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INTRODUZIONE
“Una compagnia di ricci, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini,
per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto,
però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di
nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a
stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano
sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una
moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore
posizione.” (A. Schopenhauer)
Questa tesi è nata con l’intento di indagare a fondo uno dei grandi malesseri ai
quali spesso incorrono le donne, la maggior parte delle volte troppo sole o
spaventate per rivolgersi a qualcuno: la depressione post partum.
La depressione post partum è una patologia molto frequente che può presentarsi
con vari livelli di gravità e diverse sintomatologie. Spesso sottovalutata sia dal
personale medico, ma soprattutto dal partner e dai familiari, che in questo modo
non possono essere di supporto per la donna che rischia di sentirsi sola e
incompresa.
La depressione è un po’ come la storia dei ricci, metafora utilizzata da
Schopenhauer, in cui l’eccessiva vicinanza tra gli animali fa loro del male e lo
stesso avviene per la troppa lontananza. L’unico modo per trarre beneficio da un
rapporto risiede nel trovare il giusto equilibrio che permetta di non essere né
troppo vicini, né troppo lontani e trovare dunque la giusta distanza. La
sintomatologia depressiva tende a rendere il rapporto tra la madre ed il proprio
bambino o troppo vicino o troppo lontano, in ogni caso nocivo per entrambi.
Solo nel momento in cui si guarisce da questa malattia sarà possibile
comprendere qual è la giusta distanza da tenere in un rapporto, così che nessuno
possa uscirne leso ed entrambi possano trovare giovamento dalla relazione.
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Le spine non sono altro che i comportamenti sbagliati che fanno del male a chi li
riceve, e questo è quello che comporta la depressione: porta ad un malessere
nella donna che con i suoi comportamenti si relaziona con il bambino in maniera
sbagliata, facendo nascere in lui degli stati affettivi negativi. Questo si ripercuote
sul bambino che a sua volta impara a comportarsi di conseguenza, azionando
misure difensive che si traducono in comportamenti che fanno del male alla
mamma proprio come delle spine.
Nella tesi si affronta il problema della depressione evidenziando in particolare la
difficoltà per la madre di riconoscere, ma soprattutto accettare, i primi segnali di
disturbo. Il primo sintomo solitamente è l’alterazione dell’umore che spesso può
essere confuso con il normale assestamento fisiologico che avviene dopo il parto.
E’ importante che la donna sappia di poter contare sul proprio partner, sui
familiari e sugli amici affinché possa sentirsi protetta e sostenuta in questo
periodo importante della vita, un periodo meraviglioso, che però per alcune
donne può tradursi in un’esperienza traumatica che spesso si riversa anche sul
bambino.
La nascita di un figlio, infatti, rappresenta un evento importante nella vita della
donna che si trova ad affrontare una situazione nuova caratterizzata dalla
presenza di una nuova vita che ha bisogno di essere accudita, che si affida
completamente nelle sue mani e questo può comportare un senso di impotenza
nella donna, la quale potrebbe non sentirsi all’altezza di questo nuovo compito.
Queste paure vengono coltivate anche a causa della stanchezza fisica che si
accumula durante il parto e spesso le donne si trovano a dover tornare nella
propria casa ancora fisicamente debilitate e con una creatura da accudire.
Le ansie che questa situazione può scatenare sono quasi inevitabili, a meno che
la donna non senta accanto a sé il costante sostegno e l’assidua comprensione da
parte di chi le sta intorno che le permetta di non intraprendere da sola questo
cammino che le appare difficile, e che le dia la possibilità di poter contare
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sull’aiuto di chi la ama per ogni difficoltà che incontra durante l’accudimento del
proprio piccolo.
Il periodo della gravidanza e, successivamente, della nascita del bambino
rappresentano un passaggio importante della vita della donna in cui il ruolo di sé
come madre va a riaffiorare i vissuti di figlia, e dunque c’è un recupero dei
rapporti che la donna aveva con i propri genitori, in particolare con la propria
madre. Tutto questo avviene attraverso una prima fase di crisi interiore per poi
essere sostituita da un progressivo riassestamento psichico che produce un
equilibrio interiore nella donna, indispensabile per intraprendere con fiducia e
responsabilità il nuovo ruolo che si appresta ad interpretare.
Durante la gravidanza succede che la madre cominci a rappresentarsi nel proprio
immaginario il piccolo che nutre nel grembo. Queste fantasie non solo
rappresentano la normalità, ma sono anche necessarie. L’identità della donna
andrà a fondersi con quella del bambino, tanto che nelle prime fasi del post
partum ci sarà una totale identificazione della madre con il proprio figlio, come
se fossero una sola persona. Solo dopo qualche settimana, grazie alle
rappresentazioni fatte in precedenza, la donna sarà in grado di immaginarsi il
piccolo come altro da sé e la madre sarà in grado di mettere in relazione il
bambino immaginario, la cui immagine era stata fantasticata nella sua mente
durante la gravidanza, e il bambino in carne ed ossa che la donna si trova di
fronte dopo il parto, il quale sarà oggetto di cure e di preoccupazioni da parte
della mamma.
E’ proprio questa capacità di immaginarsi il proprio bambino prima della nascita
che permette alla donna di entrare in relazione con lui e cominciare a
fantasticare sui suoi bisogni, ma anche sulle paure e le ansie che un bambino
comporta. Questa capacità è strettamente connessa con la vita affettiva e
relazionale della madre. Infatti, rapporti conflittuali con la propria famiglia di
origine e con il proprio partner determinano l’incapacità della donna di costruirsi
una rappresentazione del proprio bambino.
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Da questo deriva poi il tipo di attaccamento che il bambino instaura con la
propria mamma. Un attaccamento di tipo sicuro è sintomo di una tranquillità e
rapporto equilibrato tra i due partner interattivi, ma quando la mamma è
depressa, difficilmente riuscirà a stabilire un rapporto positivo con il piccolo, il
quale spesso si troverà ad avere rapporti con una madre incoerente e poco
sensibile ai suoi bisogni.
L’attaccamento, descritto da John Bowlby, non è altro che un modello operativo
interno che il piccolo elabora attraverso l’interazione con l’ambiente e con la
figura principale di riferimento. Se il bambino riceve segnali di cura e protezione
nei confronti di stimoli esterni, allora elabora un attaccamento mediato da affetti
positivi. Ma se una madre non riesce ad essere coerente nelle risposte, e se
queste arrivano al piccolo cariche di ansia e preoccupazione, il bambino non
avverte quel senso di protezione necessario ad instaurare affetti positivi e
imparerà a rispondere a questi stimoli attraverso comportamenti che possano
preservare la propria affettività, determinando l’instaurarsi di un attaccamento
di tipo insicuro.
In questo modo si innesca un circolo vizioso, in quanto la mamma avverte
maggiori preoccupazioni sulla base delle risposte di allontanamento che il
proprio bambino le invia, come istinto di protezione per la propria incolumità
affettiva e di conseguenza questo comportamento produce nuove ansie e
preoccupazioni nella madre che avverte così un senso sempre maggiore di
insicurezza e sfiducia in se stessa.
Risulta importante, dunque, intervenire precocemente sui sintomi depressivi, per
evitare conseguenze sia per la mamma sia per il bambino. I primi sintomi
possono essere di natura ambigua, ma evitare di sottovalutare la situazione è
importante per ridurre il rischio di ricadute gravi sulla salute psico-fisica dei
soggetti interessati.
Un giusto intervento deve iniziare dalla prevenzione, resa possibile solo nel
momento in cui il personale medico che interagisce con la donna durante la
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gravidanza e il post partum, come ginecologi ed ostetrici, è adeguatamente
informato sui sintomi della depressione e sugli interventi da mettere in atto. E’
importante che questi professionisti abbiano sempre in considerazione l’idea per
cui una donna che diventa mamma si trova in un periodo particolarmente
delicato della vita, che comporta un riassestamento della propria identità.
Non sempre, però, è possibile individuare la depressione post partum prima del
suo insorgere. In questo caso bisognerà mettere in atto interventi di recupero
per la serenità materna e la riduzione del disagio che la patologia provoca.
Spesso questi interventi non sono indirizzati solo alla donna, ma chiamano in
causa anche il partner e i familiari e gli amici più vicini alla donna, in modo che
possano contribuire a darle il sostegno necessario per affrontare le paure che
una gravidanza comporta.
Il partner deve essere reso partecipe delle gioie e dei dolori che un nuovo arrivo
in famiglia può comportare, e spesso deve porsi da un lato come una valvola di
sfogo per la donna, come recipiente per le paure e le ansie della madre, che in
questo modo possono essere scaricate e confidate, e dall’altra parte si rende
partecipe di un contesto, diade madre-figlio, dal quale l’uomo spesso è escluso,
almeno per i primi periodi successivi al parto.
La depressione se presa in tempo non nuoce alla donna né tanto meno al
rapporto madre-figlio che spesso ne risulta gravemente compromesso. Questo
rapporto si presenta come una base importante per lo sviluppo futuro del
bambino, sia fisico che psicologico. Un affetto positivo da parte della madre
produce sicurezza nel piccolo e grande capacità di rendersi autonomo ed
esploratore del mondo senza incertezze né paure.
Ma la comparsa della sindrome depressiva mette in discussione le reali capacità
materne di farsi carico dell’importante ruolo che riveste nei confronti del proprio
bambino, impedendole di entrare in relazione con il figlio in maniera positiva, in
quanto questi sintomi intaccano proprio le normali capacità materne.
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Questa mancanza di relazioni efficaci va ad influire sullo sviluppo del bambino
attraverso i comportamenti che la donna ha nei confronti del proprio figlio,
anche quando la madre va incontro alla guarigione, lasciando, dunque, tracce
che si ripercuotono nel tempo.
Nel rapporto madre-figlio si alternano delle fasi di coordinazione a fasi di non
coordinazione. Tutto normale, nel momento in cui le prime siano maggiormente
presenti rispetto alle seconde. Questo non avviene nelle madri che soffrono di
depressione, e in questi casi, inoltre, i ritmi interattivi si presentano o troppo
veloci o troppo lenti, così da non permettere alla madre di avere scambi positivi
con il bambino impedendole di rispondere tempestivamente agli errori causati
dai momenti di non coordinazione.
Con la prevenzione e gli interventi di riduzione del disagio sarà possibile
intervenire in questi rapporti in modo che le interazioni tra la madre ed il
bambino possano essere più efficaci e contribuire alla diminuzione dei disturbi
depressivi nella donna, accompagnati da una crescente autostima, e alla sana
crescita del bambino accompagnata da uno stile affettivo materno di tipo
positivo.
La tesi si articola in quattro capitoli.
Il primo capitolo, intitolato appunto “LA DEPRESSIONE POST PARTUM”, si
sofferma soprattutto sulla descrizione di questa patologia, indagando nei dettagli
le varie forme in cui questa sindrome può presentarsi, variando l’entità dei
sintomi e dei disturbi presentati.
Innanzitutto bisogna dare una definizione della depressione post partum. Essa è
un disturbo depressivo che ha inizio durante la gravidanza e si estende fino al
periodo dopo il parto. Può presentarsi con varia entità e durata, ma in ogni caso
generalmente i sintomi persistono minimo una settimana.
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Tra i primi sintomi compaiono l’alterazione dell’umore e delle funzioni
fisiologiche primarie. I primi mesi rappresentano comunque un periodo molto
delicato della vita della donna che si trova a dover trovare una nuova stabilità
psicologica in quanto riaffiorano i conflitti e i vissuti delle esperienze infantili di
simbiosi con la madre e la successiva esperienza epidica che andrà ad adattarsi al
nuovo vissuto di madre.
Di conseguenza molto importante risulta il rapporto che la donna ha instaurato
con la propria madre durante la propria infanzia.
La depressione post partum si classifica sulla base dell’intensità e la gravità degli
stati depressivi che si manifestano durante il periodo successivo al parto. E’
possibile suddividerli in quattro differenti patologie:
Il maternity blues: è un disturbo lieve che tende a scomparire
spontaneamente dopo il parto. La caratteristica principale è un flebile
disturbo emozionale momentaneo di cui soffre più della metà delle
donne nei giorni immediatamente successivi al parto.
Si caratterizza per: pianto facile, ansia, preoccupazioni eccessive,
tristezza, sbalzi d’umore, stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito.
Sono però tutti sintomi che possono facilmente presentarsi data la
situazione nuova che la donna si trova ad affrontare e il successivo
riassestamento della sua vita psichica e fisica.
La possibilità di poter passare del tempo con il proprio bambino permette
poi alla donna di ritrovare quell’unione che si era rotta con il parto e gli
stati emotivi del maternity blues tendono a scomparire dopo poche
settimane.
La sindrome depressiva post partum: questa patologia si caratterizza per
la presenza di: senso di inadeguatezza, vergogna, trascuratezza, calo del
desiderio sessuale, senso di incompetenza e disperazione, pensieri
ossessivi relativi al bambino, paure immotivate, suicidio e infanticidio.
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Spesso sono causate dai repentini sbalzi ormonali a cui è soggetta la
donna nel periodo appena successivo al parto, soprattutto se a questo si
uniscono ulteriori variabili quali: mancanza di una relazione intima e
coniugale, perdita della madre prima degli undici anni, mancanza di un
lavoro retribuito, tre o più figli sotto i quattordici anni. Spesso le donne si
sentono incapaci di superare le aspettative che esse stesse si sono poste
come madri perfette, spesso invece possono sentirsi completamente
assorbite dal ruolo materno da sentirsi poi escluse dalla vita adulta.
Entrambe queste due posizioni portano a situazioni stressanti che
possono causare difficoltà alla donna e scatenare una serie di
conseguenze sul piano fisico ed emotivo: la madre si pone solo
fisicamente presente nei confronti del figlio e non emozionalmente.
In queste situazioni la depressione tende a scomparire spontaneamente
ed evolvere verso il ripristino di un normale funzionamento adattivo;
La psicosi puerperale: si tratta di un disturbo post partum più grave dei
precedenti. Compare nei primi giorni dopo il parto e richiede
l’ospedalizzazione. Spesso può comportare la manifestazione di ulteriori
disturbi depressivi anche dopo la recessione.
La psicosi puerperale si manifesta in presenza di squilibri molto forti e
drammatici in alcuni tipi di personalità, come le donne borderline che
tendono a negare il legame affettivo con il bambino. Queste donne non
riescono ad accettare l’idea di essere trasportate in una nuova sensazione
ed emozione che consiste nell’identificazione con la propria madre.
Esistono varie forme di psicosi puerperale: quella grave in cui la madre si
chiude in se stessa rifiutando il mondo che la circonda diventando
paranoica e ossessionata. Questo stato può avere una remissione
spontanea o può durare mesi o addirittura anni. Tra le manifestazioni più
allarmanti di questo stato risiede il desiderio di uccidere sé e il proprio
bambino .
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Un’altra forma di psicosi puerperale è quella di tipo maniacale che non
accetta e non riconosce alcun cambiamento nella sua vita rifiutando di
conseguenza la presenza del figlio.
In ultimo c’è lo stress post-traumatico post partum in cui è presente una
riattualizzazione di un evento traumatico attraverso incubi e flashback
con tutte le manifestazioni fisiche e psicologiche che ne derivano.
Durante la maternità la donna si trova a dover affrontare dei cambiamenti che
interessano la sua vita sia all’interno che all’esterno, potendo così intaccare
l’identità della donna che necessita di una revisione sia del mondo esterno che
del mondo psichico.
Il ruolo di madre andrà a fondersi con il ruolo precedente di figlia e si
riattiveranno i vissuti con le proprie figure di riferimento. Al fine di mantenere
un’integrità psicologica sarà necessario elaborare ed accettare i cambiamenti che
stanno avvenendo nella propria vita.
Il pensiero di un nuovo essere che entrerà a far parte della propria famiglia e
della propria quotidianità influenzerà delle paure e dei pensieri che renderanno
maggiormente sensibile la donna. Una madre già dalla gravidanza comincia ad
immaginarsi il proprio bambino e insieme alle paure ci sarà anche l’immagine
fisica del piccolo, e questo risulta molto importante soprattutto dopo la nascita
del bambino, momento in cui la donna sarà già predisposta sia emotivamente
che fisicamente al nuovo arrivo.
Numerose ricerche si sono focalizzate sui possibili fattori di rischio per una
caduta depressiva da parte della donna. Questi possono essere sia di tipo
biologico ma anche di tipo sociale. In quest’ultima tipologia risiedono: il rapporto
con il partner e un rapporto sociale scarso.
Il rapporto di coppia è una delle variabili maggiori per l’insorgenza della
depressione post partum, in quanto il partner è direttamente coinvolto nei
cambiamenti che il nascituro comporterà entrando a far parte del nucleo
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familiare. Dunque la nascita di un figlio, soprattutto se si tratta di primogenito,
necessita di una ristrutturazione del rapporto di coppia e di aggiustamento
fisiologico del rapporto coniugale in quanto entrambi dovranno adattarsi al
nuovo cambiamento.
La figura del padre è molto importante in quanto egli può favorire la promozione
delle competenze materne, ma si trova anche a dover essere un ammortizzatore
per le ansie materne in modo da promuovere maggiore fiducia nella donna così
da creare un clima familiare positivo.
Questo non sempre succede, infatti l’uomo spesso si sente escluso dalla diade
madre-figlio che si viene a creare e tende sempre più a costruire un muro
difensivo nei confronti della propria compagna, causando molte difficoltà alla
coppia.
Una donna in questo clima può sentirsi affaticata e stressata per la situazione in
cui si trova a vivere, aspettandosi sempre di più dal marito, innescando così un
circolo vizioso. Risulta, dunque, indispensabile la collaborazione del partner al
fine di un’interazione positiva della madre con il bambino.
Anche il rapporto sociale è importante per la donna, che si sente più sicura e
protetta se ha intorno a sé amici e parenti che le danno sostegno e presenza
costante. La donna sa di non essere sola e di poter contare su qualcuno nei
momenti di difficoltà. Questo sostegno consta sia di consigli, sia di aiuto pratico,
ma anche solo di presenza fisica e supporto morale.
Risulta anche molto importante che questo sostegno arrivi da parte delle
istituzioni che metta a disposizione strutture e personale medico che possa
essere a disposizione delle mamme che sanno così di poter contare su un altro
sostegno per le paure e le difficoltà incontrate durante l’accudimento del proprio
bambino.
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Nel secondo capitolo, “LE MADRI DEPRESSE E IL RAPPORTO CON Il LORO
BAMBINO”, è stato affrontato il tema del rapporto, appunto, tra le madri
depresse e i loro figli.
Quando la depressione compare le capacità materne vengono messe in
discussione e la donna non riesce più a farsi carico del ruolo che le compete e di
interagire con il proprio bambino attraverso un relazione positiva. Questo perché
i sintomi depressivi intaccano proprio le capacità primarie di mamma: sicurezza,
sensibilità, autostima.
La donna non si sente adatta a rivestire i panni di madre e le ansie che derivano
da questa malattia non le permettono di prendersi cura del bambino. La donna
non riesce a rispondere in modo reattivo e positivo agli stimoli del bambino,
dimostrandosi insensibile ai suoi segnali e ai suoi bisogni. Ovviamente il piccolo
recepisce questi segnali negativi che gli trasferiscono irritabilità: il bambino si
mostra meno sociale e crea con la madre un attaccamento di tipo insicuro. Tutto
questo va ad intrecciarsi con il normale sviluppo del bambino che viene quindi
inevitabilmente compromesso. Dunque la depressione post partum potrebbe
essere vista come un canale predittivo per futuri sviluppi negativi del piccolo.
Questo disturbo non regredisce spontaneamente e se non curato può avere serie
ripercussioni sulla donna e non solo, e trasforma in una prova dolorosa il primo
anno di vita insieme al bambino. Richiede dunque cure mediche e psicologiche.
Negli ultimi anni si è dato sempre più peso ai disturbi del bambino legati alla
depressione della mamma al fine di verificare quanto questa patologia possa
incidere sullo sviluppo del piccolo e sulla capacità normale del funzionamento
infantile, anche quando la madre va incontro alla guarigione, lasciando quindi
tracce che si ripercuotono nel tempo.
Il rapporto madre-figlio si costruisce attraverso l’alternarsi di stati di
coordinazione a stati di non coordinazione. Questo alternarsi è dovuto ad alcune
interruzioni che avvengono nella sincronia della diade a causa di alcuni errori che
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posso avvenire durante lo scambio affettivo. A questi errori la madre però ripara
in fretta attraverso dei comportamenti che permettono che ci sia la prevalenza di
stati di coordinazione.
Ma quando ciò non avviene, quando cioè gli stati di non coordinazione
prevalgono su quelli di coordinazione, come avviene nella diade madre depressa-
bambino, i segnali che il piccolo riceve comportano inevitabilmente
l’assimilazione di stati affettivi negativi. La madre in questi casi non riesce a
rispondere tempestivamente agli errori e alle rotture che si creano nel rapporto,
determinando la mancata armonia tra i due partner.
Il bambino che riceve costantemente queste risposte sbagliate impara ad
organizzare la propria affettività sulle rotture affettive quotidiane interiorizzando
un senso di impotenza e inefficacia che si potrebbe trasformare, in futuro, in una
minore competenza sociale interattiva.
Molti studi, infatti, hanno sottolineato proprio il rischio che la depressione post
partum può comportare nella crescita sociale del bambino, rischio dovuto
proprio all’assenza di risposte coordinate ai segnali del neonato da parte della
madre.
Spesso infatti i figli di mamme depresse presentano disturbi dell’attenzione e
problemi di lettura. Ciò che si cerca di capire è l’attinenza esistente tra la
depressione materna e i disturbi presentati dal figlio.
Molti ricercatori si sono interessati, recentemente, alle conseguenze che la
depressione materna può avere sullo sviluppo del bambino. Sono state ipotizzate
varie possibili attinenze con la depressione materna di alcuni disturbi quali: sensi
di colpa, scarsa autostima, ma in particolare il riferimento è dato alla possibilità
che i bambini possano manifestare disturbi dell’attenzione e problemi sociali.
Murray ha condotto uno studio sullo sviluppo socio-emotivo dei bambini
rilevando che all’età di cinque anni i figli di madri che hanno sofferto in
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precedenza di depressione post partum possono presentare alcuni dei seguenti
sintomi:
una bassa responsività nell’interazione con la madre;
disturbi comportamentali nel contesto familiare;
preferenze nel contesto scolastico per un gioco fisico semplice (ad
esempio giochi con sabbia e acqua), rispetto e giochi creativi.
Altri studi, inoltre, trovano attinenza tra depressione materna e i seguenti
problemi infantili: aggressività, ansia, cognizioni depressive, comportamento
iperattivo e carenza di gioco creativo.
Lo stato depressivo potrebbe anche avere conseguenze sulla nutrizione del
bambino, in particolare nei contesti con basse condizioni socioeconomiche.
Questo perché potrebbe succedere che la donna, non avendo interiorizzato
appieno le responsabilità materne, potrebbe interrompere precocemente
l’allattamento determinando inevitabilmente una carenza nutrizionale per il
bambino, che si presenterà come un rischio per la sua normale crescita.
Una madre con disturbi, dunque, non reagisce in modo sensibile agli stimoli del
bambino ed è incoerente nelle risposte in riferimento ai suoi bisogni, alterando la
giusta interazione madre-figlio.
Intorno agli anni Ottanta sono state avviate delle ricerche sulle modalità di
interazione tra madre depressa e bambino, attraverso la situazione face to face.
Ciò che ne è risultato è che le donne affette da disturbo depressivo non riescono
ad interagire in maniera positiva con il proprio bambino in quanto risultano
incapaci di codificare in maniera sensibile i segnali che il piccolo invia.
Numerosi studi hanno messo in evidenza differenze nelle interazioni precoci tra
madri depresse e i loro figli, rispetto alle madri non depresse, nei primi mesi di
vita.