10
1.0. Premessa
Il tema della didattica della letteratura nell‟ambito dell‟insegnamento dell‟italiano come lingua
seconda implica tutta una serie di domande preliminari la cui ampiezza e complessità hanno dato
a lungo risposte disparate e spesso in contrasto fra loro.
Riteniamo, dunque, doveroso soffermarci inizialmente su alcuni principi all‟apparenza semplici
ma in realtà piuttosto complessi e in qualche modo elusivi.
Tali principi riguardano il «che cosa» si insegna, le «finalità» di tale insegnamento e le
«modalità» con le quali esso avviene. Ne consegue, quindi, la necessità di riflettere sulla nozione
stessa di «letteratura» (il che cosa dell‟insegnamento), sui valori di cui la letteratura è depositaria
(il perché dell‟insegnamento) e sulle differenti metodologie didattiche adottate negli anni (il
come dell‟insegnamento).
L‟intento di questa speculazione non è ovviamente quello di procurare delle risposte definitive
ad un tema così intricato, ma semplicemente quello di mettere in luce la discordanza tra le varie
ipotesi fornite in materia e “invitare ad un atteggiamento prudente e privo di entusiasmi eccessivi
nel valutare, nell‟ambito dell‟insegnamento letterario, le metodologie didattiche di volta in volta
adottate”
1
.
1.1. Che cos‟è la letteratura?
Alla domanda Che cos‟è la letteratura? si è risposto in molteplici modi, seguendo differenti
ideologie, visioni del mondo, gusti, pregiudizi, prospettive politiche, filosofiche e scientifiche;
tuttavia, osservando alcune di queste repliche, per lo più totalmente inconciliabili tra loro, ci si
rende subito conto delle difficoltà e dell‟impossibilità di una definizione semplice e univoca
della «letteratura».
Procediamo con ordine e riflettiamo sull‟etimologia della parola.
Il termine «letteratura» (dal latino littera, «lettera dell‟alfabeto») veniva utilizzato per indicare
l‟atto stesso del tracciare le lettere, dello scrivere e solo nel I secolo d.C. iniziò ad indicare lo
studio e l‟insegnamento della lingua, la grammatica (dal greco gramma, «lettera dell‟alfabeto», a
cui littera direttamente corrisponde). L‟aggettivo litteratus (che in origine aveva il significato di
«scritto con lettere») venne così ad indicare chi possedeva la scrittura e quindi più in generale chi
era colto ed istruito. Il grande retore latino Quintiliano utilizzò le nozioni di letteratura e
grammatica in un senso molto esteso, fino a comprendere in esse tutte le tecniche della scrittura
1
CAON P., Modulo didattica della letteratura, del cinema, della musica d‟ autore e dell‟ arte, modulo on line in
www.unive.it/itals nell‟ambito del Master per formatori di docenti di italiano come lingua straniera, Università Ca‟
Foscari di Venezia, 2004, p. 2.
11
e del sapere: affermò il valore disinteressato degli studi riguardanti la lingua e in essi attribuì un
ruolo preminente alla lettura dei poeti.
Questi antichi usi della parola mostrano chiaramente lo stretto legame tra letteratura e scrittura:
in principio, infatti, “si chiamò letteratura la conoscenza e lo studio della lingua scritta e solo in
seguito si arrivò a riassumere sotto il termine letteratura l‟insieme della cultura scritta”
2
.
Nel 1947 parve insidiosa la domanda di Sartre Che cos‟è la letteratura? e ben più radicale fu
quella posta da Todorov nel 1974 Esiste la letteratura?; notiamo dunque come l‟oggetto della
nostra analisi fu addirittura messo in dubbio nella sua stessa esistenza, quasi si trattasse di uno
spettro collettivo dal quale era bene liberarsi. Altri, come lo scrittore russo Zamjatin, dubitarono
non tanto dell‟oggetto, quanto della possibilità di descriverlo. In una fiaba indiana, raccontava
Zamjatin, fu chiesto ad alcuni ciechi di tastare un elefante e raccontare poi a che cosa
assomigliasse secondo loro; uno di essi tastò un orecchio e disse: a una corda; un altro una
zampa e disse: a una colonna morbida; un terzo la proboscide e disse: a una salsiccia. “Questo è
il destino della maggioranza dei critici – sosteneva Zamjatin - la letteratura è un fatto troppo
grande perché lo si possa abbracciare nel suo insieme”
3
.
Anche il sociologo Robert Escarpit esordì affermando: “Non vi è nulla di meno chiaro del
concetto di letteratura. Il termine stesso viene usato nei più svariati modi possibili e il suo
contenuto semantico è altrettanto ricco quanto incoerente. In realtà è impossibile dare della
letteratura un‟unica breve definizione”
4
.
Per tentare di rispondere alla domanda Che cos‟è la letteratura? John M. Ellis provò a porsi la
domanda Che cos‟ è un erbaccia?.
Citiamo un passo della sua teoria per esplicitare il concetto:
Esiste forse un‟essenza di “erbaccità”, un qualcosa di speciale che le erbacce condividono e che le distingue dalle
non erbacce? Chiunque sia stato arruolato per aiutare a ripulire un giardino dalle erbacce sa quanto sia difficile
distinguere un‟erbaccia da una non erbaccia, e può ben chiedersi se ci sia un segreto: quale sarà mai? Come si fa a
riconoscere un‟erbaccia? Il segreto è che non c‟è segreto. Le erbacce non sono un particolare tipo di pianta, ma
semplicemente un qualunque tipo che, per un motivo o per l‟altro, i giardinieri non vogliono che cresca nei loro
giardini. Se mai avessimo qualche curiosità sulle erbacce, cercando di rintracciare la natura dell‟erbaccità, sarebbe
una perdita di tempo provare a indagare la loro natura botanica, cercare qualità distintive formali o fisiche che
rendono le piante erbacce. Dovremmo invece fare delle ricerche storiche, sociologiche, forse psicologiche, sui tipi di
piante che vengono giudicate indesiderabili da gruppi diversi in luoghi diversi
5
.
Forse per la letteratura, sosteneva Ellis, è valido proprio il contrario: essa è qualunque tipo di
scrittura che, per un motivo o per l‟altro, è da qualcuno altamente apprezzata.
2
FERRONI P., CORTELLESSA A., PANTANI I., TATTI S., Storie e testi della Letteratura italiana, Mondadori,
Firenze, 2002, p. 5.
3
CORTI M., Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano, 1976, p. 4.
4
Ibid., p. 7.
5
CULLER J.,Teoria della letteratura, Armando Editore, Roma, 1999, pp. 40-41.
12
«Letteratura» e «erbaccia» sarebbero dunque due termini funzionali che ci parlano di quello che
facciamo, più che dell‟essenza immutabile delle cose. Ci parlano del ruolo di un testo, o di un
cardo, in un contesto sociale, del loro rapporto con l‟ambiente che li circonda, dei fini cui
possono essere adibiti e del modo in cui si comportano.
Scopriamo così che la letteratura è una categoria vuota, puramente formale. Per essere
considerata letteratura non è necessario che una scrittura sia artistica, ma semplicemente del tipo
che viene considerato artistico.
In questo modo la definizione di «letteratura» quale tipo di scrittura altamente considerata dai
più si dimostra accettabile. Detto ciò, però, siamo costretti ad abbandonare l‟illusione che la
categoria letteratura sia oggettiva, data cioè immutabilmente e in eterno: qualunque cosa può
essere letteratura come qualunque cosa ritenuta indubitabilmente letteratura può cessare di
esserlo.
La convinzione, dunque, che la letteratura sia qualcosa di stabile e ben definito deve dunque
essere abbandonata come una chimera. “La letteratura, nel senso di opere di valore certo e
inalterabile, non esiste”
6
.
Forse necessitiamo un approccio differente; forse la letteratura non deve essere definita in base
alla sua natura reale o immaginaria, ma in base al modo in cui il linguaggio viene utilizzato in
essa.
Seguendo tale ipotesi, Roman Jakobson così si esprimeva:
La letteratura è un tipo di scrittura che commette una violenza organizzata ai danni del linguaggio ordinario. La
letteratura trasforma e intensifica il linguaggio ordinario, devia sistematicamente dal parlare quotidiano. Struttura,
ritmo, risonanza delle parole esprimono in letteratura una ridondanza rispetto al significato puro, perché, come
direbbe tecnicamente un linguista, c‟è una sproporzione fra i significati e i significanti. Il linguaggio, cioè, attira
l‟attenzione su se stesso, fa sfoggio del proprio essere; deforma, aliena e strania il linguaggio ordinario e sotto la
pressione degli artifici letterari, quest‟ultimo viene intensificato, condensato, torto, compresso e capovolto
7
.
Questa la definizione di «letteratura» proposta dai formalisti russi, gruppo militante e polemico,
attivo in Russia per tutti gli anni Venti finché non venne ridotto al silenzio dallo stalinismo.
Jakobson, Ejchenbaum, Tomasevskij e gli altri componenti del gruppo rigettarono il simbolismo
e spostarono l‟attenzione sulla realtà materiale del testo letterario. Il lavoro letterario era un fatto
materiale, con leggi, strutture e strumenti propri; non era né un veicolo di idee, né una riflessione
sulla realtà sociale. Era fatto di parole, non di oggetti o sentimenti, ed era un errore vederlo come
l‟espressione della mente dell‟autore. Osip Brik arrivò un giorno a dire che l‟Euge nio Onegin di
Puskin sarebbe stato scritto anche se Puskin non fosse nato.
Il formalismo fu essenzialmente l‟applicazione della linguistica allo studio della letteratura e dal
momento che la linguistica in questione era di tipo formale, si preoccupava cioè delle strutture
della lingua piuttosto che di ciò che essa voleva effettivamente dire, i formalisti trascurarono
l‟analisi del contenuto letterario focalizzando la loro attenzione sulla forma letteraria.
Citiamo ancora Jakobson per chiarire meglio il concetto:
Oggetto della scienza della letteratura non è la letteratura ma la letterarietà, cioè ciò che di una data opera fa
un‟opera letteraria. Invece finora gli storici della letteratura hanno soprattutto scimmiottato la polizia che, quando
6
EAGLETON T., Introduzione alla teoria letteraria, Editori Riuniti, Roma, 1998 e CULLER J., Teoria della
letteratura, Armando Editore, Roma, 1999, p. 17.
7
JAKOBSON R., in EAGLETON T., Introduzione alla teoria letteraria, Editori Riuniti, Roma, 1998, p. 19.
13
deve arrestare una determinata persona, agguanta per ogni eventualità chiunque e qualsiasi cosa si trovi
nell‟appartamento o anche chi per caso si trovi a passare nella strada accanto. Così anche per gli storici della
letteratura tutto faceva brodo: costume, psicologia, politica e filosofia. Al posto della scienza della letteratura si creò
così un conglomerato di ricerche artigianali, come se ci si fosse dimenticati che tutti questi oggetti riguardano in
realtà le scienze corrispondenti: la storia della filosofia, la storia della cultura, la psicologia… e che quest‟ultime
possono tranquillamente utilizzare i monumenti letterari come documenti difettosi, di second‟ordine
8
.
Vediamo più nel dettaglio in cosa consiste questa «letterarietà».
La lingua è governata da grammatiche che ne regolano la forma fonologica, grafica, morfo-
sintattica, lessicale, testuale, socio-pragmatica; le deviazioni di cui abbiamo parlato poco fa,
potrebbero subentrare a vari livelli:
scarti fonologici, quali la rima, il ritmo, le allitterazioni sono le caratteristiche tipiche
della poesia (parlata o cantata) ma non limitate ad essa, se si pensa che la cura fonologica
è essenziale per i testi teatrali ed è presente anche in molta prosa;
scarti di ordine grafico, propri della poesia, rimandano principalmente alla scansione in
versi;
devianze morfosintattiche, che vanno dalla scelta paratattica di scrittori come Sciascia,
che fondano la loro scrittura sulla coordinazione, alla scelta ipotattica basata sulla
subordinazione, come in Manzoni; rientrano in questa categoria anche scelte di natura
sociolinguistica, come il privilegio accordato alle varietà basate sul passato remoto o a
quelle sul passato prossimo;
le deviazioni lessicali sono le più evidenti, insieme a quelle fonologiche: rientrano in
questa categoria i meccanismi propri della letterarietà, quali le figure retoriche (metafora,
metonimia, sineddoche, litote, ossimoro, ecc.) e la neologizzazione, l‟invenzione di
parole;
le deviazioni alla grammatica sociolinguistica presenti nella tradizione sono di tre tipi:
anzitutto si trova la scelta della lingua, fondamentale in un‟Italia bilingue. I contadini-
operai manzoniani che parlano in toscano e i ragazzi di Pasolini che usano il romanesco
rappresentano due scelte egualmente innovative rispetto al contesto in cui quei testi
nacquero; c‟è poi la scelta di restare più o meno vicini alla koiné standard; in terzo luogo,
troviamo il problema della scelta di registro, che si realizza sia in termini morfosintattici
sia in termini lessicali, certo più appariscenti. Si pensi alla carica innovativa dei primi
8
JAKOBSON R., in EJCHENBAUM B., La teoria del metodo formale, in I formalisti russi, Einaudi, Torino, 1968,
p. 37.
14
testi che introdussero l‟uso delle “parolacce”, con un effetto che ormai non viene
percepito se non si colloca l‟opera nel suo contesto;
pragmatica: un testo di Beckett o di Jonesco o di Pinter non rispetta certo le regole della
grammatica pragmatica, che governa l‟uso sociale della lingua, così come non le rispetta
un monologo di Bergonzoni.
Il linguaggio letterario era visto, dunque, come una specie di violenza linguistica, una serie di
deviazioni dalla norma che facevano sì che la letteratura fosse uno speciale tipo di linguaggio,
contrapposto a quello ordinario che comunemente si usava.
Ma se si individua una deviazione è necessario individuare anche una norma dalla quale
quest‟ultima dovrebbe discostarsi.
La domanda da porci è dunque: Esiste un linguaggio normale?, Esiste una lingua condivisa da
tutti i membri della società?.
No, sarebbe un‟illusione; il linguaggio comune dei filosofi non è certo quello degli scaricatori di
porto. Norma e deviazione sono collegabili ad un preciso contesto sociale e si modificano con il
variare di quest‟ultimo. Il fatto che un linguaggio sia straniante, non garantisce il fatto che lo sarà
sempre e ovunque.
Viene, così, ulteriormente ribadito il carattere transitorio e mutevole della letterarietà, che non
può essere considerata come una qualità data per l‟eternità.
Un simile discorso non era certo maturato dal nulla.
Già Aristotele, nel IV secolo a.C., cercò di definire lo statuto specifico del linguaggio letterario
in rapporto alla lingua d‟uso e identificò il carattere distintivo della lingua letteraria
nell‟allontanamento dall‟uso quotidiano. “Il poeta - sempre secondo Aristotele - doveva
abbandonare la «kurion», la parola dell‟uso, per impadronirsi della «glotta», il linguaggio raro ed
elevato della tekne poietike”
9
.
Prese così corpo la tesi relativa all‟esistenza di uno scarto, rispetto alla norma linguistica, che
avrebbe caratterizzato il linguaggio letterario. Scarto, quest‟ultimo, non di carattere lessicale ma
più specificamente morfologico, sintattico e prosodico.
Alexander Pope, agli inizi del Settecento scriveva che «l‟arte», pur avendo come oggetto la
«natura» (ovvero, ciò che avveniva nel mondo) riguardava:
what oft was thought, but ne‟er so well express‟t
(ciò che spesso fu pensato, ma mai così ben espresso)
10
Pochi anni dopo Henry Fielding, introducendo il suo Tom Jones, proponeva una metafora
illuminante:
La letterarietà corrisponde all'attenzione posta nella cottura, nel condimento e nel modo di servire un cervo cacciato
dal lord: la parte frettolosamente arrostita per i servi è banalmente quotidiana (è funzionale al nutrimento, e ciò
9
BRIGANTI A., Didattica della letteratura, Lisciani e Giunti Editori, Teramo, 1990, pp. 7-8.
10
BALBONI P., Educazione letteraria e nuove tecnologie, Utet, Gorgonzola (MI), 2005, p. 9.
15
basta), mentre la parte dello stesso cervo preparata per il signore e per i suoi ospiti non solo nutre ma dà piacere, ha
una funzione estetica. La stessa differenza intercorre tra comunicazione quotidiana e testo letterario”
11
.
Fielding paragonava, quindi, lo scrittore ad un cuoco e l‟opera letteraria al piatto da lui
preparato. «Il contenuto del romanzo-piatto» - diceva il cuoco-poeta - «non è altro che la Natura
Umana»
12
.
Se è vero che l‟argomento è importante, così come lo sono gli ingredienti per un buon piatto, ciò
che differenzia la metà del cervo cucinato alla mensa dei servi dall‟altra metà dello stesso cervo
preparato dal grande cuoco è «il condimento, il modo di guarnirlo e di aromatizzarlo, il modo di
presentarlo».
Allo stesso modo, l‟eccellenza di un intrattenimento intellettuale consiste meno nell‟argomento e
più nell‟abilità dell‟autore nel rivestirlo e prepararlo.
Jakobson andò oltre e individuò in ogni atto di comunicazione verbale sei fattori essenziali: il
mittente indirizzerebbe ad un destinatario un messaggio avente per oggetto un certo contesto
(l‟argomento di cui si parla); il messaggio verrebbe formulato in un codice (una lingua comune
al mittente e al destinatario) e trasmesso poi attraverso un canale (scrittura, telefono, onde radio,
ecc.). Sulla base di questi sei fattori, individuò altrettante funzioni del linguaggio, ciascuna delle
quali si caratterizzava per essere orientata verso uno dei sei fattori: la funzione emotiva verso il
mittente, la referenziale verso il contesto, la metalinguistica verso il codice, la fatica verso il
contatto, la poetica, infine, consisteva nell‟enfasi posta sul messaggio in quanto tale, come fine a
sé stesso. “Anche se le funzioni non si presentano quasi mai allo stato puro - sosteneva Jakobson
- ce ne sarà sempre una dominante sulle altre, e proprio in base a questa dominanza riusciremo a
distinguere un sonetto di Petrarca, dove prevarrà la funzione poetica, da una filastrocca
pubblicitaria in versi, dove invece prevarrà la funzione conativa o quella referenziale”
13
.
Tale «teoria delle funzioni», elaborata da Jakobson, rappresentò la formulazione più raffinata
dell‟opposizione tra «lingua poetica» e «lingua standard» e la definizione più efficace di
«letteratura» e «letterarietà».
Con tutte le incertezze che abbiamo accumulato sull‟essenza della letteratura, verrà ora da
chiedersi: A cosa serve insegnare letteratura? Quali valori può trasmettere nel mondo attuale?
Quale deve essere il suo posto nello spazio pubblico? e Perché difendere la sua presenza nelle
scuole? Questi i quesiti ai quali ci proponiamo di rispondere nel prossimo paragrafo.
11
Ibid., p. 10.
12
Ibid., p. 11.
13
BRIOSCHI F., DI GIROLAMO C., Elementi di teoria letteraria, Officine Grafiche Principato, Milano, 1984, pp.
62-63.
16
1.2. Perché insegnare la letteratura?
Un uomo politico ateniese voleva segnalare ai suoi concittadini il pericolo incombente di una aggressione da parte
dei Persiani. Decise così di recarsi al foro e di tenere delle orazioni in tal senso. Ma nessuno sembrava interessarsi
alle sue parole; la gente passava indifferente, continuando a dedicarsi alle solite occupazioni. Stanco di questi
risultati un giorno l‟oratore decise di cambiare stile e cominciò così: c‟ era una volta Cerere che insieme ad
un‟ aquila e ad un‟ anguilla andava in giro per l‟ Attica. Nel loro cammino le tre compagne di viaggio si imbatterono
in un fiume; l‟ aquila spiccò il volo, l‟ anguilla si gettò in acqua…e qui l‟oratore si fermò. Tutti all‟improvviso si
rivolsero a lui in coro “….E Cerere?”. A quel punto, certo di avere l‟attenzione del pubblico, l‟uomo politico
cominciò a parlare di ciò che realmente gli stava a cuore
14
.
Questa è la storia che La Fontaine racconta in un saggio dall‟eloquente titolo: Il potere delle
fiabe. La letteratura in genere ha un grande potere che è quello dell‟affabulazione; essa cattura
l‟attenzione, realizza la fascinazione per cui tutti, grandi e piccini, di fronte alla formula c‟ era
una volta sospendono le loro attività e si predispongono ad ascoltare.
La letteratura ha dentro di sé una forza che purtroppo non sempre a scuola si è in grado di
valorizzare, sempre presi da esigenze didattiche e costrizioni grammaticali.
Che cosa fare della letteratura in un‟epoca caratterizzata da una diffusa inappetenza letteraria
15
,
nella quale le nuove generazioni non scorgono più nella letteratura il modo di acquisizione
privilegiato di una coscienza storica, estetica e morale ed essa non rappresenta più il canale di
accesso ad una cultura adulta di cui si desiderano condividere i riferimenti?
Una tale domanda non può che generare uno stato d‟ansia diffuso e non solo in chi della
letteratura fa un oggetto del proprio insegnamento. Tale ansia deriva dalla nostra civiltà
dell‟immagine e della comunicazione elettronica/digitale che spesso ci fa domandare dove sia
finita la «parola».
Tuttavia, osservando attentamente il mondo che ci circonda, realizziamo che la parola oggi
resiste tenacemente proprio perché gli oggetti, anche i più tecnologicamente avanzati, ne hanno
bisogno.
Un interessante saggio di Nino Borsellino Il testo in situazione: per una drammaturgia della
lettura, prende ad esempio per rafforzare tale tesi il capolavoro dell‟ingegneria spaziale degli
ultimi anni, l‟Apollon, l‟astronave che nel 1969 fu inviata sulla Luna;
14
PALMISCIANO E., La didattica della letteratura come educazione democratica dei sentimenti in MEDICI D. a
cura di, Che cosa fare della letteratura? La trasmissione del sapere letterario nella scuola, CIDI di Roma, Franco
Angeli, Milano, 2001, p. 59.
15
COLOMBO A. a cura di, La letteratura per unità didattiche: proposte e metodi per l‟ educazione letteraria, La
Nuova Italia, Firenze, 1996.
17
Il suo primo vessillo, primo rispetto a quello a stelle e strisce piantato sul roccioso satellite, era fatto di parole,
iscritte sulla fiancata: “Nati non foste a viver come bruti”; il più audace ammonimento trasmessoci dall‟Ulisse
dantesco come una sfida del coraggio e dell‟intelligenza all‟ignoto. Ci rendiamo così conto che l‟oggetto, per quanto
straordinario e funzionale, è in ogni caso destinato alla distruzione mentre la parola non lo è. La parola non va a
finire tra i rottami, o ci può andare, semmai, se c‟è una civiltà che decide di annientarla, se c‟è un Grande Fratello
che vuol farla tacere o un Grande Incendiario che vuole bruciarla: come il potere, invisibile ma onnivedente, del film
di Truffaut, Fahrenheit 451, che snida volumi e brucia biblioteche, benché non possa poi impedire che una setta di
uomini-libro trovi scampo in una specie di arcadia della lettura
16
.
La parola non è solo un segno depositato sulla pagina in grado di orientarci da sinistra a destra;
la parola è memoria e ha una funzione che probabilmente l‟immagine non può del tutto
soddisfare. La parola è pronuncia: se il protagonista dell‟Attimo fuggente avesse detto ai suoi
alunni: “Leggete ognuno per conto vostro il testo e poi io ve lo commenterò” l‟effetto choc
prodotto dalla lettura non si sarebbe realizzato
17
.
Un passo di Curtius renderà ancora più chiaro il messaggio:
Lo studioso di letteratura si persuaderà che essa costituisce una struttura autonoma, sostanzialmente diversa dalla
struttura delle arti figurative; non foss‟altro perché la letteratura è latrice di pensieri, mentre l‟arte non lo è. Ma
anche per i suoi caratteri di movimento, di sviluppo, di continuità, la letteratura si distacca dall‟arte figurativa:
possiede cioè una libertà che a questa è negata. Per la letteratura tutto il passato è presente: Omero può apparirci
nuovo grazie ad una nuova traduzione e l‟Omero di Rudolf Alexander Schröder non è quello di Voss. In qualsiasi
momento io posso leggere Omero o Platone, ed allora ne sono «padrone», totalmente padrone; essi esistono in
innumerevoli esemplari. Invece il Partenone e San Pietro esistono in un unico esemplare, mi si presentano, mediante
le fotografie, solo parzialmente e pallidamente; nelle fotografie non posso toccare i marmi e neppure percorrerli
come percorro l‟ Odissea o la Divina Commedia. Nel libro, la realtà poetica è presente in tutta la sua realtà. Non
sono «padrone» di un Tiziano, né per mezzo di una fotografia né per mezzo di una copia, anche la più bella copia,
pure se potessi procuramela per pochi soldi. Posso instaurare un rapporto diretto, intimo, pieno, con le opere
letterarie di ogni tempo e di ogni popolo, ma non posso farlo con le opere figurative; queste, debbo cercarmele nei
musei. Per molti aspetti il libro è più reale del quadro; nel libro è contenuta una relazione di essere, la reale
partecipazione ad un essere spirituale. Un libro, indipendentemente da ogni altra cosa, è un testo. O lo si comprende
o non lo si comprende, ma per la scienza dell‟arte il cammino è più facile: essa lavora con quadri e con fotografie e
non vi è nulla di incomprensibile.
Bernard Berenson, uno dei più profondi conoscitori d‟arte cosi si espresse: «È assai più facile apprendere la lingua
dei monumenti marmorei di Egina, dei fregi di Olimpia che non apprendere e godere in lingua originale le odi di
16
BORSELLINO N., Il testo in situazione: per una drammaturgia della lettura in MEDICI D. a cura di, Che cosa
fare della letteratura? La trasmissione del sapere letterario nella scuola, CIDI di Roma, Franco Angeli, Milano,
2001, pp. 28-29.
17
Ibid., p. 31.
18
Pindaro, le tragedie di Eschilo, di Sofocle, di Euripide, o gli idilli di Teocrito. Così dunque per capire le liriche di
Pindaro dobbiamo faticosamente applicarci, ma non per capire il fregio del Partenone»
18
.
L‟umanità ha prodotto nell‟arco dei secoli innumerevoli testi letterari che si leggono per diletto,
elevazione spirituale e allargamento delle conoscenze; ma il primo e più gravoso compito della
letteratura è quello di mantenere in esercizio la lingua in quanto patrimonio collettivo.
Come afferma Umberto Eco in Sulla letteratura:
La lingua, per definizione, va dove vuole, nessun decreto, né da parte della politica, né da parte dell‟accademia, può
fermare il suo cammino e farla deviare verso situazioni che si pretendano ottimali. [….]
La lingua va dove vuole ma è sensibile ai suggerimenti della letteratura. Senza Dante non ci sarebbe stato un italiano
unificato. Quando Dante, nel De Vulgari Eloquentia, analizzò e condannò i vari dialetti italiani e si propose di
foggiare un nuovo volgare illustre, nessuno avrebbe scommesso su un tale atto di superbia, eppure con la Commedia
egli vinse la sua partita. È vero che per diventare lingua parlata da tutti, il volgare dantesco impiegò alcuni secoli,
ma se ci riuscì fu perché la comunità di coloro che credevano alla letteratura continuò ad ispirarsi a quel modello. E
se non ci fosse stato quel modello non si sarebbe forse neppure fatta strada l‟idea di un‟unità politica
19
.
È chiaro dunque che la letteratura, contribuendo a formare la lingua del popolo al quale
appartiene, crea identità e comunità; si parlava prima di Dante, ma Omero, Lutero e Puskin sono
esempi altrettanto validi. Cosa sarebbe stata la civiltà greca senza dell‟Iliade, la cultura tedesca
senza la traduzione della Bibbia eseguita da Lutero o la lingua e la letteratura russa senza
l‟Onegin.
C‟è chi poi, come Enzo Palmisciano, vede nella letteratura un grande gioco simile al lego. I vari
pezzi, le unità minime, si presentano con un numero di caratteristiche variabili ma limitate, e
l‟assemblaggio, di volta in volta diverso, darà sempre luogo a oggetti diversi e in numero
illimitato.
Insegnare letteratura significa, allora, mettere lo studente in grado di smontare ogni testo alla
ricerca delle unità minime costitutive e permettergli di capire i procedimenti di costruzione
avviati dai singoli autori, sviluppando in lui competenze in quanto critico e soprattutto in quanto
lettore.
La letteratura diviene dunque una esperienza esistenziale, una sorta di specchio in cui ogni
singolo studente non vede riflessi solo dei testi immobili e muti ma anche sé stesso.
I grandi testi letterari sono come il libro dell‟I Ching: ognuno incontrerà sempre qualche passo
che gli parla in modo diretto, che sembra sia rivolto a lui. “È per questo che il contatto con la
lettura, con i testi è prima di tutto una esperienza emotiva e come tale va trattata a scuola”
20
.
La realizzazione di sé – diceva Proust – ha luogo non nella vita mondana, ma attraverso la letteratura, e non
solamente per lo scrittore che ad essa si è votato, ma anche e soprattutto per il lettore
21
.
18
CURTIUS E. R., Letteratura europea e medioevo latino, La Nuova Italia, Scandicci, Firenze, 1992, pp. 22-23.
19
ECO U., Sulla letteratura, Bompiani, Milano, 2002, p. 9.
20
PALMISCIANO E., La didattica della letteratura come educazione democratica dei sentimenti in MEDICI D. a
cura di, Che cosa fare della letteratura? La trasmissione del sapere letterario nella scuola, CIDI di Roma, Franco
Angeli, Milano, 2001, pp. 59-60.
21
COMPAGNON A., La literature. Pour quoi faire?, Collège de France, Fayard, 2007, p. 28.
19
Le cose che la letteratura può insegnare – affermava Calvino – come il modo di osservare il prossimo e sé stessi, di
attribuire valore alle piccole e grandi cose della vita, di trovare le proporzioni dell‟esistenza e il posto dell‟amore in
essa, sono sì poco numerose ma assolutamente non rimpiazzabili
22
.
La letteratura – insisteva anche Compagnon – è fonte di ispirazione ed aiuta lo sviluppo della nostra personalità e
della nostra educazione sentimentale, come le letture devote facevano per i nostri antenati. Essa permette di accedere
ad un‟esperienza sensibile e ad una conoscenza morale che sarebbe difficile, a volte persino impossibile, da
acquisire nei tratti dei filosofi
23
.
Entrare in un testo letterario significa iniziare un viaggio non solo nel testo ma in sé stessi, un viaggio che può avere
una meta determinata ma può anche non averla, come solitamente capita quando viviamo l‟esperienza del lettore.
Novelli Ulisse, non è necessario che si sappia a quali lidi si approderà
24
.
Procediamo ora con un breve excursus storico sulla funzione della letteratura, che potrebbe
essere, a parer nostro, di grande aiuto:
o per Aristotele questa era una purificazione, una catarsi, un‟epurazione dalle passioni, che
tra l‟altro doveva educare attraverso il piacere; un simile pensiero l‟avrà anche Orazio:
istruire dilettando;
o per gli umanisti, la letteratura permetteva una conoscenza superiore del mondo e
dell‟uomo;
o nel Romanticismo essa divenne un rimedio; la letteratura – affermavano i filosofi – libera
l‟individuo dal suo assoggettarsi alle autorità, contribuendo così alla libertà e alla crescita
responsabilità dell‟individuo;
o Wordsworth sosteneva che “a dispetto di tutte le cose diventate silenziosamente insensate
e di tutte quelle violentemente distrutte, la letteratura aveva ancora il potere di unire,
attraverso la passione e la conoscenza, il vasto potere della società umana, come era
ripartito sulla terra e nei tempi”
25
.
Così la letteratura, a volte sintomo e soluzione del malessere della civilizzazione, “dotava l‟uomo
moderno di un potere in grado di fargli sopportare le restrizioni della vita quotidiana”
26
.
22
Ibid., pp. 59-60.
23
Ibid., p. 62.
24
PALMISCIANO E., La didattica della letteratura come educazione democratica dei sentimenti in MEDICI D. a
cura di, Che cosa fare della letteratura? La trasmissione del sapere letterario nella scuola, CIDI di Roma, Franco
Angeli, Milano, 2001, p. 63.
25
COMPAGNON A., La literature. Pour quoi faire?, Collège de France, Fayard, 2007, p. 46.
26
Ibid., p. 47.
20
Un passo di Rollin tratto da Della maniera di insegnare e di studiare le belle lettere, ci permette
di soffermarci sulla differenza che i buoni studi mettono, non solo tra le persone ma anche tra i
popoli.
Gli ateniesi non occupavano territorio molto ampio nella Grecia: ma fino a quale segno mai non giunse la loro
reputazione? Col portare le scienze alla loro perfezione, portarono la loro propria gloria al suo colmo. La stessa
scuola formò degli uomini rari in ogni genere. Da essa uscirono grandi oratori, famosi capitani, savi legislatori,
intelligenti politici.
Questa sorgente feconda sparse gli stessi vantaggi sopra tutte le belle arti, che sembrano avervi minore attinenza: la
musica, la pittura, la scultura, l‟architettura. Ella le rettificò e le nobilitò, perfezionandole; e come se fossero uscite
dalla stessa radice, e nutrite collo stesso umore, nello stesso tempo tutte le fece fiorire.
Roma divenuta signora del mondo colle sue vittorie, ne divenne l‟ammirazione e il modello colla bellezza delle
opere d‟ingegno, ch‟ella produsse poco meno che in ogni genere; e con questo si acquistò, sopra i popoli che aveva
sottomessi al suo imperio, un‟altra sorta di superiorità infinitamente più allettante di quella che non viene, se non
dall‟armi e dalle conquiste.
L‟opposto è seguito fra i popoli dell‟occidente e del settentrione. Furono per gran tempo considerati come barbari e
rozzi, perch‟erano senza gusto per l‟opere di ingegno. Ma appena vi penetrarono i buoni studi si resero eguali in
ogni sorta di letteratura e di professione a quanto l‟altre nazioni avevano avuto di più sodo, di più illuminato, di più
profondo e di più sublime.
Paolo Emilio, che pose il fine al regno dei macedoni, ben sapeva la maniera, onde si formavano gli uomini grandi.
Plutarco osserva la cura particolare ch‟egli ebbe dell‟educazione dei suoi figliuoli. Non si contentò di fare ad essi
insegnare il proprio linguaggio per via di regole, com‟era allora il costume; fece che parimente studiassero la lingua
greca. Loro assegnò ogni sorta di maestri, di grammatica, di retorica, di dialettica, oltre a quelli che dovevano
istruirli nell‟arte militare. Poiché ebbe vinto Perseo, non si degnò nemmeno di gettare gli occhi sopra le ricchezze
immense, che furono ritrovate nei suoi tesori. Permise solo ai suoi figliuoli, che secondo lo storico amavano molto le
Lettere, di prendere i libri della libreria reale. Il successo corrisponde alla diligenza di una padre sì illuminato e
attento. Ebbe il vantaggio di dare a Roma un secondo Scipione l‟Africano, vincitore di Cartagine e di Numanzia, e
non meno commentabile per lo suo gusto meraviglioso per le belle lettere, e per tutte le scienze, che le sue virtù
militari
27
.
All‟interno del quadro fin qui tratteggiato, possiamo dunque individuare delle valide finalità per
un moderno insegnamento della letteratura ai giovani del terzo millennio:
o recuperare il patrimonio di umanità e di cultura del passato;
o svelare la profondità storica della cultura: la conoscenza storico-diacronica dona infatti il
senso della distanza e la continuità della tradizione, nonché la scansione delle varie fasi
del cammino umano;
o comprendere e gustare la valenza estetica dei capolavori.
o coltivare la capacità critica: la letteratura fornisce infatti lo sviluppo di uno spirito critico
che predispone il giovane a problematizzare e a esprimere giudizi di valore.
27
ROLLIN C., Della maniera di insegnare e di studiare le belle lettere, nuova edizione riveduta sull‟ultima
Edizione di Parigi, accresciuta d‟un supplemento, a spese di Giuseppe Di Bisogno, Napoli, 1796, pp. 105-106.
21
o educare a un‟ecologia della mente e della cultura: la nozione di ecologia presenta diverse
sfaccettature. Essa aiuta in primo luogo a preservare il patrimonio di cultura e di
umanizzazione accumulato nei secoli, evitando che momenti o prodotti decisivi della
storia dell‟uomo vengano sacrificati sull‟altare del mero funzionalismo o, peggio, del
consumismo. In secondo luogo essa introduce un relativismo che vuol dire rispetto,
attenzione, accettazione e valorizzazione dell‟altro in funzione di una più completa
autorealizzazione di sé stessi.
Inoltre
o gli studi letterari costituiscono la via regale verso la comprensione di una cultura nella
sua totalità;
o i capolavori del romanzo contemporaneo – sosteneva Zola – dicono molto di più
sull‟uomo moderno di quanto non facciano le grandi opere di filosofia, storia e critica;
o la letteratura trasmette le forme dell‟immaginario, dalle originarie elaborazioni del mito a
quelle legate alla più libera evasione fantastica;
o nella letteratura il linguaggio si muove tra due opposte dimensioni, quella della
comunicazione, che approfondisce e arricchisce la sua natura sociale, di scambio e quella
dell‟espressione, che invece mira a esternare realtà non immediatamente comunicabili,
sentimenti, desideri, passioni, immagini del mondo non facilmente definibili;
o la letteratura tende a suggerire modelli di comportamento, sia collegandosi a modelli
preesistenti, sia elaborandone di nuovi; tende a riprodurre norme e valori che hanno un
peso e un rilievo sociale, oppure a rompere norme e valori tradizionali, a cercare
l‟innovazione.
William Hallett, professore di ingegneria meccanica all‟Università di Ottawa, in un dibattito con
il primo ministro dell‟Ontario sulle conoscenze che i laureati di questo secolo dovrebbero
possedere, sosteneva a gran voce gli studi umanisti e letterari quali fonte di crescita morale per
l‟individuo:
Quella dell‟ingegnerie - scriveva Hallett – è una professione creativa e innovativa, sempre più interdisciplinare e
propositiva per sua natura, e un buon ingegnere ha bisogno di un‟educazione molto più ampia di quella
semplicemente tecnica. Vorrei che il mio futuro ingegnere ricevesse all‟università, come è ovvio, delle solide basi
nelle scienze e in matematica, ma vorrei anche che ricevesse un‟ampia educazione letteraria e anche una solida
22
conoscenza di base della storia, della geografia e della linguistica per capire il mondo per il quale è chiamato a
elaborare i suoi disegni e a vendere i suoi prodotti
28
.
L‟abbondanza di informazioni rischia sempre di più di sopraffarci, abbiamo bisogno non solo di più informazione,
ma di gente che sappia assimilarla, capirla, darle un senso. Si tratta di capacità che si rivelano utili e necessarie non
solo per la crescita individuale, non solo per i bisogni delle aziende, ma per l‟intera società, che nell‟epoca della
globalizzazione rischia di trovarsi sommersa sotto una marea di informazioni prive di elaborazione critica
29
.
Quello che vorremmo evitare è che la maliziosa satira delle pratiche educative con cui si apre il
romanzo Hard Times di Dickens, divenga una realtà distopica:
Ebbene, quello che voglio, sono Fatti. A questi ragazzi e ragazze insegnate soltanto Fatti. Solo i Fatti servono nella
vita. non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo con i Fatti si plasma la mente di animali dotati di ragione;
nient‟altro potrà mai essere loro di qualche utilità. Attenetevi ai fatti, signore!
30
.
Ciò che nell‟Ottocento poteva essere inteso come una parodia è tristemente diventato una verità
nel nostro secolo ebbro di informazioni. Chiaro, quindi, che gli studenti abbiano bisogno sia di
addestramento che di conoscenza, per misurarsi con il ventunesimo secolo.
Non dobbiamo mai trascurare la crescita intellettuale, che ha tempi lunghi, né preferirle
l‟istruzione tecnica, che ha tempi brevi e una congenita miopia.
“Ideali pratici… già… già” Il vecchio Buddenbrook giocherellava con la tabacchiera d‟oro durante un intervallo
concesso alle mascelle. “Ideali pratici… No, non è roba che fa per me! Adesso spuntano gli istituti professionali e
tecnici e le scuole commerciali, mentre il ginnasio e l‟istruzione classica diventano improvvisamente sciocchezze e
non si pensa ad altro che a miniere… a industrie… e a far quattrini… Bene, bravi! Tutte belle cose. Ma a lungo
andare diventano un po‟ stupide… no?”
31
Riflessioni simili ben si legano in Italia all‟idea romantica e idealistica della letteratura come
attività spirituale privilegiata, in grado di fornire una complessa maturità umana, somma
espressione del delinearsi della coscienza di una nazione.
Fu a tale concezione che si ispirò il primo Ministro dell‟Istruzione dell‟Italia unita De Sanctis,
nel configurare la storia letteraria nazionale come storia al tempo stesso civile, culturale,
spirituale del popolo italiano, cardine e fondamento della formazione etico-sociale dei cittadini
del nuovo stato.
Un tale uso della letteratura funzionò fino a quando la trasmissione della cultura e la
celebrazione dei valori collettivi furono affidati quasi esclusivamente alla parola scritta, e la
28
MEDICI D. a cura di, Che cosa fare della letteratura. La trasmissione del sapere letterario nella scuola, CIDI di
Roma, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 17.
29
Ibid., p. 18.
30
DICKENS C., Hard Times, Oxford University Press, Oxford, 1996, pp. 14-15.
31
MANN T., I Buddenbrook: decadenza di una famiglia, versione italiana a cura di POCAR E., Mondadori, Milano,
1952, p. 17.
23
scuola si rivolgeva principalmente alla formazione delle classi dirigenti; ma in una società e in
una scuola di massa il concetto di insegnamento letterario come strumento privilegiato per la
formazione dell‟uomo e del cittadino non può più reggere. Il carattere sempre più marginale
assunto dall‟attività letteraria espropria la letteratura delle sue prerogative tradizionali:
l‟ambizione di riassumere in sé i caratteri fondamentali di una cultura e di rappresentare il
monopolio della trasmissione di modelli di comportamento.
Allo stesso modo la convinzione delle scuole umanistiche del Rinascimento e di quelle
gesuitiche del Sei-Settecento di proporre i grandi autori come modelli di bello scrivere, un tempo
motivata dall‟intento di educare i giovani dell‟Italia post-risorgimentale ad una lingua unitaria,
estranea alla maggioranza della popolazione e testimoniata solo dal perpetuarsi della tradizione
letteraria, non può in nessun modo rispondere ai bisogni linguistici degli attuali studenti della
scuola italiana.
Fu così che negli ultimi decenni, in seguito all‟azione dei mezzi di comunicazione di massa, la
dimensione letteraria della lingua ridusse drasticamente il suo campo d‟azione, venendo a
configurarsi come uno tra i tanti possibili usi della lingua e perdendo quindi il suo tradizionale
carattere normativo.
Permangono, tuttavia, a parer nostro, buone ragioni per sostenere la necessità di una presenza
massiccia, nei progetti educativi, non tanto di una educazione letteraria (intesa come educazione
al consumo del testo letterario e al suo studio), quanto piuttosto di quella che chiameremo
«educazione all‟imm aginario»
32
, da dosare, graduare e coordinare con altri insegnamenti quali
per esempio la storia o l‟espressione artistica.
Tale educazione all‟immaginario, se correttamente inserita in un più ampio programma di studio
delle culture, risulta avere nella nostra società una funzione molto importante nell‟acquisizione
conoscitiva, nell‟approfondimento critico e nella flessibilità metodologica, tutte qualità
indispensabili per chi opera in società complesse come la nostra.
Alcune religioni a noi lontane, alcuni costumi o stili stranieri, possono richiedere un grande sforzo di comprensione;
ma anche qui, come sempre, è il primo passo quello che conta. Pur sapendo di non poter mai dare una risposta
completa, l‟umanista valuterà con piacere la possibilità di superare i propri limiti e di ampliare il campo della sua
immaginazione simpatetica. Se avrà fortuna, riuscirà persino a far uscire i suoi studenti dal loro piccolo io e dal loro
piccolo mondo e a convincerli che è possibile allargare i loro orizzonti. Cosa può esserci di più importante di una
simile lezione?
33
32
ARMELLINI G., Come e perché insegnare la letteratura. Strategie e tattiche per la scuola secondaria,
Zanichelli, Bologna, 1987, p. 17.
33
GOMBRICH E. H., Tributi: Interpreti della nostra tradizione culturale, in ARMELLINI G., Come e perché
insegnare la letteratura. Strategie e tattiche per la scuola secondaria, Zanichelli, Bologna, 1987, p. 35.
24
Si sa che i prodotti dell‟immaginario, e soprattutto i prodotti dell‟immaginario letterario, sono
caratterizzati da interne tensioni e contraddizioni; si sa anche che essi hanno spesso il doppio
effetto di scuotere e turbare il lettore, ma anche di esaltarne il gusto vitale e raddolcirne e
rappacificarne lacerazioni e amarezze. Per questo si ritiene fondamentale portare l‟attenzione
sull‟efficacia, la seduttività e la pericolosità di molti testi dell‟immaginario. L‟esperienza, ad
esempio, del fantastico o dell‟orrido e la loro riproduzione artificiale, protetta nel mondo della
finzione, rappresentano un meccanismo straordinario, pregno di forti potenzialità conoscitive e
formative, estremamente importanti per i nostri studenti.
Detto ciò, la lingua italiana possiede determinate caratteristiche, per le quali, un qualsiasi
apprendimento linguistico di italiano come lingua seconda, sarebbe da giudicarsi incompleto
senza un‟accurata analisi di almeno alcuni tra i più importanti testi letterari della nostra
tradizione. A tal proposito, risulta interessante, riflettere brevemente su alcune di queste
peculiarità:
o il filo che mantenne in vita la nostra lingua al di fuori della Toscana, il filo che del
fiorentino scritto antico ha fatto la lingua nazionale dell‟Italia preunitaria e unita, fu un
filo letterario e poetico;
o la pronuncia standard dell‟italiano è quella di un italiano letto, e non già udito da vive
voci e letto in testi prevalentemente letterari, o meglio poetici;
o tra i testi della grande letteratura una rilevanza particolare ha avuto la Divina Commedia;
si è mostrato che il lessico della Commedia sopravvive all‟80% nell‟italiano
contemporaneo e che, fatto ancor più rilevante, oltre l‟80% del nostro vocabolario di più
alta frequenza e disponibilità, il vocabolario di base dell‟italiano contemporaneo, è fatto
di parole che appaiono dapprima o sono consacrate nel testo dantesco.
Ci si rende presto conto, quindi, che più che per ogni altra lingua dell‟Europa d‟oggi, una buona
educazione alla conoscenza dei testi letterari pare indispensabile per muoversi entro la norma e
le tradizioni d‟uso della lingua italiana.
Leggerli e rileggerli viva voce, Dante e Montale, Leopardi e Sanguineti, o chi preferite, è il culmine di una efficace
pratica linguistico-educativa che dia a tutti e tutte tutti gli usi della lingua
34
.
Arriviamo così, sperando di aver fatto un po‟ di luce sul tema in questione, al terzo quesito che ci
eravamo proposti di chiarificare: Quali furono le metodologie didattiche utilizzate per la
34
DE MAURO T., Perché Shakespeare non ha scritto un About popular language, magari in antico sassone? in
LAVINIO C., Educazione linguistica e educazione letteraria. Intersezioni e interazioni, Franco Angeli, Milano,
2005, p. 23-24.