Al fine di comprendere quale possa essere il ruolo svolto da questi due sistemi di contabilità dei
costi nella determinazione della redditività dei canali di distribuzione, è necessario che il soggetto
che si accinga ad esaminare la redditività dei canali, utilizzando i metodi di analisi basati
sull'utilizzo dei costi standard e dell'Activity Based Costing, sia in possesso perlomeno di una
conoscenza teorica di base in merito alle caratteristiche di questi due metodi di contabilità analitica.
Allo scopo di fornire al lettore questa conoscenza di base, nel corso del secondo e del terzo
capitolo, si procede ad esaminare brevemente le caratteristiche ed i principi guida dei sistemi di
contabilità basati sui costi standard e sull'Activity Based Costing, e le possibilità di applicazione di
questi sistemi contabili al problema della determinazione della redditività dei canali; per cercare di
illustrare nel modo più semplice possibile tali modalità di applicazione, si è provveduto ad
elaborare, nella seconda parte del secondo e del terzo capitolo, una simulazione aziendale relativa
ad un'azienda produttrice di acqua minerale, denominata “Delta S.p.A.”, nel corso della quale si
cerca di applicare i metodi di analisi della redditività dei canali.
La simulazione aziendale prosegue per tutta la durata del quarto capitolo, nel quale è possibile
osservare, mediante l'utilizzo di dati numerici elaborati appositamente per questo caso, in modo
estremamente dettagliato le differenze esistenti tra i metodi di analisi della redditività dei canali,
basati sull'utilizzo dei costi standard e dell'Activity Based Costing. Le considerazioni relative alla
discussione dei punti di forza e di debolezza dei due metodi di analisi, sono contenute nel capitolo
dedicato alle considerazioni conclusive, nel corso del quale vengono fornite delle indicazioni in
merito alle situazioni aziendali per le quali risulti ottimale l'utilizzo di uno dei due metodi di analisi
della redditività dei canali.
Capitolo Primo
IL PROBLEMA DELLA SCELTA DEI CANALI DI DISTRIBUZIONE
1. La criticità della scelta in merito ai canali di distribuzione
2. I canali di distribuzione
3. I criteri di scelta dei canali
4. I criteri di imputazione dei costi ai canali distributivi
1. LA CRITICITÀ DELLA SCELTA IN MERITO AI CANALI DI
DISTRIBUZIONE
Questa tesi si pone l’obbiettivo di individuare un criterio di valutazione che integri i tradizionali
criteri di scelta, utilizzati dai responsabili della funzione marketing per individuare i canali di
distribuzione, da adottare nell’ambito della gestione aziendale. Il criterio di valutazione in
questione, si fonda su di un confronto tra due metodologie di imputazione dei costi, basate
rispettivamente sull’utilizzo dei costi standard e dei principi dell’Activity Based Costing.
Il problema della scelta dei canali di distribuzione è visto come particolarmente problematico
dalle aziende che, al fine di cedere sul mercato beni e servizi da esse realizzate, devono individuare
il canale più efficiente, per stabilire un contatto con i fruitori delle proprie produzioni. Prima di
procedere con la discussione del problema relativo alla scelta dei canali di distribuzione, è
opportuno definire il tipo di aziende cui questa trattazione fa riferimento.
Nel linguaggio degli studiosi di Economia Aziendale, con il termine azienda non si fa
riferimento unicamente agli agenti economici che producono beni o servizi, e che sono, nel
linguaggio ordinario, identificati con il termine in questione. In Economia Aziendale, il termine
azienda viene utilizzato per identificare sia gli agenti economici che hanno per oggetto della propria
attività la produzione e/o lo scambio sul mercato di beni o servizi a scopo di lucro, sia gli agenti
economici che hanno quale oggetto principale della propria attività il soddisfacimento dei bisogni
umani
1
.
Il primo gruppo di soggetti viene convenzionalmente identificato con il termine aziende di
produzione o imprese, mentre il secondo gruppo viene identificato con il termine aziende di
erogazione.
Nella categoria delle aziende di produzione vengono comprese, oltre alle imprese produttrici di
beni (denominate tradizionalmente aziende industriali), le imprese di produzione indiretta
(comprendenti le aziende mercantili, bancarie, concessionarie) e le aziende di servizi (di cui fanno
parte le aziende di trasporto e di assicurazione): ognuna di queste imprese rientra legittimamente
nella categoria delle aziende di produzione, grazie alla capacità di soddisfare il requisito
caratteristico di questa categoria (la produzione e/o lo scambio sul mercato di beni o servizi);
tuttavia, non per tutte queste imprese, la scelta relativa ai canali di distribuzione costituisce un
elemento di particolare problematicità.
Questa trattazione ha come oggetto la determinazione della redditività dei canali di distribuzione,
determinazione basata sul confronto tra due criteri generali di imputazione dei costi; posto che
questo problema assume una rilevanza fondamentale per le imprese che producono e cedono sul
mercato beni materiali aventi caratteristiche spesso differenti, è necessario limitare la nostra
1
DOMENICO AMODEO, (1987), LE GESTIONI INDUSTRIALI PRODUTTRICI DI BENI, Torino, Utet Libreria, Cap.1,Par.1,p.1.
attenzione alla determinazione della redditività dei canali di distribuzione delle imprese produttrici
di beni, o aziende industriali
2
.
Posto dunque che in questa discussione verranno analizzati i canali di distribuzione da adottare
nelle imprese industriali, analisi basata sui livelli di redditività indotti dall’uso di questi canali,
conviene ora verificare il ruolo rivestito dalla funzione vendite, nell’ambito della gestione delle
aziende industriali.
Come è stato precedentemente ricordato, le aziende di produzione si caratterizzano per il fatto di
collocare beni e servizi da esse realizzati sul mercato: in effetti, risulta difficile ipotizzare
l’esistenza di aziende di produzione che destinino l’intera propria produzione all’autoconsumo
interno. Questa eventualità, oltre a mettere in dubbio l’appartenenza di queste aziende alla categoria
delle aziende di produzione, rischierebbe di provocare l’estinzione dell’azienda stessa: la
produzione di beni e servizi viene attuata mediante l’interazione di diversi fattori produttivi (lavoro
umano, risorse monetarie, cespiti, materie prime ecc.) che vengono, nella maggioranza dei casi,
acquisiti a titolo oneroso. Il metodo comunemente utilizzato dalla maggioranza delle aziende di
produzione, per ottenere i proventi destinati a retribuire gli apportatori dei fattori di produzione,
consiste nella cessione a titolo oneroso sul mercato delle produzioni realizzate.
Per tutte le aziende di produzione, e in modo particolare per le aziende industriali, la funzione
vendite sembra quindi ricoprire un ruolo fondamentale
3
.
La criticità di questa funzione è desumibile in vari aspetti della gestione industriale, a partire
dallo studio delle finalità dei comportamenti imprenditoriali: secondo una definizione di uso
comune, il comportamento del soggetto imprenditoriale è volto al conseguimento di obbiettivi di
varia natura (quali ad esempio la massimizzazione del profitto, la continuità temporale
dell’organismo aziendale, lo sviluppo dimensionale dell’impresa …). Con l’aumentare delle
dimensioni medie della singola impresa, e con l’incremento della complessità delle scelte
2
Tale scelta viene peraltro suffragata dall’opinione di Domenico Amodeo, secondo il quale “ … il termine produzione suggerisce il
riferimento a trasformazioni materiali di beni diretti all’ottenimento di altri beni, solitamente più complessi e di struttura più
elaborata, che vengono immessi sul mercato quali mezzi di soddisfazione immediata di bisogni o quali strumenti di ulteriore
produzione. Di guisa che il linguaggio ordinario trova naturale parlare di produzione di tessuti, di conserve alimentari , di scarpe, di
automobili mentre solo con difficoltà riesce ad ammettere una produzione di servizi.”
D. AMODEO, (1987), LE GESTIONI INDUSTRIALI PRODUTTRICI DI BENI, Torino, Utet Libreria, Cap.1, Par.3, p.5.
Va comunque ricordato che questa opinione di Domenico Amodeo è stata formulata più di dodici anni fa, nel contesto di una società
il cui sviluppo era fondato sul potenziamento del settore secondario. Nell’attuale società post – industriale a terziarizzazione
avanzata, si pone il problema di verificare se le considerazioni di Amodeo siano ancora valide. Nel linguaggio economico –
aziendale, il concetto di produzione viene ormai largamente applicato in tutti i settori del sistema economico, mentre nel linguaggio
ordinario, fatica ad affermarsi la tendenza ad utilizzare il concetto di produzione, per riferirsi a settori diversi da quello secondario.
Specialmente i soggetti privi di conoscenze economico – aziendali , trovano tuttora difficile utilizzare il termine produzione facendo
riferimento al settore terziario; di conseguenza, è opportuno ritenere che almeno in parte la definizione di Amodeo sia ancora valida.
3
Un significativo riconoscimento al ruolo delle vendite nella gestione delle imprese, ci viene fornito da una riflessione di Piero
Mella: “Dopo aver completato i processi produttivi, le imprese possono cedere ai clienti i beni e i servizi ottenuti con l’impiego dei
fattori. Con l’acquisizione dei fattori le imprese investono risorse monetarie; con le trasformazioni interne cercano di accrescere il
valore dei fattori, trasformandoli in beni aventi più elevata utilità ed apprezzamento; con la cessione si completa il ciclo economico
del processo di produzione, in quanto le imprese possono attuare i disinvestimenti necessari per avere nuovamente la disponibilità
delle risorse monetarie in precedenza investite, onde essere in grado di attuare nuovi cicli produttivi. Le operazioni di cessione hanno
la funzione di consentire all’azienda di cedere ai clienti i risultati dei processi produttivi, e di recuperare gli investimenti in fattori
produttivi.”
P. MELLA, (1987), LINEAMENTI DI ECONOMIA AZIENDALE, Pavia, Isdaf, Cap.8, Par.9. p.208.
riguardanti la gestione dell’impresa stessa, si assiste ormai da diversi anni ad una progressiva
separazione tra i soggetti che detengono la proprietà dell’impresa, e soggetti chiamati a dirigere le
attività della stessa. Di conseguenza, si verifica una separazione anche a livello di obbiettivi
perseguiti dalle due categorie di soggetti: i detentori del capitale di rischio, intendono massimizzare
la redditività dei propri investimenti, mentre i dirigenti dell’impresa aspirano, per motivi di
prestigio, a prolungare la vita dell’organismo aziendale che essi dirigono ed a garantirne lo sviluppo
dimensionale.
4
Dopo aver specificato il tipo di aziende cui questa trattazione si rivolge, e dopo aver richiamato il
ruolo ricoperto dalla funzione vendite nella gestione delle aziende di produzione, dobbiamo ora
analizzare brevemente l’importanza della selezione dei canali di distribuzione, selezione volta
all’individuazione dei canali da adottare nelle aziende industriali (questa scelta, costituisce peraltro
solo una delle innumerevoli decisioni, che i soggetti responsabili della gestione aziendale sono
tenuti a prendere quotidianamente
5
).
La scelta del canale di distribuzione costituisce, da una parte, una decisione non immediata a
causa della vastità della gamma di canali oggi esistenti, e dall’altra una scelta che produce effetti
rilevanti nella gestione dell’impresa industriale. Di conseguenza, è importante assicurarsi che chi sia
preposto dalla direzione aziendale, a selezionare i canali di distribuzione, decida con coscienza di
causa, per evitare che decisioni errate compromettano irrimediabilmente la redditività
dell’organismo aziendale.
L’adozione di un canale di distribuzione, richiede che la direzione Marketing prenda alcune
decisioni in merito al tipo di prodotti da collocare attraverso i vari canali, ai prezzi massimi e
minimi da praticare sugli articoli ceduti, ed al tipo di immagine che si intende attribuire ad un
4
La progressiva separazione, tra obbiettivi perseguiti dalla proprietà e dalla direzione dell’impresa viene rilevata anche da Baumol,
secondo il quale “ … il gruppo di governo tende a massimizzare il fatturato, perché questo è l’indicatore del suo successo, perché
consente di migliorare gli sviluppi di carriera di tutti i dirigenti, perché facilità i rapporti con le banche, i fornitori, il personale
dell’impresa e così via. L’ipotesi di questo economista è che gli oligopolisti cercano di massimizzare il volume di vendita dei loro
prodotti con il vincolo di un livello minimo di profitto. In sostanza, si ha un’inversione di posizioni, per cui le imprese tendono a
realizzare il flusso di profitti che consente di finanziare il massimo sviluppo delle vendite nel lungo periodo”
S.SCIARELLI, (1991), LA GESTIONE D’IMPRESA: STRATEGIE, POLITICHE E TECNICHE DI GESTIONE DELL’IMPRESA
INDUSTRIALE, Padova, Cedam, Cap.2, Par.6, pp. 36,37.
È opportuno tuttavia precisare che la tesi di Baumol può trovare riscontro in alcune imprese, così come può essere disattesa in altre :
teoricamente, la situazione descritta da Baumol ha maggiori probabilità di verificarsi, nelle imprese caratterizzate da un elevato
“livello” di separazione tra i detentori della proprietà aziendale e i dirigenti dell’impresa. Per contro, nelle realtà aziendali
caratterizzate da una sostanziale concordanza, tra soggetti detentori della proprietà e i membri della direzione, è più probabile
assistere al conseguimento del più canonico obbiettivo della massimizzazione del profitto aziendale.
5
A questo riguardo, Domenico Amodeo ci fornisce una interessante visione del ruolo dell’imprenditore: “L’imprenditore altro non è
che un autore di scelte economiche, epperò la gestione che egli conduce può rettamente considerarsi come l’attuazione di una scelta
di opzioni. Nella capacità di cogliere, nelle alternative che la vita d’impresa continuamente gli propone, il lato profittevole, e
conseguentemente nella capacità di scegliere le vie convenienti, respingendo quelle che tali non sono, sta appunto l’abilità
dell’imprenditore … non esiste, dunque, per l’imprenditore, possibilità di sottrarsi a questa continua attività opzionale, e non esiste
tale possibilità perché quelle scelte rappresentano la gestione che egli deve di necessità condurre. Una gestione rigorosamente
preordinata nella natura e nella successione degli accadimenti non esiste: le decisioni si susseguono incessanti nel tempo e, come
attuate scelte, maturano la vita dell’impresa … fino a quando i problemi che gli si presentano sono ancora allo stadio opzionale, egli è
il potenziale dominatore delle situazioni di impresa e delle sorti future di essa, ma quando la scelta fu operata in un certo senso, le
conseguenze di quella sono irrespingibili, nel bene come nel male, e l’imprenditore soggiace ad essa senza poterla, in generale,
modificarla o anche soltanto mitigarne gli effetti.”
D. AMODEO, Op. citata, Cap.3, Par.17, pp.79-80.
prodotto attraverso la commercializzazione mediante uno specifico canale. La valutazione
dell’efficacia delle politiche distributive adottate, richiede solitamente un periodo di osservazione
piuttosto lungo, e di conseguenza le decisioni attinenti alla politica di distribuzione possono essere
cambiate solo in modo graduale
6
.
Il lungo periodo di tempo richiesto per la valutazione dell’efficacia delle politiche distributive, è
causato dalla numerosità delle variabili che influenzano la politica distributiva. La prima variabile
relativa alle decisioni distributive, che la direzione preposta alla formazione delle politiche
commerciali (solitamente la direzione Marketing) deve analizzare, riguarda il tipo di distribuzione
da adottare: le alternative a questo riguardo sono costituite dalle politiche di vendita di tipo
estensivo e di tipo selettivo. Mentre una politica di vendita di tipo estensivo, consiste nel vendere i
propri prodotti a qualunque intermediario ne faccia richiesta (e viene applicata soprattutto per la
commercializzazione di prodotti dal largo e continuato consumo), una politica di vendita di tipo
selettivo, richiede di valutare e selezionare la categorie di intermediari, mediante i quali si intende
commercializzare i propri prodotti (e viene utilizzata soprattutto per distribuire i beni caratterizzati
da un elevata qualità o da un ampio periodo di utilizzo) .
7
Un’altra variabile che influenza le scelte di politica distributiva e relative ai canali di
distribuzione, concerne gli strumenti a disposizione della direzione commerciale per aumentare il
livello delle vendite aziendali. La direzione preposta alla predisposizione della rete di vendita, dovrà
decidere se adottare una strategia di tipo Push (che consiste nel delegare agli intermediari
commerciali, il compito di attirare l’attenzione dei consumatori sui prodotti aziendali), o di tipo Pull
(che consiste invece nel sollecitare opportunamente consumatori ed utilizzatori finali, mediante
l’utilizzo di campagne pubblicitarie)
8
.
Una terza variabile connessa alla predisposizione della politica distributiva, è costituita dalla
disponibilità, nelle diverse zone che compongono il mercato di sbocco delle produzioni aziendali,
delle tipologie di intermediari necessarie per implementare la propria rete di vendita. Dopo aver
scelto il tipo di politica di vendita da adottare in via generale (selettiva piuttosto che intensiva), non
è certo che essa possa essere attuata in tutte le zone di vendita. Nel caso in cui manchino le tipologie
6
“Le decisioni riguardanti i canali di distribuzione sono decisive nel condizionare l’operato dell’impresa industriale. Da un lato
concorrono, infatti, a formare il Marketing Mix dell’azienda, dall’altro, una volta effettuata la scelta di operare con determinati canali
distributivi, costituiscono altrettanti vincoli alle decisioni di marketing, in termini di prezzo, prodotto e comunicazione. Questo
accade in quanto le decisioni circa la politica distributiva, producono effetti per un certo arco di tempo, e soprattutto non possono
essere modificate se non in modo graduale e lento. Ciò comporta che tali decisioni siano di solito particolarmente delicate, in quanto
ogni eventuale errore è difficilmente rimediabile, oltre che particolarmente costoso nel breve termine … Una felice scelta dei canali
di distribuzione può recare una serie di favorevoli conseguenze all’azienda industriale. Essa può innanzitutto influenzare le
dimensioni delle vendite, a parità di prezzo. Ma, oltre a ciò è ben noto come la scelta dei canali influenzi il costo di distribuzione e
conseguentemente il prezzo pagato dal consumatore.”
L. GUATRI, S. VICARI, (1986), IL MARKETING, Milano, Giuffrè, Cap.8, Par.2, pp.295-296.
7
Entrambe queste tipologie di politiche di vendita sono caratterizzate da vantaggi e svantaggi, e spetterà alla direzione preposta a
questa funzione, il compito di valutare quale delle due alternative sia più idonea a garantire la commercializzazione della produzione
aziendale.
8
Va tenuto presente che l’adozione di una strategia di tipo push implica la necessità di incentivare in vari modi gli intermediari,
affinché inseriscano i prodotti dell’azienda in questione nei propri assortimenti; una strategia di tipo pull, per contro, richiede lo
stanziamento di una parte considerevole delle risorse aziendali, volte a coprire i costi sostenuti per effettuare le campagne
pubblicitarie.
di intermediari richiesti da ciascuna delle due politiche, l’azienda dovrà decidere se adattare le
proprie strategie distributive alle realtà geografiche locali, o se escludere determinate zone dalle
mappe della propria rete distributiva.
I problemi precedentemente esposti a grandi linee, non esauriscono la gamma delle variabili che
influenzano le politiche distributive delle aziende di produzione, ma rappresentano indubbiamente
le problematiche più significative. È inoltre necessario ricordare che, una volta individuata una
determinata politica distributiva, la direzione aziendale deve essere pronta a modificarla nel più
breve lasso di tempo possibile, a seguito del mutamento delle abitudini di acquisto dei consumatori
o dei rapporti di forza esistenti tra aziende industriali e aziende di distribuzione. La modifica delle
scelte di politica distributiva, implica molto spesso la necessità di cambiare i canali di distribuzione
normalmente utilizzati, e questo cambiamento può essere fonte di vari problemi.
In primo luogo, non si può essere certi del fatto che gli intermediari che si desideri contattare per
ristrutturare la propria rete di vendita, siano disposti ad iniziare un rapporto di collaborazione con
una nuova azienda
9
. In secondo luogo, una volta avviati i contatti con i nuovi intermediari
commerciali, bisognerà aggiornare le procedure di vendita da adottare all’interno dell’azienda
produttrice (quali la periodicità delle visite dei propri rappresentanti, la mappa dei punti di vendita
utilizzati ecc.).
Nonostante la presenza di queste difficoltà connesse alla ristrutturazione della rete di
distribuzione, un ritardo da parte aziendale nel procedere alla riorganizzazione del sistema di
distribuzione rischia di avere gravi ripercussioni sulla redditività aziendale: la decisione di
continuare a commercializzare i propri prodotti mediante la consueta rete di distribuzione, non più
adeguata a soddisfare le mutate abitudini di acquisto dei consumatori, provocherà molto
probabilmente una drastica diminuzione del fatturato di vendita.
Per concludere, dopo aver brevemente analizzato i problemi relativi alla scelta dei canali di
distribuzione, da adottare nell’ambito della gestione delle aziende industriali, vale la pena ricordare
che le scelte attinenti ai canali di distribuzione, richiedono una conoscenza, almeno approssimativa
da parte delle imprese, delle caratteristiche dei canali distributivi. È facilmente intuibile come ogni
decisione concernente la scelta dei canali, debba essere preceduta da ricerche esplorative, aventi
come oggetto l’individuazione della situazione esistente, allo scopo di consentire la modificazione
di situazioni non ottimali per il conseguimento degli obbiettivi aziendali
10
.
9
Molte volte, e soprattutto nel caso della piccola distribuzione al dettaglio, nel corso degli anni viene instaurato un rapporto di
fiducia e di abitudine all’acquisto tra intermediario commerciale e produttore, basato sul contatto personale tra l’agente o il
rappresentante dell’azienda produttrice e l’intermediario. A meno che non insorgano, tra produttore e intermediario commerciale, dei
contrasti insanabili, un nuovo produttore che cerchi di convincere un intermediario a commercializzare i propri prodotti, rischierà di
incontrare notevoli resistenze.
10
L. GUATRI, S. VICARI, Op. citata, Cap.8, Par.2, p.297.
2. I CANALI DI DISTRIBUZIONE
11
Prima di procedere con l’esame delle tipologie di canale, è opportuno individuare una
definizione di canale di distribuzione: nel linguaggio ordinario, quando si parla di canali di
distribuzione si tende a far riferimento al percorso che i beni subiscono per giungere dal produttore
al consumatore. I soggetti che intervengono in questo processo di distribuzione sono identificati nel
produttore, nei grossisti e nei dettaglianti; questi ultimi trasferiscono infine i beni ai destinatari
finali. Questa visione di canale di distribuzione non è del tutto soddisfacente: essa infatti non
contempla né l’esistenza di intermediari diversi da grossisti e dettaglianti, né si preoccupa di
analizzare il grado di specializzazione presente all’interno di ogni categoria di intermediari.
In realtà, nel sistema di distribuzione operano dei soggetti, che pur non essendo grossisti o
dettaglianti, svolgono delle importanti funzioni, quali la facilitazione dei contatti tra produttori,
grossisti e dettaglianti, o l’individuazione di informazioni circa il sistema distributivo di una certa
area geografica, necessarie per il buon funzionamento del sistema distributivo nel suo complesso.
Per quanto riguarda le figure dei grossisti e dei dettaglianti, il grado di specializzazione e di
diversificazione raggiunto da queste categorie di intermediari, rende oggi impossibile considerarle
come due aggregati omogenei. Di conseguenza, appare opportuno inserire in questo paragrafo una
analisi più dettagliata dei soggetti che operano nel sistema della distribuzione, analisi che verrà
effettuata in un secondo momento: per il momento è necessario individuare una definizione di
canale di distribuzione adatta alle esigenze di questa trattazione.
Generalmente, si ritiene che la gamma di canali di distribuzione sia piuttosto limitata: si pensa
infatti che l’impresa produttrice, abbia quali uniche alternative la vendita diretta dei propri articoli
agli utilizzatori finali, o l’utilizzo dei servizi forniti dagli intermediari commerciali. In realtà, se si
considera l’ampia diversificazione presente nelle generiche categorie degli intermediari e dei
commercianti, nonché le diverse metodologie di vendita diretta oggi diffuse, è possibile rendersi
conto di come la varietà delle categorie di canali di distribuzione si ampli notevolmente. Allo scopo
di individuare, nelle diverse tipologie di canale di distribuzione, un fattore comune che consenta di
identificarle come pienamente appartenenti alla categoria dei canali di commercializzazione, è
necessario individuare una definizione di canale che sia la più esaustiva possibile.
11
I contenuti di questo paragrafo sono stati tratti dai seguenti volumi:
G.PELLICELLI, (1994), IL MARKETING, Torino, Utet, parte quinta, Cap.1 e 2;
W.G.SCOTT, (1993), MARKETING MANAGEMENT, Torino, Utet Libreria, Cap. 19 e 20;
R.VARALDO, W.J.STANTON, (1989), MARKETING, Bologna, Il Mulino, parte quinta, Cap.12,13 e 15.
A questo riguardo esistono nella letteratura specializzata, diverse definizioni di canale, ognuna
delle quali focalizza la propria attenzione, su di un aspetto peculiare del canale. Al fine di
individuare una definizione di canale di distribuzione che possa essere utilizzata ai fini di questa
trattazione, è necessario confrontare alcune definizioni di canale di distribuzione, presenti in vari
testi di Marketing dedicati all’argomento in questione.
Quando si cerca di fornire una definizione univoca di canale di distribuzione, si è posti di fronte
ad un problema: nelle diverse definizioni di canale di distribuzione è possibile individuare alcuni
elementi in comune, circa alcuni aspetti; le stesse definizioni tuttavia divergono, quando devono
indicare i tipi di flussi che rientrano a pieno titolo nella definizione di canale di distribuzione. Tutti
gli autori consultati a questo riguardo in questo scritto, concordano nel definire il canale di
distribuzione, come il percorso seguito dai prodotti per giungere dal produttore al consumatore;
emergono invece delle divergenze, per quanto riguarda l’inclusione di alcune categorie di flussi
nella definizione di canale di distribuzione. Circa questo problema sembrano emergere, pur tenendo
conto dell’esiguità della ricerca bibliografica a questo scopo condotta, due diverse correnti di
pensiero: alcuni autori, fra i quali Giorgio Pellicelli, Riccardo Varaldo, W. J. Stanton, Luigi Guatri e
Salvatore Vicari includono nella definizione del percorso produttore/consumatore, sia i flussi che
garantiscono il trasferimento della proprietà dei beni, sia i flussi che consento il trasferimento nello
spazio dei prodotti
12
; per contro, altri autori quali Enrico Valdani, Chiara Mauri, Fabio Storer,
12
“Per canale di distribuzione si intende il percorso seguito dai prodotti e dai servizi per passare dal produttore al consumatore o
all’utilizzatore finale. Tale percorso può riguardare uno o più dei seguenti aspetti: a) i movimenti fisici dei prodotti (trasporto); b) i
passaggi del titolo di proprietà; c) gli intermediari (imprese o persone) che operano tra il produttore e il consumatore, acquistano i
titoli di proprietà o aiutano altri ad acquistarli o a cederli e svolgono varie altre funzioni come trasporto, ricerca di mercato,
finanziamento. … considerare soltanto il percorso e quindi i movimenti non è sufficiente e può portare a conclusioni errate poiché un
prodotto può restare fisicamente nello stesso luogo, ma passare di proprietà più volte. Anche una definizione basata esclusivamente
sul trasferimento del titolo di proprietà nei passaggi tra venditore e compratore non soddisfa completamente, poiché qualche volta le
imprese che operano lungo il percorso non acquistano la proprietà del prodotto.”
G.PELLICELLI, Op. citata, parte quinta, Cap.1, Par.1, pp.354-355.
“Il canale di distribuzione di un prodotto è il percorso che questo segue nel suo trasferimento dal produttore (industriale o agricolo) al
consumatore finale o all’utilizzatore industriale ed è costituito da una serie di stadi, in ciascuno dei quali avviene un passaggio del
titolo di proprietà del prodotto. Un canale di distribuzione, dunque, include sempre il produttore ed il consumatore finale del
prodotto, oltre a quegli intermediari commerciali che acquisiscono temporaneamente la proprietà della merce. Anche se gli agenti ed
i rappresentanti di commercio non acquisiscono il titolo della merce che trattano, spesso essi vengono egualmente inclusi nel canale
di distribuzione a causa del ruolo estremamente importante ed attivo che essi giocano nel trasferimento della proprietà dei prodotti.”
R.VARALDO, W.J.STANTON, Op. citata, Cap.12, Par.1.2, p.258.
“È noto come con l’espressione canale (o circuito ) di distribuzione s’intenda designare il percorso – con riferimento ai diversi
passaggi di proprietà – seguito da un prodotto per giungere nella disponibilità del consumatore … Secondo nozioni più recenti, al
concetto di canale sopra esposta, che analizza i passaggi di proprietà del prodotto, si potrebbero utilmente affiancare altre nozioni,
intese ad esprimere diversi tipi di flussi. Ad esempio, i flussi fisici (spostamento nello spazio del prodotto), i flussi di transazioni …, i
flussi d’informazione …, i flussi promozionali …”
L.GUATRI, S.VICARI, (1986), IL MARKETING, Milano, Giuffrè,pp.291-293.
Umberto Collesei e W. G. Scott, includono nella definizione di canale di distribuzione
unicamente il trasferimento del titolo di proprietà di beni e servizi
13
.
Questa tesi si preoccupa di esaminare i metodi di determinazione della redditività dei canali di
distribuzione, analizzando i costi ed i ricavi ad essi imputabili; a tale scopo, è necessario
considerare in questo tipo di analisi, tutti i costi sostenuti dalle aziende di produzione per collocare i
propri prodotti sul mercato. Di conseguenza, risulta necessario adottare la definizione di canale di
distribuzione nella sia versione più ampia, vale a dire la definizione comprendente non solo il
trasferimento della proprietà dei beni, ma anche i flussi complementari precedentemente ricordati
(entrambe le categorie di flussi sono infatti generatrici di costi per le aziende industriali).
Dopo aver presentato questa definizione di canale di distribuzione, dobbiamo ora procedere ad
esaminare l’ampia tipologia di canali di distribuzione oggi esistenti; è opportuno tuttavia effettuare
una premessa alla classificazione in esame. Secondo l’opinione di Riccardo Varaldo e di William
J.Stanton, non è semplice compiere una descrizione, anche solamente approssimativa, dei canali di
distribuzione, poiché si correrebbe il rischio di semplificare situazioni che sono in realtà
estremamente complesse. Ad ogni modo, è possibile, tenendo conto della raccomandazione
precedentemente espressa, tentare di operare una classificazione dei canali di distribuzione,
distinguendo fra i canali che vengono utilizzati per la commercializzazione dei prodotti di consumo,
ed i canali che vengono utilizzati per collocare sul mercato i prodotti industriali.
Infatti, secondo l’opinione di vari autori di manuali di marketing, quali i già citati Riccardo
Varaldo, William J. Stanton, Giorgio Pellicelli, Philip Koetler e Walter G. Scott, il problema
attinente la scelta dei canali di distribuzione ha rilevanza non solo per le imprese produttrici di beni
di consumo, ma anche per le aziende che producono beni industriali. Prima di procedere ad
esaminare, distintamente per genere di beni commercializzati, le tipologie dei canali di
distribuzione, tratteremo ora brevemente la classificazione di ordine generale dei suddetti canali.
13
“In un senso ampio e letterale, il canale rappresenta l’insieme di tutti i passaggi – siano essi movimenti fisici del bene o transazioni
rese da specifici intermediari – mediante i quali il prodotto raggiunge il consumatore finale (o il cliente) … Più restrittivamente, il
canale è, invece, costituito dalla rete dei soli passaggi di proprietà, con cui il prodotto in progressione verticale perviene al
consumatore finale … Sarà in questa seconda versione che il termine canale di distribuzione verrà d’ora in poi inteso …”
L.GUATRI, W.G.SCOTT, (1976), MANUALE DI MARKETING, Seconda Edizione, Isedi, pp.14.7 – 14.8.
“In una prima approssimazione, il canale rappresenta l’insieme di tutti di passaggi, intesi questi ultimi come movimenti fisici del
prodotto o transazioni effettuate da specifici intermediari, mediante i quali il bene raggiunge il consumatore finale. In una accezione
più ristretta, il canale è rappresentato dalla rete dei soli passaggi di proprietà, attraverso cui il prodotto distribuito verticalmente
perviene al consumatore finale …questa seconda definizione appare estremamente appropriata, in quanto consente di distinguere i
diversi tipi di canale …”
E.VALDANI, C.MAURI, F.STORER, (1992), IL MARKETING, Milano, Etas Libri, p.73.
“Con il termine canale di distribuzione ci si riferisce all’insieme di operatori che partecipano al trasferimento della proprietà dei beni
e servizi dal produttore al consumatore/utilizzatore. L’attività degli operatori del canale è favorita dalla presenza di numerosi
ausiliari, che non agendo in forma autonoma sul processo di scambio (acquisto – vendita ), ma facilitandolo, non fanno parte del
canale. Sono membri del canale il produttore, il consumatore e tutti gli intermediari commerciali che acquistano la proprietà della
merce;”U.COLLESEI, (1989), MARKETING, Padova, Cedam, p.261.
I canali di distribuzione possono essere distinti in funzione del numero di stadi secondo cui si
articolano, cioè della lunghezza del percorso che un prodotto deve compiere per passare dal
produttore al consumatore finale o all’utilizzatore industriale. In base a questo criterio è possibile
distinguere fra:
• CANALI DIRETTI, caratterizzati dall’inesistenza di intermediari commerciali tra il
produttore ed il consumatore finale o l’utilizzatore industriale;
• CANALI CORTI, caratterizzati dalla presenza di un solo intermediario commerciale,
costituito dal dettagliante o dal distributore industriale;
• CANALI LUNGHI, caratterizzati dalla presenza di due o più intermediari commerciali.
Questo tipo di distinzione fa riferimento ad una azienda di produzione, senza meglio specificare
se si tratti di una azienda che produce beni di consumo o industriali. Una trattazione più esauriente
dei canali di distribuzione è desumibile osservando gli schemi seguenti:
Grafico 1.1 - I canali dei beni di consumo
Osservando lo schema attinente alla distribuzione dei beni di consumo, possiamo notare la
presenza di cinque distinti tipi di canale che collegano i produttori con i consumatori finali:
CONSUMATORI FINALI
PRODUTTORI DI BENI DI CONSUMO
DETTAGLIANTI DETTAGLIANTI DETTAGLIANTI DETTAGLIANTI
GROSSISTI GROSSISTI
AGENTI AGENTI
• PRODUTTORE-CONSUMATORE = in questo tipo di canale, che rientra nella categoria dei
canali diretti, non è previsto l’intervento di alcun intermediario commerciale tra il produttore ed
il consumatore; i metodi di vendita comprendono la vendita porta a porta, la vendita per
corrispondenza, telefonica, la gestione diretta di esercizi al dettaglio ecc.
• PRODUTTORE-DETTAGLIANTE-CONSUMATORE = data la presenza di un solo
intermediario commerciale, questo canale rientra nella categoria dei canali brevi.
• PRODUTTORE-GROSSISTA-DETTAGLIANTE-CONSUMATORE = questo canale
rientra nella categoria dei canali lunghi, a causa della presenza di due intermediari commerciali.
• PRODUTTORE-AGENTE-DETTAGLIANTE-CONSUMATORE = anche questo canale
rientra nella categoria dei canali lunghi, ma si differenzia dal precedente a causa della decisione
delle aziende di produzione, di contattare i dettaglianti tramite agenti o rappresentanti, piuttosto
che attraverso i grossisti.
• PRODUTTORE-AGENTE-GROSSISTA-DETTAGLIANTE-CONSUMATORE = in
questo canale operano tre intermediari commerciali, quindi rientra anch’esso nella categoria dei
canali lunghi.
È possibile predisporre uno schema analogo anche per i canali di distribuzione dei beni industriali:
Grafico 2.1 - I canali dei beni industriali
UTILIZZATORI INDUSTRIALI
PRODUTTORI DI BENI INDUSTRIALI
AGENTI AGENTI
GROSSISTI GROSSISTI
• PRODUTTORE-UTILIZZATORE INDUSTRIALE = questo canale rientra nella categoria
dei canali diretti, e viene utilizzato frequentemente per la vendita di impianti, aeroplani e di altri
beni industriali.
• PRODUTTORE-GROSSISTA (DISTRIBUTORE INDUSTRIALE)-UTILIZZATORE =
questo canale rientra fra i canali brevi, e viene usato nella maggioranza dei casi per vendere
piccole macchine utensili e articoli meccanici accessori.
• PRODUTTORE-AGENTE-UTILIZZATORE = rientra nella categoria dei canali brevi, e
viene solitamente adottato da imprese industriali che non dispongono di un proprio ufficio
marketing.
• PRODUTTORE-AGENTE-GROSSISTA-UTILIZZATORE = questo canale rientra nella
categoria dei canali lunghi, viene utilizzato nei casi nei quali sia necessario disporre di depositi
decentrati del proprio prodotto, utilizzando a tale scopo i servizi di magazzinaggio offerti dal
distributore industriale.
I canali che sono stati descritti fino a questo punto rientrano fra i canali cosiddetti convenzionali
di Marketing, e la loro principale caratteristica consiste nel fatto che sono costituiti da più soggetti,
quali un produttore indipendente, uno o più grossisti, uno o più dettaglianti, nessuno dei quali è in
grado di esercitare un completo o sostanziale controllo sugli altri.
Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, è emersa, come sfida nei confronti dei canali convenzionali,
un nuovo modello di canale di distribuzione, che prende il nome di SISTEMA VERTICALE DI
MARKETING
14
. A differenza dei canali convenzionali, all’interno del sistema verticale di
marketing i produttori, i grossisti ed i dettaglianti agiscono in modo unificato. La costituzione di
questo particolare tipo di canale, avviene grazie all’iniziativa di uno o più soggetti del canale, che
convincono gli altri membri a collaborare, attraverso l’acquisizione del controllo, l’affiliazione o
altre manifestazioni del potere di mercato; questo ruolo dominante può essere svolto da uno
qualsiasi degli intermediari che operano all’interno del canale.
15
I sistemi verticali di marketing vengono solitamente classificati in tre categorie, in base al
rapporto sottostante ai membri del canale; è possibile di conseguenza distinguere i sistemi verticali
di marketing (in seguito S.V.M.) in questo modo:
14
P.KOTLER, W. G. SCOTT, op. citata, Cap.19, Par.5.1, p.758;
L GUATRI, S. VICARI, (1986), IL MARKETING, Milano, Giuffrè, p.304.
15
P. KOTLER, W. G. SCOTT, op. citata, Cap. 19, Par 5.1, pp. 758-761.
• S.V.M. AZIENDALI = questi sistemi riuniscono nell’ambito della stessa impresa tutti gli stadi
presenti in ogni canale;
• S.V.M. AMMINISTRATI = questi sistemi coordinano i produttori e i distributori, non
attraverso l’appartenenza degli stessi ad una medesima proprietà aziendale, ma tramite le
dimensioni ed il conseguente potere di influenza di una delle parti;
• S.V.M. CONTRATTUALI = questi sistemi sono formati da imprese indipendenti, che si
situano in corrispondenza di diverse fasi del processo distributivo, che coordinano i propri piani
di intervento tramite dei contratti, allo scopo di ottenere maggiori economie di scala e risultati di
vendita di quanto non riuscirebbero ad ottenere operando isolatamente. Questa categoria di
sistemi verticali di marketing viene divisa ulteriormente in due classi distinte, in base al tipo di
contratto che lega i partecipanti
16
; abbiamo di conseguenza tre classi di S.V.M.
CONTRATTUALI :
-unioni volontarie promosse dai grossisti
-cooperative di dettaglianti
-organizzazioni di franchising.
Osservando gli schemi dei canali di distribuzione qui riportati, è possibile osservare come al loro
interno ricorrano frequentemente alcune particolari categorie di soggetti, denominati a seconda dei
casi dettaglianti, grossisti, agenti o broker. Queste categorie sono al loro interno tutt’altro che
omogenee: sono composte infatti da una pluralità di soggetti che, pur operando in corrispondenza
del medesimo stadio del processo di distribuzione, presentano delle caratteristiche molto diverse.
Nel corso di questo paragrafo analizzeremo la classificazione che viene operata, riguardo ai soggetti
che agiscono all’interno dei canali di distribuzione
17
.
L’immagine della funzione degli intermediari, è desumibile da un’osservazione diretta degli
schemi dei canali di distribuzione: alcuni soggetti (grossisti e dettaglianti) si assumono il compito di
trasferire la proprietà dei beni dal produttore al destinatario finale, mentre altri intermediari ( agenti
e broker) svolgono delle funzioni che facilitano il trasferimento della proprietà dei beni. La prima
distinzione che viene effettuata tra gli intermediari commerciali è costituita dalla separazione tra gli
16
W. J. SCOTT, P. KOTLER, op. citata, p.761;
L. GUATRI, S. VICARI, op. citata, p.305.
17
Prima di procedere ad esaminare la classificazione di questi soggetti, dobbiamo specificare la categoria a cui essi vengono
ricondotti: dettaglianti, grossisti ed agenti rientrano nella categoria degli INTERMEDIARI COMMERCIALI: “Un intermediario
commerciale è un’azienda indipendente che opera come anello di congiunzione tra i produttori ed i consumatori finali o gli
utilizzatori industriali di un certo bene o servizio. L’intermediario commerciale offre servizi che si riferiscono all’acquisto e/o alla
vendita dei prodotti nella fase del loro trasferimento dallo stadio della produzione a quello del consumo. Gli intermediari
commerciali possono acquisire la proprietà della merce che viene trattata, oppure possono limitarsi a svolgere funzioni ausiliarie per
favorire il trasferimento della proprietà dei prodotti dal venditore all’acquirente.”
W.J.STANTON, R.VARALDO, Op. citata, Cap.12, Par.1.1, pp. 257-258 .
intermediari che operano al dettaglio (dettaglianti
18
) ed intermediari che operano all’ingrosso
(grossisti
19
); vediamo ora in dettaglio la struttura di queste due categorie
20
.
Per quanto riguarda i dettaglianti, la tradizionale classificazione che viene operata tra questo
genere di intermediari, si basa su 5 criteri: dimensione dell’esercizio, ampiezza dell’assortimento,
forma di proprietà, metodi operativi e strutture di vendita. Riportiamo qui di seguito le
caratteristiche dei criteri di classificazione
21
:
• DIMENSIONE DELL’ESERCIZIO DI VENDITA: sulla base di questo criterio, gli esercizi
al dettaglio vengono classificati nelle categorie del grande dettaglio (punti vendita con una
superficie superiore ai 400 metri quadrati) e del piccolo dettaglio (punti vendita con una
superficie inferiore ai 400 metri quadrati);
• AMPIEZZA DELL’ASSORTIMENTO: questo criterio opera una distinzione, tra negozi che
trattano un’ampia varietà di linee di prodotto (grandi magazzini), e punti di vendita che trattano
una sola o poche linee di prodotti tra loro collegati;
• FORMA DI PROPRIETÀ: in base a questo criterio, gli intermediari al dettaglio vengono fatti
rientrare nella categoria dei negozi che operano in modo individuale o indipendente, dei negozi
la cui proprietà e gestione sono centralizzate (negozi a catena), dei punti vendita che hanno
stipulato degli accordi di associazionismo (unioni volontarie, gruppi di acquisto, franchising);
• METODI OPERATIVI: questo principio, basato sui metodi di gestione dei punti vendita,
suddivide gli intermediari al dettaglio in negozi tradizionali, supermercati, ipermercati, discount,
centri commerciali al dettaglio, commercio ambulante;
18
“Per dettaglio si intende l’insieme delle attività che sono direttamente connesse alla vendita di beni o servizi al consumatore finale,
destinati al soddisfacimento di sue esigenze personali o familiari e non allo svolgimento di un’attività economica di qualche tipo …
ogni azienda produttrice, grossista o dettagliante che vende qualcosa ai consumatori finali per il loro uso personale realizza una
vendita al dettaglio. Ciò è vero indipendentemente dal modo in cui la vendita viene realizzata … e dal luogo di vendita … parlando di
dettagliante o di negozio al dettaglio si deve comunque intendere un’azienda che vende prevalentemente (oltre il 50% del proprio
volume d’affari) ai consumatori finali.”
W.J.STANTON, R.VARALDO, Op. citata, Cap.12, Par,2, p.261.
19
“Il commercio all’ingrosso definito in senso ampio comprende la vendita (e tutte le altre attività ad essa collegate) di prodotti o
servizi ad operatori per la rivendita o l’utilizzo nell’ambito di una attività economica. Dunque, intese in senso ampio, le vendite fatte
da un’azienda industriale ad un’altra azienda industriale costituiscono delle transazioni all’ingrosso ed il produttore che vende svolge
un’attività di commercio all’ingrosso … è tuttavia più interessante limitarsi a considerare solo le imprese che sono impiegate
prevalentemente ed in modo professionale (specialistico) nell’attività di vendita all’ingrosso. Si tratta perciò di escludere i
dettaglianti che occasionalmente vendono all’ingrosso … il termine intermediario/grossista è un termine molto ampio e comprende
sia i grossisti veri e propri, sia altri tipi di imprese, come gli agenti di vendita o i broker, che non acquisiscono la proprietà della
merce che trattano.”
W.J.STANTON, R.VARALDO, Op. citata, Cap.13, Par. 1.1 e 1.2, pp. 293-294.
20
L’analisi della struttura delle categorie degli intermediari che operano al dettaglio o all’ingrosso, è importante perché consente di
rendersi conto della diversità dei soggetti che operano all’interno delle generiche categorie dei dettaglianti o dei grossisti. Inoltre,
un’impresa di produzione potrebbe considerare come canali distinti la scelta di commercializzare i propri prodotti mediante l’utilizzo
della piccola distribuzione al dettaglio piuttosto che tramite l’utilizzo delle grandi catene di supermercati e ipermercati (sebbene
entrambe queste reti di vendita rientrino nel canale produttore – dettagliante – consumatore); questa considerazione vale per ognuno
degli stadi dei vari canali di distribuzione: in questo modo la gamma di canali di commercializzazione viene ulteriormente ampliata.
21
Questa ripartizione è contenuta nel testo di W.J.Stanton eR.Varaldo Marketing, all’interno del Par.12.4 e nel testo di G.Pellicelli Il
Marketing, all’interno del Par.3, Cap.2, parte 5°.