2
contemporanea (è recentissima la fusione di Aterballetto e Balletto di Toscana, i due
gruppi privati più significativi e di rilevabile qualità, in una sola Compagnia). Il rischio
in cui incorriamo è l’oblio di un patrimonio, quello coreutico, profondamente radicato
nella nostra storia, cultura, temperamento: come illustrato all’inizio di questo scritto,
infatti, fu proprio l’Italia a dare i natali ai teorici, trattatisti, maestri, coreografi,
danzatrici che contribuirono in maniera decisiva a delineare i tratti caratteristici dell’arte
di Tersicore.
L’autrice, preoccupata per il destino del balletto essendone estimatrice e critica, oltre
che praticante di professione, ha inteso con questa ricerca individuare una possibile
soluzione all’implosione di interesse di cui sopra. Fatta la considerazione che il
repertorio otto-novecentesco necessita di interpreti fuoriclasse per poter raggiungere la
sua più alta espressione, che il pubblico ha bisogno di danzatori carismatici in grado di
sollevarne lo spirito, che le nuove generazioni ricercano figure-guida che ne interpretino
le esigenze e rendano loro comprensibili i balletti d’antan, l’autrice ha ripercorso la
parabola dell’étoile per focalizzarsi su una ballerina spesso salutata come prototipo della
nuova tipologia di fine secolo: Alessandra Ferri.
Il presente studio si struttura in tre capitoli: dopo un cappello introduttivo che illustra la
nascita della danza spontanea e la sua successiva trasformazione in balletto organizzato,
nel primo capitolo è esposto il ruolo dell’étoile. Se nell’800 numerose furono le dive
della danza, qui passate in esame con le rispettive peculiarità, nel ‘900 la loro portata e
incidenza si è ridotta drasticamente. Il ritratto di Carla Fracci, nome da cui è impossibile
prescindere nello studio della storia del balletto, rivela un’artista che si situa nel solco
del divismo, si distingue come ultima erede del Romanticismo ed esercita un’attrattiva
che riesce ad avvicinare al teatro spettatori non abituali. Il capitolo si conclude con
l’analisi della situazione attuale; ipotizzate e documentate alcune cause del ridotto
numero di nuove dive, l’autrice confronta il profilo di Sylvie Guillem, danzatrice
prevalentemente fisica e tecnica, con quello di Alessandra Ferri, una donna che sa
associare il professionismo a un privato sereno e a una ricercata coscienza di sé, che non
si cura dei divismi, che in nessun caso accetta di sacrificare il lato interpretativo e
spirituale della sua danza, che promuove un tipo di spettacolo lontano dallo stereotipo di
pura evasione e rivolto alla sensibilizzazione della coscienza collettiva.
3
Nel secondo capitolo si dipana la biografia della Ferri, attraverso le tappe della
formazione, degli anni londinesi e americani, la carriera di guest internazionale e il
ritorno alla natia Milano, dovuto in parte alla fertile collaborazione con il Teatro Alla
Scala. La crescita della donna e le vicende private si intrecciano con la cronologia dei
suoi debutti; artista versatile, non teme le incursioni in campi diversi dal suo: recita in
film e produzioni di prosa, posa per fotografie di moda, è coautrice di un libro di
immagini sull’aria.
Riconosciuto il limite della parola scritta nella traduzione del linguaggio non verbale del
corpo e premesso che, per completare la comprensione del balletto, l’invito è a
sperimentarlo in prima persona quale spettatori, nel terzo capitolo viene approfondito il
personale approccio della Ferri alla danza, evoluta nei suoi aspetti tecnici e teatrali onde
adattarsi ai nuovi canoni estetici elaborati dalla società. La dinamica distintiva della
Ferri, che aggiunge una particolare grazia alla tecnica, si spiega con la scelta di seguire
un training di impostazione americana; la pratica di ginnastiche dolci integrative le ha
conferito linee particolarmente allungate; il carattere dei personaggi sostenuti si modella
sulla sua personalità di donna determinata e passionale. Vengono presentati i coreografi
(Kenneth MacMillan e Roland Petit) e i partners (Julio Bocca, Maximilano Guerra e
Laurent Hilaire) con cui la Ferri ha stretto sodalizi artistici significativi per la sua
carriera. Infine, l’autrice ha proceduto con l’analisi dei quattro ruoli che maggiormente
identificano la Ferri nell’immaginario collettivo: Giselle, dal repertorio ottocentesco;
Manon e Giulietta, coreografati dallo scomparso MacMillan, suo reale scopritore e
mentore; Carmen di Petit, coreografo vivente a cui la Ferri tributa la sua maggiore
stima.
Le informazioni storiche concernenti la danza, le biografie degli artisti citati, i balletti,
le Compagnie, sono state desunte dai pochi testi di storia della danza e del balletto
pubblicati in Italia; dagli appunti annotati dall’autrice nel corso di lezioni e conferenze
inerenti il tema in oggetto; dai programmi di sala distribuiti in occasione degli
spettacoli. Gli autori della quasi totalità di queste fonti sono, come è possibile constatare
dalla bibliografia generale, un ristretto manipolo di intellettuali, che esplicano
contemporaneamente le professioni di critico, studioso, docente, promotore di balletto.
In assenza di studi sistematici dedicati ad Alessandra Ferri, fenomeno ancora in fieri e
personaggio relativamente giovane, l’autrice ha condotto la sua ricerca sulle recensioni,
4
i profili e le interviste pubblicati in ogni nazione in cui la Ferri ha vissuto e danzato.
Avendo avuto accesso all’archivio degli articoli raccolti dall’Ufficio Stampa della
ballerina, l’autrice, animata dall’ambizione di comunicare eventi teatrali per
professione, li ha consultati, selezionati e ordinati al fine di conseguire una visione
cronologicamente chiara. Il risultato successivo è stata l’appropriazione di una
panoramica globale della personalità e della danza della Ferri, e la conseguente
destrezza di movimento trasversale attraverso gli anni, condotto per temi. Ciò ha reso
possibile evidenziare quali sono gli elementi che differenziano Alessandra Ferri dalle
colleghe precedenti e contemporanee.
5
1. L’ ETOILE
La figura dell’étoile nella storia della danza
Sul numero della rivista «Sipario» del marzo 2000 Domenico Rigotti,critico di balletto,
così definisce l’étoile:
“L’étoile appartiene a quella categoria di veri e grandi artisti capaci di toccarci il cuore fino
in fondo. Di regalarci quelle emozioni che altri non riescono a darci, in altre parole sono
coloro che sanno donare alla nostra anima la vera, autentica poesia. La poesia e la
verità…Ogni epoca ha avuto le sue stelle, e oggi, la nostra, ci sembra un tantino più povera
di altre.…Perché la danza e il balletto possano imporsi, le étoiles sono necessarie. Non è
forse così anche per la musica, il cinema, il calcio?”
1
A queste riflessioni aggiungiamo che si tratta di quel particolare artista che si fa
intermediario tra autore e fruitore di una partitura (nel nostro caso, coreografica)
attraverso la propria interpretazione, lettura personalizzata che va oltre la mera
esecuzione. Se da una parte alcuni autori (ci riferiamo in particolare a Stravinskij
2
)
preferiscono la categoria di coloro che riproducono rigorosamente le loro intenzioni,
dall’altra, data comunque un’esecuzione impeccabile, è proprio l’autonomia
rappresentativa del gesto che distingue un artista dagli altri agli occhi del pubblico.
1
D. RIGOTTI, Per salvare la danza, in «Sipario», marzo 2000, pagg. 25-26.
2
“La nozione d’interpretazione sottintende i limiti che sono imposti all’esecutore o che egli stesso
s’impone nel compito di sua pertinenza, consistente nel trasmettere la musica all’ascoltatore. La nozione
di esecuzione implica la rigorosa attuazione di una volontà esplicita, la quale si esaurisce in ciò che
ordina. Il conflitto fra questi due principi – esecuzione e interpretazione – è alla radice di tutti gli errori,
peccati e malintesi che s’interpongono fra l’opera e l’ascoltatore, alterando la buona trasmissione del
messaggio. Ogni interprete ha in sé necessariamente un esecutore, ma non è vero il contrario.[…] Fra
l’esecutore puro e semplice e l’interprete propriamente detto esiste una differenza di natura che è di
ordine etico piuttosto che estetico e si risolve in un caso di coscienza: teoricamente, si può pretendere
dall’esecutore la sola traduzione materiale della sua parte, che egli compirà volentieri o di cattivo umore,
mentre si ha il diritto di ottenere dall’interprete non solo che quella traduzione materiale sia perfetta, ma
una specie di compiacenza amorosa, il che non significa una collaborazione furtiva o deliberatamente
affermata.” L’autore riconosce che esistono anche buoni interpreti, ma aggiunge che i virtuosi che
servono lealmente la musica sono molto più rari di quelli che se ne servono per sistemarsi negli agi di una
carriera. Igor STRAVINSKIJ, Poetica, Milano, Curci, 1954, pagg. 109-111.
6
Nel corso di questo paragrafo ci proponiamo di illustrare, dopo una premessa sulla
nascita della danza e sul suo passaggio al balletto
3
, in che modo alcune interpreti
escono dall’anonimato delle file, vengono accolte nei circoli culturali e nell’alta società,
guadagnando prestigio e ricchezza dal momento che il loro successo sul pubblico
procede di pari passo con il loro potere contrattuale. Diventano quindi modelli di
armonia psicofisica: i letterati scrivono di loro, i pittori le immortalano nelle loro opere
(Degas sceglie le ballerine come soggetto prediletto dei propri quadri e delle proprie
sculture), le grandi famiglie ne sfruttano il fascino per combinare unioni matrimoniali
4
;
l’ammirazione per loro diviene fanatica
5
. Con il passare degli anni, progressivamente, il
modello del danzatore virtuoso si sviluppa ulteriormente, favorito dalla nascita della
figura del critico di professione e dalla diffusione del balletto in luoghi più accessibili a
tutti gli strati sociali. La successiva distribuzione di registrazioni video promuove la
conoscenza ma, a lungo andare, produce la smitizzazione dei protagonisti della danza
6
,
sostituiti, quali modelli di bellezza e portamento, dai divi del cinema e poi
dell’invadente televisione. La presunzione e l’artificiosità pubblicitaria della propria
immagine da parte delle stars raggiunge la sua acme negli anni Sessanta del ‘900 (si
pensi, per esempio, alla cura rivolta da Rudolf Nureyev e da Carla Fracci
all’abbigliamento, prezioso, e all’atteggiamento, raffinato, in occasione di ogni
apparizione in pubblico) e si riduce poi gradatamente fino alla totale semplicità dei
grandi interpreti attuali
7
.
3
La danza è una forma d’arte mentre il balletto è una composizione teatrale, costituita da più danze (colte
o popolari, storiche o moderne) e arricchita da scene, luci e costumi.
4
Si racconta per esempio che il duca de La Rochefoucauld, preoccupato per la condotta del figlio che
sperperava le cospicue fortune della famiglia frequentando ambienti equivoci, fece di tutto perché il
giovane incontrasse e si innamorasse della celebre Maria Taglioni.
5
Per approfondire l’aneddotica tramandata sulle ballerine più in vista del passato, si veda la rubrica curata
da Aldo MASELLA sui numeri di «Tutto Danza», dall’estate 1999 in poi.
6
Il tema delle riprese televisive di balletti viene trattato nel capitolo successivo; per ulteriori informazioni
si consiglia il saggio di Vittoria OTTOLENGHI, Danza e televisione, in AA.VV. Il balletto del Novecento,
Torino, ERI, 1983, pagg. 189-264.
7
Alessandra Ferri, di cui si afferma che, nonostante i successi e la fama, è rimasta una persona semplice,
molto lontana dai capricci dei grandi divi della danza, è del parere che “L’idea del divismo deriva da
quella del divino. Un divo è colui che si impone un’immagine esteriore. Io e Julio (Bocca, uno dei suoi
partner preferiti, n.d.a.) quando danziamo riusciamo ad essere veri e questo raggiunge l’anima della gente.
La nostra intesa in scena crea la magia dell’arte che così diventa un po’ divina.” D. CECCHINI, “Io,
Giulietta, alla scoperta dei sensi, in «L’ora», 27/06/91.
7
Concorrono a determinare il particolare quid del performer il suo carattere, il suo stato
fisico e psichico, l’influsso della cultura e della società in cui vive: differenze a livello
sincronico nella stessa epoca, e a livello diacronico attraverso epoche diverse.
Proprio a partire da quest’ultimo criterio percorreremo ora la storia della danza,
attraverso una carrellata delle sue maggiori étoiles; restringeremo il campo alle
ballerine ed in particolare a quelle di danza classica (trascurando quindi gli uomini e gli
interpreti di danza libera e moderna, per altro altrettanto significativi).
La danza nasce con l’uomo primitivo, come sfogo della sua vitalità o espressione
immediata dei suoi sentimenti; all’inizio è un ampliamento dei quotidiani movimenti
muscolari, esaltati in durata, ampiezza, intensità. Educati questi movimenti, sottoposti
ad uno studio ritmico, arricchiti da passi convenzionali e ripetuti, da rotazioni, salti,
distensioni e piegamenti degli arti, si perviene alla danza come mezzo di espressione
artistica. Il gesto si perfeziona esteticamente con il procedere delle civiltà, cioè con
l’evolversi delle emozioni umane.
8
Nella preistoria la danza è di origine magico-
religiosa, i movimenti, creati ad imitazione della natura, e le figure, su cui prevale quella
del cerchio, hanno carattere simbolico.
Presso i greci le danze, organizzate e tenute in grande conto in funzione morale ed
educativa, si distinguono in tre categorie: guerriere (esse tendono ad incoraggiare al
combattimento o ad esaltare le qualità estetiche del corpo umano), religiose (apollinee,
che badano al rispetto delle forme, dell’equilibrio, delle linee calme e regolari, per
propiziarsi gli dei; e dionisiache, sfrenate e disordinate, con funzione apotropaica) e
profane; queste sono eseguite nelle cerimonie non religiose, nei giochi pubblici, nelle
feste, nei banchetti, e possono essere cittadine o sceniche (se avvengono a teatro).
A Roma la danza, da elemento rituale e religioso, si tramuta, con l’Impero, in sfrenato
passatempo, licenzioso esibizionismo, teatrale virtuosismo a diletto dei signori (anche
se l’elemento principale degli spettacoli è la pantomima
9
); ne sia un esempio Salomè,
che unisce all’arte coreutica la seduzione femminile e la perversità. Queste
8
Si consulti, a questo proposito, Jean D’UDINE, Qu’est-ce que la danse ?, Laurens Éditeur, 1921.
9
Si definisce gesto mimico il movimento mimetico di una determinata azione. Si parla, invece, di
pantomima quando la corrispondenza tra un determinato gesto e il senso di un’azione reale si
convenzionalizza; è una forma fortemente codificata, ma estremamente determinata e pertanto poco
aperta alla dimensione connotativa. Tra questi due estremi si pone il gesto coreutico, apparentemente
gratuito, asemantico, non convenzionale, aperto. A. PONTREMOLI, Drammaturgia della danza, Milano
Euresis, 1997, pag. 29.
8
manifestazioni sono condannate dai Padri della Chiesa, che invece diffondono tra il
popolo l’uso di danzare, oltre che recitare e cantare, le lodi del Signore.
Nel Medio Evo la danza si allontana, anche nei temi e negli schemi coreografici, dalla
Chiesa per rivolgersi ai laici e durante il Carnevale si sfoga in una folle allegria.
Contemporaneamente, divertissements danzati, con evidenti richiami religiosi o
allegorici, si introducono nei festini e nei banchetti di corte; per essere fatti tra una
portata e l’altra delle vivande, sono detti intermezzi. Al principio del Duecento, con lo
sciogliersi dei costumi, i signori imitano il popolo e cominciano a danzare,
accompagnandosi con il canto e poi con la musica di strumenti a corde. La danza
popolare
10
, nella trasposizione presso i nobili, viene resa più regolare e dignitosa: si
tratta della “bassa danza”, binaria, strisciata, tranquilla e senza salti. Ad essa si oppone
la “danza alta” del popolo, ternaria, vivace e saltata. Si assiste al passaggio dal folklore
al “Ballo Nobile”, complessa forma di divertimento che, in seguito all’alleggerimento
degli abiti, tende via via verso figurazioni più brillanti e leggere.
11
Nel Rinascimento il desiderio di movenze aggraziate determina il bisogno di affidarsi a
regole
12
: nasce il teorico e il maestro di danza, e con essi una tecnica definita con
combinazioni di passi di quella che prima era improvvisazione. Il contesto di questi
balli, fissati in una tradizione scritta, è quello della “festa rinascimentale”, di cui si è
scoperto il valore altamente teatrale: dal momento che la destrezza nel danzare
costituisce un mezzo di affermazione e conferma del proprio prestigio sociale, chi vi si
cimenta si mette letteralmente in mostra.
13
Le qualità richieste da Guglielmo Ebreo da
Pesaro nel suo «De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum», scritto a metà del
10
Le figurazioni della controdanza, danza campestre che appartiene in particolare al folk inglese (da qui il
nome di country-dance), servirono molto probabilmente ai maestri italiani del Rinascimento come punto
di partenza per la creazione di brani coreografici. Un elenco ed una descrizione delle principali danze
popolari codificatesi prima del Mille è consultabile in Aldo MASELLA, Storia della danza, Novara,
Interlinea, 1998, pagg. 25-41.
11
Per una trattazione più completa della danza dalle civiltà più antiche al Medio Evo, si veda Alberto
TESTA, Storia della danza e del balletto, Roma, Gremese, 1994, pagg. 13-30.
12
La danza in questo periodo è un fatto di educazione (perché fa parte delle discipline pedagogiche e del
bagaglio culturale della classe aristocratica, procurando prestanza fisica, elevazione dello spirito e belle
maniere) e di invenzione (perché i maestri creano sempre nuove coreografie per il diletto della corte). Per
un approfondimento degli aspetti sociali (quando la danza entra a far parte delle feste organizzate per
celebrare importanti occasioni di stato, da passatempo, essa diviene parte del cerimoniale che regola il
comportamento in pubblico dei cortigiani) e teatrali della danza nelle corti italiane del Quattrocento, si
consulti A. PONTREMOLI e P. LA ROCCA, Il ballare lombardo, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pagg. 153-
204.
9
1400, sono: l’abilità di mantenere il tempo e di coordinare i movimenti, la memoria e la
bella presenza. Sulla base della trattatistica quattrocentesca, Pompeo Diobono fonda a
Milano nel 1545 la prima scuola di ballo nobile: nasce il professionismo coreutico.
Un allievo di questa scuola, Baldassarino di Belgioioso, viene invitato a Parigi, e nel
1581, in occasione delle nozze del duca di Joyeuse con la cognata di Enrico III,
compone Le Ballet comique de la reine. E’ uno spettacolo pubblico, misto di
recitazione, danza, musica, scenografia, e articolato in una ouverture, che espone il tema
omerico di Circe, entrées (pezzi destinati agli assoli dei danzatori o di cortigiani
mascherati, onde occultare la propria identità) e in un grand ballet finale, con tutti i
ballerini; prevede la partecipazione della regine e si svolge a pianta centrale, sullo stesso
piano degli spettatori. Questo tipo di composizione coreografica viene riproposto più
volte, entra in gioco il giudizio, le entrées, diventate importanti, richiedono speciali
bravure, la danza non è più praticata per sé stessi, ma per esibizionismo, davanti a
spettatori al cui consenso si anela. In questa fase convivono due modi di concepire la
danza: come direttamente partecipata dai cortigiani, e teatrale
14
, cioè da essi solo
guardata.
Nel Seicento Luigi XIV
15
dà ordine e strutture alle attività teatrali e musicali francesi,
considerandole un vanto per il suo regime. Pierre Beauchamp (1636-1719), ballerino,
coreografo e maestro, codifica le cinque posizioni basilari e spinge l’en dehors da 45° a
90°. Nel 1661 fonda l’Accademia reale di danza, che fornisce ben presto elementi per il
nuovo genere della comédie-ballet
16
, nata dall’esigenza di una rappresentazione scevra
da orpelli stupefacenti e raccolta invece intorno ad un nucleo narrativo. Si sviluppa il
balletto vero e proprio, con autori, coreografi e teorici, rappresentato sul palcoscenico
13
L’accostamento fra festa e teatro è giustificato dalla componente di sacralità e ritualità che entrambe
queste forme espressive presentano. Le feste, che prevedono sempre interventi performativi, sono legate
prima ai cicli naturali, poi alle vicende della vita dei signori, poi all’anno liturgico.
14
La parola teatro risale al verbo greco θεάοµαι che significa guardare, essere spettatore. Dalla seconda
metà del Quattrocento il termine più diffuso per indicare in senso generico diverse forme di danza da
teatro è moresca. Originariamente danza armata a carattere drammatico, caratterizzata dalla costante
presenza di ballerini con il volto annerito e di passi saltati, si è spogliata in seguito del suo contenuto
tradizionale per avviarsi verso un arido tecnicismo coreutico che poteva adattarsi a qualsiasi argomento.
La moresca è illustrata approfonditamente in A. PONTREMOLI e P. LA ROCCA, Il ballare lombardo,
Milano, Vita e Pensiero, 1987, pagg. 219-231.
15
Luigi XIV partecipava in prima persona alle azioni danzate e di lui si tramanda che fosse molto abile
nella passacaglia, danza solistica di tempo ternario. A. MASELLA, Storia della danza, Novara, Interlinea,
1998, pag. 26.
16
Essa si ispira contemporaneamente all’antico balletto di corte e alla commedia dell’arte e nasce dalla
collaborazione di Giambattista Lulli (1632-1687), ballerino, musicista e coreografo, con Molière.
10
dell’Accademia e non più nei palazzi
17
; il mestiere della ballerina (fino ad ora gli
uomini avevano sostenuto, en travesti, anche i ruoli femminili
18
) è avviato ai massimi
riconoscimenti. In questa prima fase l’ammirazione per una ballerina è tutt’uno con lo
stupore suscitato dalla nuova forma d’arte della danza, che sta prendendo la sua
fisionomia; è il rispetto tributato a chi sa compiere prodezze, movimenti non comuni, e
che riesce misteriosamente a combinare il massimo della grazia con il massimo della
forza. A mano a mano che la disciplina coreutica si perfezionerà
19
e che il pubblico,
aumentando la propria competenza, diverrà più esigente, sarà celebrata l’eccellenza
tecnica o la straordinaria comunicativa emozionale di un’interprete rispetto alle altre.
Nel 1739, durante il primo spettacolo di sola danza, Les fêtes d’Hébé, si rivela la stella
dell’italiana Barbarina
20
; fa sensazione con gli entrechat-huit
21
perché è cambiato il
concetto del ballo tradizionale: la bassa danza cede il passo alla conquista dello spazio,
della verticalità, dell’alleggerimento; il suo fascino si introduce anche in casa di Vittorio
Amedeo di Savoia di cui diviene l’amante
22
. La ballerina è simbolo
contemporaneamente spirituale ed erotico; dal palcoscenico, che la solleva e la rende
visibile a tutti, effonde una poesia seduttrice ed immaginosa, un godimento estetico che
permette di evadere dalla quotidianità. La stampa utilizza forti iperboli verbali per
esaltarne la nobiltà, percepibile dal portamento, e la distanza dalla massa, che ne
riproduce i gesti. Da qui, come era già accaduto per i cantanti d’opera, si sviluppa il
fenomeno del divismo
23
, che, se più tardi porterà la prolificazione di spettacoli mediocri
sostenuti solo dal nome di richiamo, in questa fase vivifica la danza e provoca
un’impennata nell’affluenza degli spettatori. Scrive un letterato del tempo:
17
Da questo momento in poi la tecnica coreutica utilizzata nelle rappresentazioni teatrali viene definita
accademica, per distinguerla da tutte le altre manifestazioni di divertimento, cortese o popolare.
18
Solo la danza teatrale non prevede apparizioni muliebri, perché a corte era in gran uso il ballo a coppie.
Il primo a far danzare delle donne sulla scena fu Lulli.
19
Ci si stacca da terra alzando i talloni (demi-pointe) e si eseguono salti più elaborati, come i tours en
l’air (salto tondo in aria).
20
Il suo vero nome è Barbara Campanini (Parma 1721 – Barschau, Slesia 1799).
21
Salti con veloce cambiamento dei piedi ancora oggi in uso nella danza accademica.
22
L’episodio si ripeterà il secolo successivo con Fanny Elssler che fece innamorare di sé Leopoldo,
principe ereditario delle Due Sicilie, Friedrich von Gentz, aiutante di Metternich, e Aiglon, figlio di
Napoleone, che morì consunto dall’amore per lei.
23
Per approfondire il tema del divismo, si veda G.P. BRUNETTA, Storia del cinema italiano, Roma,
Editori Riuniti, 1993, volume primo, pagg. 71-91.
11
“Il corpo della donna quando balla sembra quasi sciolto dalle leggi comuni del peso: è un
corpo semi-angelico, nel quale si sente uno spirito sottile che lo governa armoniosamente in
tutte le sue parti, e lo nobilita, e lo alleggerisce.”
24
All’Opéra di Parigi la rivalità accesasi tra la Camargo (Bruxelles 1710 – Parigi 1770) e
la Sallé (? 1707 – Parigi 1756) alimenta una polemica sulla natura della danza a cui
prende parte persino Voltaire
25
. La prima, ammirata anche da Giacomo Casanova, si
distingue per il virtuosismo saltatorio, elimina il tacco delle scarpine per permettersi
passi più agili ed accorcia le gonne per renderli meglio visibili al pubblico
26
. La
seconda, più interiore e sensibile, mette in risalto l’interpretazione
27
e, presentandosi
vestita “con un abito drappeggiato su di lei al modo di una statua greca”
28
, afferma il
diritto delle donne di non nascondersi più.
All’inizio dell’800, dopo il ribaltamento dell’ordine e il taglio netto con gli usi passati
provocati dalla Rivoluzione francese, Maria Taglioni, nella Sylphide
29
del padre Filippo,
viene identificata con il modello del nuovo stile romantico, aereo e giocato sull’illusione
del non-corporeo.
24
In G. MONALDI, Le regine della danza nel secolo XIX, Torino, Fratelli Bocca Ed., 1910, pag. 6. Il libro
è disseminato di composizioni poetiche dedicate alle ballerine.
25
E’ sua questa poesia in G. MONALDI, Le regine della danza nel XIX secolo, pag. 10: "Ah! Camargo que
vous êtes brillante, / Mais que Sallé, gran Dieu, est ravissante !/ Que vos pas sont légers et que les siens
sont doux !/ Elle est inimitable, et vous êtes nouvelle. / Les Nymphes sautent comme vous, / Mais les
Grâces dansent comme elle." "Ah! Camargo come siete brillante, / Ma la Sallè, gran Dio, come è
affascinante!/ Come son leggeri i vostri passi e i suoi dolci !/ Lei è inimitabile e voi siete nuova. / Le
Ninfe saltano come voi, / Ma le Grazie danzano come lei."
(Le traduzioni, dal francese, dallo spagnolo e dall’inglese, sono a cura dell’autrice: sono pertanto modeste
e senza altra pretesa che di facilitare la comprensione del discorso; le parole tradotte non sono state riviste
da chi le ha scritte o pronunciate).
26
La Camargo per prima usa i caleçons, una specie di calzoncino nero che diviene necessario in seguito
al tipo di danza in elevazione da lei introdotto, che provoca il continuo sollevarsi della gonna. I caleçons
sono successivamente resi obbligatori da un’ordinanza della polizia, preoccupata da un incidente occorso
durante uno spettacolo: essendosi impigliato in una quinta il costume di una danzatrice, questa finisce in
scena completamente nuda.
27
Contribuisce all’abolizione dei travestimenti e delle maschere usate a quel tempo nei balletti,
condividendo le opinioni del teorico Jean-George Noverre che nega la danza fine a sé stessa, campionario
di bravure inutili, a vantaggio della danza d’espressione, e combatte l’uso di tutto ciò che vada contro la
semplicità e la bellezza del corpo.
28
M. PASI, La danza e il balletto, Firenze, Ricordi, 1999, pag. 54.
29
Maria Taglioni, italiana (1804 – 1884), è allieva del padre, che la sottopone a una ferrea disciplina;
raggiunge una notorietà internazionale, viaggia molto e si confronta con le rivali coetanee e più giovani.
La Sylphide (1832, Opéra di Parigi, su musica, poi abbandonata, di J. Schneitzoeffer) racconta la storia di
una creatura alata che, in un paesaggio nordico, seduce un giovane alla vigilia del suo matrimonio, e ne
viene involontariamente uccisa per mezzo di una sciarpa stregata.
12
Il Romanticismo, abbandonando i soggetti classico-mitologici, ricerca il sovrannaturale,
la fuga, la morte, i sentimenti denudati senza vergogna, il sacrificio eroico. La ballerina,
consacrata come protagonista assoluta, viene idealizzata in angelo, e tutto concorre a
suggerire questa immagine: i passi proiettati alla verticalità, i tutù ideati da E. Lami
30
, le
scarpine che permettono di sollevarsi sulle punte, geniale mezzo di astrazione
rappresentativa.
31
Ne caratterizzano l’arte grazia superba, estrema leggerezza e profonda
spiritualità (per la quale è definita “danzatrice cristiana”), e si segnala per l’inedita
tecnica delle punte. La fama della Taglioni, al cui nome è tuttora legato un particolare
modo di danzare
32
, raggiunge Pietroburgo, dove nel 1837 viene idolatrata e coperta di
gioielli: centinaia di persone si appostano per ore davanti all’entrata degli artisti solo per
vederla passare. Si sviluppa addirittura un curioso fenomeno di “taglionimania”, per cui
vari generi di articoli (vestiti, acconciature, dolci, caffè) prendono nome da lei. Dal
1841, alla Scala di Milano, si mette in confronto con Fanny Cerrito
33
, bellezza
meridionale, corposa e sensuale, vivace ma non maliziosa, che si rivolge maggiormente
verso le danze di carattere.
Più simile a questa seconda tipologia di ballerina è Fanny Elssler
34
(definita a sua volta
“danzatrice pagana”), contraddistinta da intensa drammaticità nell’interpretazione,
rivalutazione della danza a terra con piccoli passi veloci ed energici, temperamento
civettuolo evidenziato nelle danze spagnoleggianti.
Di lei il poeta, critico e scrittore T. Gautier afferma che è la più bella delle artiste
contemporanee, espressione non più della danza virginale ma della seduzione femminile
e della vertigine del piacere
35
. Proprio perché più adatta a parti brillanti che strettamente
romantiche, essa viene esclusa dal famoso Pas de Quatre (1845, Drury Lane di Londra,
30
Gonnellini di tulle arricciato, costituiti da varie balze sovrapposte.
31
Queste sostituiscono i vecchi coturni, specie di calzature munite di nastri che venivano avvolti attorno
ai polpacci.
32
Come spesso accade agli artisti, una volta scoperta la caratteristica di sé che fa presa sul pubblico, la
enfatizza e se ne identifica.
33
Francesca Cerrito (Napoli 1817 – Parigi 1909) nel 1838 viene nominata prima ballerina al Teatro Alla
Scala, dove aveva studiato con il napoletano Carlo Blasis. Questo, maestro di tutte le maggiori ballerine
dell’800, nel «Traité élementaire théorique et pratique de la danse» (1820) analizza l’equilibrio, le
posizioni, la tecnica delle pirouettes e delle punte. Nemico della violenza espressiva e dell’affettazione
francesi, si concentra sulla tecnica (aumentata elevazione, massima estensione di braccia e di gambe,
nobiltà di portamento e morbidezza di gesti).
34
Nata a Vienna nel 1810 e ivi morta nel 1884, si reca nel ’24 a Napoli dove nasce la leggenda della
donna di mondo, famosa per le sue avventure galanti, che la segue per il resto della vita; ha anche vicende
turbolente, come le ostilità antiaustriache alla Scala, che deve per questo abbandonare.
13
musica di C. Pugni, coreografia di J. Perrot); si tratta di un balletto senza trama in cui il
coreografo riunisce le stelle del romanticismo che eseguono un assolo ciascuna, prima
dell’insieme e dell’incoronazione della regina tra le pari
36
: Taglioni, Cerrito, Grahn
37
e
Carlotta Grisi
38
,musa ispiratrice di T. Gautier, suo cognato, che confeziona su di lei la
parte principale del balletto Giselle (1841, Opéra di Parigi). Questo balletto evidenzia la
sua capacità interpretativa, dovendo impersonare una ingenua contadina nel primo atto,
ed uno spirito votato al sacrificio nel secondo; in esso poi viene esaltato un dizionario
tecnico ormai avanzato e perfezionato al punto da restare la base, fino ad oggi, di ogni
sviluppo del balletto classico. Appare quindi destinata a succedere a Taglioni ed Elssler,
essendo capace di riunire in sé le qualità dell’una e dell’altra (è leggera e pudica, e
insieme viva e brillante).
A fine secolo il balletto cerca di colpire l’immaginazione con esecuzioni sempre più
straordinarie dal punto di vista tecnico; la maggiore diva è Pierina Legnani, che diviene
prima ballerina al Teatro Marijnskij di Pietroburgo
39
dove esegue per la prima volta i 32
fouettès
40
, a tutt’oggi prova di virtuosismo ineludibile nell’iniziazione alla celebrità ed
in seguito punto di forza del terzo atto del Lago dei Cigni. In questo balletto (1895,
Marijnskij, musica di P.I. Ciaikovski, coreografia di Petipa e Ivanov,) la Legnani trionfa
nel personaggio duplice di Odette e del suo contrario maligno Odile: il cigno bianco è
tutto fremiti, allusività di braccia, delicatezze di sentimento, mentre quello nero è
vigoroso e costellato di passaggi difficili.
35
In G. MONALDI, Le regine della danza del secolo XIX, Torino, Fratelli Bocca Ed., 1910, pag.131. Per la
vita di Gautier, si veda la nota n. 137 del cap. 3.
36
Il balletto ha conservato il significato di celebrazione delle migliori ballerine del tempo nel 1957,
quando a Nervi fu interpretato da Alicia Markova, Yvette Chauviré, Margrete Schanne e la giovane
promessa italiana Carla Fracci.
37
Lucille Grahan (Copenaghen 1819 – Monaco di Baviera 1907) è la migliore allieva di A. Bournonville,
padre dello stile classico danese, fatto di perfezione un po’ raggelata e di nobiltà espressiva. Per lei, nel
1836, il coreografo danese rimette in scena La Sylphide di Taglioni, riveduta però secondo il proprio
intendimento artistico, che non accetta di sottomettere il ballerino alla sua compagna; in questa occasione
Lucille dimostra di saper imitare con successo lo stile di elevazione della Taglioni.
38
Allieva del Blasis (Visionada, Istria 1819 – Saint-Jean, Ginevra 1899), incerta tra le carriere della
ballerina e della cantante lirica, nel ’34 al San Carlo di Napoli conosce il famoso ballerino e coreografo J.
Pierrot, che si innamora di lei e ne fa la sua partner e compagna.
39
Il Teatro fu ribattezzato Kirov negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
40
giri ripetuti sempre sulla stessa gamba, inaugurati nella Cenerentola (1893), firmata da Petipa, Ivanov e
Cecchetti. Pierina Legnani è nata a Milano nel 1863 ed ivi morta nel 1923.
14
Qualche anno più tardi, nel 1905, Mikhail Fokine
41
crea l’ultima espressione del
romanticismo con un breve pas seul per la sua partner Anna Pavlova (Pietroburgo 1882
– L’Aja 1931): La morte del cigno sulla musica di Saint-Saëns. In tre minuti di danza
tocca un vertice di poesia assoluto, usando tutto il corpo della ballerina, e non solo le
mani per i gesti convenzionali della mimica, ai fini di una totalità espressiva, senza
ricorrere a speciali difficoltà; scrive infatti al direttore dei Teatri Imperiali che la danza
deve essere interpretazione e non deve degenerare mai in ginnastica. Del resto i balletti
confezionati in questo periodo (Don Chisciotte, Coppelia, Lo Schiaccianoci, La Bella
Addormentata) vantano un trattamento teatrale moderno, con una rigorosa sequenza dei
fatti che presume una coerenza drammaturgica nella resa dei personaggi, anche a
salvaguardia dal pericolo latente di cadere nella facile acrobazia.
Nel frattempo la Russia si è conquistata il primato nella danza (prima franco-italiano),
formando artisti di prestigio e producendo molti dei titoli che costituiscono ciò che si
definisce repertorio. A Pietroburgo
42
, infatti, c’è il mecenatismo imperiale ed una corte
che elargisce alla danza protezione ed incentivi. Così la Russia diviene una terra di
conquista per coreografi francesi e ballerine italiane, dal momento che l’Italia è
dominata dal gusto operistico , Vienna, Parigi e Londra versano in un periodo di
decadenza; inoltre l’insegnamento di Marius Petipa
43
all’Accademia di danza presso il
Teatro Marijnskij (fondata nel 1738) forma ottimi artisti locali. Il nuovo direttore dei
Teatri Imperiali, Vladimir Vsevolojski, instaura poi una ferrea disciplina nella scuola e
nel corpo di ballo, e ridimensiona i capricci delle prime ballerine, abituate ad esercitare
il loro dispotismo su coreografi e compositori. Con la sua direzione, la produzione
coreografica riceve un importante impulso, soprattutto per le favolose somme
impiegate, che permettono eccellenti spettacoli e assicurano ai danzatori di fila una
discreta assistenza sociale.
41
Eccellente danzatore pietroburghese, celebre per le sue coreografie, legate all’avventura dei Ballets
Russes e a differenti caratterizzazioni stilistiche (le elegiache Sylphides, l’esotico Shéhérazade, il solenne
Uccello di fuoco, l’espressionistico Petrouscka, l’evocativo Spectre de la rose).
42
Un importante impulso alla vita artistica della città russa è dato dall’arrivo di Charles Didelot
(Stoccolma 1767 – Kiev 1837), che ha un particolare riguardo per la formazione delle ballerine (a dispetto
della vecchia tradizione che dava maggiore importanza agli uomini), introduce i fili metallici per rendere
l’illusione del volo e realizza parecchie scene di naufragi, battaglie, arrembaggi. Si devono ai suoi
durissimi insegnamenti – usa scudisciare gli allievi – elementi di elevata classe.
43
Nato a Marsiglia nel 1822 e morto a Pietroburgo nel 1910, compose 54 balletti lunghi, divisi in più atti
e strutturati sulla successione di danze corali, passi a due e variazioni solistiche.