4
locale»2. Lontani dal concetto di autonomia, i Comuni rimanevano la
longa manus dello Stato centrale, essendo «i dirigenti … di nomina
regia e la contabilità … vista come rendicontazione alla corona»3. Il censo
era il parametro di rappresentanza nei primi consigli comunali. La
gestione dei Comuni era finanziata dai proventi delle rendite dei
beni, mente il ricorso all’imposizione personale era prevista solo
quando le rendite fossero insufficienti e, comunque, nei limiti di
legge4.
Nella Repubblica Cisalpina il processo di partecipazione alla
gestione dell’ente locale fu decisamente negato da Napoleone: gli
organismi si svuotarono di quel minimo di autonomia: il consiglio
era convocato solo due volte all’anno per deliberare la
rendicontazione dell’anno precedente e per determinare
l’ammontare delle spese e delle imposte per l’anno in corso5.
Con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto venne
ripristinato l’ordinamento teresiano: il regno fu ripartito in Province,
Distretti e Comuni. Sebbene la rappresentanza fosse ancora
censitaria, si afferma il concetto per cui il cittadino abbia diritto di
avere un buon consiglio comunale, non tanto perché contribuente,
2
Ibidem; sull’argomento: E. ROTELLI, L’alternativa delle autonomie, Feltrinelli, 1978
3
Ibidem
4
Ibidem
5
Ibidem
5
ma in quanto cittadino6.
2. Lo Stato Piemontese e l’unificazione del Regno d’Italia
Per oltre un secolo, la normativa statale che regolava non soltanto
la contabilità, ma anche l’organizzazione e il funzionamento degli
enti locali, ha presentato caratteristiche diverse collegate alla
concezione di uno Stato accentrato che concedeva molto poco alle
autonomie locali7.
La materia dei bilanci delle gestioni finanziarie e di quelle
patrimoniali degli enti locali trovò «la sua originaria, sebbene
frammentaria e lacunosa, disciplina sin dal 1865»8 con la legge 20
marzo 1865, allegato A, sull’amministrazione comunale e provinciale.
Il riordinamento organico a livello normativo ebbe luogo poi con
il Regio decreto 6 luglio 1890, n. 7036, con cui si dettò «una disciplina
organica relativa a patrimonio, inventari, contratti, anno finanziario,
bilancio previsionale, entrate e spese, conto consuntivo»9.
I principi del R. d. 7036/1890 furono recepiti dalla legislazione
successiva e rimasero inalterati.
6
Ibidem, pag. 1025
7
M. COLLEVECCHIO, Ordinamento finanziario e contabile ● Commento ● Parte II ● Titoli I –VII ● art. 149 – 269, in L.
VANDELLI (Coordinamento di), Commenti al T.U. sull’ordinamento delle autonomie locali, Maggioli, Rimini, 2002,
pag. 80
8
A. BARETTONI ARLERI, Contabilità dello Stato e degli enti pubblici, III edizione riveduta e aggiornata, Nis , Roma,
1997, pag. 265
9
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, I Comuni e le Province, nuova edizione, il Mulino, Bologna, 1996, pag. 175
6
Il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e
provinciale10 del 1911 – che inseriva nell’ordinamento i concetti di
spese obbligatorie e spese facoltative - , così come il testo unico per la
finanza locale11 del 1931 o quello della legge comunale e
provinciale12 del 1934, non produssero infatti variazioni significative
rispetto alla legislazione preesistente, se si eccettuano il
rafforzamento dei controlli statali in conseguenza all’avvento del
regime fascista, e la funzione propria del testo unico del 1934 di
riaggregare in un complesso normativo organico le disposizioni già
in vigore13.
«L’insieme di queste norme risentiva della concezione secondo
cui gli enti locali minori erano per lo più deputati ad assolvere un
ruolo servente dello Stato persona. Concepiti prevalentemente in
funzione garantiste di contenimento della sfera di discrezionalità
degli amministratori, il sistema di contabilità e la disciplina di
bilancio rispondevano, in tale contesto, all’esigenza di controllare e
garantire l’integrità della massa patrimoniale dell’ente; ad evitare
che, un impoverimento della medesima, comportasse, come
necessario corollario, l’inaridimento delle fonti di alimentazione del
10
approvato con Regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297
11
approvato con Regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175
12
approvato con Regio decreto 3 marzo 1934, n. 383
13
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 175
7
bilancio»14.
3. L’avvento della Costituzione repubblicana
Già nella sua originaria formulazione, la Costituzione
repubblicana conteneva norme riferibili all’autonomia degli enti
locali. L’art. 5 sancisce che «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il
più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della
sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
L’art. 114 affermava15 che «la Repubblica si riparte in Regioni,
Provincie e Comuni»16 e l’art 128 che «le Provincie e i Comuni sono enti
autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica,
che ne determinano le funzioni»17, avendo il precedente articolo 118
stabilito che le funzioni amministrative che spettano alla Regione, se
di interesse esclusivamente locale, «possono essere attribuite dalle leggi
14
Ibidem, pag. 174-175
15
L’art. 114 della Costituzione è stato così modificato dall’art. 1, 1° comma, della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3:
«Art. 114
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo
i princîpi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.»
16
G. GEROTTO, Regioni ed enti locali, in:
http://www.scipol.unipd.it/didattica/ MatrerialiOnLine/Gobbo/Regioni ed enti locali.pdf:
«Si presti attenzione alle due diverse formulazioni dell’articolo 114. In particolare si noti:
- l’inversione dell’elenco degli enti costitutivi della Repubblica, che oggi parte dal basso (sussidiarietà);
- la differenza del predicato verbale “è costituita” rispetto a “si riparte”. Nella sua nuova formulazione attribuisce più
importanza alle autonomie piuttosto che alla Repubblica;
- la comparsa dello Stato a fianco di Regioni ed enti locali.
Non è più possibile quindi identificare lo Stato con la Repubblica.»
17
L’art 128 è stato abrogato dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
8
della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali»18.
Infine il comma 2 dell’VIII disposizione transitoria e finale stabiliva
che «fino a quando non si sia provveduto al riordinamento e alla
distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali, restano alle
Provincie e ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di
cui le Regioni deleghino loro l’esercizio».
Questi principi positivi, a livello costituzionale, integrati da quelli
che riguardavano le regioni, delimitavano l’assetto delle autonomie
locali. Nonostante la solennità di questi precetti e benché la IX
disposizione transitoria e finale sancisce che «la repubblica, entro tre anni
dall’entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze
delle autonomie locali», assai poco veniva fatto nei primi venti anni
della vita repubblicana19.
18
L’art. 118 della Costituzione è stato così modificato dall’art. 4, 1° comma, della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3:
«Art. 118.
Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con
legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo
comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.»
19
C. MANACORDA, Istituzioni di contabilità pubblica, G. Giappichelli Editore, Torino, 1998, pag. 186
9
Capitolo II
Verso il decentramento
SOMMARIO: 1. Il coordinamento delle disposizioni sulla contabilità
delle province e dei comuni con quelle dello Stato e delle regioni –
2. Il decentramento e il coordinamento della finanza pubblica
1. Il coordinamento delle disposizioni sulla contabilità delle
province e dei comuni con quelle dello Stato e delle regioni
Con la legge 9 giugno 1947, n. 530 si provvide ad adeguare
l’assetto organizzativo degli enti locali alla mutata situazione
istituzionale: tuttavia si ignorò del tutto la problematica contabile,
mantenendo così in vita un sistema il cui nucleo essenziale era
costituito dalle disposizioni di cui alla legge Crispi del 18901.
Le successive modifiche, integrazioni, sostituzioni, operate
attraverso una serie di decreti legge e di leggine, finirono per
rendere ancora più confusa e frammentaria la normativa in materia
1
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 175
10
di contabilità degli enti locali, tutta fondata appunto su principi e
strumenti del secolo scorso2.
Nell’immediato secondo dopoguerra apparve chiaro che
l’intervento dei pubblici poteri, ivi compreso quello degli enti locali,
involgeva settori sempre più ampi della realtà economica e sociale3.
Il primo segnale di cambiamento intervenne nel 1965 e si riferiva
alla disciplina del bilancio, da sempre al centro degli ordinamenti
contabili: si trattava dell’estensione della legge 1° marzo 1964, n. 624
ai comuni e alle provincie in merito ai nuovi criteri di classificazione
delle spese secondo l’analisi economico-funzionale5.
La c.d. legge Curti, recante «Modificazioni al Regio decreto 18
novembre 1923, n. 2440, per quanto concerne il bilancio dello Stato, e
norme relative ai bilanci degli enti pubblici», intese appunto
accrescere la significatività della disciplina di bilancio dello Stato ed
il relativo sistema delle entrate e delle spese, selezionando i dati di
bilancio sotto il profilo funzionale in modo tale da porre in rilievo gli
oneri inerenti alle varie funzioni che lo Stato e gli enti locali
2
M. COLLEVECCHIO, Ordinamento finanziario e contabile ● Commento ● Parte II ● Titoli I –VII ● art. 149 – 269, in L.
VANDELLI (Coordinamento di), op. cit., pag. 81
3
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 176
4
la c.d. legge Curti introduceva nuove e semplici regole di grande rilievo nel sistema contabile dello Stato:
- coincidenza dell’anno finanziario dello Stato con l’anno solare (preesistente nel caso dei comuni e delle
province);
- unificazione in un solo ddl di bilancio di tutti gli stati di previsione dei Ministeri;
- introduzione della classificazione economico-funzionale della spesa.
5
L’art. 6 della legge Curti esprimeva altresì un’istanza di coordinamento, rispetto alle disposizioni dettate dallo
Stato, riguardo ai bilanci delle aziende autonome e degli enti pubblici compresi quelli territoriali.
11
assolvono, nonché classificando le spese sotto il profilo dell’analisi
economica, così da valutare l’influenza dell’attività finanziaria
statale sull’economia del Paese6.
Con il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1965, n.
670, vennero fissati i nuovi schemi e quadri di sintesi dei bilanci dei
Comuni e delle Province e con il successivo decreto del Presidente
della Repubblica 29 novembre 1965, n. 1422, si sostituì all’ormai
irrealistica suddivisione delle spese in ordinarie e straordinarie,
quella in spese correnti - o di funzionamento e di mantenimento - e
in spese in conto capitale - o di investimento. Per il resto, l’art. 5 del
d.P.R. 1422/1965 lasciò immutato il sistema preesistente, soprattutto
le disposizioni in tema di spese obbligatorie e facoltative, quelle sui
controlli e sulle responsabilità degli amministratori e dipendenti dei
comuni e delle province7.
2. Il decentramento e il coordinamento della finanza pubblica
È soltanto con la legge 16 maggio 1970, n. 281, per l’attuazione
delle regioni a statuto ordinario, che si avvia il processo di
decentramento e il conseguente impulso innovativo di adeguamento
6
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 176
7
Ibidem
12
ai nuovi principi e ai nuovi strumenti introdotti nel sistema contabile
delle regioni e dello Stato8.
L’art. 17, 1° comma, lettera d, della legge 16 maggio 1970, n. 281,
dispone che, nel trasferimento delle funzioni statali alle regioni,
«dovranno essere rispettate le esigenze dell’autonomia e del decentramento,
ai sensi degli articoli 5 e 118 della Costituzione, conservando comunque alle
province, ai comuni e agli altri enti locali le funzioni di interesse
esclusivamente locale, fino a quando non si sia provveduto al riordinamento
e alla distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti locali».
I decreti delegati del 1972 di trasferimento delle funzioni
amministrative dallo Stato alle regioni di diritto comune9, ma
soprattutto il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emanato sulla scorta dei
principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega 22 luglio 1975,
n. 382, determinarono il riassetto delle funzioni tra Stato, regioni ed
enti locali. In particolare si assegnava a questi ultimi un’ampia sfera
di attribuzioni ed un ruolo qualitativamente, oltre che
quantitativamente, rilevante, con compiti di organizzazione e
gestione dei servizi e degli interventi e, eventualmente, di
pianificazione operativa, stravolgendo, quanto meno riguardo ai
8
C. MANACORDA, op. cit., pag. 186
9
Ai decreti delegati avrebbero dovuto raccordarsi una larga utilizzazione degli istituti della delega a Province,
Comuni ed altri enti locali, e dei loro uffici, ai sensi dell’art. 118, u.c., Cost. .
13
Comuni, l’assetto delle competenze della previgente legislazione
comunale e provinciale. Non a caso l’art. 7 del decreto legge 10
novembre 1978, n. 702, soppresse la distinzione – caratteristica di
strutture pubbliche ritenute esponenziali della generalità degli
interessi delle rispettive comunità locali – fra spese obbligatorie e
spese facoltative degli enti territoriali minori.
In tale contesto, l’ente locale, in quanto partecipe del
perseguimento di interessi non più soltanto locali, ma anche
generali, assumeva a pieno titolo la veste di erogatore primario delle
funzioni e dei servizi, e di coordinatore a livello intermedio10.
Ciò vale a spiegare in termini non equivoci, anche attraverso
l’intermediazione dell’art. 11 del d.P.R. 616/1977, la duplice
improcrastinabile esigenza che ha caratterizzato il successivo
evolversi della contabilità dei comuni e delle province:
interdipendenza11 e più rigoroso coordinamento con la contabilità
dello Stato e delle regioni e con quella dell’intera area pubblica da un
lato e raccordo fra disciplina di bilancio e programmazione
dall’altro.
10
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 177
11
Da questo momento gli enti locali territoriali sono partecipi del processo di programmazione, con questa
ultima che costituisce riferimento per il coordinamento della finanza pubblica.
14
15
Capitolo III
La nuova disciplina dei bilanci pubblici
SOMMARIO: 1. L’armonizzazione dei bilanci – 2. Il coordinamento
della disciplina di bilancio degli enti locali – 3. I provvedimenti urgenti
sulla finanza locale
1. L’armonizzazione dei bilanci pubblici
La seconda metà degli anni Settanta è stata segnata da due
processi paralleli, ma non per questo privi di collegamento: ci si
riferisce all’avvio del generale processo di evoluzione ed
armonizzazione della contabilità pubblica e, nel contempo,
all’introduzione di una disciplina ponte sulla finanza locale che
avrebbe dovuto arginare, nel breve periodo, la situazione
gravemente deficitaria in cui versavano gli enti locali, nell’attesa del
riassetto definitivo delle autonomie locali - sul presupposto che la
nuova normativa sulla finanza locale dovesse trovare collocazione
16
nell’ambito della generale riforma delle autonomie1.
Come sovente accade nel nostro paese, misure urgenti di carattere
congiunturale, nella fattispecie sulla finanza locale, si trasformarono
in strumenti ordinari annuali di regolazione dei flussi finanziari
locali, destinati ad accentuare il carattere di derivazione e di
subordinazione rispetto al potere centrale. L’oggetto di tale
legislazione non risultò essere circoscritto alla materia finanziaria in
senso stretto, in quanto in essa erano contenuti molteplici riferimenti
ai profili contabili. Al punto che essa si ritagliò un ruolo non
marginale nel processo di riordinamento contabile degli enti locali,
pur nella sua frammentarietà e disorganicità2.
Basti pensare più che al primo decreto legge 17 gennaio 1977, n. 23
sul consolidamento dei debiti a breve termine di comuni e province,
o al successivo decreto legge 29 dicembre 1977, n. 9464, con cui lo
Stato si è, fra l’altro, accollato i debiti pregressi per disavanzi di
esercizio, finanziando integralmente la spesa scoperta, al decreto
legge 10 novembre 1978, n. 7025 e alla legge finanziaria 21 dicembre
1978, n. 843 - la prima in assoluto6.
1
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 178
2
Ibidem
3
c.d. decreto legge Stammati; convertito nella legge 17 marzo 1977, n. 62
4
convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43
5
convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3
6
L. VANDELLI , F. MASTRAGOSTINO, op. cit., pag. 178