita economica, identificata
indissolubilmente con quella dei prodotti e dei consumi. Oltre alle visibili
trasformazioni rilevabili a livello paesaggistico sono, ad esempio, mutate le
condizioni di vita degli animali: si è interrotto il ciclo foraggio-bovini, per
avere accrescimenti più rapidi, e si sono utilizzati dei mangimi a base di
cereali, deviandoli da un utilizzo più razionale quale è l’alimentazione umana.
Ci sono stati radicali mutamenti delle condizioni di vita degli animali a livello
di strutture e di somministrazione di farmaci. L’allevamento intensivo ha
7
determinato la diminuzione dei posti di lavoro, data la capillare
meccanizzazione delle fasi produttive. Tale trasformazione ha poi prodotto
danni ambientali notevolissimi: oggi gli incrementi di produttività di tali
impianti vengono ormai annullati dagli aumenti dei costi sostenuti dalla
collettività per il prezzo sempre più elevato delle azioni, tra le altre, di
risanamento e di disinquinamento. Negli ultimi anni è poi decisamente
aumentato l’interesse e il dibattito sul concetto di sviluppo sostenibile, la cui
definizione più completa è quella sancita in sede Onu nell’ambito della
Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo: un tipo di
crescita che rispetta l’ambiente e rimane nei limiti della capacità di
rigenerazione degli ecosistemi, accompagnato dal senso di responsabilità
verso le generazioni future nell’utilizzo delle risorse
6
. Il libro bianco della
Commissione Europea su crescita, competitività e occupazione, inoltre,
afferma molto chiaramente che “E’ necessario promuovere condizioni
sostenibili di crescita economica, in modo cioè che essa comporti un minor
costo di risorse naturali. Del resto bisogna ricordare che lo sviluppo
sostenibile è stato incorporato tra gli obiettivi generali della comunità” . In un
altro testo, il Programma politico e d’azione a favore dell’ambiente e di uno
sviluppo sostenibile, l’Unione Europea individua 3 requisiti pratici per la sua
realizzazione: modificare l’atteggiamento generale della collettività per
quanto riguarda il consumo e il comportamento individuale; prevedere un
ciclo di produzione dalle materie prime al prodotto finito e alla sua
utilizzazione tale da ottimizzare e incoraggiare la riutilizzazione e il riciclo,
minimizzare la produzione di rifiuti ed evitare l’esaurirsi delle risorse naturali;
razionalizzare la produzione e il consumo dell’energia
7
. Se l’Unione Europea
volesse realizzare effettivamente tale programma, dovrebbe smettere di
finanziare abbondantemente il settore dell’allevamento e dell’agricoltura
6
Raffaella Ravasso, Massimo Tettamanti (a cura di), Ecologia della nutrizione - Valutazione dell’impatto
ambientale di diverse tipologie di alimentazione, 2005, p. 7. Tratto da http://www.ssnv.it
7
R. Ravasso, M. Tettamanti, cit, p. 5.
8
intensiva, il cui raccolto è per la metà destinata al primo, per i motivi che
vado ad esporre.
Negli ultimi anni il settore zootecnico è spesso finito al centro di bufere
mediatiche a causa di preoccupanti vicende sanitarie, che dovrebbero far
pensare ai pericoli insiti in un settore economico tanto manipolatore della
natura. Nel 2001 scoppia lo scandalo mucca pazza, che da Gran Bretagna e
Stati Uniti si propaga in tutta Europa
8
; di poco precedente è il caso dei polli (e
di altri prodotti animali) alla diossina; viene poi il morbo della lingua blu
delle pecore sarde, meno eclatante perchè circoscritto all’isola; oggi si
diffonde in tutto il mondo la psicosi per l’influenza aviaria, originatasi oramai
oltre un decennio fa negli allevamenti del sud-est asiatico e pericolosamente
poco controllabile, nonostante le rassicurazioni delle autorità dei governi
interessati. Non si possono certo ricondurre semplicisticamente tutte queste
tristi e spaventose vicende ad un’unica causa tecnica, ma certo è che sono
sempre più evidenti i limiti di questo tipo di alimentazione e soprattutto la
crescente impotenza del consumatore, quasi anestetizzato da programmi
televisivi che contemporaneamente lo allarmano e lo rassicurano, gli spiegano
che queste vicende sono lontane e non lo coinvolgeranno mai, che gli
allevatori italiani sono ‘brava gente’ e non penserebbero mai di mettere a
repentaglio il rapporto di fiducia che anni e anni di agnelli a Pasqua e
zamponi a Capodanno hanno creato, che in Italia si consuma ‘solo’ carne
italiana. In questo discorso c’è però un problema: ci troviamo in una
8
La vicenda ‘mucca pazza’ , scoppiata nel 1996 ma nota agli ambienti scientifici già da una decina d’anni, ha
prodotto una, seppur temporanea, grossa crisi nel settore dell’allevamento, almeno fino a quando non si è
posto il divieto effettivo all’interno dell’Unione Europea di alimentare i bovini con farine animali. Questa
perversa pratica dovrebbe far pensare a quanto gli obiettivi di vendita non siano ostacolati da alcuno
scrupolo, visto che si è voluto costringere pacifici erbivori ad alimentarsi di resti malati di loro simili senza
pensare alle conseguenze di un atto del genere, al solo scopo di riutilizzare economicamente dei materiali che
altrimenti sarebbero stati destinati a una costosa distruzione (le parti inutilizzabili di pecore malate) e di
aumentare la velocità di accrescimento degli animali. La biologia ha poi fatto il resto, facendo trasmigrare
una patologia da pecore a bovini e da qui agli esseri umani, con le conseguenze che tutti abbiamo imparato a
conoscere. Tuttavia i pericoli non sono del tutto da archiviare: c’è infatti da temere che, dato il lungo periodo
di incubazione della malattia di Creutzfeld –Jacob, anche alcuni decenni, assisteremo ad altri casi di BSE
umana. Jeremy Rifkin, Ecocidio - Ascesa e caduta della cultura della carne. Mondadori, Milano, 2002,
Introduzione all’edizione italiana, p. 3-9.
9
situazione di libera circolazione delle merci (alimenti compresi, ovviamente),
perciò è inevitabile entrare in contatto con prodotti provenienti da altri
mercati, in cui quasi sempre ci sono diverse legislazioni; inoltre gli allevatori,
come qualsiasi altro imprenditore, hanno come scopo il massimo guadagno
possibile (e non potrebbe essere diversamente), perciò la sicurezza e la salute
dipendono dalle garanzie legislative e tecniche, spesso molto carenti, per
motivi strutturali, e dal buonsenso di chi acquista, non certo dal buon cuore
dei diretti interessati, come si vorrebbe far credere.
Purtroppo una parte maggioritaria di coloro che durante queste crisi sanitarie
hanno smesso di acquistare carne, o almeno carne bovina, hanno ricominciato
a farlo una volta passata l’emergenza mediatica, in seguito al patetico avvio di
costose campagne promozionali pubbliche sui mass media, svolte per
rassicurare il consumatore e renderlo consapevole della sicurezza dei suoi
acquisti, e adesso considerano tutto ciò come acqua passata
9
. Una piccola
parte di coloro che sono rimasti sconvolti dall’accaduto invece ha
approfondito l’argomento, si è maggiormente interessata all’alimentazione
che praticava e ha compiuto una scelta differente, decidendo di smettere di
cibarsi di alimenti animali.
Essere vegetariani (in tutte le sue varianti, anche se solo il totale rifiuto di
alimenti di origine animale può condurre a risultati effettivi
10
) non è infatti
una moda né una dieta dimagrante, ma una filosofia di vita conosciuta e
praticata da secoli, fondata sul rispetto per gli animali non umani che hanno lo
stesso diritto alla vita e a un’esistenza dignitosa nel loro ambiente naturale,
9
Certo le raccomandazioni ad aver fiducia suonano strane se vengono confrontate ad una qualsiasi
proiezione epidemiologica : se solo ci fosse un rischio su 1.000.000 di contrarre la malattia consumando
carne, dati l’altissimo livello e frequenza dei consumi di questo alimento in un prossimo futuro potrebbero
essere colpite dalla patologia centinaia di migliaia di persone. Enrico Moriconi, Nutrirsi tutti inquinando
meno. Associazione centro di documentazione di Pistoia, 1996, p. 83.
10
Infatti nell’ultimo capitolo si parla del veganismo o vegetarismo senza aggettivi, cioè l’esclusione
dall’alimentazione tutti gli alimenti di origine animale: carne, pesce, latticini, uova, molluschi, crostacei,
miele. Esiste poi il lacto-ovo-vegetarismo, in cui sono ammessi latte, latticini e uova, l’ovo-vegetarismo, in
cui sono ammesse solo le uova, e il lacto-vegetarismo, in cui sono ammessi latte e latticini. Evidentemente
però il consumo di latte o uova implica che ci siano degli allevamenti di galline e mucche, e questi animali,
una volta esaurita la loro ‘funzione’, non vengono di certo fatti morire spontaneamente. Il mercato di latte,
10
sulla consapevolezza della limitatezza delle risorse del pianeta e quindi della
necessità di un loro utilizzo il più possibile razionale ed efficiente, sulla
conoscenza degli attuali malsani rapporti tra il Nord e il Sud del mondo e
sulla volontà di reimpostarli, sul rifiuto di abitudini dannose per la salute e di
conseguenza per la società. I vegetariani nel mondo sono in costante aumento
ma purtroppo restano una componente estremamente minoritaria della
popolazione (tranne che in alcune realtà come quella indiana), con scarsi
(seppur in aumento) mezzi per esprimere il proprio punto di vista, e perciò
poco considerati dalle strutture politiche e di governo. In realtà la scelta
vegetariana si rivela necessaria nel quadro dell’attuale crescita demografica,
di uno sviluppo economico che abbraccia sempre più paesi nel mondo e che
avviene attraverso un’estensione dello stile di vita occidentale, tra cui
dannosissime abitudini alimentari e di un progressivo peggioramento delle
condizioni ambientali. Per questa ragione non si può fare a meno di auspicare
che una crescita di consapevolezza in questo senso avvenga anche e
sopratutto nei paesi che vanno sviluppandosi, proprio dove gli effetti perversi
del consumo di alimenti animali sono più evidenti e drammatici.
uova e carne è infatti unico, perciò ogni regime alimentare non vegan contribuisce a porre i problemi che
vado esponendo in questo lavoro.
11
Grandi numeri
Se nell’universo esistesse una popolazione aliena che ci osservasse dall’alto,
probabilmente giungerebbe alla conclusione che l’essere umano è uno tra i
tanti animali del pianeta, dominato da altre specie che lo superano in forza e
numero e che pian piano gli stanno sottraendo lo spazio in cui vivere. In
effetti, anche se è molto difficile accorgersene, specie nei nostri paesi, il
numero degli animali d’allevamento è veramente spropositato e va occupando
aree crescenti del pianeta, a scapito nostro e delle risorse naturali. A questo
punto potremmo legittimamente pensare che la vecchia teoria malthusiana del
rapporto popolazione/risorse vada nuovamente presa in considerazione,
stavolta però introducendo la fondamentale variabile della sostenibilità di una
tale popolazione animale a scopi alimentari.
Molte persone non hanno idea delle dimensioni del fenomeno e delle sue
ripercussioni a tutti i livelli. In questo momento nel mondo vengono allevati
approssimativamente 20 miliardi di animali a scopi alimentari, più del triplo
di tutti gli esseri umani
11
; il 70% dei prodotti di origine animale proviene da
allevamenti intensivi, ubicati inizialmente solo in Europa e America del Nord
ma oggi diffusi anche in Brasile, Cina, India, Filippine e altre regioni in via di
sviluppo, mentre il 30% residuo proviene da allevamenti estensivi, dislocati
soprattutto in America Latina (fino a qualche anno fa la percentuale degli
allevamenti intensivi raggiungeva il 99%
12
ma oggi l’aumento esponenziale
delle esportazioni dall’America Latina fa ridimensionare il peso relativo del
sistema intensivo sul totale)
13
. In particolare, sono allevati a scopo alimentare
15.7 miliardi di polli, 4.9 miliardi di quadrupedi (tra cui 1.5 miliardi di
11
Rosella Sbarbati del Guerra, Il Vegetarianesimo. Milano, Xenia , 2001, p. 34; John Robbins, The Food
Revolution – How Your Diet Can Save Your Life and the World. Magna Publishing Co. Ltd., Book Division,
Mumbai, 2001, p. 234.
12
R. Ravasso, M. Tettamanti, cit, p. 16.
13
R. Ravasso, M. Tettamanti, cit, p. 26
12
bovini)
14
, sono pescate 125 milioni di tonnellate di pesci l’anno. Dal 1961 il
numero dei quadrupedi di interesse zootecnico è aumentato del 60%, mentre
quello dei volatili d’allevamento è quadruplicato
15
. Tutti questi animali
occupano circa il 30% delle terre coltivabili del pianeta (per quanto riguarda
gli Stati Uniti il 12% della superficie continentale è destinato al pascolo di
bovini, per lo più negli stati del West e del Midwest). Un quarto delle terre
emerse vengono utilizzate per nutrire direttamente bovini ed altro bestiame
16
.
Tabella n. 1
17
. Principali Paesi Produttori
Bovini: Usa, Russia, Unione Europea, Brasile, Cina
Polli: Usa, Unione Europea, Russia, Cina
Maiali: Cina, Unione Europea, Usa, Russia
Ovini e caprini : Cina, India, Australia
Uova : Usa
Latte: India
Complessivamente ogni anno si consumano in tutto il mondo 217 milioni di
tonnellate di carne, e vista la purtroppo crescente domanda di alimenti di
origine animale da parte dei Paesi in via di sviluppo questo dato è destinato a
crescere. Nei soli Stati Uniti ogni giorno vengono macellati 100.000 bovini.
Per quanto riguarda il nostro paese, in Italia vengono allevati più di mezzo
miliardo di animali all’anno
18
, vengono pescate 600.000 tonnellate di pesce
(metà proveniente da allevamento e metà da cattura in mare aperto), sono in
funzione 2900 macelli e 95.000 allevamenti con mucche “da latte”
19
.
L’industrializzazione favorisce la concentrazione degli animali in grandi
strutture e in una particolare zona geografica: circa il 60% della zootecnia
14
Ibidem.
15
Ibidem.
16
Paul e Anne Ehrlich, The Population Explosion, NewYork, Simon & Schuster, 1990, p. 35.
17
Marinella Correggia, Addio alle carni: Come e Perché. Supplemento alla rivista LAV ‘Impronte’, 2001, 1
capitolo.
18
Dati riguardanti l’anno 2000. Ibidem.
13
italiana è stanziata in Pianura Padana, in cui sono allevati quasi 6 milioni di
bovini e 6.3 milioni di suini
20
. La produzione italiana, rispetto ai consumi, è
deficitaria per tutti i prodotti animali, perciò siamo grandi importatori sia di
animali vivi che di carne e prodotti derivati: la bilancia commerciale del
settore zootecnico registra infatti un passivo di 5 miliardi di euro l’anno.
Le vacche da latte arrivano a produrre 40 litri di latte al giorno (bisogna
considerare che in media ogni 9000 litri di latte prodotto viene partorito un
vitello): è un dato impensabile in natura, per la cui realizzazione si rende
necessario l’utilizzo massiccio di ormoni anabolizzanti, fattori promotori della
crescita, steroidi, selezione genetica. Questa sequenza di trattamenti provoca
numerose malattie, per cui alla lista di sostanze rintracciabili nel latte e nelle
carni si devono aggiungere antibiotici e farmaci vari. Spesso solo una parte
delle sostanze utilizzate è legalmente somministrabile agli animali. I controlli
sono abbastanza a maglie larghe, almeno per quanto riguarda Unione Europea
e Stati Uniti (i paesi con la normativa più sviluppata in materia di protezione
del consumatore; cosa immaginare poi degli altri?): si svolgono infatti a
campione, vista l’impossibilità di controllare una mole enorme di capi, e si
intensificano solo in occasione di crisi particolari crisi sanitarie. Negli Usa i
capi macellati le cui carni vengono sottoposte a test per rilevare la presenza di
residui chimici tossici sono infatti uno ogni 250.000
21
.Il nuovo sistema di
controllo per rilevare la presenza di agenti patogeni introdotto nel 1996 negli
Stati Uniti, l’HACCP, viene da molti esperti considerato una truffa
22
.
In tutto il mondo circa 200 milioni di persone sono coinvolte in attività
connesse con la produzione zootecnica.
23
In Italia il numero degli occupati nel
settore raggiunge la cifra di 700.000, più i 15.000 addetti alla pesca. Nord,
Centro e Sud America producono il 43% di tutta la carne bovina del mondo.
19
Dati Istat riferiti al 1999. Ibidem.
20
Le regioni in cui permane la maggiore concentrazione del settore sono Lombardia, Emilia Romagna,
Piemonte. R. Ravasso, M. Tettamanti, cit, p. 16.
21
Jim Mason and Peter Singer, Animal Factories. Crown Publishers Inc., New York, 1980, p. 73.
22
J. Robbins, cit, p. 136.
14
In oriente, soprattutto nei paesi che negli ultimi decenni stanno sperimentando
un’impetuosa crescita economica, i consumi di prodotti animali sono in netta
crescita, e così avviene per gli allevamenti. In India, paese la cui tradizione
induista non consente di cibarsi di animali
24
e obbliga a un rispetto verso le
mucche impensabile in Occidente, la popolazione che segue una dieta
vegetariana è oggi scesa al 25-30% del totale. In Giappone la domanda di
carne bovina è in crescente aumento, cosi come avviene per Corea del Sud e
Taiwan. L’International Food and Policy Research Institute prevede nel 2020
una domanda di carne dai paesi del Sud del mondo maggiore del 40% rispetto
al 1995
25
. Nei paesi meno sviluppati, visti i costi inferiori e le normative più
permissive, sono stati delocalizzati moltissimi allevamenti la cui produzione è
destinata all’esportazione: la popolazione non è infatti in grado di acquistare
tali prodotti, visto il basso reddito medio.
23
World Resources Institute e International Institute for Environment and Development, World Resources
1988-1989. New York, Basic Books, 1988, p. 78.
24
Nella costituzione Indiana è previsto l’obbligo di compassione per tutti gli esseri viventi. M. Correggia, cit,
6° capitolo.
25
M. Correggia, cit, 6° capitolo. Insieme alla domanda di carne aumenterà ovviamente anche la domanda di
cereali, da cercare in un pianeta che va sempre più desertificandosi e prosciugandosi. Daniela Condorelli,
Carne amara, in D di Repubblica, 28/05/02.
15
L’acqua
“I prodighi e gli speculatori di oggi sono inquinatori dell’aria e delle acque”.
Amartya Sen
26
“Gli ecosistemi si sono rapidamente deteriorati a causa di una ricerca inadeguata
di fonti idriche e di un consumo idrico irrazionale e sprecone. Le politiche
pubbliche hanno infatti assegnato priorità agli interessi privati che sfruttano
le risorse idriche badando solo al breve periodo. Le carenze non sono infatti il
semplice risultato della crescita demografica e delle migrazioni” .
Carta della Terra, Trattato sull’acqua dolce, art.2
27
Ogni anno l’arrivo della stagione estiva viene salutato dal solito annuncio dei
paesi a rischio siccità, di incendi che non si sa come prevenire e domare per la
mancanza di precipitazioni e di riserve idriche, di situazioni limite che
impongono il razionamento dei consumi agricoli e domestici.
La palese manifestazione di questa emergenza è l’aumento, in questi ultimi
anni, degli incontri dei vertici della politica internazionale circa la gestione
delle risorse idriche mondiali, eventi quasi sempre accompagnati da proteste
di gruppi sociali contrari alla privatizzazione di una risorsa tanto necessaria
per l’esistenza umana. Anche se non è una conclusione da trarre agevolmente,
viste le reticenze sull’argomento, l’acqua è in realtà sempre più scarsa, tanto
che alcuni giornalisti, tecnici, politici arrivano a definirla come l’oro blu,
comparandola perciò al petrolio in quanto a necessità e appetibilità (e quindi
possesso e conflitti previsti). Pur non potendo ignorare il ruolo fondamentale
che le risorse petrolifere hanno nel nostro mondo in moltissimi settori
produttivi, l’acqua è però qualcosa di più, è l’immagine della vita stessa,
26
Amartya Sen, Sviluppo è Libertà. Mondadori, Milano; cap.XI, p. 269.
27
AA. VV., Carta della Terra – Global Forum di Rio de Janeiro 1992. ISEDI, 1993.
16
perciò nel momento in cui essa scarseggia siamo indubbiamente di fronte al
rischio di una violazione di una diritto umano fondamentale.
Senza parlare dei paesi a sud del Sahara, per i quali la distribuzione
dell’acqua pone problemi quasi insormontabili, un certo numero di paesi è gia
colpito dalla mancanza d’acqua. In Russia i laghi d’Aral e Bajkal vedono il
loro livello scendere a causa dell’eccessivo prelevamento. Le acque del Nilo,
del Gange e del Giordano sono ormai oggetto di disputa tra i paesi rivieraschi.
Delle grandi paludi della Mesopotamia ne sopravvivono appena il 10%. In
Africa occidentale le falde acquifere sono scese a profondità tali per cui nella
regione si prevedono gravi carenze già a partire da questo decennio, mentre il
lago Chad è ridotto a un ventesimo delle dimensioni del 1960
28
. Sorte analoga
toccherebbe ai cinque paesi del Maghreb
29
. Per l’utilizzo delle acque del
Senegal sono stati mobilitati molti mezzi senza per questo riuscire a
soddisfare i bisogni locali. Nei paesi aridi che possono permettersi di spendere
tanto (Kuwait, Arabia Saudita), il problema della scarsità idrica viene in parte
risolto con la dissalazione dell’acqua marina per la coltivazione, ma si tratta
di un processo comunque particolarmente costoso dal punto di vista
energetico
30
. In California il consumo d’acqua nella stagione estiva ha dovuto
essere regolamentato (in alcuni periodi è infatti prevista solo una doccia al
giorno per abitante)
31
. In Italia la tensione sull’argomento sale di anno in
anno
32
. Si stima che nel mondo 1 miliardo e 200 milioni di persone non
abbiano accesso all’acqua potabile
33
. Le falde acquifere messicana e indiana
stanno precipitando rapidamente
34
.
28
Jean François Rischard, Conto alla Rovescia: Venti problemi globali, Vent’anni per risolverli. Sperling &
Kupfer, Milano, 2002, p. 103
29
Lester Brown e altri, State of the world 1990. Rapporto sul nostro pianeta del World Watch Institute;
Edizione italiana di ISEDI, Milano, 1990, p. 81. Citato in J. Rifkin, ibidem, p.249.
30
Alan H. Cottrell, Ambiente ed Economia delle Risorse. Il Mulino, Bologna, 1984, p. 66.
31
Gli allevatori, una parte estremamente minoritaria della popolazione, sono i maggiori consumatori d’acqua
pro capite della California. J. Robbins, cit, p. 369.
32
Le lotte tra regione Puglia e regione Basilicata per la gestione dei flussi idrici lucani si reiterano ormai,
ogni estate, da decenni.
33
Roberto Scafuri, Pax Americana. Edizioni Nutrimenti, Roma, 2003, p. 74.
34
J. Rifkin, cit, p. 249.