4
dinamico che si evolve a seconda della capacità degli enti territoriali di
organizzarsi e svilupparsi in modo autonomo
2
.
E va, inoltre, smentita la presunta coincidenza tra il concetto di Stato
federale ed il concetto di federalismo: il primo infatti sta ad indicare una
forma di organizzazione politica che comporta la garanzia costituzionale
dell’autonomia di enti territoriali che vengono posti in grado di
concorrere alle funzioni statali; il secondo viene, invece, inteso come un
processo storico, come una concezione collaborativa dei rapporti politici
fra entità di diversa natura, con rapporti paritari
3
.
È, quindi, una sorta di processo storico-istituzionale che tende all’unità,
anche se si tratta dell’ “unità di diversi”
4
.
Il federalismo, quindi, è un principio che investe molteplici forme
dell’attività sociale e, quando è riferito ai rapporti politici , indica la
ripartizione del potere tra più entità e si realizza tramite diverse forme
giuridico-istituzionali, una delle quali è, appunto, lo Stato Federale
5
.
Prima della riforma del Titolo V della nostra Carta Costituzionale si è
acceso in Italia un intenso dibattito sul federalismo, dibattito che ha visto
contrapporsi il modello dello Stato Regionale e quello dello Stato
Federale, in quanto la scelta per il decentramento passa inevitabilmente
attraverso questi due modelli fondamentali.
2
TOMMASO EDOARDO FROSINI, Nell’emersione della conflittualità la necessità di
ridisegnare il federalismo, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, Settimanale di documentazione
giuridica, 9 Ottobre 2004.
3
GIUSEPPE DE VERGOTTINI, Voce Stato Federale in Enciclopedia del diritto Vol. XLIII.
4
GIANNI FERRARA, Eguaglianza e federalismo (ovvero del federalismo virtuoso e di quello
perverso) in Evoluzione dello stato delle autonomie e tutela dei diritti sociali. A proposito della
riforma del Titolo V della Costituzione. Atti dell’incontro seminariale sul Belvedere di San Leucio
(Caserta) 29 ottobre 1999, a cura di Lorenzo Chieffi, Cedam, Padova 2001.
5
ADELE ANZON, I poteri delle regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto
costituzionale, Cit.
5
Modelli che hanno sicuramente in comune l’esistenza di una comunità
con un proprio ordinamento ed una propria autorità, che è divisa al suo
interno in una serie di entità minori con ordinamenti parziali che hanno
validità ed efficacia limitatamente ai rispettivi territorio e cittadini, ma
che sono anche molto differenziati tra loro.
Esaminando lo Stato federale, e prendendo come prototipo quello
statunitense (in quanto si può affermare che il federalismo nasce a
Philadelphia nel 1787 con la firma della Carta Costituzionale americana),
possiamo desumerne un modello convenzionale che comporta alcuni
tratti tipici tra i quali: l’esistenza di un ordinamento statale unitario retto
da una propria costituzione; l’accettazione del principio della
separazione dei poteri; la garanzia di enti territoriali con propri
ordinamenti integrati in quello dello stato unitario; la subordinazione
degli ordinamenti degli enti politici territoriali alla costituzione dello
stato unitario; la ripartizione nella costituzione dello stato unitario delle
sfere di competenza proprie del primo e degli enti territoriali politici; la
partecipazione degli enti territoriali politici ad organi e procedimenti
connessi all’esecuzione delle funzioni dello stato unitario.
Svolgendo un’analisi di diritto comparato delle varie esperienze federali,
però, è possibile individuare anche delle differenze, ad esempio quanto
all’origine storica degli Stati federali, alcuni dei quali sono nati per
associazione di Stati indipendenti legati da un vincolo confederale (
come è accaduto negli Stati Uniti ed in Svizzera) o da comuni rapporti di
sudditanza, come nel caso delle ex colonie che si sono federate tra loro
nel momento dell’indipendenza (Australia, Canada), mentre altri si sono
formati per dissociazione di uno Stato unitario (come in Austria,
Germania, Argentina, Brasile, Messico) oppure per scelte di
6
trasformazione istituzionale interna (come nel caso del Belgio che nel
1993 si è trasformato da Stato regionale in Stato federale).
Per quanto riguarda l’altro elemento del dibattito, lo Stato regionale,
questo nasce più tardi dello Stato federale, nel XX secolo.
Tale forma definitoria è stata riferita ad ordinamenti di stati unitari le cui
costituzioni hanno riconosciuto le autonomie politiche territoriali solo a
seguito di periodi in cui è stato dominante il modello statale accentrato.
Come esempi di una graduale affermazione del ruolo costituzionale delle
autonomie territoriali emergenti dopo periodi di centralismo politico ed
istituzionale si possono citare il caso dell’Italia, della Spagna, del
Portogallo, del Belgio, ma anche, più di recente Inghilterra e Francia
6
.
Quanto ai caratteri dello Stato regionale, di cui in genere si parla a
contrario rispetto a quelli dello Stato federale, innanzitutto emerge che
le regioni non hanno autonomia costituzionale, ma statutaria. Altra
caratteristica dello Stato regionale è la forma di ripartizione territoriale
del potere basata su una Costituzione rigida, in cui vengono elencate le
materie di competenza delle regioni, mentre quelle residue spettano allo
Stato centrale.
Ciò si contrappone nettamente a quanto avviene per lo Stato federale,
ove la funzione normativa è ripartita in modo che al centro siano
riservati poteri determinati ed agli stati federati tutti gli altri poteri non
enumerati specificamente, compresi quelli residuali. Quanto alle funzioni
amministrative, queste in genere sono esercitate in base al principio del
parallelismo
7
rispetto alla funzione legislativa.
6
GIUSEPPE DE VERGOTTINI, Voce Stato federale in Enciclopedia del diritto Vol. XLIII
7
Principio in base al quale le funzioni amministrative spettano allo stesso ente che, nelle materie
che ne formano oggetto, è chiamato ad esercitare quelle legislative. Con la Riforma del 2001 è
stato accolto il principio opposto, della “dissociazione”, secondo cui le funzioni amministrative
sono assegnate ad enti diversi da quelli titolari di potestà legislativa sulle relative materie (la
legislazione spetta a Stato e Regioni, mentre le funzioni amministrative sono assegnate ai Comuni)
Antonio D’Atena, Le Regioni dopo il Big Bang, il viaggio continua, Giuffrè Editore, Milano 2005.
7
Ciò che è certo è che non esistono modelli precisi e ben definiti di
federalismo o di regionalismo, in quanto si tratta di espressioni che,
internamente, rappresentano situazioni tra di loro molto differenziate, sia
sotto il profilo storico che sotto il profilo politico ed economico.
Dato incontestabile è che la distinzione tra i due fenomeni dello Stato
federale e dello Stato regionale va necessariamente tenuta presente in
quanto molto importante nell’ambito della questione relativa alla
distribuzione territoriale del potere.
Lo Stato federale, infatti, viene generalmente percepito e qualificato
come una forma rafforzata per realizzare l’autonomia, a differenza dello
Stato regionale, visto invece come una forma più attenuata di
autonomia.
8
1.1.2 La Riforma del Titolo V e il pericolo di disuguaglianze.
Nonostante l’avvento della riforma in senso federale nel nostro Paese,
che ha sicuramente modificato l’architettura dello Stato italiano sia dal
punto di vista formale che funzionale, si ritiene precoce qualificare in
modo definitivo il sistema italiano come tale, ed anzi si può affermare
che il modello italiano resti ancora lontano dalle espressioni di un
federalismo compiuto
9
.
Infatti, anche se ormai nel nostro sistema è dato riscontrare meccanismi
ed elementi che possono certamente ricondursi e desumersi dagli
ordinamenti federali, e nonostante l’allargamento dei confini delle
8
CARLO AIME, Lo Stato federale e lo Stato regionale in Rivista n. 4, Edizione Tramontana 1996.
9
ANNA FALCONE, Tutela della salute ed organizzazione sanitaria nel nuovo titolo V della
Costituzione in Assistenza sociale e tutela della salute verso un nuovo welfare regionale-locale,
Philos Edizioni, Roma 2004.
8
competenze delle entità sub-statali, il sistema italiano può ancora essere
qualificato come uno Stato Regionale, anche se molto decentrato.
10
Ciò che può essere rilevato nell’ambito della situazione italiana è che,
con l’approvazione della Legge Costituzionale n. 3/2001, che ha anche
ottenuto il consenso popolare espresso con Referendum confermativo,
l’Italia si è avvicinata al federalismo, incamminandosi così per la strada
già percorsa da altri paesi ed avanzando, quindi, nel processo di
decentramento delle funzioni nell’ottica di un rafforzamento della
multidimensionalità delle relazioni istituzionali tra sistema delle
autonomie, Regioni e Governo nazionale, pur con la precisazione più
sopra rilevata per cui in Italia non può dirsi esistente un vero e proprio
federalismo.
Fenomeno parallelo a quello in discorso, che va certamente segnalato, è
quello costituito dall’adesione al principio della sussidiarietà che
presuppone un assetto fondato su di un criterio di distribuzione delle
competenze che lascia molto spazio alle competenze concorrenti,
consentendo di preferire il livello locale piuttosto che quello centrale
nell’erogazione delle prestazioni, in quanto il livello locale, essendo per
sua stessa natura più vicino ai cittadini, è certamente il più adatto ad
avvertire i bisogni della collettività e di conseguenza a soddisfarli.
L’introduzione del principio di sussidiarietà, infatti, dà luogo ad una
sorta di “sistema binario” che va a basarsi sulla relazione esistente tra
interessi generali ed interessi locali, ma è comunque sempre tendente
all’integrazione tra il centro e la periferia
11
.
10
MICHELE BELLETTI, Diritti costituzionali e regioni, in I diritti costituzionali, a cura di
Roberto Nania - Paolo Ridola, Vol. 3 Giappichelli , Torino 2006.
11
PAOLO RIDOLA, Il principio di sussidiarietà e la forma di stato di democrazia pluralistica in
Studi sulla riforma costituzionale: itinerari e temi per l’innovazione costituzionale in Italia a cura
di Angelo Antonio Cervati, Sergio Panunzio, Paolo Ridola, Giappichelli, Torino 2001.
9
Il testo della riforma in discorso ha modificato profondamente la
posizione dello Stato, soprattutto del legislatore e dell’amministrazione
statale, e quella delle regioni
12
, in quanto, in conformità all’impianto
federalista che lo ha ispirato, conferisce alle regioni piena dignità rispetto
allo Stato che non può più vantare, come accadeva in passato, la sua
generale prevalenza su tutti gli altri soggetti pubblici.
La riforma, però, ha anche suscitato forti timori per quanto riguarda
l’effetto di differenziazione e di disuguaglianza che il modello federale
può comportare, poiché, come è stato sostenuto da alcuni “la riforma
libera potenziali conflitti, data la maggiore autonomia di poteri
decisionali attribuiti a soggetti diversi”
13
.
E’ evidente, infatti, che una forma di distribuzione territoriale delle
competenze in senso decentrato può arrivare a creare una modalità di
tutela delle situazioni giuridiche diversificata sul territorio, e quindi
creare una sorta di concorrenza tra l’eguaglianza, da un lato, e
l’autonomia politica, dall’altro, potendo addirittura arrivare a mettere in
crisi l’assunto dell’universalizzazione dei diritti
14
.
Infatti una delle cause principali delle riserve che molti hanno nutrito
riguardo alla devoluzione è stata proprio la paura che essa potesse andare
ad incidere in modo negativo su principi fondamentali per il nostro
sistema, quali uguaglianza ed uniformità.
12
LUIGI SALVAGGIO, Il principio di sussidiarietà nella riforma del Titolo V della Costituzione
in Diritto & Diritti - Rivista giuridica on line.
13
BARBARA PEZZINI, Diritto alla salute e diritto all’assistenza tra tensione all’uniformità e
logiche della differenziazione in Sanità e assistenza dopo la Riforma del Titolo V: atti della
Giornata nazionale di studio – Genova 15/01/2002 a cura di Renato Balduzzi e Giuseppe di
Gaspare, Giuffrè Editore, Milano 2002.
14
ELEONORA CECCHERINI, Diritti sociali e principio di eguaglianza:la tutela della salute in La
potestà legislativa tra Stato e Regioni: atti del seminario di studio 23 maggio 2003, Facoltà di
Economia, Sede di Grosseto, dell’Università di Siena, a cura di Laura Ammanati – Tania Groppi,
Giuffrè Editore, Milano 2003.
10
Le differenze di natura demografica, economica e sociale esistenti nei
vari territori sono ovvie e presenti in tutti i sistemi federali, costituendo
proprio la ragion d’essere dell’emergere della “domanda di federalismo”,
ma, allo stesso tempo, sono anche il motivo principale che causa
difficoltà alla realizzazione concreta del progetto federale
15
, e che può
andare a compromettere l’effettivo rispetto del principio di uguaglianza.
Ecco perchè si è posta da subito la necessità di riaffermare che il
rapporto tra federalismo, su cui si è avviato il Legislatore costituzionale
italiano, ed eguaglianza dei diritti, principio fondamentale contenuto
nell’art. 3 della Costituzione, anche nella sua delicata e difficile
armonizzazione, è un rapporto che deve necessariamente trovare una
combinazione in una ripartizione equilibrata e chiara del potere tra Stato
ed autonomie.
Ciò che deve essere verificato è se il decentramento che è stato operato
dalla riforma sia stato adeguatamente accompagnato da meccanismi
“riequilibratori”, perché in mancanza di questi meccanismi la
decentralizzazione comporta un pericolo: quello che si vadano a creare
differenze di trattamento tra i cittadini in relazione al luogo ove essi
risiedono
16
.
Timore, quello suscitato all’indomani dell’avvento della riforma del
Titolo V della nostra Costituzione, del resto giustificato se solo si pensa
al fatto che già le forme federative primitive davano luogo, al loro
15
FRANCESCO TARONI, Livelli essenziali di assistenza, ipotesi “federali” e futuro del servizio
sanitario nazionale in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e
progetto di devolution. Atti del Convegno – Genova, 24 febbraio 2003, a cura di Renato Balduzzi
Giuffrè Editore, Milano, 2004.
16
GIANPIERO COLETTA, L’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione come rimedio alla
frammentarietà del sistema in Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, a cura di Lorenzo Chieffi e Guido
Clemente Di San Luca, Giappichelli, Torino, 2004.
11
interno, a diversità di status e, conseguentemente, all’emersione di
posizioni di superiorità e di dominio.
Basti riflettere sul fatto che i federalisti più “convinti” ritengono, si, che
l’uguaglianza sia il presupposto necessario per la conservazione della
libertà, ma ritengono anche che, nel conflitto tra libertà ed eguaglianza,
vada maggiormente tutelata la prima, e ciò ovviamente a scapito del
principio fondamentale dell’eguaglianza.
Come dire che si debba essere disposti, al fine di conservare la libertà, a
sacrificare una consistente dose di eguaglianza, perché così facendo si
riuscirebbe comunque ad ottenere un’uguaglianza, che sarebbe però solo
“significativa” e non assoluta.
L’eguaglianza assoluta, del resto, non sarebbe nemmeno sempre
perseguibile per i federalisti, perché contrastante con la stessa natura
umana, e se si sacrificasse la libertà a favore dell’eguaglianza si
correrebbe il rischio di perderle entrambe.
Se è vero che il federalismo è per sua natura basato sul riconoscimento
delle differenze e sulla volontà di salvaguardarle, è chiaro, per i
federalisti, che ciò va contro la teoria dell’eguaglianza
17
.
Il federalismo di cui si parla sembra essere estremamente connotato dalla
chiusura territoriale, dal particolarismo, sembra essere un federalismo
che tende troppo all'autonomia sostituendosi, così, al federalismo di tipo
più cooperativo, in una sorta di rovesciamento del concetto stesso.
Tale modo di inquadrare il federalismo fa si che si vada a verificare una
sua scissione dal principio di eguaglianza, scissione che può addirittura
17
DANIEL J. ELAZAR, Idee e forme del federalismo, Edizioni di comunità, Milano, 1995.
12
arrivare a causare una rottura ancora più profonda, ossia quella dell’unità
politica e sociale e quindi del senso di una Repubblica
18
.
Quello che non può, e non deve, essere accettato di tale modo di pensare
è la convinzione che sia del tutto logico e naturale, nel conflitto tra
libertà ed eguaglianza, sacrificare quest’ultima per poter assicurare la
conservazione della prima, quando invece è ovvio che tali due valori
vadano egualmente tutelati e preservati, in quanto principi cardine di
ogni ordinamento, ed in quanto, inoltre, profondamente connessi tra di
loro, tanto che sacrificarne uno a vantaggio dell’altro potrebbe portare
all’affievolimento di entrambi.
Il fatto che il federalismo possa essere visto come un mezzo in grado di
tutelare le diversità non può però arrivare a giustificare e legittimare una
compressione dell’eguaglianza.
Non va dimenticato, infatti, che il federalismo è stato visto come un
processo comunque tendente all’unità, anche se si tratta dell’unità di
diversi, e che l’unità trova, nell’eguaglianza, il suo fattore determinativo.
Le esigenze che vengono messe in evidenza dal diritto costituzionale e
dal carattere inviolabile ed inderogabile dei diritti fondamentali portano a
riflettere sul fatto che le diversità inevitabilmente esistenti in uno Stato
devono necessariamente incontrare un limite, quello dell’uguaglianza,
perché nessun tipo di diversità può essere comunque in grado di
giustificare la compressione dell’eguaglianza sostanziale
19
.
18
GIANNI FERRARA, Eguaglianza e federalismo (ovvero del federalismo virtuoso e di quello
perverso) Cit.
19
SILVIO GAMBINO, Diritti sociali e stato regionale. L’esperienza italiana nell’ottica
comparatistica in Evoluzione dello stato delle autonomie e tutela dei diritti sociali. A proposito
della riforma del Titolo V della Costituzione. Atti dell’incontro seminariale sul Belvedere di San
Leucio (Caserta) 29 ottobre 1999, a cura di Lorenzo Chieffi, Cedam, Padova 2001.
13
1.1.3. La ricerca dell’equilibrio tra autonomia ed unità: l’art. 117, 2°
comma, lett. m) Cost.
Il modello federale, pur nel suo essere strumento di tutela delle diversità,
è comunque tendenzialmente orientato verso l’integrazione tra il centro e
la periferia, e tale integrazione viene in parte assicurata attraverso la
predisposizione di clausole generali che hanno il compito di sostenere e
di realizzare l’equilibrio tra autonomia ed unità, contemperando, così,
libertà ed eguaglianza.
E come una clausola di tale tipo può essere vista quella di cui alla lett. m)
2° comma, art. 117 Cost, secondo cui spetta alla competenza legislativa
statale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali
20
, perché orientata a perseguire lo
scopo di preservare la coerenza fra il rafforzamento delle autonomie,
inevitabilmente conseguente all’orientamento in senso federale, e la
salvaguardia del principio di coesione e di solidarietà.
Tale disposizione, infatti, si oppone alla frammentarietà del sistema ed ai
rischi che conseguentemente ne derivano in termini di mancato rispetto
dei principi fondamentali che caratterizzano l’assetto costituzionale.
A riprova di ciò sta anche il fatto che la dottrina ed il Giudice delle leggi
si sono cimentati nell’opera di interpretazione di tale disposizione per
tentare di trovare il necessario punto di equilibrio tra l’autonomia
regionale, consolidata grazie al decentramento delle competenze
legislative ed amministrative, e le fondamentali esigenze di uniformità ed
aterritorialità che il nuovo Titolo V della Costituzione ripropone nella
20
ART. 117, 2° comma, lett. m) Costituzione.
14
tutela dei diritti sociali, collegandoli in maniera ancora più forte ai
principi di eguaglianza e solidarietà
21
.
Grazie a tale disposizione l’uniformità e le peculiarità territoriali
dovrebbero andare a comporsi in un quadro unitario, in grado sia di
salvaguardare l’indivisibilità della Repubblica ed il principio della
cittadinanza sociale, sia di tutelare le diversità sociali, economiche e
territoriali da sempre presenti nel Paese.
Giova ricordare che la riforma del Titolo V della Costituzione ha
apportato molte innovazioni nel sistema italiano, ridisegnando le
tecniche di attribuzione delle competenze tra i diversi livelli di governo.
Nell’ottica dell’avvicinamento al modello federale, infatti, è stato
introdotto un principio certamente riconducibile ad esperienze di questo
tipo: l’inversione del criterio di conferimento delle competenze.
Il legislatore nazionale oggi, a differenza di quanto avveniva nel
precedente sistema, non ha più una competenza generale, ma si muove
all’interno di ambiti enucleati in modo tassativo in Costituzione. La
potestà legislativa generale va, infatti, a transitare in capo alle Regioni,
presentando però dei limiti e delle peculiarità che vanno a
ridimensionarne l’ampiezza rispetto all’esclusività della competenza
legislativa statale.
Nel nuovo art. 117 Cost., sono presenti, inoltre, tipologie di potestà
statali che sono sicuramente in grado di incidere in modo diretto
sull’autonomia legislativa regionale, sia di legislazione concorrente, sia
di competenza esclusiva. Si tratta di elementi in grado di assicurare il
necessario contesto unitario anche nelle materie in cui le regioni hanno
competenza piena.
21
GIOVANNI GUGLIA, I livelli essenziali delle prestazioni sociali alla luce della recente
giurisprudenza costituzionale e dell’evoluzione interpretativa, Cedam, Padova, 2007.
15
Il riferimento è a quelle che vengono definite “competenze trasversali”,
di esclusivo dominio statale, che si sostanziano in una serie di
competenze capaci di riequilibrare, in chiave unitaria, le possibili
diversità regionali nelle materie ad esse affidate.
Nell’ambito di tali competenze troviamo, tra le altre, la “determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” prevista
dall’art. 117, secondo comma, lettera m).
Tale previsione risponde sicuramente ad esigenze unitarie e di
eguaglianza, in quanto va a garantire l’effettiva tutela dei diritti sociali e
del principio di uguaglianza tra gli individui, va ad impedire, perciò, che
la maggiore autonomia che oggi è stata riconosciuta alle regioni diventi
una possibile fonte di disparità territoriali nelle prestazioni sociali a
causa del divario economico e sociale che esiste tra le diverse parti del
territorio.
L’articolo in questione, infatti, riservando alla legislazione statale la
competenza esclusiva quanto alla determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e stabilendo che tali
livelli devono necessariamente essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, senza distinzioni di sorta, non fa altro che porsi l’obiettivo di
assicurare a tutti i cittadini la parità di trattamento indipendentemente dal
luogo della loro residenza, allo scopo di garantire i principi costituzionali
dell’eguaglianza e dell’unità della Repubblica
22
.
Tale disposizione, insomma, va a garantire quel nucleo di prestazioni che
formano il fattore unificante della cittadinanza sociale, evitando, in
22
GIANPIERO COLETTA, L’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione come rimedio alla
frammentarietà del sistema Cit.
16
questo modo, che si corra il rischio di una frammentazione di tale
cittadinanza nelle diverse parti del territorio nazionale.
In tale modo si controbatte all’”ideologia” di quel federalismo troppo
particolarista che sosteneva si potesse, e dovesse, sacrificare una certa
quota di uguaglianza fra gli individui, al fine di poter garantire la libertà
degli stessi.
Si può, quindi, affermare che la normativa attualmente in vigore vada a
delineare un sottile equilibrio tra due valori: da un lato quello
dell’universalismo nell’accessibilità dei beni comuni da riconoscere a
tutti i membri della comunità politica nazionale, e dall’altro il rispetto e
la promozione dell’autonomia e della responsabilità delle comunità locali
che significa, si, dare maggiore spazio alle decisioni che siano più vicine
alle preferenze locali, ma che significa anche che in questo modo
possono realizzarsi differenze nei servizi pubblici a livello locale
23
.
Uno dei settori in cui si può certamente registrare una forte opposizione
alla logica della differenziazione è proprio quello relativo all’argomento
qui in esame, ossia alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, che sembra andare ad incarnare una
sorta di specificazione dei principi costituzionali dell’eguaglianza e
dell’unità della Repubblica.
Questo sembra essere, infatti, il terreno sul quale si gioca in modo
importante la resistenza alle spinte che invece tendono a sviluppare, e ad
incrementare, la differenziazione che è implicata nel nuovo quadro
costituzionale
24
.
23
FRANCESCO TARONI, Livelli essenziali di assistenza, ipotesi “federali” e futuro del servizio
sanitario nazionale Cit.
24
FRANCESCO PIZZETTI, Attuazione e completamento del Titolo V della Parte II della
Costituzione, in Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione fra
attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, a cura di Lorenzo Chieffi e Guido Clemente Di San
Luca, Giappichelli, Torino, 2004.
17
Sempre tenendo presente, però, che la previsione da parte dello Stato dei
livelli essenziali di garanzia relativamente alle prestazioni sociali da
erogare su tutto il territorio nazionale potrebbe essere in grado di ridurre,
ma non di eliminare totalmente il divario esistente nel godimento dei
servizi sociali forniti dalle varie regioni. E sempre tenendo presente,
inoltre, che contemperare diversità ed omogeneità non è operazione
facile.
Oggi, comunque, le esigenze di garanzia dell’unità si sono estese
all’uniformità nella garanzia dei diritti sociali, diritti la cui fruizione deve
essere assicurata in modo eguale in tutto il territorio nazionale, non
dovendo essere condizionata, è bene ribadirlo, dalla residenza del
cittadino in questa o quella parte dello Stato, condizionamento che
rischia di verificarsi in un ordinamento federale.
Emerge quindi, in tale clausola, il carattere della aterritorialità, diretta ad
eliminare le differenze territoriali nell’offerta dei servizi che non
possono essere accettate oltre un certo limite, che è appunto costituito dal
livello essenziale, potendo altrimenti andare a significare sacrificio dei
diritti inderogabili.
Nell’ottica revisionistica orientata al federalismo che ha interessato il
nostro Paese e nel dibattito che ne è conseguito sono, quindi, i livelli
essenziali delle prestazioni ad essere maggiormente interessati.
In Italia i contesti regionali, come già rilevato, sono molto differenziati
tra di loro. E le inevitabili diversità esistenti tra una Regione e l’altra
ovviamente possono diventare causa di discriminazione e di
disuguaglianza per i cittadini residenti al loro interno.
Ecco perché si è diffusa la convinzione della necessità di uno Stato che
deve garantire e salvaguardare i diritti fondamentali di tutti i soggetti
destinatari. Una sorta di “supervisore” in grado di porre rimedio