vi
apparire persino deludenti:ma non era mio obbiettivo presentare e rielaborare un
modello perfetto di democrazia ma semmai “solo” un modello in grado di
apportare modifiche e miglioramenti rispetto a quello democratico oggi operante.
Il modello di democrazia partecipativa che presenterò vuole dunque migliorare
l’esistente e non rivoluzionarlo.
Altra domanda cui è necessario dar risposta è: “in quale disciplina accademica
deve essere racchiuso questo lavoro?” La risposta è tutt’altro che semplice.
Potrebbe riguardare la scienza della politica come pure la filosofia politica,o
anche la sociologia politica e l’elenco potrebbe anche allungarsi.La verità è che
quando si sceglie un argomento così complesso come la democrazia non si può e
non si deve racchiudere i propri studi in un solo ambito accademico,bisogna
invece utilizzare tutte le conoscenze,e rendere nei limiti del possibile,
interdisciplinare il modo di affrontare l’argomento scelto ad oggetto dei propri
studi. Rimanere sempre nell’ambito di una stessa disciplina accademica
impedisce infatti di affrontare i problemi nel modo più completo ed esauriente
possibile.Con questo non voglio certo disconoscere i vantaggi e i meriti che negli
anni hanno portato allo sviluppo di così tanti rami delle scienze sociali e
politologiche,intendo solamente utilizzarne a pieno tutte le opportunità che
ciascuna di esse può offrire,per sviscerare fino in fondo ogni possibile aspetto
che l’oggetto in esame mi spingerà ad affrontare.Il mio non vuole essere uno
studio di un problema di scienza della politica,o di filosofia politica,il mio ha
l’intenzione di essere,se possibile, di più ampio respiro,interdisciplinare,che
mescola assieme elementi di diverse discipline sociali.
Altra domanda a cui dar risposta: “quale metodo di lavoro verrà utilizzato?”
Senza entrare più di tanto nello specifico,basti dire che in tale opera intendo
utilizzare quantomeno due importanti facoltà della mente umana: il realismo e
l’immaginazione.Il realismo,utile per evitare di elaborare progetti materialmente
non realizzabili nel contesto in cui si vive e l’immaginazione dove con tal termine
non intendo far riferimento alla fantasia,bensì alla capacità di riuscire ad
immaginare la struttura e le caratteristiche della società che “potrebbe essere ma
che ancora non è”,cioè di una società in parte confermativa degli istituti già
vii
presenti ed in parte però anche alternativa all’esistente ossia fondata anche su
valori e strutture politiche e culturali diverse dalle attuali.Il realismo impedisce
all’immaginazione di sfociare nell’utopismo mentre l’immaginazione impedisce
al realismo di sfociare in immobilismo e rassegnazione di fronte alla realtà
quotidiana.Un equilibrio questo, fra realismo e immaginazione,per natura
precario:io ho provato a mantenermi in equilibrio sopra questo sottile filo e penso,
o più che altro spero, di aver raggiunto l’obbiettivo.
Ultima questione:le note a piè di pagina.Esse sono state utilizzate sia per fornire
informazioni bibliografiche,che comunque sono rintracciabili in modo
decisamente più ampio in fondo all’opera,ma in certi casi anche per aggiungere
commenti o approfondimenti volti a chiarire in termini più precisi le questioni in
oggetto.
Mi auguro che questa premessa metodologica,seppur breve, sia utile al lettore per
sapere fin dall’inizio cosa attendersi da questa tesi al fine di poter apprezzare fino
in fondo lo sforzo intellettuale profuso.
viii
INTRODUZIONE
La democrazia partecipativa è un modello che è stato per troppo tempo
dimenticato sia dai politici di professione sia dalla più parte degli scienziati
sociali. I motivi di questa disattenzione attorno al tema in oggetto possono essere
diversi ma forse quello più evidente è dovuto ad una sorta di pregiudizio
endemico diffuso nel mondo intellettuale che induce a credere alla impossibilità
di funzionamento concreto di modelli che divergono rispetto a quello della
democrazia liberale e rappresentativa. L’intento primario che vorrei raggiungere
con questa tesi quindi è quello di contribuire a riaprire il dibattito attorno alla
democrazia partecipativa al fine di dimostrare che essa è possibile.Intento
facilitato,forse, dal fatto che essa non viene qui vista come una alternativa alla
democrazia liberale ma semmai come un suo sviluppo o, se si vuole, una sua
correzione.La democrazia partecipativa poggia sui solidi pilastri della democrazia
liberale costruiti da Locke, Montesquieu, Mill e altri illustri teorici che operarono
qualche secolo fa .Nel corso dell’opera specificherò più volte questo aspetto in
quanto coloro che hanno teorizzato modelli democratici partecipativi(fin dagli
anni sessanta)non lo hanno sempre fatto in modo chiaro e da qui sono nati
equivoci che hanno portato non pochi a credere che si trattasse di una versione
riveduta e più soft di democrazia diretta o addirittura di società comunista. Nulla
di tutto questo.Essa si colloca entro lo schema liberale e rappresentativo.
Proporre la democrazia partecipativa vuol dire dunque da un lato ammettere la
democrazia rappresentativa liberale come unica realmente possibile ma dall’altro
sottoporla anche ad una seria critica. Soprattutto dopo il crollo del muro di
Berlino le democrazie liberali sono state oggetto di celebrazioni,sono state
esaltate e mitizzate. E mitizzare è sempre sbagliato in quanto impedisce di
scorgere gli eventuali difetti,le eventuali mancanze di un modello.La democrazia
rappresentativa liberale ha dei difetti,in diversi punti deve essere corretta.La
democrazia partecipativa viene vista in questa tesi come modello in grado di
limitare questi difetti, di correggere i diversi punti deboli dei nostri sistemi
democratici.
ix
Ho deciso di approfondire lo studio circa la democrazia partecipativa
quando,qualche anno fa,lessi le seguenti parole di J.S. Mill,nel suo saggio
“Considerazioni sul governo rappresentativo”: “Ancora più salutare è il vantaggio
acquisito con la partecipazione,sia pur rara,del cittadino privato alle questioni
pubbliche. Egli è ivi chiamato a preoccuparsi di interessi che non sono i suoi;ad
essere guidato,in caso di pretese in conflitto,da una norma diversa da quella
suggerita dalla sua mentalità individualistica;a mettere incessantemente in pratica
dei principi e delle massime la cui ragion d’essere è il bene pubblico.Ed egli trova
in genere al suo fianco,in tale attività,persone più adusate a queste idee e a questo
genere di attività;vicinanza che gioverà a fagli maggiormente comprendere gli
interessi della collettività e a stimolarne il sentimento. Egli impara a sentire che fa
parte di una collettività e che l’interesse pubblico è anche il suo”.
Si coglie in queste righe del pensatore inglese l’importanza della partecipazione
del popolo alle questioni pubbliche.Credo che la partecipazione debba essere
considerata come un elemento irrinunciabile in qualsivoglia regime che pretenda
definirsi democratico,al pari di altri valori universalmente riconosciuti quali
l’eguaglianza e la libertà. Ed è questo quel che nelle odierne democrazie non
avviene. Vivo in una democrazia che confina con altre democrazie nelle quali le
occasioni di partecipazione e di reale coinvolgimento delle masse sono
decisamente insufficienti e troppo focalizzate sul solo diritto di voto periodico.
Laddove infatti si prevedono anche altri strumenti in grado di coinvolgere le
masse alle questioni politiche, come possono essere i referendum piuttosto che le
leggi di iniziativa popolare(diritto quest’ultimo riconosciuto anche dalla nostra
costituzione anche se nessuno lo ricorda) questi risultano imbavagliati però da
una legislazione più o meno ferrea volti a limitarli e contenerli come se si temesse
un coinvolgimento eccessivo del popolo alle questioni politiche al di fuori del
voto periodico(basti pensare alle limitazioni cui la legge sottopone il referendum
in Italia).E’ nel contempo vero che il carattere pluralista delle nostre società
consente la nascita in esse di gruppi e movimenti che possono spingere alla
partecipazione e all’interesse verso questioni anche politiche migliaia di persone.
E’ eccessivo e sbagliato quindi affermare che le nostre democrazie liberali
x
garantiscono esclusivamente il voto periodico quale occasione di partecipazione
ma resta comunque vero che, altri strumenti,pure previsti restano sullo
sfondo,vengono spesso messi da parte o ignorati dai professionisti della politica
quasi temessero un maggiore intervento popolare circa le questioni pubbliche.
Questo accresce il distacco fra governanti e governati il che porta verso l’apatia di
questi ultimi. I cittadini hanno l’impressione che la loro voce non venga ascoltata
oppure ignorata da coloro che hanno eletto e che del resto ben pochi sono i
concreti strumenti a loro disposizione per farsi sentire e di conseguenza accresce
il loro malcontento verso la politica e verso gli attori della politica visti sempre
più come intenti ad occuparsi dei loro affari privati anziché del bene pubblico.Da
qui il disinteresse verso le questioni pubbliche e,per l’appunto, l’apatia che spinge
sempre più spesso molti cittadini persino a disertare le urne, rinunciando così alla
principale occasione di partecipazione loro garantita.Resta comunque vero che
l’apatia ed il disinteresse sono favorite anche dal contesto sociale in cui
quotidianamente viviamo.Un contesto dominato da un capitalismo consumistico
che riesce a soddisfare gran parte dei bisogni della gente. Il medio livello di
benessere che il sistema capitalistico riesce,ancora a molti, a garantire
addormenta,io penso,le coscienze,smorza quegli ideali che pure è necessario
avere non solo per fare politica attiva ma anche per interessarsi ad essa in modo
costante. E questo lo dico non per muovere facili critiche al capitalismo in quanto
tale(non è questo il mio intento)ma semplicemente per sottolineare che, se per
politica intendiamo uno strumento volto al soddisfacimento dei bisogni,questi
ultimi risultano però sempre più soddisfatti dai simboli del consumismo
amplificati e resi famosi dalla televisione e dalla pubblicità. Da un lato dunque le
poche occasioni di partecipazione garantite dalle democrazie rappresentative e
dall’altro questo “modello sociale” intriso di quel medio benessere che il
capitalismo ancora riesce(fortunatamente),ai più, a garantire contribuiscono a
generare una perdita di ogni senso della comunità e così,come sostiene Mill,
“ogni motivo e sentimento,sia di interesse che di dovere,sono assorbiti
nell’individuo e nella famiglia. L’uomo non pensa mai agli interessi collettivi e ai
compiti che può perseguire unitamente con gli altri. Il suo prossimo non gli
xi
appare che come un rivale,e se occorre come una vittima. Il vicino non essendo
un alleato o un associato,poiché con esso non si trova mai ingaggiato in nessuna
impresa comune per il bene generale,è dunque solamente un concorrente. Così
anche la morale privata ne soffre,mentre quella pubblica è addirittura sommersa.
Se fosse questo lo stato universale e il solo stato possibile delle cose,le più alte
aspirazioni del legislatore,o del moralista,non farebbero della massa della
comunità che un gregge di montoni pascolanti fianco a fianco”(J.S Mill). Ed è
incredibile come tali parole,a mio avviso, siano oggi davvero attuali. Nelle nostre
società l’apatia diffusa rende ciascun cittadino individualista e disinteressato circa
le questioni pubbliche al punto da assomigliare davvero molto alla impietosa
descrizione fornita da Mill.
E’ da questo retroterra di scontentezza che nasce dunque il mio progetto di
elaborare un modello preciso e non vago di democrazia partecipativa.Una
democrazia sì rappresentativa,sì liberale,ma che consideri la partecipazione non
come un qualcosa di secondario o superfluo o addirittura di destabilizzante e
pericoloso,ma come un valore da salvaguardare e favorire. L’immagine del
“gregge di montoni pascolanti”,di cui Mill parla, non mi soddisfa.Una
democrazia che divenga importante nella vita quotidiana della gente,che ponga la
partecipazione popolare al centro dell’agenda è il mezzo per far sì che da semplici
“montoni pascolanti” si ritorni a divenire cittadini. E il valore della partecipazione
non ha colore politico o non dovrebbe averlo. L’attribuire colori politici a dati
valori è un vizio ancora diffuso e da eliminarsi. E’ questo vizio che ci porta
spesso a definire la libertà come un valore liberale e l’eguaglianza come un valore
marxista. Non è il caso di ripetere l’errore anche per quel concerne la
partecipazione. E il rischio c’è eccome.La democrazia partecipativa è nata negli
ambienti della sinistra giovanile del Sessantotto e quindi potrebbe essere facile
definire la partecipazione come un valore marxista,o di sinistra. E’ un valore
invece punto e basta,che dovrebbe stare a cuore a chiunque sostenga la
democrazia sia esso marxista o liberale,di sinistra o di destra.
Chi quindi,al di la della propria fede politica o ideologica,riconosce la
partecipazione quale valore non può non vedere quanto poco partecipate siano le
xii
reali democrazie odierne e dovrebbe sforzarsi di fornire delle risposte al fine di
correggerle. Io in questa tesi ho cercato di fornire una risposta,che non pretende di
essere esatta e immune da critiche.Ben vengano altre proposte in questo
senso:sarebbe il segno dell’universale riconoscimento dell’importanza della
partecipazione popolare. Potranno nascere così diversi modelli democratici da
confrontare,da criticare,ma con tutti lo stesso obiettivo di fondo:quello di favorire
la partecipazione popolare. Ma da quando,fin dalla fine degli anni sessanta,la c.d.
Nuova Sinistra ha riscoperto quell’universale valore della partecipazione caro,tra
l’altro, ai liberali come Mill proponendo la democrazia partecipativa ad essa non
sono giunte risposte.Ma da molti è stata snobbata. E ciò soprattutto perché la
partecipazione non è ancora oggi ritenuta un elemento portante di democrazia.
Anzi, è diffusa e tacita la convinzione che una eccessiva partecipazione sia
persino destabilizzante per il sistema,che il voto ogni quattro anni sia sufficiente
in quanto le decisioni politiche non possono essere prese dal popolo ma dai pochi
professionisti della politica. Questa convinzione mi impedisce di attendermi delle
risposte. Il modello di democrazia partecipativa continuerà ad essere
misconosciuto e qualsiasi proposta che implichi coinvolgimento delle masse
snobbato o prudentemente messo da parte(qualcuno ha sentito parlare,o si è
interessato di conoscere a fondo l’esperienza del Bilancio partecipativo di Porto
Alegre?).
Queste sono le convinzioni che mi hanno spinto ha sviluppare il modello di
democrazia partecipativa con l’intento primario di renderlo meno vago di come è
stato sviluppato in passato. E’ un modello che,come detto prima,è nato
nell’ambito della “nuova sinistra” e le opere in merito di certi autori quali
Macpherson o Pateman sono state fondamentali per la nascita stessa del modello.
Ma oggi esso può essere reso più preciso e dai contorni più definiti sia grazie allo
sviluppo di nuove tecnologie, che se utilizzate opportunamente possono ridurre,in
dati ambiti,la distanza fra cittadini ed elettori,attraverso ad esempio la nascita di
nuovi partiti(c.d. partecipativi)nei quali finalmente tramite internet e il tele-voto
la dirigenza riesce a consultare la base circa le decisioni più importanti da
prendersi,riuscendo così a sconfiggere la legge di ferro dell’oligarchia di Michels
xiii
che invece oggi resta entro le organizzazioni ed in particolare entro i partiti
ancora ben presente,sia grazie all’esperienza dei bilanci partecipativi a livello
comunale in grado di coinvolgere attivamente i cittadini nella gestione della
macchina comunale,come avviene da 13 anni in quella “città-cantiere” che è stata
ed è Porto Alegre.
In questa tesi si analizzerà anzitutto la democrazia da un punto di vista storico.La
democrazia partecipativa è una democrazia liberale,hanno quindi le stessa
radici,la medesima origine storica. Sembra dunque doveroso definire il concetto
stesso di democrazia e analizzarne,seppur schematicamente il suo non facile
sviluppo nei diversi secoli passati. In particolare si fornirà descrizione della prima
forma democratica che la storia dell’uomo ricordi:quella che tenne banco
nell’Atene classica e che si configurò essere una democrazia diretta e quindi
come un grande esempio di partecipazione popolare seppur limitata ai soli
cittadini della Polis(gli schiavi e le donne erano esclusi infatti dalla vita politica e
sociale). Avere chiaro questo modello è utile anche per rendersi conto di
quanto,nel mondo moderno e industrializzato esso sia divenuto
improponibile,così come improponibile sia divenuta di fatto la riproposizione di
una democrazia diretta e quindi non fondata sui canoni liberali. A termine
dell’esperienza ateniese si apriranno secoli bui per la democrazia:essa
praticamente sparirà ovunque e lo stesso termine “democrazia” verrà dimenticato.
Nell’ambito di questo lungo periodo è importante fare un cenno alla fase
assolutistica che tenne banco in particolare nel Sei-Settecento in Europa. E’
nell’assolutismo e nella nascita,con esso,del concetto moderno di Stato che
germogliano i semi da cui poi sboccerà il fiore della democrazia liberale. Siamo
nel 1789.Con la presa della Bastiglia cade il regime assolutistico e trovano modo
di diffondersi i principi liberali e di difesa dei diritti degli individui che da sudditi
diverranno cittadini. Da quel momento nascono le democrazie rappresentative
moderne fondate sul principio della separazione dei poteri e con un Re che
detiene unicamente il potere esecutivo ed è sottoposto come tutti alle leggi ed alla
xiv
costituzione. Col tempo poi il Re perderà anche il potere esecutivo che finirà col
concentrarsi nelle mani di governi composti da ministri e un primo ministro.
La storia a volte però sembra attraversare cicliche fasi di crisi durante le quali i
progressi compiuti in dati campi vengono a cancellarsi improvvisamente:così
avvenne nel corso degli anni Venti e Trenta in Europa dove sorsero regimi
totalitari che negarono qualsivoglia partecipazione democratica alle masse.
Dopo aver presentato tale prospettiva storica(capitolo 1) incomincerò a
costruire,passo passo il modello di democrazia partecipativa. A tal proposito
incomincerò col sostenere che l’eguaglianza e la libertà debbono essere
considerati come due valori alla base di qualsivoglia regime che pretenda
definirsi democratico. Per quanto riguarda l’eguaglianza mi concentrerò ad
analizzare l’eguaglianza economica:sosterrò come all’interno di un regime
democratico sia necessaria una redistribuzione del reddito dalle classi più abbienti
a quelle più povere. A proposito verrà presentato il pensiero di Nozick,padre del
neoliberismo moderno,che si oppone a qualsivoglia redistibruzione e cercherò di
criticare il suo pensiero mettendone in luce,quelli che io penso siano i suoi punti
deboli. Per contro sosterrò le tesi di J. Ralws e Dworkin che riescono,a mio
avviso,a giustificare in modo tutto sommato convincente,il motivo per cui sia
necessaria una redistribuzione delle risorse entro una data società.
Per quanto concerne invece la libertà,presenterò la distinzione,davvero
basilare,tra libertà positiva e negativa,operata da I. Berlin e sottolineerò come le
nostre democrazie soffrano di un deficit di libertà positive che le rende
individualistiche e da ciò deriva la nascita “della solitudine del cittadino
globale”per usare una espressione cara a Z. Bauman. Alla fine del capitolo due
avrò quindi individuato i primi due elementi su cui deve fondarsi il modello di
democrazia partecipativa:1)Distribuzione delle risorse dai più abbienti ai meno
abbienti;2)giusto ed equilibrato mix di libertà negative e positive.
xv
A questo punto parlerò rispettamene del modello di democrazia rappresentativa e
diretta.Ciò è davvero utile in quanto la democrazia partecipativa assimila elementi
di entrambi questi modelli che quindi è necessario comprendere. In particolare
dalla democrazia rappresentativa ne assimila l’intera impalcatura:il concetto di
rappresentanza,la presenza di un parlamento e di un governo. In tal ambito si
criticherà la forma di governo presidenziale in quanto può condurre verso una
eccessiva concentrazione di poteri nelle mani di un'unica persona,il presidente
appunto. E in diversi paesi dell’America Latina tale sistema ha contribuito ad
aprire la porta persino a sistemi a volte decisamente autoritari.Si sosterrà quindi il
parlamentarismo reso governabile per mezzo di un sistema elettorale fondato su
un proporzionale con sbarramento e non certo sul sistema maggioritario che non è
in grado di garantire rappresentanza anche a partiti e movimenti con notevole
seguito oltre che generare risultati persino paradossali come il caso di partiti che
con pochi voti riescono ad ottenere un enorme numero di seggi o addirittura
partiti o coalizioni di partiti che ottengono la maggioranza dei seggi nelle
assemblee rappresentative pur avendo raccolto meno voti rispetto agli avversari.
Dalla democrazia diretta invece il modello partecipativo dovrebbe assimilare
anzitutto lo spirito:le democrazie dirette erano estremamente partecipate ed in
esse vi era un grande senso della comunità oggi ormai smarrito. Inoltre si
discuterà fino a che punto e in quali termini il referendum sia strumento di
democrazia diretta e si sosterrà la necessità di un ampio uso di questo strumento
entro il modello partecipativo di democrazia. Fatto ciò si avrà chiaro che la
democrazia partecipativa prevede1)un sistema parlamentare poggiato sulla
proporzionale a sbarramento.2)Un sistema intriso di quello spirito partecipativo
rintracciabile nelle democrazie dirette e nel quale trova ampio spazio l’uso dello
strumento referendario inserito in un quadro legislativo che non lo limita come
avviene oggi in molti paesi democratici.
Quando presenterò il modello di democrazia diretta(capitolo 4) verranno anche
presentati due casi storici:la comune di Parigi che molto assomiglia(pur con le
opportune riserve)ad un sistema democratico diretto e la democrazia Svizzera che
pur essendo una democrazia liberale è dotata di istituti interni davvero particolari
xvi
che la rendono nel suo genere unica,come la Landsgemeinde(autentico esempio
di democrazia diretta entro un sistema rappresentativo e liberale).
Ora ho tutti gli elementi per sviluppare definitivamente il modello di democrazia
partecipativa. In particolare elaborerò il modello del partito e del sindacato
partecipativo nei quali,come già detto più sopra, la distanza fra iscritti/elettori e
dirigenti è ridotta al minimo ed essi sono strumenti portanti di democrazia
partecipativa. Infatti è oggi possibile per la dirigenza di qualsivoglia partito o
sindacato, tramite le nuove tecnologie informatiche legate alla video
comunicazione e al tele-voto, consultare continuamente la base e i simpatizzanti
sulle varie questioni,quanto meno su quelle che caratterizzano o potrebbero
caratterizzare la vita futura della stessa organizzazione.In tal modo la legge di
ferro della oligarchia che sembrava inevitabile, e che oggi è quanto mai presente
entro le organizzazioni, verrebbe invece ad eliminarsi. A proposito verrà ricordato
l’esempio del Partito Radicale Italiano(allora Lista Bonino):esso fu il primo e
finora l’unico ad aver utilizzato,con successo,simili strumenti al fine di
coinvolgere gli iscritti e la base sulla questione delle alleanze che il movimento
avrebbe dovuto eventualmente stringere in occasione delle elezioni italiane del
maggio 2001.
In tal ambito poi si discuterà di quello che viene ritenuto l’elemento più
significativo e portante della democrazia partecipativa:il bilancio partecipativo a
livello comunale. Si sosterrà la necessità che in tutti i comuni di uno Stato si
diffonda l’utilizzo di questo strumento che ha dato prova di ottimo funzionamento
nella città brasiliana di Porto Alegre.Si analizzerà questa esperienza e se ne
proporrà la sua estensione con cenni anche al bilancio partecipativo statale che è
attualmente in fase di sperimentazione,nel più ampio contesto, dello Stato
brasiliano di Rio Grande do Sul.
Alla fine di questa parte del lavoro(capitoli 5 e 6) e sulla base delle conclusioni
cui si è giunti precedentemente si avrà di fronte un modello,che io credo possa
ritenersi chiaro,completo,e concreto di democrazia partecipativa.
xvii
Infine,il presente lavoro si concluderà discostandosi decisamente
dall’impostazione fin qui seguita dato che l’intero modello di democrazia
partecipativa è stato sviluppato finora avendo come punto di riferimento lo Stato-
Nazione così come sorto fin dall’epoca moderna. E questo è stato fatto però in un
contesto nuovo,dominato dal processo di globalizzazione economica la quale
mette in crisi ed erode la sovranità stessa dello Stato-nazione. Occorre quindi
porsi la seguente domanda:la globalizzazione potrà mettere in crisi la
democrazia?
Rispondere a questa domanda è,a mio modo di vedere semplice:si la mette in
crisi. Ma fermarsi a questa constatazione non è certo sufficiente e qui mi opporrò
a tutti coloro che avanzano tesi catastrofistiche asserendo che alla globalizzazione
non c’è rimedio e che quindi la democrazia in un futuro non poi così lontano
arriverà all’estinzione. Ciò è segno di una pigrizia intellettuale poco accettabile
anche alla luce dell’importanza dello stato nazione e della democrazia. Gli uomini
si sono combattuti duramente per difendere lo stato-nazione e la
democrazia,dovremmo rinunciarci così facilmente? Ma qui mi opporrò anche a
quei c.d. globalisti che vedono nella globalizzazione l’occasione storica per
l’affermarsi di una sorta di stato mondiale democratico e liberale e che non
colgono dunque gli enormi problemi e contraddizioni insite nel processo in
questione.
Verranno quindi avanzate proposte volte a regolamentare il processo di
globalizzazione:queste proposte sono due e sono rivolte a due referenti diversi.La
prima è riferita allo Stato nazione.Cosa deve fare lo stato-nazione per resistere
alla valanga della globalizzazione?Deve farsi trasnazionale così come teorizzato
da quel validissimo studioso della globalizzazione che è U. Beck. Solo una
coalizione di Stati e non un solo Stato singolo possono fronteggiare gli istituti del
nuovo e parallelo Stato globale. La seconda proposta si rivolge proprio allo Stato
globale:le sue istituzioni(ONU,FMI,BM,WTO…)debbono essere riformate e
democratizzate al loro interno e poste sotto controllo dell’Assemblea dell’ONU
che dovrebbe divenire un sorta di parlamento mondiale.ONU che deve essere
xviii
riformato anche al fine di toglierlo dal giogo del consiglio di sicurezza dominato
dalle cinque potenze che detengono il diritto di veto.
Ora, la democrazia partecipativa avrà quindi anche un suo ben preciso contenitore
cui andare ad inserirsi. E questo non è più il vecchio e chiuso Stato globale ma lo
Stato aperto e trasnazionale che proprio perché tale riesce a resistere alla valanga
della globalizzazione ed a conservare la propria sovranità di fronte per altro ad un
parallelo livello globale composto da istituzioni non più autoritarie come lo sono
oggi bensì democratiche e coordinate da quella sorta di parlamento mondiale che
è l’assemblea delle Nazioni Unite.Ed entro lo stato trasnazionale è certo possibile
la nascita e lo sviluppo del modello di democrazia partecipativa dato che
esso,come appena detto,non perde la sua sovranità ma semmai la sviluppa al di là
di quelli che sono i suoi confini nazionali.