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Introduzione
Nella mia tesi, partendo dagli spunti forniti dal corso di “Politica comparata”, ho
scelto di approfondire un argomento molto dibattuto quale il presunto divario tra
Oriente e Occidente nella possibilità di adottare il modello democratico come forma
di governo; ho scelto di partire dall‟analisi di Amartya Sen.
Amartya Sen sostiene che la democrazia non sia un'invenzione dell'Occidente, ma
che abbia radici in ogni parte del mondo: il pluralismo, il sostegno alla diversità e
alle libertà fondamentali, la tolleranza e l'apertura alla discussione non sono
caratteristiche specifiche - e forse uniche - della tradizione occidentale. Sen parla
dell'importanza del consenso nella struttura dello Stato africano tradizionale e
contesta l'immagine delle culture cinese e giapponese come gerarchiche ( va
considerata l'importanza dell'apporto buddista alla democrazia). L‟autore insiste
sull'esperienza indiana, citando le antiche città-Stato e soprattutto il caso di due
imperatori, Ashoka e Akbar che, a distanza di diciannove secoli (nel III a.C. e nel
XVI d.C.) si impegnarono per promuovere la tolleranza e sviluppare il pluralismo.
Ricorda anche che nel XII secolo Maimonide dovette fuggire dall'Europa antisemita
e trovare rifugio presso il Saladino, e che ai tempi del tollerante Akbar Giordano
Bruno veniva condannato al rogo in Campo dei Fiori. Sen afferma quindi che le
civiltà orientali hanno una lunga storia di democrazia che s‟interseca con la storia
dell‟Occidente e che l‟India dei nostri giorni non ha nulla da invidiare alle
democrazie occidentali.
S.P. Huntington nella sua opera “The Clash of Civilization and the Remaking of
World Order” (Lo scontro delle Civiltà e la Nuova Costruzione dell'Ordine
Mondiale New York 1996 ) afferma che “l'elemento centrale e più pericoloso dello
scenario politico internazionale che va delineandosi oggi è il crescente conflitto tra
gruppi di diverse civiltà". Secondo l‟autore quindi, è evidente che la divisione in
Stati ha lasciato il posto ad una divisione per aree culturali e si sofferma in
particolare su due civiltà: quella Islamica ( in particolare sulla Rinascita islamica; la
quale sta riacquistando coscienza di sé grazie alla matrice religiosa che è, pur nelle
differenze, comune ed è sostenuta da un aumento demografico che, a parere di
Huntington , andrebbe a rafforzare le fila dei fondamentalisti) e sulla civiltà Sinica
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(che ha per stato guida la Cina e sta tentando di ottenere il ruolo di superpotenza
internazionale spinta dalla crescita economica che le da fiducia nella superiorità del
proprio modello). Partendo da queste affermazioni di S. P. Huntington apporterò, per
quanto riguarda il caso dell‟Islam, l‟esempio della scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali
e, per quanto riguarda la civiltà asiatica, alcuni studi sui “valori asiatici” e la presunta
incompatibilità col modello democratico a favore di un modello autocratico e
fortemente gerarchico. Alcuni tra i sostenitori di questa tesi affermano che per
l‟Occidente rischia, introducendo il modello democratico in questi Paesi, di ottenere
risultati sgraditi dando legittimamente il potere a forze anti-occidentali; inoltre il
processo di democratizzazione deve sempre avvenire dall‟interno e i paesi non-
occidentali devono valutare, appunto, dall‟interno la democrazia dal momento che
dovrebbero capire che i risultati si vedono solo a lungo termine (in Europa il
processo di democratizzazione è durato quattrocento anni) e non consistono nella
semplice procedura delle elezioni.
Nel terzo capitolo, attraverso l‟analisi dell‟orientalismo fatta da G. Corm spiegherò
come sono nati e come si sono imposti nella società moderna i cliché di un Oriente
mistico, arcaico e irrazionale contrapposto ad un Occidente materialista, razionalista
e individualista, attraverso un‟ analisi storica in cui sono poste in rilievo le varie fasi
del confronto tra Islam e Europa, sottolineando che questo rapporto ha portato
preziosi incontri. Inoltre, non va dimenticato il fatto che l'Islam non è una realtà
omogenea, in quanto esiste una pluralità di islam che hanno coscienza dell'unità
profonda che lega l'umma ( la comunità de fedeli), ma che al tempo stesso si sono
sviluppati lungo la storia in forme e secondo caratteri diversi. La descrizione
dell‟Oriente e della religione ( soprattutto islamica) come qualcosa di arretrato e
incompatibile con i modelli occidentali si può ritrovare in molti scritti a partire dalla
Divina Commedia di Dante (XIV secolo),de Sacy, Renan, E. W. Lane, Nerval,
Flaubert ma anche Marx, Gobineau, Kipling (con il celebre “fardello dell‟Uomo
bianco”) e così fino ai giorni nostri. Said, tramite un articolo di giornale, critica
apertamente le concezioni di S. P. Huntington come un tentativo di mantenere il
predominio culturale e politico della propria nazione e calcare la mano su presunte
differenze e su un‟arretratezza strutturale del mondo non-occidentale. I sostenitori
della possibilità di avere una piena democrazia in Oriente sostengono, innanzitutto,
che democrazia non vuole dire “elezioni” e affermano che il 40% dei musulmani
vive, come minoranza, in Stati democratici e non sembra essere intollerante o
inadatto a vivere in questa situazione. In quest‟ultimo capitolo molti sostenitori della
democrazia come modello universale si allontanano dalle affermazioni di Amartya
Sen quando sostengono che può, e forse dee, essere l‟Occidente ad esportare e
sostenere la democrazia. In conclusione questi autori sostengono che ci sono molti
modelli di democrazia, le elezioni non fanno una democrazia, la democrazia richiede
tempo, si basa su un popolo informato e istruito e , di conseguenza, su media
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indipendenti e responsabili, le donne sono vitali e vanno eliminate le differenze per
sesso, le riforme politiche ed economiche si rafforzano reciprocamente e, infine
anche se può essere incoraggiata dal di fuori, la democrazia è meglio costruita
dall’interno.
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Amartya Sen.
Le radici plurali e il valore universale della
democrazia.
In questo capitolo cercherò di analizzare, attraverso il pensiero di Amartya Sen, la
democrazia come valore e come modello universale.
Trattandosi di un autore di origine indiana, questa analisi sarà incentrata
principalmente sull‟India e sulla sua tradizione democratica, eterodossa e pluralista
ma saranno presenti spunti e riferimenti anche alla tradizione di altri stati non-
occidentali che spesso vengono etichettati come non adatti ad abbracciare un modello
democratico. Per ampliare il discorso, comunque, rimando al capitolo terzo, nel quale
approfondirò, grazie all‟analisi di altri autori, i rapporti tra Oriente e Occidente nel
loro complesso.
1. BIOGRAFIA1
Amartya Sen nacque nel 1933 a Santiniketan (in Bengala).
La sua famiglia proviene da Dhaka - ora la capitale del Bangladesh. Suo padre
(Ashutosh Sen) ha insegnato chimica a Dhaka University . Per tre anni dell'infanzia
(età compresa tra i 3 e 6) è stato a Mandalay in Birmania, dove il padre era un
professore in visita. Ma gran parte della sua infanzia è stata trascorsa a Dhaka e ha
iniziato la sua educazione formale lì, presso la Scuola di San Gregorio.
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MLA style: "Amartya Sen - Autobiography". Nobelprize.org. 8 Jun 2010
http://nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/1998/sen-autobio.html
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Tuttavia, ben presto si trasferisce a Santiniketan e fu soprattutto la scuola in Tagore a
formare la sua educazione, nel campus Visva-Bharati di Rabindranath Tagore (che è
sia una scuola che un college), dove il nonno materno (Kshiti Mohan Sen2)
insegnava sanscrito e la cultura antica e medievale indiana e dove la madre (Amita
Sen), come Sen stesso poi, era stata una studentessa. L'accento dell‟istruzione, in
questo campus, è stato posto sulla promozione della curiosità piuttosto che
sull'eccellenza competitiva, e qualsiasi tipo di interesse sulla prestazione dell‟esame
e sui voti è stato fortemente scoraggiato ed è stato sorprendentemente aperto a
influenze provenienti da tutto il mondo, tra cui l'Occidente, ma anche altre culture
non-occidentali, come Est e Sud-Est asiatico (Cina, Giappone, Indonesia, Corea) e
Africa. Sen dice di essere stato molto colpito dall‟approccio Rabindranath Tagore
alla diversità culturale nel mondo che ha espresso in una lettera ad un amico:
"Qualunque cosa riusciamo a capire e godere dei prodotti umani diventa subito
nostro, qualunque possa essere la loro origine ... Fammi sentire con gioia pura che
tutte le grandi glorie degli uomini sono mie ".
Quando disse a suo nonno che non aveva convinzioni religiose gli fu risposto che
aveva già scelto la parte atea dell‟induismo: il Lokayata.3
Dopo Santiniketan, ha studiato al Presidency College di Calcutta e poi al Trinity
College di Cambridge, e ha insegnato presso le università in queste due città, e poi
all'Università di Delhi, alla London School of Economics, alla Oxford University e,
successivamente, alla Harvard University, e su una base in visita, presso il MIT,
Stanford, Berkeley e Cornell. Il campo di studi varia molto durante la giovane età
(nell‟età compresa tra i tre e i diciassette anni) passando dallo studio del sanscrito,
della matematica e fisica, prima di concentrarsi sul il fascino eccentrico dello studio
dell‟economia. Nel 1998, pur mantenendo la sua carica di docente ad Harvard, ha
fatto ritorno come rettore al Trinity College. Presidente della Economic Society,
della International Economic Association, della Indian Economic Associationa.
A Sen è stato conferito il Premio Nobel per l‟economia nel 1998 la motivazione di
assegnazione del Premio Nobel, parlando del suo lavoro recita: "...has been highly
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Kshiti Mohan Sen “Medieval Mysticism of India” e “Induism”
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Amartya K. Sen “L’altra India – la tradizione razionalista e scettica alle radici della cultura indiana”.
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instrumental in restoring an ethical dimension to economics and related disciplines".
Al professor Sen sono state assegnate quasi una ventina di lauree honoris causa; ha
presieduto inoltre numerose associazioni scientifiche, fra le più prestigiose, tra cui si
ricordano l'American Economic Association, la Econometric Society e la
International Economic Association.
Le sue pubblicazioni scientifiche consistono in una dozzina di libri e circa 200
articoli pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche . Tra le opere scritte da Sen
meritano sicuramente di essere ricordate Collective Choice and Social Welfare
(1971), On Economic Inequality (1973), Commodities and Capabilities (1985), Etica
ed Economia (1987), Inequality Reexamined (1992), Lo sviluppo è libertà (1999), Lo
sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia (2000) Globalizzazione
e libertà (2002), La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un'invenzione
dell'Occidente (2004) L'altra India. La tradizione razionalista e scettica alle radici
della cultura indiana ( 2005), Identità e violenza (2006).
2. IL PENSIERO DI AMARTYA SEN
L‟idea di disuguaglianza4 deve secondo Sen confrontarsi con due diversi ostacoli:
a) la sostanziale eterogeneità degli esseri umani;
b) la molteplicità dei punti focali a cui la disuguaglianza può essere oggetto di
valutazione.
Al di là della “potente retorica dell’uguaglianza”, che trova il suo apice nella nota
asserzione per cui “tutti gli uomini nascono uguali”, Sen è convinto che gli individui
siano del tutto diversi gli uni dagli altri e che dunque il pur ambizioso progetto
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Amartya K. Sen “La diseguaglianza. Un riesame critico” ed Il Mulino (2010)
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egualitario debba muoversi “in presenza di una robusta dose di preesistente
disuguaglianza da contrastare”. Ciò vuol dire – rileva Sen – che per poter parlare di
eguaglianza occorre preventivamente porsi il duplice quesito:
a) why equality? (“perché eguaglianza?”);
b) equality of what? (“eguaglianza di che cosa?”).
Non si può infatti pretendere di difendere l‟eguaglianza (o di criticarla) senza sapere
quale sia il suo oggetto, ossia quali siano le caratteristiche da rendere uguali (redditi,
ricchezze, opportunità, libertà, diritti, ecc). Interrogarsi sull‟uguaglianza significa
dunque innanzitutto interrogarsi su quali siano gli aspetti della vita umana che
debbono essere resi eguali.
La storia della filosofia ci offre una molteplicità di esempi diversi di soluzioni:
Rawls5 descrive l‟eguaglianza come un paniere di beni primari di cui tutti gli
individui dovrebbero disporre; Dworkin come eguaglianza di risorse; gli utilitaristi
come eguale considerazione delle preferenze o delle utilità di tutti gli individui. Sen
sottopone a critica tutte quelle teorie che fanno della libertà un qualcosa di
meramente strumentale, privo di valore intrinseco: gli stessi Dworkin e Rawls hanno
soffermato la loro attenzione più sui mezzi e le risorse che portano alla libertà che
non sull‟estensione della libertà in se stessa. I “beni primari” di cui dice Rawls e le
“risorse” di cui scrive Dworkin sono agli occhi di Sen degli indicatori assai imprecisi
e vaghi di ciò che si è realmente liberi di fare e di essere.
Ancora più vago e impreciso è il “reddito”, poiché una persona malata e bisognosa di
cure è sicuramente in una condizione peggiore di una persona sana avente il suo
stesso reddito. La conclusione a cui Sen perviene è che il grado di eguaglianza di una
determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le
persone una serie di capabilities di acquisire fondamentali funzionamenti, ossia
un‟adeguata qualità della vita.
Fedele a questa impostazione, Sen è giunto, nei suoi scritti successivi, a tratteggiare
una teoria dello sviluppo umano in termini di libertà e, nel fare ciò, si è direttamente
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John Rawls “Collected Paper” Cambridge (MA) Harvard University Press 1999