5
giornale di esuli tedeschi. Pubblica anche Jacques Offenbach e la Parigi del suo
tempo, biografia a carattere sociale del compositore di operette ebreo, di origine
tedesca, che ottiene enorme fama durante il Secondo Impero di Luigi Bonaparte.
Gli stessi problemi si ripresentano nel momento della fuga in America.
Nonostante i preventivi contatti con il direttore del Museum of Modern Art di
New York, Kracauer si trova ancora a fare i conti con le ristrettezze economiche,
così che la coppia è costretta a vivere in affitto e limitando al minimo sia le
relazioni sociali sia gli svaghi. L’amarezza per il precipitare degli eventi storici, lo
inducono a prendere un definitivo distacco dal paese di origine, che si concretizza
nella scelta di non frequentare altri intellettuali migrati dalla Germania e di
scrivere in inglese.
Tuttavia il periodo newyorkese è anche quello del ritorno a una certa
notorietà grazie agli studi sul cinema – From Caligari to Hitler (1947) e Theory of
Film (1960) – e alle recensioni che gli guadagnano una posizione di rispetto nel
settore. È questo clima di serenità che lo accompagna negli ultimi anni
nell’impresa di dedicarsi al tema della filosofia della storia, certo lontano dagli
interessi precedenti.
È interessante la posizione di chi ha voluto rileggere tutta la vita di
Kracauer all’insegna del concetto di extraterritorialità
1
. Emarginazione,
alienazione, isolamento sono ossessioni comuni tra gli intellettuali dell’epoca
moderna, tuttavia non molti hanno concentrato la loro attenzione su questo aspetto
come ha fatto Kracauer, attribuendo a tale tendenza una connotazione positiva.
Sicuramente un simile atteggiamento è stata frutto di una lunga elaborazione,
effettuata durante tutto il corso della sua vita e incentivata dalle esperienze che lo
hanno segnato.
Molteplici elementi hanno contribuito a aumentare questo senso di
sradicamento che ha caratterizzato il suo stile di vita, a partire dal senso di
1
In particolare ha sviluppato questo concetto Martin Jay, che ha dedicato una lunga parte
all’analisi della vita extraterritoriale di Kracauer in Permanent Exiles: essays on then intellectual
migration from Germany to America, New York, Columbia University Press, 1986.
6
inferiorità di cui soffriva al tempo della scuola, a causa da un lieve difetto di
pronuncia, che tra le altre cose gli precluse la carriera universitaria; oltre che da un
aspetto fisico non esattamente gradevole. Più tardi si verifica il trauma per la
morte del padre; in seguito a questo, si trasferisce con la madre dallo zio Isidor,
storico degli ebrei francofortesi. Pur crescendo in un clima apparentemente
religioso, come molte famiglie ebree dell’epoca, è più sensibile all’ambiente di
assimilazione che all’identificazione etnica. Questo è causa, in parte, della sua
incapacità, protratta anche in futuro, di credere in un Dio, nonostante il tentativo
di superare il relativismo moderno attraverso una fede religiosa.
Il suo essere un «senza tetto» dello spirito è un tema ricorrente degli scritti
degli anni 30. Infatti, egli è incapace di affidarsi a speranze utopiche come Buber,
così come a progetti politici che superino il momento di crisi sociale, nel caso
della proposta marxista. Guarda alla realtà senza grandi illusioni e cosciente del
fatto che la modernità non offre molte certezze a cui appigliarsi. Per questo, pur
gravitando vicino alla sinistra intellettuale, dopo la prima guerra mondiale, evita
accuratamente di aderire a un partito piuttosto che a un altro, a causa della sua
scarsa fiducia in qualunque progetto ideologico. Inoltre decide di continuare a
lavorare per la «Frankfurter Zeitung», giornale tradizionalmente ti tendenze
liberali, convinto che questo sia il modo più efficace per dare impatto alle idee del
marxismo.
Simbolo dell’extraterritorialità che questo «intellettuale nomade»
2
vuole
incarnare è la ginestra, ossia Ginster, lo pseudonimo del protagonista
dell’omonimo romanzo semi-autobiografico. Essa è una pianta che cresce
prevalentemente sui terreni aridi e ha un aspetto fragile, tanto da sembrare
destinata a essere vittima passiva di qualunque sopruso. Al contrario, è una pianta
resistente e capace di lottare per sopravvivere. Come la ginestra, Kracauer rimane
ai margini della vita intellettuale della Germania di Weimar, rifiutando sempre di
entrare in qualche circolo, per non essere identificato con qualcosa che non
2
La definizione è di E. Traverso, che dedica un saggio a Kracauer intitolato proprio Siegfried
Kracauer: itinéraire d’un intellectuel nomade, Paris, La Découverte, 1994.
7
condivide interamente.
Anche nel periodo dell’esilio si trovano tracce del suo smarrimento e del
disorientamento dell’essere senza patria. È un’esperienza, infatti, per lui
fortemente traumatica, che lo deprime e lo getta in una situazione di insicurezza
non solo economica. Nell’arco di pochissimo tempo, infatti, passa da una
condizione di potere e prestigio, a lavorare come free-lance in un contesto ostile.
Scrive spesso, agli amici Adorno e Pollock, di essere esausto e di vedere nella
nuova fuga verso l’America l’ultima chance per la propria esistenza. È tormento
dall’ansia di non avere alcuna prospettiva per il futuro e di non sapere come
ricominciare una nuova vita, in un paese di cui non conosce lingua e usanze.
Nel suo ultimo lavoro, History (iniziato nel 1961 e pubblicato postumo),
torna infatti a sottolineare la posizione dell’emigrato e in questa descrizione
emerge tutta la sofferenza dello sradicamente: «penso all’esule che da adulto è
stato costretto ad andarsene dal proprio paese o se ne è andato di propria
spontanea volontà. Nel momento in cui egli si stabilisce altrove, tutto ciò a cui era
fedele, le aspettative e aspirazioni che racchiudono una così grande parte del suo
essere sono automaticamente recise alla radice; la storia della sua vita è
scompigliata, il suo io “naturale” relegato sullo sfondo della sua mente […]. Di
fatto egli ha smesso di “appartenere”. Dove vive allora? Nel vuoto pressoché
totale dell’extraterritorialità […]. Il vero modo d’esistenza dell’esule è quello
dello straniero»
3
.
È interessante notare, comunque, che dopo la seconda guerra mondiale,
quando Adorno, Bloch e la maggior parte degli emigrati in America sono tornati
in Germania, Kracauer non li segue. Rimanere in America, sua patria adottiva, gli
sembra una scelta di vita preferibile, anche se “extraterritoriale”, a quella di
ripartire ancora una volta dal nulla in Germania. C’è, però, anche un’altra ragione
che sta alla base di questa scelta: egli ritiene che l’Europa abbia perso la capacità
di assimilare il nuovo. Il vecchio continente vive in una specie di atmosfera
3
S. Kracauer, History. The Last Things Before the Last, New York, Oxford University Press,
1969, trad. it. Prima delle cose ultime, Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 67-68.
8
soffocante, fatta di prosperità, mancanza di civilizzazione, artificiosa profondità,
ma in fondo sembra sospesa nel vuoto. Certo è che negli Stati Uniti, Kracauer ha
trovato una certa felicità, poiché «la strategia kracaueriana dell’adattamento ebbe
sempre un momento di astuzia, di volontà di liquidare l’elemento nemico e
prepotente, possibilmente sopraffacendolo nella propria coscienza»
4
Questo non significa che a ciò sia corrisposto un atteggiamento di
conformismo o, all’opposto, che sia mai stato suo intento condurre un’esistenza
all’insegna dell’eccentricità come un artista “maledetto”. Al contrario Kracauer è
stato coerente, fino alla fine, saldo nel suo scetticismo verso ogni sistema di
credenze, le false riconciliazioni e le facili soluzioni all’alienazione umana. Tra
coloro che lo hanno ricordato al suo funerale, c’è chi lo ha paragonato per questo
a un don Chisciotte che lotta a cavallo contro i mulini a vento, per il suo andare
costantemente contro corrente e per la sua capacità di vedere oltre l’immediato.
Sono queste caratteristiche che gli hanno permesso spesso di precorrere i tempi
con, come nel caso di Die Angestellten e di History.
Un’altra immagine ricorrente per descrivere Kracauer e che egli stesso usa
spesso come emblema dell’uomo a disagio e incapace di adattarsi alla modernità,
è quella di Charlot. Questo personaggio, infatti, non può sfuggire al mondo in cui
è nato, pur non riuscendone a comprendere molti aspetti e facendo così fatica a
adattarsi ai profondi cambiamenti che lo attraversano. Per ovviare a tutto questo,
si pone come acuto osservatore di questa realtà così articolata per scoprirne le
novità, metterne in evidenza le potenzialità, ma anche sviscerarne le
contraddizioni.
La sua extraterritorialità può dunque essere connotata da un duplice punto
di vista, quello geografico e quello intellettuale. Geografico, perché la sua
esistenza si è snodata tra Germania, Francia e Stati Uniti, in particolare Parigi e
New York. Intellettuale, perché il suo percorso procede in modo esitante e
4
T. W. Adorno, Der wunderliche Realist, in Noten zur Literatur III, Frankfurt a. M., Suhrkamp,
1985, trad. it. Uno strano realista, in Note per la letteratura (1961-1968), Torino, Einaudi, 1979,
p. 83.
9
circospetto, radicato nella provvisorietà e senza essere disposto a inserire le
proprie riflessioni dentro la gabbia di un sistema di pensiero preconfezionato.
Tuttavia la sua figura risulta impregnata di una perenne tristezza, forse dovuta al
fatto che l’esperienza dell’esilio diventa per lui non solo uno stile di vita, ma
anche uno stile di pensiero.
Il percorso di Kracauer si può definire quindi esemplare e unico: il suo è il
destino di tutta la generazione di intellettuali ebrei tedeschi, ma si differenzia da
loro perché non riconducibile a una scuola di pensiero. Anche se incarna
perfettamente lo spirito della cultura di Weimar, gli eventi dell’inizio del secolo
segnano profondamente la sua evoluzione intellettuale, dandogli la forma di un
intelletto errante, eclettico.
La modernità diventa il fuoco della sua analisi, tema che Kracauer
sviluppa per tutta la sua esistenza, mettendone in luce aspetti diversi. A partire da
questo e percorrendo tutta la produzione, quindi, sembra emergano tre domande a
cui egli cerca di rispondere nel corso della sua vita. Per prima cosa, quali relazioni
regolano la società moderna; in secondo luogo, come essa si rappresenta
attraverso il cinema, le riviste, l’industria culturale che le masse hanno fatto
proprie per rispondere ai loro bisogni. Infine, a che cosa aspira l’uomo moderno e
come diventa capace di rileggere il proprio passato alla luce di tali aspirazioni.
È per rispondere a queste ampie questioni che il presente lavoro è stato
suddiviso in tre capitoli.
Nel primo, che corrisponde per lo più alla produzione iniziale di
Kracauer, si è dato centralità alla rappresentazione della moderna società dell’era
industriale. Infatti, l’interesse di Kracauer è rivolto soprattutto a comprendere
quali sono le caratteristiche della massa a partire dai grandi agglomerati urbani,
dalle metropoli, dove milioni di persone si riversano alla ricerca di un lavoro nelle
aziende in pieno sviluppo. Gli articoli pubblicati sulla «Frankfurter Zeitung» sono
per lo più dedicati a descrivere scorci di strade, locali, luoghi dell’aggregazione
umana insieme ai suoi abitanti.
Accanto a questo sguardo curioso, da giornalista, però, c’è anche il
10
tentativo di comprendere in profondità le dinamiche che regolano la realtà,
indagando lo spirito dell’epoca attraverso le sue manifestazioni. A questo servono
lo studio sulla sociologia e sul romanzo poliziesco, che cercano di descrivere la
struttura dell’epoca, segnata dalla caduta della dimensione religiosa e dalla perdita
di una griglia di valori che permettano alla società di interpretare se stessa.
Nel secondo capitolo, l’attenzione è rivolta in particolare al modo in cui la
società parla di sé. Il grande sviluppo e la grande diffusione di cinema, radio,
riviste illustrate, letteratura d’appendice ha trasformato la massa nella protagonista
e principale destinataria della produzione culturale. Secondo Kracauer questo è
dovuto soprattutto al fatto che essa, emancipandosi come soggetto sociale, ha
voluto per sé una industria del divertimento propria, diversa da quella borghese.
Nel cinema, nelle foto delle riviste patinate, ritrova non solo se stessa, la propria
vita, ma anche i propri sogni e aspirazioni. In questo modo emerge non solo un
ritratto della società moderna, ma anche come essa si rappresenta attraverso
l’obiettivo che riesce a far emergere i sogni diurni del popolo metropolitano.
Una parte fondamentale di questa analisi è il ruolo del potere. Kracauer,
soprattutto in seguito alla fuga dal nazismo, si interroga profondamente sulla
relazione tra cinema e propaganda politica, con una particolare attenzione alla
situazione della Germania di Hitler. Nei film, infatti, emergono le inclinazioni
ancora implicite della società come il desiderio di una guida autoritaria, le tensioni
fra le classi sociali, le incertezze economiche che destabilizzano la democrazia, il
vuoto ideologico della massa. Per Kracauer questi sono tutti segnali della
predisposizione psicologica del popolo tedesco ad accettare un personaggio come
Hitler, che sembra corrispondere ai protagonisti dei film degli anni 20. Tant’è che
nelle produzioni degli anni 30 alcuni di questi aspetti vengono esasperati,
portando in primo piano il ruolo coreografico della massa, funzionale ai discorsi
deliranti del Fuhrer.
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato al tema dell’utopia e della storia.
L’uomo non può essere ridotto semplicemente al qui e ora, anche se questa è la
dimensione in cui è chiamato a vivere e realizzarsi. È innegabile, infatti, che egli
11
guardi oltre alla realtà concreta e aspiri a una completezza che non è possibile
nell’epoca moderna. A causa della crisi del sacro e dell’impopolarità che vive la
dimensione religiosa, l’uomo si trova nella difficoltà di trovare un appiglio grazie
al quale ridare un senso più alto alla propria esistenza. Egli vive in una continua
tensione verso l’Assoluto, che in alcuni periodi per Kracauer si realizza nella
speranza di una società comunista, in altri nell’idea di una comunità retta
dall’amore reciproco e dalla legge divina. Non si affievolisce però mai la tensione
verso qualcosa che vada oltre, anche quando la sfera della verità sembra più
lontana.
La storia allora diventa la disciplina grazie alla quale l’uomo non solo
rilegge il passato in funzione dell’epoca contemporanea, ma riesce a scoprire
quella prospettiva ultima che diversamente gli è negata. Attraverso lo studio delle
epoche precedenti emergono frammenti, intuizioni che lasciano intendere quelle
verità universali e eterne che la filosofia persegue, ma difficilmente raggiunge.
Ciò a cui l’uomo contemporaneo può pervenire, infatti, è solo il «penultimo», ciò
che non è mai definitivo perché non assume mai il carattere assoluto proprio degli
assiomi della filosofia. Tuttavia è proprio da questo parziale e instabile punto di
vista che è possibile comprendere il vero spirito di un’epoca e dei suoi uomini.
Proprio da questo angolo di extraterritorialità si può arrivare così vicino alla
verità, che sfugge in ogni altro modo.
12
Capitolo I
SOCIETÀ
Il ‘900 si apre con una serie di grandi novità. Le città diventano metropoli,
le carrozze automobili e le piccole aziende fabbriche in cui fa il suo ingresso la
catena di montaggio. È inevitabile che questa serie di cambiamenti sconvolga non
solo lo stile di vita delle persone, ma il loro modo di pensare e concepire il proprio
destino. Non è quindi un caso che in questo periodo nasca la sociologia, disciplina
preposta allo studio del singolo in iterazione con i gruppi e gli ambienti sociali.
Né che molti filosofi vengano affascinati da questo nuovo sapere e da fenomeni di
massa come radio e cinema, dalla vita anonima e frenetica delle metropoli, dalle
nuove tendenze della moda. Tra di essi vi è Siegfried Kracauer, a cui la iniziale
formazione da architetto regalò non solo un irriducibile sospetto verso i grandi
sistemi filosofici, ma anche un occhio attento agli aspetti meno ovvi della realtà.
Nato nel 1889 a Frankfurt am Main da una famiglia di commercianti ebrei,
riceve una prima formazione al Realgymnasium della città, in cui insegnava lo zio.
Al termine delle scuole superiori viene indirizzato agli studi tecnici da parte dei
genitori, che «insistevano sul fatto che doveva guadagnarsi il pane. Ogni uomo ha
un mestiere, e il primo denaro guadagnato col proprio lavoro rende felici»
5
. Così
Kracauer sceglie di frequentare la facoltà di architettura a Monaco dove si laurea
nel 1911. Quattro anni dopo consegue il dottorato in ingegneria a Berlino.
Kracauer lavora per quasi dieci anni come architetto e questa attività ha
lasciato evidenti segni nel suo modo di osservare il mondo. Il suo è l’atteggiamento
di chi guarda le cose da lontano per individuarne la struttura essenziale e mettere a
nudo i nessi nascosti. È l’arte del comporre, per rendere evidenti i rapporti tra ciò
che sembra separato, e dello scomporre, per evidenziare la complessità dei
5
S. Kracauer, Ginster. Von ihm selbst geschrieben, in Schriften, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1973,
vol. VII, trad. it. Ginster Casale Monferrato, Marietti, 1984, p. 15.
13
fenomeni che ci circondano, in una sorta di «dissociazione produttiva»
6
. La
tendenza della realtà a frantumarsi e a presentarsi senza la tradizionale unità,
sarebbe infatti non solo un nuovo modo di manifestarsi, ma una nuova forma della
realtà medesima. Il «fatto», quindi, che «di per sé implica una rottura, una
distruzione dell’apparenza levigata […] richiede uno sguardo non più
rappresentativo e frontale, bensì obliquo, che si dirige verso il retro della
facciata»
7
: la dissociazione produttiva è dunque evidenza empirica dello stato di
crisi della realtà, e costruzione, ossia sua interpretazione critica. È questo
l’atteggiamento che Kracauer apprende dal suo primo maestro, Georg Simmel, di
cui aveva seguito i corsi all’università di Berlino e con cui aveva da allora iniziato
una lunga frequentazione personale e epistolare durata fino alla sua morte, nel
1918
8
.
Da Simmel, Kracauer impara anche una certa diffidenza verso i grandi
sistemi filosofici, preferendo muovere dai particolari dell’esperienza che si
esprimono in coordinate temporali e spaziali, osservate con occhi nuovi. Spazio e
tempo non sono solamente il piano di riferimento entro cui le cose accadono e la
società si riproduce, ma diventano entità vive e espressive, sono la società stessa. È
società la strada fremente di vita, le feste in cui gli impiegati dimenticano la loro
esistenza, i salotti stucchevoli pieni di intellettuali rampanti, gli uffici di
collocamento dove i disoccupati attendono invano che il capitalismo abbia bisogno
6
L. Boella, Pensare con la matita in mano. Lo strano realismo di Kracauer, in G. Cunico (a cura
di) Kracauer: il riscatto del materiale, Genova, Marietti, 1992, pp. 31-40.
7
Ivi, p. 35.
8
Nonostante il debito nei confronti di Simmel, l’anno seguente Kracauer dedica al maestro una
monografia dal titolo Georg Simmel. Ein Beitrag zur Deutung des Geistigen Lebens unserer Zeit,
«Logos», IX, 3, 1920, trad. it. Georg Simmel, in La massa come Ornamento, Napoli, Prismi, 1982,
pp. 37-67. E’ un omaggio al maestro, ma anche una chiara presa di distanze da alcune sue scelte
come quella di rimanere sempre al di fuori del flusso storico, osservando la realtà dall’esterno.
Simmel è, infatti, un uomo dell’analogia, «non fornisce mai un’interpretazione del mondo […] si
accontenta di conoscere le leggi che regolano il corso degli eventi». Anche se non esplicitamente,
Kracauer riserva a sé la definizione di uomo della similitudine che «permette che il mondo agisca
su di lui; il mondo significa qualcosa per lui e questo significato vuole rappresentare». Che
Kracauer avesse scelto un atteggiamento di sofferenza verso il mondo è d’altra parte confermato
da Adorno che definisce il suo primo maestro come un uomo “privo di pelle” (cfr. T. W. Adorno,
Der wunderliche Realist, in Noten zur Literatur III, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1985, trad. it. Uno
strano realista, in Note per la letteratura (1961-1968), Torino, Einaudi, 1979, p. 70).
14
di loro. È attraverso i luoghi in cui gli uomini si incontrano, discutono, vivono che
Kracauer legge la condizione della modernità e i mali che la colpiscono.
1.1 Gli impiegati
Anche se molti dei suoi articoli degli anni ’20 costituiscono brevi istantanee
che immortalano alcuni particolari della società contemporanea, Kracauer pubblica
un solo libro in cui si dedica in modo specifico all’analisi di un aspetto della
modernità, Gli Impiegati. Ultime notizie dalla nuova Germania.
Pubblicato in un primo tempo nel supplemento letterario della «Frankfurter
Zeitung» e subito dopo in volume, agli inizi del 1930, Gli impiegati vuole essere
uno sguardo sulla difficile situazione che si va delineando nell’industria e nel
commercio. Un’analisi più che una ricerca sociologica o un reportage, genere
molto in voga al tempo, ma verso cui Kracauer è molto critico. Scopo del
reportage, infatti, è la riproduzione ingenua di ciò che si osserva come
«autosegnalazione dell’esistenza concreta». La realtà sociale, invece, è vasta e
elusiva, per questo il metodo è quello di ascoltare le storie di industriali, impiegati,
sindacalisti della grande industria, costruendo un mosaico che ritragga la vita nella
sua complessità. Il risultato è un libro composto da capitoli non numerati che si
sviluppano in modo autonomo. Entra in campo l’occhio dell’architetto che vuole
girare attorno alle cose, per vederle in prospettiva, senza che categorie
preconfezionate le appiattiscono. Che non vuole interpretare i fatti, ma osservare,
lasciando che si smascherino la povertà, la miseria di una condizione, che
l’ideologia borghese tende a colorare di rosa.
A Kracauer non è sfuggito come in quegli anni il numero degli impiegati,
occupati soprattutto nell’industria e nel commercio, sia quintuplicato,
.
a fronte di un
numero di operai nemmeno duplicato. La razionalizzazione della produzione ha
portato la Germania a un insperato incremento delle grandi organizzazioni,
permettendo anche l’impiego di molte donne. La rivoluzione tecnica nell’industria
15
ha semplificato e serializzato le mansioni di operai e impiegati, introducendo negli
uffici le macchine e il metodo del «nastro trasportatore»: si è così passati dal
lavoro qualificato e di qualità, alla quantità. Scrive Kracauer: «quelli che prima
erano i “sottufficiali del capitale” si sono trasformati in un cospicuo esercito che tra
le sue file conta un numero sempre maggiore di soldati semplici e
interscambiabili»
9
.
Il materiale di analisi per lo studio è raccolto a Berlino, città in cui il
processo economico ha raggiunto il suo massimo sviluppo, determinando la
formazione di grandi masse impiegatizie: in questa città il fenomeno si presenta
nella sua forma più esasperata e «la realtà può essere compresa solo a partire dai
suoi estremi»
10
. Berlino aveva rappresentato una scoperta per Kracauer, già ai
tempi dei suoi studi in architettura: vi aveva conosciuto la vitalità della metropoli
con i bar, i teatri e i musei; era rimasto sconvolto dall’incontro con la «massa». Ci
ritorna negli anni ’20 poiché «solo a Berlino, dove i legami con la tradizione e le
origini sono stati talmente ripudiati che il week end può diventare una moda, solo a
Berlino si può cogliere la realtà degli impiegati»
11
.
Il volto di questo esercito di uomini non è unitario. Per la maggior parte è
composto da donne, in cerca di indipendenza economica rispetto al passato e
pagate mediamente meno dei colleghi maschi. Come gli uomini, hanno spesso una
formazione medio-bassa, resa evidente dalle carenze grammaticali della lingua
scritta. Tuttavia la tendenza delle aziende è quella di richiedere titoli di studio
sempre più elevati e ciò conduce a una selezione interna del personale, proveniente
per di più da famiglia borghese: è, infatti, raro che i figli dei proletari possano
concludere la scuola primaria. Una stessa categoria nasconde la diversa origine dei
suoi membri, che provengono dalla classe operaia, dalla borghesia in declino e
persino da ceti più elevati, da quella «bohème impiegatizia», che vuole provare per
qualche anno la vita lavorativa, alla ricerca della «libertà».
9
S. Kracauer, Die Angestellten, in Schriften, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, vol. I, trad. it. Gli
impiegati. Ultime notizie dalla nuova Germania. Torino, Einaudi, 1980, p. 9.
10
Ivi, p. 3.
11
Ivi, p. 12.
16
Categoria a parte è costituita da quegli impiegati che si avvicinano ai
quarant’anni, cioè all’età della morte economica. Il rapido processo di
razionalizzazione, infatti, richiede forze sempre giovani per rinnovare l’apparato
amministrativo, al punto che si «tende a passare sul cadavere dei lavoratori di età
più avanzata perché a questi spetta la retribuzione massima. Inoltre essi sono per lo
più sposati […] e hanno diritto agli assegni famigliari»
12
. Proprio tale
preoccupazione porta la massa all’esaltazione della giovinezza e alla ricerca della
forma perfetta attraverso la pratica sportiva. In questo modo, la cultura
impiegatizia non si limita all’ufficio, ma entra nella sfera del privato e ne
condiziona il tempo libero e le abitudini: tutto ciò ha contribuito alla creazione di
commesse e impiegati in formato standard, riprodotti dalle riviste illustrate e dai
film.
In particolare, sono le donne a pagare di più per la loro situazione.
Nonostante il lavoro, non riescono infatti a rendersi indipendenti dalle famiglie, ma
vivono ancora coi genitori, nella speranza di un matrimonio che permetta di non
lavorare più. Sanno che senza parenti avrebbero bisogno di un amico che le
sostenga, tuttavia sono abbastanza ingenue, da non essere pienamente coscienti
della loro vera condizione. In loro saggezza tradizionale, concetti morali ereditati e
residui di immagini religiose si scontrano con il desiderio di emanciparsi da un
sistema che cerca di determinare la loro vita, ma vengono sopraffatte. La loro
stessa educazione è ora funzionale al capitalismo: illuminante è l’episodio delle
giovani impiegate che vengono addestrate a dattilografare a tempo di musica. Le
ragazze, provenienti dalla classe borghese, ritrovano nella tastiera della macchina
da scrivere le lezioni al pianoforte che la famiglia imponeva da bambine, nel
tentativo di dare loro un’educazione all’altezza della posizione sociale.
Il mondo borghese maschera attraverso la parvenza del lavoro intellettuale
il processo di proletarizzazione che colpisce gli impiegati. Esso opera sin dalla
12
Ivi, p. 42.
17
selezione del personale. Si ricerca, infatti, «l’uomo giusto al posto giusto»
13
:
attraverso i test attitudinali vengono valutate le personalità e le capacità di una
«visione totale». Poco importa che si venga poi assegnati a compiti monotoni e
ripetitivi, non all’altezza della formazione richiesta. Paradigmatico è l’esempio
delle impiegate occupate a perforare schede prestampate per sei ore al giorno.
Costituisce un vantaggio l’essere di aspetto gradevole o addirittura avere
una «carnagione moralmente rosa»: «Così desiderano coloro che hanno il compito
della selezione. Vorrebbero ricoprire la vita con una vernice che nasconda la sua
realtà tutt’altro che rosa»
14
. Il processo di mascheramento coinvolge ogni aspetto
della realtà: anche la semplificazione e la ripetitività delle mansioni è giustificata
dal fatto che grazie alla monotonia i pensieri vengono lasciati liberi per altri
oggetti, quali gli ideali di classe e la famiglia, senza che la produttività ne venga
intaccata.
Secondo l’ideologia del datore di lavoro, questo soldato semplice
dell’esercito industriale dovrebbe essere capace di trarre piacere dal lavoro,
semplicemente facendo ricorso alle risorse della propria interiorità. In questo modo
la soddisfazione di un salario adeguato o di una mansione davvero gratificante
passano in secondo piano. Per realizzare questo l’imprenditore dispone politiche
del personale capaci di far sorgere nei dipendenti il sentimento di «una comunità
che sia legata all’azienda e faccia tutt’uno con essa»
15
. I sottoposti, che in tali
occasioni ricevono persino il titolo di «figlioli», vengono coinvolti emotivamente
negli affari della ditta. Tuttavia, nello svolgimento delle loro mansioni, sono
controllati, al punto da rendere sospetta la fiducia che dovrebbe fondare tale
comunità. Anche il tentativo di accentuare l’isolamento degli impiegati cercando di
applicare la contrattazione individuale contro i contatti collettivi di lavoro rafforza
l’idea che essa sia solo un’invenzione.
Lo strumento di cui questo neopaternalismo imprenditoriale più di tutti si
13
Ivi, p. 16.
14
Ivi, p. 21.
15
Ivi, p. 70.
18
avvale è lo sport. Le grandi aziende, infatti, destinano fondi notevoli alle società
sportive di ogni ramo. I dipendenti hanno a disposizione palestre e campi sportivi
all’interno dell’azienda e, prendendo parte alle attività, possono raggiungere con il
successo sportivo il prestigio che non riuscirebbero a ottenere dietro una scrivania.
Anche il fatto che nelle competizioni «le truppe portino il nome delle loro
aziende»
16
non è un male, perché aumenta il senso di appartenenza dei dipendenti
alla ditta. D’altra parte, una buona capacità sportiva può facilitare l’assunzione in
alcune aziende e assicurare un trattamento più benevolo anche nel programma di
licenziamento. Poco importa che il fio da pagare sia la propria indipendenza: «le
associazioni sportive assomigliano a pattuglie avanzate che hanno il compito di
assoggettare una zona non ancora occupata: le anime degli impiegati»
17
. E il loro
primo risultato è di allontanare i giovani dalla tentazione di iscriversi ai sindacati.
L’aspetto peggiore della falsa coscienza che acceca gli impiegati, però, è
costituito dalla convinzione che la propria condizione sia quella del ceto borghese.
Il problema è, infatti, che mentre la loro posizione economica e sociale è cambiata,
la concezione della vita non ha subito modifiche. In questo senso Kracauer dice
che gli impiegati sono dei «senza tetto»: non si riconoscono più nell’ideologia
marxista e nella coscienza di classe che rende coesi e solidali gli operai, e
nemmeno nei sentimenti e nello stile della borghesia. Tale condizione lascia un
grande vuoto nell’animo dell’impiegato, nonché un senso di impotenza verso la
realtà non decifrabile in cui vive. È per sfuggire a questa situazione che si cerca un
po’ di sollievo nell’inseguimento spasmodico della distrazione. In questa luce si
può interpretare la consistente quantità di denaro che gli impiegati riservano per le
spese «culturali»: sigarette, alberghi, riviste illustrate, intrattenimenti intellettuali e
sociali sono alcuni dei modi che la società promuove per distrarre l’impiegato
«senza tetto». Partecipando a feste e frequentando bar e ristoranti, infatti, può
dimenticare lo squallore dell’alloggio in affitto in periferia, la condizione di
16
Ivi, p. 73.
17
Ivi, p. 76.