3
1. Le mansioni ai sensi dell’art. 2103 cod. civ.
L’art. 2103 c.c. rappresenta una norma cardine del nostro ordinamento
in materia di diritto del lavoro, contenendo la disciplina di due istituti
fondamentali nell’ambito del rapporto di lavoro: le mansioni e il
trasferimento del lavoratore.
La prestazione lavorativa dedotta in u n contratto di la voro, ha
obbligatoriamente ad oggetto lo svolgimento di un’attività, di un
facere. Ovviamente tale attività deve essere individuata al fine di
rispettare uno dei concreti requisiti del contratto, la determinazione o
la determinabilità dell’oggetto (art.1346 c.c.).
Per stabilire di quale attività lavorativa si tratti, si è soliti indicare le
“mansioni”, ossia l’insieme di compiti che il lavoratore è chiamato a
svolgere e per i quali è stato assunto, che altresì, iden tificano la
posizione di lavoro del soggetto.
1
Un’intera organizzazione produttiva è scomponibile in una
molteplicità di mansioni che possono essere ripartite tra i vari
lavoratori di un ciclo produttivo. Ogni mansione, tuttavia, è diversa da
un’altra e per tal motivo può avere un rilievo superiore o inferiore,
determinato e classificato in base al trattamento economico riservato a
quel determinato incarico. Un’attività specializzata, che nel mercato
pochi soggetti conoscono e sono in grado di esercitare, non può in
alcun modo essere posta sullo stesso livello di un’attività che chiunque
1
Così Ghera E., Diritto del lavoro , Bari, 1998, pag.134. Interessante, nonché più
articolata, è la definizione di Cardarello C., Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro ,
Milano, Giuffrè, 2003 pag. 60, per cui la mansione è "quel complesso di attività, compiti
e funzioni che il lavoratore, in relazione al suo inquadramento derivante dalla legge e
dalla contrattazione, collettiva e/o individuale, è obbligato a svolgere a favore del datore
di lavoro".
4
potrebbe compiere, in quanto i diversi compiti (mansioni) che un
soggetto è chiamato a svolgere possono richiedere diverse abilità, una
diversa preparazione e quant’altro. L’inquadramento unico, non ha
solo attuato un’eliminazione nominale della distinzione tra operai e
impiegati, ma ha creato una nuova scala di categorie contrattuali, in
cui al medesimo livello possono trovarsi tanto impiegati quanto
operai.
2
Non si attua più, in sostanza, un modello gerarchico articolato
su categorie legali, bensì una classificazione in 7/8 categorie che
comportano livelli retributivi diversi, l’appartenenza ai quali, è
determinata dalle definizioni delle caratteristiche dell’attività prest ata
(declaratorie) e dell’elencazione di profili professionali specifici
(esemplificazioni). In altri termini, sono gli adempimenti professionali
del lavoratore che, dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro,
s’identificano nella posizione di lavor o, mentre, dal punto di vista
della struttura dell'obbligazione di lavoro, rappresentano l'oggetto
della prestazione di lavoro.
L’art. 2103 comma 1 c.c., sostituito dall’art. 13, l. 20 maggio 1970 n.
300 (c.d. Statuto dei Lavoratori), prevede che “ il prestatore di lavoro
3
deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a
quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime
effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.
Sono diversi gli aspetti da evidenziare.
2
D. Napoletano, Categorie, qualifiche e mansioni nel rapporto in Il rapporto individuale
di lavoro, Novara, vol. VIII,1968.
3
Cfr. art. 3, comma 1, l. 9-12- 1977, n. 903 ( Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro); art. 3, comma. 3, d.l gs. 26 -3-2001, n. 151 ( T.U. maternità e
paternità); d.lgs. 9 -7-2003, n. 216 (Parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro).
5
Questa è una norma che, in primo luogo, deve necessariamente essere
considerata ‘speciale’ e allo stesso tempo di ‘protezione’ del
lavoratore, per preservalo dai danni che andrebbero a ledere quella
sfera di professionalità, con conseguente compromissione delle
aspettative di miglioramento all’interno o all’esterno dell’azienda.
4
. E’
riconosciuto un valore superindividuale, dell’essere cioè tesa non solo
alla salvaguardia della dignità della personalità del singolo ma alla
tutela del più elevato e ampio ‘ interesse della collettività che il
patrimonio di nozioni, esperienza e perizia acquisita dal lavoratore
nell’esercizio dell’attività non venga sacrificato alle esigenze
dell’organizzazione aziendale del lavoro e al profitto dell’impresa’.
5
Il potere di assegnazione delle mansioni ai dipendenti ha il limite
dell’equivalenza delle mansioni stesse. Il concetto richiama altresì
alla mente sinonimi quali quelli di comparabilità, corrispondenza,
affinità, similarità, fungibilità, indicando con il termine quelle
mansioni che non comportano una diversa posizione del lavoratore
nella gerarchia dell’impresa e che gli garantiscono lo svolgimento e
l’aumento delle proprie capacità professionali. La secon da parte
dell’art. 2013 c.c. riguarda la facoltà del datore di lavoro di adibire il
lavoratore alle mansioni equivalenti alle ultime svolte, ossia
quell’insieme di compiti inizialmente convenuti. Con la modifica
dell’art. 13 della legge n. 300/70, l’equiva lenza viene riferita ad un
elemento oggettivo e determinato quale appunto la mansione. Non vi
è, quindi, più alcun riferimento al generico e ampio concetto di
posizione sostanziale considerata precedentemente. Di conseguenza, si
ha equivalenza di mansioni quando i nuovi compiti assegnati
4
C. Cost., 6 aprile 2004. N. 113, in www.utetgiuridica.it.
5
Così letteralmente Cass. 27 maggio 1983, n. 3671, cit.
6
consentono al prestatore di utilizzare e al contempo accrescere la
professionalità acquisita. La Cassazione, da qualche tempo, ha
precisato che l’accertamento dell’equivalenza, deve essere compiuto
dal giudice di merito, cu i la valutazione è riservata, in relazione non
solo alle astratte classificazioni contrattuali, ma anche riguardo
all’attività effettivamente svolta dal lavoratore, assumendo rilievo
altresì l’idoneità o meno delle nuove mansioni ad arricchire il
patrimonio professionale del lavoratore.
6
L’orientamento è
pienamente consolidato. Poiché la norma fa riferimento
all’equivalenza delle mansioni alle “ ultime effettivamente svolte”, si è
ritenuta insufficiente la mera comparazione al livello contrattuale in
cui le stesse risultano inquadrabili, costituendo essa solo il primo
momento di analisi, dovendosi avere inoltre riguardo, per la
sussistenza di equivalenza in concreto, di diversi elementi quali il
contenuto delle mansioni, il grado di autonomia nell’esercizio delle
stesse, la posizione del dipendente nel contesto organizzativo del
lavoro, il tempo di esercizio delle medesime;
7
in altri termini il
concetto di equivalenza di mansioni non va valutato in astratto ma in
concreto, tenendo conto della reale natura e delle concrete modalità di
svolgimento. Si è così ritenuta illegittima l’assegnazione del
lavoratore a nuove mansioni non aderenti alla sua specifica
competenza tecnico -professionale e che non gli consentano la piena
6
Cass. Civ., sez. lav., 2 luglio 1992, n. 8114; Cass. Civ., sez. lav., 3 novembre 1997, n.
10775; Cass. Civ., sez. lav., 11 gennaio 1995, n. 276; Cass. Civ., sez. lav., 17 marzo
1999, n. 2428; Cass. Civ., sez. lav., 10 agosto 1999, n. 8577; Cass. Civ., sez. lav., 21
luglio 2000, n. 9623; Cass. Civ., sez. lav., 16 luglio 2002, n. 7967; Cass. Civ., sez. lav., 4
luglio 2002, n. 14150; Cass. Civ., sez. lav., 12 gennaio 2006, n. 425; Cass. Civ., sez.
lav.,6 marzo 2006, n. 4766.
7
A. Occipinti – G. Mimmo, Mansioni superiori e mansioni equivalenti , Milano, Giuffrè,
vol. XIV, 2002.
7
attuazione o addirittura l’arricchimento del patrimonio professionale
acquisito nella fase precedente del rapporto.
Il conferimento della prestazione lavorativa nell’impresa, attraverso
l’esplicazione di specifici compiti, attività e incarichi professionali, è
notoriamente caratterizzato dal pr incipio della contrattualità delle
mansioni.
8
Il primo comma dell’art. 2103 c.c. nel disporre che il
lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto, sancisce il principio in forza del quale la prestazione
lavorativa deve essere c onvenuta dalle parti al momento
dell’instaurazione del rapporto di lavoro e non già in un momento
successivo. E’, infatti, necessario l’accordo bilaterale in ordine
all’oggetto della prestazione, per cui viene ad instaurarsi lo specifico
contratto di scambio, caratterizzato corrispettivamente da retribuzione
e diritti normativi del lavoratore. Tale principio si arricchisce di un
obbligo di informazione gravante sul datore di lavoro e trova la sua
codificazione legale nell’art. 96 delle disposizioni di attuazione del
codice civile, ove il legislatore ha disposto che “ l’imprenditore deve
far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la
categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle
mansioni per cui è stato assunto”. Ecco che la mente del legislatore,
considera le mansioni come un qualcosa di certo, dalla quale non è
dato prescindere. Queste costituiscono l’oggetto specifico
dell’interesse che ha spinto il datore di lavoro ad avvalersi dei servizi
di un certo lavoratore in possesso di requisiti e capacità utili. Una
volta che il prestatore di lavoro viene assunto per svolgere una data
mansione, gli verranno altresì attribuite la categoria e la qualifica
8
C. Toesca di Castellazzo, L’occasione e la contrattualità del lavoro in Rassegna della
previdenza sociale, Roma, 1993.
8
corrispondenti.
9
La Corte costituzionale ha poi aggiunto che ne lla
determinazione delle mansioni e dei conseguenti livelli retributivi,
l’autonomia del datore di lavoro, cui spetta l’organizzazione
dell’azienda, è fortemente limitata dal potere collettivo, ossia dai
contratti collettivi e dai contratti aziendali. Il datore di lavoro può
assegnare al lavoratore mansioni superiori, ovvero equivalenti a quelle
attribuite in sede di stipula del contratto individuale di lavoro, ma, in
questo caso, deve fare salva l’immutabilità del trattamento economico
rispettando il principio della irriducibilità della retribuzione che
discende dal disposto del comma 1 dell’art. 2103 c.c., così come
modificato dall’art. 13 della legge n. 300 del 1970. Difatti, l’articolo
stabilisce che il lavoratore, nell’essere assegnato ad una nuova
mansione, non deve subire diminuzioni nel trattamento retributivo
precedentemente goduto.
2. Lo ius variandi*
Abbiamo visto come per “mansioni” s’intende l’insieme dei compiti
che il lavoratore è chiamato a svolgere. Il contratto di lavoro, tuttavia,
è l’unico contratto in cui l’oggetto possa essere modificato
unilateralmente da una parte, cioè dal datore di lavoro, al contrario
della generalità di contratti in cui occorre il mutuo consenso di
entrambi i soggetti. Ciò è previsto dall’art. 2103 c.c., che nel suo testo
originario prevedeva non solo la possibilità del datore di modificare le
mansioni, nell’interesse dell’impresa, per cui il lavoratore era stato
assunto, ma anche l’eventualità che fossero le parti di comune accordo
a stabilire una modifica delle mansioni. Nell'ambito del rapporto di
9
C. cost., 16 marzo 1989, n. 108, in www.utetgiuridica.it.
* Massimiliano Giua, Cosa succede quando il lavoratore viene “demansionato”?,
in Diritto&Diritti nel maggio 2004 - https://www.diritto.it/articoli/lavoro/giua.html
* Daria Perrone, Tutela giuridica del lavoratore a seguito di demansionamento,
in www.overlex.com - http://www.overlex.com/stampa.asp?id=1619&txttabella=articoli
9
lavoro, la prestazione di lavoro che il lavoratore è tenuto a garantire,
viene identificata in base alle mansioni assegnate allo stesso. Tuttavia,
nel corso dell'esecuzione del contratto di lavoro, la prestazione è
soggetta a variazioni rispetto a quella iniziale, modifiche che possono
essere dovute o ad esigenze organizzative dell'impresa o a modifiche
unilaterali del datore di lavoro e questo è il c. d. jus variandi .
10
La
norma pone precisi limiti a quello che viene defin ito lo ius variandi
del datore di lavoro, ossia il potere di quest’ultimo di modificare, nello
specifico, le mansioni e la sede di lavoro, al fine di renderli più
confacenti alle esigenze aziendali.
L’art. 2103 c.c. è stato novellato dall’art. 13 dello Sta tuto dei
lavoratori del 1970, il quale non solo ha eliminato la differenza tra
mutamento unilaterale e mutamento consensuale ma, pur
riconoscendo il ius variandi dell’imprenditore, ha stabilito che sia
possibile una variazione di mansioni solo orizzontale o verticale verso
l’alto, essendo impossibile una dequalificazione del lavoratore.
11
È
riconosciuta e permessa una certa mobilità al lavoratore all'interno
dell'azienda, facendo emergere la possibilità di un'adibire il lavoratore
a mansioni diverse, anche per disposizione unilaterale del datore, in
sostanza, di un "transitorio diritto di mobilità interna".
12
La mobilità
"endoaziendale"
13
consentita, è solo quella orizzontale o verso l'alto.
10
M. Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi , Napoli , ESI, 2000.
11
Da segnalare come alcuni autori non ritengono più esistente lo ius variandi per volontà
unilaterale del datore, e richiedono necessariamente la consensualità per qualsiasi
mutamento di mansioni, sia orizzontali che verticali. Questo orientamento tuttavia non è
seguito dalla maggioranza di giurisprudenza dottrina. Cfr. per un approfondimento sul
tema Lanotte M., op. cit., pag. 206, e i riferimenti bibliografici ivi richiamati.
12
Così L. Bonaretti, Danno biologico nel rapporto di lavoro, p.79, che traccia un’ampia
panoramica d’inadempienze.
13
Così C. Cardarello, Mansioni e rapporto di lavoro subordinato; categorie, profili
retributivi, principi generali, mansioni equivalenti, promiscue, vicarie, superiori,