5
in vigore solo al momento dell’avvenuta ratifica da parte di tutti gli
Stati membri, le importanti novità da questo introdotte devono
essere prese in considerazione per essere in grado di scorgere quale
sarà il futuro dell’Unione europea in questo campo.
Il Trattato di Amsterdam, inoltre, ha posto come obiettivo da
raggiungere la creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia in cui fosse possibile la lotta a qualsiasi tipo di criminalità,
per assicurare la tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini europei.
Il secondo capitolo di questa analisi descrive le tappe
necessarie per la creazione di tale spazio, dal principio di mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie, alle importanti conclusioni
del Consiglio europeo di Tampere fino all’obiettivo di semplificazione
dell’esistente procedura di estradizione.
Il mandato d’arresto europeo rappresenta la prima
realizzazione del mutuo riconoscimento e il risultato degli sforzi
effettuati per rendere la procedura estradizionale più veloce ed
efficace. Dell’ampia disciplina di questo istituto verranno analizzati gli
aspetti sostanziali e solo brevemente accennati quelli procedurali. In
particolar modo tratteremo dell’abolizione della regola della doppia
incriminabilità per determinati reati, del regime dei motivi obbligatori
e facoltativi di rifiuto di eseguire un mandato d’arresto europeo,
delle garanzie richieste allo Stato membro di emissione, dei limiti
temporali imposti per consegnare la persona, della previsione di una
procedura totalmente giudiziaria e del rapporto di tale disciplina con
i diritti fondamentali del ricercato.
La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo prevede
che la Commissione rediga un rapporto relativo allo stato
dell’attuazione della decisione stessa in ogni Stato membro.
6
Sulla base di tale documento è stato possibile esporre le
principali problematiche incontrate dai Paesi membri nell’accingersi a
recepire nel proprio ordinamento interno l’istituto in esame.
Per quel che concerne l’Italia, il problema dell’attuazione della
decisione quadro ha dato vita ad un intenso dibattito, provato dalla
copiosa dottrina esistente in materia.
Gli autori italiani si sono divisi tra chi ha sostenuto una
rilevante incompatibilità della disciplina del mandato d’arresto
europeo con i principi costituzionali e fondamentali del nostro diritto,
e chi ritiene che tali problematiche possano risolversi in sede di
recepimento.
Le risposte a tali questioni potranno essere date solo dalla
prassi che si formerà a seguito dell’approvazione, avvenuta di
recente, della legge n. 69/2005 recante disposizioni per conformare
il diritto interno alla decisione quadro.
L’ultimo paragrafo della nostra trattazione sarà dedicato
proprio ad una breve analisi della disciplina che viene introdotta dalla
legge appena approvata. In particolare verranno indicate le soluzioni
adottate dal Governo italiano in relazione, ad esempio, al principio di
doppia incriminabilità, ai motivi di rifiuto di eseguire un mandato,
alla tutela della persona ricercata e al rispetto dei limiti temporali
previsti dalla decisione quadro.
7
CAPITOLO 1
LE DECISIONI QUADRO NELL’AMBITO DEL TERZO
PILASTRO DELL’UNIONE EUROPEA
8
1.1 GLI SVILUPPI DEL “TERZO PILASTRO” DAL TRATTATO DI
MAASTRICHT AL TRATTATO DI AMSTERDAM
Il Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre
1993, segna una svolta importante nell’ambito della cooperazione
giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri delle Comunità
europee.
La situazione si era ancorata, fino ad allora, ad un livello
intergovernativo, caratterizzato dall’utilizzo di strumenti
convenzionali
1
. Il Trattato di Maastricht, nel dar vita all’Unione
Europea, introduce una costruzione di questa così detta a “pilastri”, il
primo dei quali è rappresentato dal Trattato delle Comunità europee,
mentre il secondo concerne la politica estera e di sicurezza comune
(PESC). Il settore “Giustizia e affari interni”, disciplinato dal Titolo VI,
diviene il “terzo pilastro” su cui poggia l’Unione europea,
inaugurando una cooperazione giudiziaria in materia penale e civile
che si svolge, ora, all’interno dei trattati.
Gli Stati membri hanno così preso l’impegno di cooperare in
relazione alle materie figuranti nel Titolo VI, e a questo fine l’art K.3
prevede, accanto al classico mezzo della convenzione internazionale,
l’impiego di nuovi strumenti: la posizione comune e l’azione comune.
Limitandoci a prendere in esame la cooperazione giudiziaria in
materia penale, risalgono a questo periodo le due Convenzioni
relative all’estradizione del 1995 (prevede una procedura
1
Tra gli altri ricordiamo l’Accordo relativo all’applicazione tra gli Stati membri della CE della
Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate (Bruxelles, 25
maggio 1987), la Convenzione relativa all’applicazione del principio “ne bis in idem” (Bruxelles,
25 maggio 1987), l’Accordo sull’uso del telefax nelle procedure di estradizione (S. Sebastian, 26
maggio 1989), l’Accordo sul trasferimento dei procedimenti penali (Roma, 6 novembre 1990), la
Convenzione sull’esecuzione delle condanne penali straniere (L’Aia, 13 novembre 1991).
9
semplificata in caso del consenso dell’estradando), e del 1996
(completa le Convenzioni del Consiglio d’Europa di estradizione del
1957 e sul terrorismo del 1977, ampliandone il campo di
applicazione)
2
.
Tra gli altri strumenti adottati nel campo della lotta alla
criminalità organizzata si possono ricordare: la Convenzione che
istituisce un Ufficio europeo di polizia (Europol) con relativo
Protocollo sulla competenza della Corte di Giustizia
3
, la Convenzione
sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee con
i tre protocolli aventi ad oggetto la materia della corruzione dei
funzionari, della competenza interpretativa della Corte di Giustizia e
della responsabilità delle persone giuridiche
4
e la Convenzione sulla
lotta contro la corruzione dei funzionari delle Comunità europee o
degli Stati membri
5
.
Il fatto che la maggior parte delle disposizioni in ambito di
cooperazione penale, fosse contenuta all’interno di Convenzioni
internazionali è esemplificativo del livello intergovernativo ancora
mantenuto in questo campo. Occorre, infatti, precisare che questi
strumenti per entrare in vigore necessitavano della ratifica di tutti gli
Stati membri, situazione che avveniva piuttosto di rado.
Il “Piano d’azione contro la criminalità organizzata”, adottato
dal Consiglio il 28 aprile 1997
6
, viene considerato la vera svolta nella
cooperazione contro la criminalità.
2
Le due Convenzioni sono pubblicate rispettivamente in: G.U.C.E., C 78, del 30 marzo 1995, p. 1;
e G.U.C.E., C313, 23 ottobre 1996, p. 11.
3
G.U.C.E., C 316, del 27 novembre1995, p. 1 . Protocollo: G.U.C.E., C 299, del 9 ottobre 1996, p.
1.
4
G.U.C.E., C 316, del 27 novembre 1995, p. 48. Protocolli: G.U.C.E., C 313 del 26 ottobre 1996,
p. 1; G.U.C.E., C 151, del 20 maggio 1997, p. 1; G.U.C.E., C 221, del 19 luglio 1997, p. 11.
5
G.U.C.E., C 195, del 25 giugno 1997, p. 1.
6
G.U.C.E., C 251, del 15 agosto 1997, p. 1.
10
Il Piano d’azione rappresenta il risultato dei lavori di un
“Gruppo ad alto livello”, creato dal Consiglio europeo di Dublino del
1996, e viene sottoposto all’attenzione del Consiglio europeo di
Amsterdam, che si limita a “esprimere soddisfazione” e a
“condividerne” gli orientamenti politici.
Questo strumento non rientra tra gli atti tipici previsti
dall’articolo K.3 del Trattato sull’Unione Europea, e non sembra
appartenere nemmeno al novero degli atti atipici normalmente
adottati dal Consiglio, quando non intende emanare atti vincolanti. Il
Piano d’azione è costituito da tre parti: la prima descrive il problema
della criminalità organizzata e le possibili soluzioni di contrasto
elaborate dal “Gruppo ad alto livello”; la seconda espone “gli
orientamenti politici” che, nella terza parte, vengono riportati in
termini attuativi, con rispettive scadenze di realizzazione.
Successivamente il Piano d’azione conferisce ad Europol la piena
operatività ed estende il suo mandato e i suoi compiti; infine dedica
un capitolo ai rapporti tra criminalità organizzata e denaro.
Molti autori
7
sono concordi nel ritenere che, sebbene il
Trattato sull’Unione Europea contenga numerosi miglioramenti, la
cooperazione giudiziaria in materia penale sia rimasta ad uno stadio
essenzialmente intergovernativo, sia per quanto riguarda la
procedura decisionale degli organi coinvolti, sia per l’atteggiamento
dimostrato dagli Stati membri nelle sedute di lavoro.
7
Tra gli altri: SALAZAR, La cooperazione giudiziaria in materia penale, in PARISI-RINOLDI (a
cura di), Giustizia e affari interni nell’Unione europea. Il “terzo pilastro” del Trattato di
Maastricht, Torino, 1998, pagg. 134-161; ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e affari
interni tra comunitarizzazione e metodo intergovernativo, in “Diritto dell’Unione europea”, 1998,
fasc. 2-3, pagg. 481-509; TUFANO, La cooperazione giudiziaria penale e gli sviluppi del “terzo
pilastro” del Trattato sull’Unione europea, in “Diritto pubblico comparato ed europeo”, 2001, fasc.
2, pagg. 1030-1050.
11
Il primo punto si riferisce all’abuso della regola dell’unanimità,
la quale comporta un procedimento molto lungo e complesso
8
nella
fase di negoziazione, e una lentezza cronica nella fase di ratifica che
permette agli Stati la possibilità di bloccare un testo approvato sia
pur con riserva. L’unanimità induce gli Stati ad adottare
frequentemente atti di livello inferiore a quanto auspicato, ed è
questa la ragione per cui, spesso, sono stati preferiti strumenti di
cooperazione più vicini a quelli utilizzati prima
dell’istituzionalizzazione operata dal Trattato di Maastricht
9
.
In questo modo gli Stati membri si sono rivelati più propensi
ad accettare una armonizzazione politica, anche se a scapito della
certezza giuridica, la quale, però, non viene raggiunta nemmeno
quando l’Unione adotta gli strumenti tipici messi a disposizione dal
Trattato.
Da questo punto di vista è emblematico
10
l’utilizzo delle azioni
comuni. L’articolo K.3 del Trattato sull’Unione Europea non specifica
gli effetti correlati all’uso di questi strumenti, limitandosi a prevedere
che il Consiglio possa adottare azioni comuni quando ritiene che “gli
obiettivi dell’Unione …. possano essere realizzati meglio con
un’azione comune che con azioni dei singoli Stati membri”. Sulla
base dell’articolo K.3.1 si è diffusa la prassi di negare a tali atti un
effetto vincolante. Infatti l’articolo in questione prevede che gli Stati
rimangano arbitri del grado di coordinamento che intendono dare
alla loro cooperazione: “gli Stati membri si informano e si consultano
8
Il ruolo centrale del Consiglio è rafforzato da una struttura di supporto su cinque livelli: i gruppi
di esperti, i comitati direttori, i gruppi di lavoro, il comitato di coordinamento ed il Coreper. Nella
prassi la struttura ha subìto delle modifiche, come la soppressione dei comitati direttori e la nascita
del gruppo dei consiglieri GAI nell’ambito del Coreper.
9
Circa 50 tra risoluzioni, raccomandazioni e dichiarazioni. Sul punto TUFANO, op. cit., pag.
1037.
10
TUFANO, op. cit., pagg. 1039 e ss.
12
reciprocamente in seno al Consiglio, per coordinare la loro azione;
essi instaurano a tal fine una collaborazione tra i servizi competenti
delle loro amministrazioni”.
Il silenzio del Trattato e la prassi consolidatasi spiegano
l’iniziale reticenza degli Stati membri ad adottare azioni comuni
11
.
Nella seconda metà degli anni novanta si assiste ad un
cambiamento nella prassi della cooperazione giudiziaria, la finalità è
quella di rimuovere gli ostacoli rappresentati dalla regola
dell’unanimità e dai procedimenti nazionali di ratifica, per far questo
gli Stati ricorrono ai programmi contenenti oltre ad enunciazioni
generali, anche obiettivi dettagliati, seguiti da calendari di priorità.
Inoltre, per dar vita ad un rapporto diretto tra le autorità giudiziarie
e quindi intensificare la cooperazione tra le amministrazioni, vengono
utilizzate azioni comuni che prevedono obblighi di mezzo
12
.
Accanto a queste aumentano anche le azioni comuni
contenenti obblighi di risultato
13
, al fine di armonizzare il quadro
giuridico creato dalla cooperazione amministrativa.
La tendenza affermatasi dell’utilizzo di questi strumenti per
impegni di carattere essenzialmente politico, non aiuta a risolvere
l’incertezza giuridica che avvolge la azioni comuni, sia per quanto
riguarda la loro natura, che per quanto riguarda i loro effetti.
11
Sono state adottate solo quattro azioni comuni, tra queste quella istitutiva dell’Unità antidroga
Europol, G.U.C.E., L 62 del 20 marzo 1995, p. 1.
12
Ricordiamo: Azione comune del 22 aprile 1996, 96/277/GAI relativa all’istituzione di una rete
di “magistrati di collegamento”, pubblicata in G.U.C.E., L 105 del 27 aprile 1996, p. 1. Azione
comune del 5 dicembre 1997, 97/827/GAI che istituisce un meccanismo di valutazione
dell’applicazione e dell’attuazione a livello nazionale degli impegni internazionali in materia di
lotta alla criminalità organizzata, pubblicata in G.U.C.E., L 344 del 15 dicembre 1997, p. 7.
Azione comune del 29 giugno 1998, 98/428/GAI che istituisce la “rete giudiziaria europea”,
pubblicata in G.U.C.E., L 191 del 7 luglio 1998, p. 4.
13
Ricordiamo: Azione comune del 15 luglio 1996, 96/443/GAI contro il razzismo e la xenofobia,
pubblicata in G.U.C.E., L 185 del 24 luglio 1996, p. 5. Azione comune del 24 febbraio 1997,
97/154/GAI relativa alla tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini,
pubblicata in G.U.C.E., L 63 del 4 marzo 1997, p. 2.
13
In modo particolare, rimane il dubbio se e in quale misura il
disposto combinato degli articoli K.1.7 e K.3, lettera b), costituisca la
base giuridica per l’armonizzazione del diritto nazionale degli Stati
membri, nel campo della cooperazione penale
14
; gli Stati ritengono
che questa armonizzazione non possa essere attuata per perseguire
specifiche politiche criminali, come invece molte azioni comuni
sembrano fare
15
.
Proprio questo aspetto si rivela essere la principale condizione
ostativa ad uno sviluppo a livello europeo della politica criminale. Il
Trattato di Maastricht ha volontariamente limitato la cooperazione
giudiziaria penale tra gli Stati membri, evitando di prevedere una
specifica disposizione che attribuisse all’Unione una competenza al
ravvicinamento della legislazioni nazionali in materia penale.
I tentativi di armonizzazione effettuati all’interno del “terzo
pilastro” di Maastricht, attraverso convenzioni e, come abbiamo
visto, azioni comuni, hanno risentito di questa situazione. Fino a
quando non verrà previsto un diretto potere di intervento in capo
all’Unione nel ravvicinamento delle politiche criminali, è evidente che
ogni tentativo di costruire una stretta cooperazione in materia
penale che dia vita a politiche, definizioni e fattispecie omogenee o
per lo meno compatibili, sarà destinata all’incertezza e alla polemica,
se non addirittura al fallimento.
Il Trattato di Maastricht conteneva una disposizione, l’articolo
N, in base alla quale nel 1996 sarebbe stata convocata una
14
TUFANO, op. cit. pag. 1042.
15
Azione comune del 15 luglio 1996, 96/443/GAI, citata in precedenza. Azione comune del 24
febbraio 1997, 97/154/GAI, citata in precedenza.
14
conferenza intergovernativa per la revisione di determinate e
previste aree del Trattato
16
.
La relazione
17
del “Gruppo di riflessione”, incaricato di
presentare le proprie conclusioni sul funzionamento dell’Unione e
sulle possibili riforme in vista della conferenza intergovernativa,
riporta le problematiche sovra esposte relative al “terzo pilastro”
dell’Unione Europea. Il “Gruppo di riflessione”, infatti, considera
“nettamente deficiente” il funzionamento di alcune disposizioni del
Titolo VI del Trattato, facendo riferimento in particolare a tre fattori:
l’inesistenza di precisi obiettivi e di un calendario per la loro
attuazione, l’inadeguatezza degli strumenti giuridici a disposizione
degli organi europei e l’eccessiva complicatezza del procedimento
decisionale articolato sui cinque livelli
18
.
La vera ragione della scarsa efficacia e dell’inadeguatezza delle
disposizioni del Titolo VI, riscontrata dalla Relazione, sembra potersi
individuare con una certa sicurezza, nella mancanza di volontà degli
Stati a cooperare nel settore penale secondo schemi nuovi.
Se, da una parte, le convenzioni costituiscono strumenti ormai
collaudati e con cui gli Stati hanno una generale dimestichezza,
dall’altra non sembrano essere all’altezza dello scenario introdotto
dal Trattato di Maastricht. Le posizioni comuni e, in particolare, le
azioni comuni appaiono all’opposto strumenti ancora troppo nuovi e
con possibili implicazioni che preoccupano gli Stati membri per quel
16
La disposizione riguardava specificatamente le seguenti materie: l’estensione del campo di
applicazione della procedura di codecisione, le questioni relative alla sicurezza e alla difesa e in
genere alla PESC, l’estensione delle competenze comunitarie nei settori dell’energia, del turismo e
della protezione civile, l’eventuale definizione di una gerarchia degli atti comunitari.
17
“Relazione del gruppo di riflessione” contenuta nel documento del Consiglio datato 8 dicembre
1995.
18
Citati alla nota 8.
15
che riguarda la loro efficacia e le conseguenze inerenti al loro utilizzo
come strumenti di armonizzazione
19
.
Questo è il principale motivo per cui la cooperazione in
materia di giustizia e affari interni sia rimasta essenzialmente
intergovernativa, e i pochi interventi volti a innalzare la
collaborazione ad un livello più alto si siano sempre scontrati con il
problema dell’assenza di competenza penale in capo all’Unione e con
l’asserita estraneità tra la sfera del diritto comunitario e quella del
diritto penale.
Al Consiglio europeo di Dublino del 1996 il quadro generale
per un progetto di revisione dei trattati è pronto e reca il titolo:
“L’Unione Europea oggi e domani. Adeguamento dell’Unione Europea
per il bene delle sue popolazioni e sua preparazione al futuro.
Quadro generale di un progetto di revisione dei trattati”
20
.
Il Trattato di Amsterdam, con le versioni coordinate del
Trattato sull’Unione Europea e del Trattato della Comunità Europea,
viene firmato il 2 ottobre 1997 ed entra in vigore il 1° maggio
1999
21
.
19
SALAZAR op. cit. pag. 152 e ss.
20
Il documento si articola in tre parti. Nella prima parte sono contenute le modifiche dei testi in
vigore con le relative motivazioni. Le proposte sono divise in cinque settori: “Uno spazio di
libertà, di sicurezza e di giustizia”, “L’Unione e il cittadino”, “Una politica estera efficace e
coerente”, “Le istituzioni dell’Unione”, “Cooperazione rafforzata. La flessibilità”. La seconda
parte contiene altre proposte di revisione, mentre la terza accenna molto brevemente al problema
della semplificazione dei trattati.
21
G.U.C.E., C 340, del 10 novembre 1997.
16
1.2 LA DECISIONE QUADRO: LO STRUMENTO PRINCIPE DEL
TRATTATO DI AMSTERDAM
Le modifiche apportate al Trattato sull’Unione Europea dal
Trattato di Amsterdam hanno consentito di affermare che, i
mutamenti operati nel settore della giustizia e degli affari interni
appaiono più numerosi e rilevanti di quelli relativi a qualsiasi altra
parte dei Trattati
22
.
Il nuovo Trattato, fin dalle prime disposizioni, sembra porre
come ambizioso obiettivo il raggiungimento di uno stretto rapporto
tra gli Stati membri nella lotta alla criminalità internazionale,
attraverso la costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia
23
, in relazione con la crescente esigenza, avvertita sempre
più dai cittadini dell’Unione, di prevenire e contrastare direttamente
questo fenomeno con uno sforzo congiunto.
Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, gli Stati hanno
sempre dimostrato una certa prudenza, se non reticenza, ad andare
oltre la “semplice” cooperazione in ambito penale. Il timore di
sacrificare all’Unione una parte sostanziale della sovranità nazionale,
le croniche differenze delle legislazioni nazionali nelle politiche
criminali e la mancanza di competenza dell’Unione in materia penale,
sono le principali motivazioni del “ritardo” di questo settore rispetto
21Vedi: TIZZANO, Il Trattato di Amsterdam, Padova, 1998; SALAZAR, L’Unione europea e la
lotta alla criminalità organizzata da Maastricht ad Amsterdam, in “Documenti giustizia”, 1999,
fasc. 4-6, pagg. 392-418; AA.VV., Il Trattato di Amsterdam. Estratto dalla rivista: “Il Diritto
dell’Unione europea”, Milano, 1999; PATTIOLI, Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero
europeo, Milano, 2002; AA.VV., Rogatorie penali e cooperazione giudiziaria internazionale,
Torino, 2003; GAUTIER, L’influence du modèle communautaire sur la coopération en matière de
justice et d’affaires intérieures, Bruylant, 2003.
23
L’obiettivo di conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia è
previsto dall’articolo 2 TUE.
17
ad altri come quelli delle politiche economiche e della libertà di
circolazione.
Si aggiunge a questo scenario che il Trattato di Maastricht non
attribuiva nessun potere diretto di intervento agli organi comunitari
nel ravvicinamento delle legislazioni nazionali.
Nel tentativo di rendere operante, all’interno dell’Unione, uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il Titolo VI, a seguito
dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, viene
completamente riscritto ad iniziare dalla sua denominazione che
diventa “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”. La
modifica è dovuta principalmente al passaggio di alcune materie,
prima rientranti nel “terzo pilastro”, all’interno del nuovo Titolo IV
del Trattato che istituisce la Comunità Europea. In altri termini, ora
tali materie potranno usufruire degli strumenti e delle procedure
proprie del “primo pilastro” del Trattato, che comportano una più
stretta collaborazione tra gli Stati membri. Oggetto della
“comunitarizzazione” sono state le materie dei visti, dell’asilo,
dell’immigrazione e le altre politiche connesse con la libera
circolazione delle persone e in particolare la cooperazione in materia
civile
24
.
La cooperazione giudiziaria in materia penale è rimasta, di
conseguenza, l’unico aspetto a cui si riferisce il “terzo pilastro”
dell’Unione Europea ed, entro i limiti indicati, il nuovo Trattato
apporta altre significative modifiche: in particolare conferisce uno
spazio maggiore alle esigenze di trasparenza e pubblicità, introduce
nuovi strumenti d’azione a disposizioni degli organi comunitari,
24
Articoli 61 e ss. del Trattato CE.
18
inaugura la competenza della Corte di Giustizia in questo ambito, e
amplia i margini di intervento del Parlamento europeo.
La nostra trattazione si limiterà ad esaminare le novità inerenti
gli strumenti che il Trattato di Amsterdam pone a disposizione
dell’Unione: in particolare l’articolo 34, che mantiene in vigore le
posizioni comuni, ma accanto alla convenzione, introduce, ora, la
decisione e la decisione quadro.
La prassi che si sta sviluppando dall’entrata in vigore del
Trattato sembra aver imposto le decisioni quadro come il principale
strumento nella cooperazione penale dell’Unione, sia per quanto
riguarda l’avvicinamento normativo sia per quanto riguarda le misure
di cooperazione tra le autorità giudiziarie
25
.
La decisione quadro riflette in modo chiaro e concreto gli
obiettivi che il Trattato di Amsterdam si prefigge di raggiungere con
le modifiche al Titolo VI. Questo è desumibile tanto dalla disciplina
delle decisioni quadro, che tratteremo nel paragrafo seguente,
quanto dal contesto giuridico in cui questi strumenti sono inseriti.
L’articolo 34 lettera b) prevede espressamente che il Consiglio
adotti decisioni quadro “per il ravvicinamento delle disposizioni
legislative e regolamentari degli Stati membri”.
Il quadro legislativo nel quale è inserita questa previsione, il
Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea, richiama già dalla sua
prima disposizione, l’articolo 29, quello che l’articolo 2 dello stesso
Trattato pone come obiettivo principale dell’Unione nel campo della
cooperazione penale: la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza
e giustizia.
25
SALAZAR, Le fonti tipiche dell’Unione Europea, in AA.VV., Rogatorie penali e cooperazione
giudiziaria internazionale, Torino, 2003, p. 66.