quando la domanda globale è alta, la forza lavoro viene a mancare ed i salari
crescono perché le industrie si contendono la forza lavoro disponibile.
_____________________________________________
Figura 1.1
_____________________________________________
Phillips fu esplicito nel dire che “...i risultati della sua indagine empirica
confermavano l’idea che i salari crescono di regola per la ‘trazione di domanda’
nel mercato del lavoro” (Phillips,1958).
1.2 - L’interpretazione di Lipsey della Curva di Phillips
Fu Lipsey due anni più tardi a presentare una più precisa ricostruzione teorica della
relazione scoperta da Phillips. Lipsey (1960) analizzò il “trade-off” prima per un
singolo mercato del lavoro e poi lo spiegò in relazione all'intera economia.
Lipsey parte dal grafico della domanda e dell'offerta di lavoro di un singolo mercato
(figura 1.2/a), nel caso in cui si ha un eccesso di domanda, ad esempio ij in figura, il
saggio di salario aumenta, mentre con un eccesso di offerta, ad esempio mn,
diminuisce.
Tuttavia egli introduce un’ipotesi dinamica per cui il saggio di variazione del salario
varia in relazione all’eccesso di domanda di lavoro: maggiore è il disequilibrio e più
rapidamente i salari aumenteranno.
3
L’ipotesi è:
−
=
S
SD
fw&
cioè la velocità di variazione del salario dipende dall'eccesso di domanda come
proporzione della forza lavoro.
Nella figura 1.2/b è illustrata una semplice forma di questa relazione:
100*
−
=
S
SD
w α&
per la quale con un eccesso di domanda, per esempio, pari a gh i salari cresceranno
al saggio cd, ma con un incremento dell’eccesso di domanda pari ad ij i salari
cresceranno al saggio ab .
La figura 1.2/c mette in relazione l’eccesso di domanda
S
SD −
con una grandezza
osservabile e misurabile quale la forza lavoro disoccupata u. Secondo una concezione
del mercato del lavoro di tipo neoclassico, quando la domanda è pari all’offerta
(salario
in figura 1.2/a), ci sarà lavoro disponibile per tutti quelli che vorranno
lavorare al salario corrente di equilibrio . Ciò non significa che non vi sono
disoccupati, ma solo che il numero dei disoccupati è pari al numero dei posti di
lavoro disponibili ma non occupati (“vacancies”).
e
w
e
w
In questo caso si può parlare di disoccupazione frizionale, ossia di quel tipo di
disoccupazione dovuta a quei lavoratori che per diverse ragioni cambiano lavoro, e
che per la lentezza dei processi di riaggiustamento, dovuti principalmente ad
informazioni limitate rimangono momentaneamente disoccupati, pur esistendo dei
posti di lavoro disponibili.
Pertanto la disoccupazione frizionale è quella che accompagna un mercato del lavoro
in equilibro neoclassico
ma che non genera alcun eccesso di domanda.
e
w
Considerando la figura 1.2/c, la disoccupazione frizionale è quella rappresentata dalla
distanza Oa, quella per cui la curva interseca l'asse delle ascisse dove l'eccesso di
domanda è zero e pertanto il mercato del lavoro è in equilibrio al salario ,
pur
esistendo una quantità di disoccupati.
e
w
Se consideriamo i punti a sinistra di a maggiore sarà l'eccesso di domanda e meno
tempo si impiegherà per trovare un lavoro, ne consegue che un incremento
dell’eccesso di domanda causerà un abbassamento della disoccupazione u al di sotto
della disoccupazione frizionale Oa. Tuttavia u non può essere ridotta a zero perché
ciò si otterrebbe solo con un eccesso di domanda
S
SD −
pari ad infinito.
I punti a destra del punto a invece rappresentano quelli in cui si ha un eccesso di
offerta di lavoro,
S
SD −
risulta minore di zero ed ogni incremento di offerta tende ad
accrescere il livello di disoccupazione al di sopra di quello frizionale.
Combinando le relazioni in figura 1.2/b ed 1.2/c otteniamo la relazione tra ed u in
figura 1.2/d. La relazione ottenuta è non lineare a sinistra del punto a, a causa della
non linearità della relazione tra disoccupazione ed eccesso di domanda vista prima.
w&
4
La relazione tra variazione del salario e livello di disoccupazione presentata in figura
1.2/d descrive la velocità (intensità della variazione) con quale i salari ‘aggiustano’ il
disequilibrio relativo all’eccesso di domanda e di conseguenza viene chiamata
funzione di aggiustamento .
Figura 1.2
Lipsey considera alcuni esempi utili a non ‘male interpretare’ la sua semplice
funzione:
a. Il caso in cui un mercato è osservato su tre successivi periodi di tempo
secondo la sequenza a,b',c' in figura 1.2/d; Questa sequenza apparentemente
contraddittoria va interpretata considerando una trasposizione delle curve di
domanda e/o di offerta tale da incrementare il disequilibrio nonostante
l’incremento del saggio di salario. Ad esempio la curva di domanda può aver
traslato così rapidamente a destra che la risposta equilibratrice di w non può
essere stata sufficiente.
b. Il caso in cui invece la sequenza osservata è quella c',b',a; Questa sequenza è
quella che Lipsey considera compatibile con le dinamiche di cambiamento
del mercato. Le curve sono stabili ed il salario incrementa per riportare
l’equilibrio, oppure le curve traslano ma l’incremento di salario è rapido a
ridurre l’eccesso di domanda. Qualsiasi altra sequenza diversa da questa (ed
analoga a quella relativa al caso precedente) implica sempre una traslazione
delle curve non sufficientemente bilanciata dalla risposta dei salari.
5
c. Il caso in cui il mercato è osservato per diversi e successivi periodi
stabilmente su di un punto della curva, ad esempio nel punto b'; in tal caso
per Lipsey le traslazioni verso destra della domanda e/o quelle verso sinistra
dell’offerta vanno perfettamente a bilanciare gli effetti equilibratrici relativi
alle variazioni dei salari, mantenendo l’eccesso di domanda costante.
A questo punto Lipsey, avendo descritto la ‘logica’ della curva per un singolo
mercato del lavoro, passa alla costruzione di una curva valida per l’intera economia.
Questa è ottenuta aggregando un diverso numero di mercati, ciascuno con la stessa
relazione tra variazione del salario e disoccupazione, per avere una relazione finale
tra W , che indica il tasso di variazione di un indice nazionale di variazione dei salari
ed U cioè la percentuale della forza lavoro disoccupata dell’intero aggregato
economico considerato.
&
I problemi più importanti possono essere illustrati costruendo una relazione
aggregata partendo da due soli mercati del lavoro (il mercato 1 ed il mercato 2) con
identica funzione di aggiustamento come quella in figura 1.2/d. Si assume poi per
semplicità che la forza lavoro sia suddivisa equamente tra i due mercati si ha cosi:
22
2121
ww
W
uu
U
&& +
=
+
=
Consideriamo il caso in cui entrambi i mercati presentano identico livello di
disoccupazione. In questo caso l’indice nazionale di disoccupazione è il medesimo di
quello che figura nei due mercati. Segue che anche il tasso nazionale di variazione
dei salari risulta pari a quello esistente nei singoli mercati. Quindi la relazione che
osserveremo tra W ed U risulta identica alle relazioni tra w ed u relative a ciascun
singolo mercato.
&
&
Consideriamo invece un secondo caso dove la disoccupazione aggregata è costante
al livello corrispondente alla lunghezza del segmento 0a della fig1.3/d:
2
0a
21
uu +
=
mentre la distribuzione nei due mercati, per un qualsiasi motivo, viene a variare e
risulta ad esempio:
u
21
u<
Ma siccome la funzione di aggiustamento è non lineare a sinistra del punto a, i salari
cresceranno più velocemente nel mercato con eccesso di domanda (il mercato 1) di
quanto essi diminuiranno nel mercato con eccesso di offerta (mercato 2). Quindi
l’indice nazionale di variazione dei salari sarà aumentato nonostante che il livello di
disoccupazione rimanga invariato ad 0a:
()
21
21
21
2
uu
ww
ww
W
=
=>
+
=
&&
&&
&
Pertanto quanto più la distribuzione di U tra i due mercati sarà diversa tanto più W
aumenterà poiché una diminuzione di u dello stesso ammontare di quanto u è
&
21
6
aumentato, incrementerà più dell’ammontare del decremento di .
1
w&
u
2
w&
1
w&
Consideriamo infine, i due mercati del lavoro in relazione l’uno con l’altro:
1con
21
<⋅= kuk
mentre il livello totale di disoccupazione U viene lasciato libero di variare. Come U
cambia allora possiamo ottenere un corrispondente valore di W : costruiremo allora
la curva dei ‘macroaggiustamenti’ A
&
m
allo stessa maniera di quella di aggiustamento
del singolo mercato a
i
.
Per le ragioni viste sopra, relative alla non linearità delle curve dei singoli mercati, la
A
m
giacerà sempre sopra queste ultime. Infatti se aumentiamo il grado di
disuguaglianza tra i due mercati, riducendo , questo incrementerà
più di quanto
ridurrà con un conseguente incremento di W . (Solo nel caso in cui , la
curva macroeconomica coinciderà con quella microeconomica).
k
2
w&
&
21
uu =
Si deve sottolineare che questo spostamento verso l’alto non si avrà se si ha un
eccesso di offerta in entrambi i mercati, cioè se u e in ciascun mercato risulta
maggiore di 0a.
1 2
u
Dalla costruzione della funzione di ‘macroaggiustamento’ A
m
Lipsey trae una serie
di conclusioni:
a. Per prevedere il tasso di variazione dei salari è necessario conoscere non
solo il dato aggregato della disoccupazione ma anche la distribuzione della
stessa tra i vari mercati dell' conomia. Da questo consegue che la macro-
relazione la si può far traslare se si adottano politiche che cambiano il livello
di ineguaglianza tra i singoli mercati: una maggiore uniformità della
disoccupazione tra i mercati traslerà la macro-curva verso il basso,
aumentando così la flessibilità verso il basso del livello di salario.
e
c. Considerando che le curve a
i
non sono lineari, se è osservata nel tempo una
stabile macro-relazione A
m
ciò implica che i cicli delle oscillazioni verso
l’alto e quelli delle oscillazioni verso il basso della stessa sono avvenuti, in
realtà, mantenendo lo stesso livello di disuguaglianza di disoccupazione tra i
mercati nel corso dei cicli.
b. Poiché la macro-curva tende a spostarsi verso l’alto ogni qualvolta si
accentua la differenza di disoccupazione tra i mercati, questa tenderà ad
amplificare la flessibilità verso l’alto e a sottodimensionare quella verso il
basso del saggio di salario esistente in un singolo mercato.
d. Grande cautela si deve avere se si vuole inferire da una relazione statistica di
‘macroaggiustamento’ A
m
cosa dovrebbe accadere ai salari se il tasso di
disoccupazione viene mantenuto costante ad un livello per un periodo di
tempo. Infatti se la macro-disoccupazione è mantenuta costante, noi ci
dovremmo aspettare che nella distribuzione tra i mercati il livello di
ineguaglianza della disoccupazione deve invece cambiare: ma ciò significa
che la funzione di macro-aggiustamento dovrà spostarsi verso l'alto.
7
1.3 - Un’esposizione formale del modello di Lipsey
Come abbiamo visto, il punto di partenza di Lipsey è il comportamento di un singolo
mercato del lavoro, nel quale la disoccupazione è considerata dallo stesso più
variabile di quanto non sia tra esso e gli altri mercati. La variazione dei salari in un
settore i dipende dall'eccesso di domanda di lavoro nel settore stesso:
[1] ( (
dii
Efw =& ) ),...,1 nj =
L'eccesso di domanda può essere definito come:
[2]
i
ii
di
S
SD
E
−
=
Poiché la domanda di lavoro va intesa come domanda di lavoro programmata questa
comprende sia i posti di lavoro occupati sia quelli vacanti:
[3]
iii
VND +=
In modo analogo, l'offerta di lavoro è l’offerta programmata, e va perciò considerata
come comprendente sia i lavoratori occupati che quelli disoccupati:
[4]
iii
UNS +=
Sostituendo la [4] e la [3] nella [2], si ottiene:
ii
i
ii
di
uv
N
UV
E −=
−
=
)(
dove
N
V
v = e
N
U
=u . L'equilibrio nel mercato del lavoro si ha quando l'eccesso di
domanda è zero, cioè quando i posti vuoti sono pari ai lavoratori disoccupati
presenti; in tal caso
con che risulta pari proprio al tasso di
disoccupazione frizionale. Nel caso in cui si è a sinistra del punto a nella figura 1.2/d
si ha:
ii
uv =
i
u
se
0≥
di
E
ii
uv ≥
Lipsey ipotizzò che il valore del tasso di disoccupazione potesse essere considerato
una misura approssimativa del valore dell'eccesso di domanda, cosicché (fig.1.3/c):
[5] )(
idi
uhE =
con le seguenti proprietà:
8
se 0<
′
h 0=
′′
h 0≤
di
E
se 00 >
′′
<
′
hh 0>
di
E
Sostituendo la [5] nella [1] si ottiene:
)]([
ii
uhfw =&
che è la relazione di Phillips.
Dunque la relazione disoccupazione crescita dei salari nell'interpretazione di Lipsey
si basa su due ipotesi:
1) che l'eccesso di domanda possa essere ben approssimato dal tasso di
disoccupazione (funzione [5] );
2) che esiste una funzione di reazione dei salari monetari all'eccesso di domanda di
lavoro (funzione [1] );
E' dunque chiaro che nell'interpretazione di Lipsey la curva di Phillips è un risultato
empirico da ricondurre alla legge della domanda e dell'offerta; e la visione
dell'inflazione che ne risulta è chiaramente quella di un'inflazione da domanda. Un
aumento delle componenti della domanda aggregata porta ad un incremento della
produzione e del reddito, e quindi una diminuzione della disoccupazione, la quale
però spinge i salari ed i prezzi verso l'alto.
1.4 - Critiche all'interpretazione di Lipsey
L'interpretazione di Lipsey tuttavia soffre di molti limiti.
Prima di tutto, nell'analizzare il rapporto tra aumenti dei salari e disoccupazione non
è stato ben chiarito il rapporto causa-effetto.
Lo squilibrio relativo alla differenza tra domanda ed offerta di lavoro può essere
ricomposto in due modi diversi:
a. l'eccesso della domanda di lavoro, con i salari costanti, riduce la
disoccupazione (perché rende più facile la ricerca del posto di lavoro) e la
riduzione della disoccupazione a sua volta fa aumentare i salari. Secondo
alcuni, nell'interpretazione che Lipsey fa della curva di Phillips è il livello di
disoccupazione che 'determina' il saggio di variazione dei salari, piuttosto che
l'inverso (Laidler,1967).
b. l'eccesso della domanda di lavoro fa aumentare i salari e l'aumento dei salari
induce i lavoratori ad accettare più facilmente i posti di lavoro, e comporta
una riduzione della disoccupazione. Di solito, questo è considerato il
meccanismo di aggiustamento che è alla base della interpretazione di Lipsey
(Laidler,1967). Questo diverso meccanismo di causalità ha occupato molto
spazio non a caso, del dibattito successivo sulla curva di Phillips.
Un'altro punto debole dell'interpretazione di Lipsey è rappresentato dalle
9
proposizioni a., b., e c., del paragrafo 1.2 .
Per quanto concerne la proposizione c., nell'interpretazione che discutiamo
l'aumento dei salari monetari è riequilibratore degli eccessi di domanda sull'offerta
di lavoro; pertanto se ciò non accade, e si permane nel punto b ( ove vi è sempre lo
stesso eccesso di domanda) deve significare che nel caso in esame ci sono state
trasposizioni delle curve (verso destra della domanda e/o verso sinistra di quella
dell'offerta) sufficienti a controbilanciare gli effetti equilibratori del salario.
Ma ciò può accadere chiaramente solo per caso: le curve possono ragionevolmente
traslare di continuo, ma solo per caso ad un effetto riequilibratore del salario può
rispondere una traslazione delle curve di pari entità e viceversa, tali da mantenere
costante l'eccesso di domanda. Pertanto non è realistico supporre che un paese resti
per anni in una situazione come quella descritta, cioè possa avere anno dopo anno lo
stesso tasso di aumento dei salari.
Le critiche alla proposizione a. del paragrafo 1.2 seguono lo stesso sentiero di
quelle relative alla proposizione precedente.
Se le curve si sono trasposte nel periodo in modo tale da accrescere lo squilibrio
nonostante l'incremento dei saggi di salario, anche in questo caso ciò non può essere
considerato la regola; date le tendenze riequilibratrici dei salari, non sembra realistico
supporre che di norma le trasposizioni delle curve di domanda ed offerta non solo
annullino le tendenze riequilibratrici ma tendano a creare squilibri sempre maggiori.
Sembra pertanto, che si debba dedurre che la sequenza tipica per un paese in cui
operano i meccanismi descritti da Lipsey sia quella relativa alla proposizione b. del
tipo c',b',a con gli squilibri del mercato del lavoro che si riducono di anno in anno.
Tuttavia, vi è difficoltà ad accettare anche questa conclusione, perché se quanto
detto fosse vero, i punti più spesso osservati nella realtà dovrebbero giacere in un
intorno del punto di equilibrio a della figura 1.2, e i dati dei diversi paesi dovrebbero
mostrare per lo più un mercato del lavoro in equilibrio, un tasso di disoccupazione
costante e saggi di salario costanti, se la produttività si mantiene costante. Ciò non
pare coerente con l’evidenza empirica.
Per ottenere una certa compatibilità con i dati bisognerebbe alterare la logica
sottostante di tipo neoclassico dell'interpretazione di Lipsey a favore di una relativa
alla teoria keynesiana.
Considerando un'economia chiusa agli scambi internazionali, il difetto
dell'interpretazione di Lipsey risiede nel fatto che, le variazioni dei salari monetari
consentono di riequilibrare il mercato del lavoro, cosa che nell'ottica keynesiana non
risulta vera perché Keynes sosteneva che i prezzi tendono ad aumentare in
proporzione ai salari (se non vi sono aumenti di produttività), quando l'offerta di
moneta è accomodante, e gli effetti sulla domanda globale sono modesti in quanto
appunto i salari reali in realtà rimangono costanti.
In questo modo, escludendo che l'aumento dei salari monetari, che pure è causato da
squilibri nel mercato del lavoro, abbia effetti riequilibratori in tale mercato, tale
interpretazione nega che un sistema economico abbia una tendenza a muoversi lungo
la curva di Phillips verso il punto a. Ma poiché si considera il movimento da a verso
c' avere la stessa probabilità di un movimento contrario, riporta l'interpretazione di
Lipsey in armonia con i dati osservati.
Per ultimo, ma non per questo meno importante, possiamo illustrare le
incompatibilità di questa ricostruzione con il funzionamento del mercato del lavoro
di tipo neoclassico.
Nel modello neoclassico con concorrenza perfetta un aumento della domanda globale
10
di beni non da luogo ad un trasposizione della domanda di lavoro, ma ad un
movimento lungo di essa. La curva di domanda di lavoro si identifica con la curva
della produttività marginale del lavoro che è determinata dalla tecnica, e nel breve
periodo, in assenza di progresso tecnico la curva di domanda di lavoro non può
essere trasposta dal movimento del livello dei prezzi.
Figura 1.3
Pertanto non si vede come un aumento della domanda globale di beni possa ridurre al
disoccupazione nel tratto della curva di Phillips a sinistra del punto di intersezione
con l'asse delle ascisse. Considerando infatti la figura 1.3, partendo dal punto E
dove non si ha eccesso di domanda ed il mercato del lavoro è in equilibrio, un
aumento della domanda di beni fa aumentare il livello dei prezzi e riduce il salario
reale. Ciò provoca un aumento della domanda di lavoro da parte delle aziende, per
via di un movimento lungo la curva di domanda, da OF ad OG. Tuttavia al nuovo
più basso salario l'offerta si riduce ad OH, in quanto molti lavoratori escono dal
mercato del lavoro, e quindi l'occupazione si riduce, al contrario di quanto previsto
dalla relazione di Phillips.
In effetti un aumento dell'eccesso di domanda di lavoro, secondo le teorie
neoclassiche non comporta una riduzione della disoccupazione ma un suo aumento.
In altre parole, se la curva di domanda di lavoro non si sposta (e per i neoclassici non
può farlo nel breve periodo), la sequenza riequilibratrice c,b,a (dopo un aumento
iniziale della domanda aggregata che ha aumentato il livello dei prezzi e ridotto il
salario reale) deve comportare un aumento dell'occupazione e non della
disoccupazione così come illustrato dalla curva di Phillips (in quanto si risale sulla
curva di offerta).
Si conclude, perciò che "nell'interpretazione neoclassica che fa l'ipotesi di
concorrenza perfetta un movimento lungo la curva di Phillips a sinistra del punto di
intersezione con l'asse delle ascisse non è ipotizzabile" (Phelps,1970) .
Questo ostacolo sarà rimosso dalla teoria monetarista introducendo il concetto di
illusione monetaria dei lavoratori che comporterebbe la trasposizione a destra della
11
curva di offerta di lavoro (ammettendo quindi un “trade-off” di breve periodo), e
approfondendo i fondamenti microeconomici della curva di Phillips. Come vedremo,
questa ipotesi ha creato un nuovo filone di teorie macroeconomiche, che cercano di
risolvere l'incompatibilità tra la relazione diretta fra salari ed occupazione da un lato
(come quella relativa alla curva di Phillips) e il principio neoclassico per cui la
produttività marginale del lavoro è uguale al salario reale dall’altro. Quest’ultimo
principio determina una relazione inversa tra salari (reali) ed occupazione, perché nel
caso di eccesso di domanda si deve considerare il lato corto del marcato, che é
rappresentato dall'offerta. Tali teorie hanno quindi cercato di restituire dei
fondamenti microeconomici alla macroeconomia e in particolare alla curva di
Phillips.
1.5 - Un'interpretazione keynesiana della curva di Phillips: dal tasso
di disoccupazione frizionale al NIRU
Secondo l'interpretazione di Lipsey, la riduzione della disoccupazione, sopratutto
quando questa scende sotto il punto a genera aumenti dei salari sempre maggiori
così da dar vita ad una curva decrescente concava verso l'alto. Altri, seguendo
Keynes, spiegano la concavità con la rigidità verso il basso dei salari: un eccesso di
domanda di lavoro spinge i salari verso l'alto più di quanto un eccesso di offerta di
pari ammontare li spinga verso il basso.
Tobin diede grande enfasi a questa 'asimmetria' di comportamento dei salari
(Tobin,1972): quando la disoccupazione è in diminuzione, ogni ulteriore riduzione di
essa causa aumenti dell'inflazione più che proporzionali, mentre quando la
disoccupazione è alta, ulteriori aumenti del tasso di disoccupazione fanno ridurre
sempre meno il tasso di inflazione salariale.
Tobin partì anch'egli, come Lipsey, dalla suddivisione del mercato del lavoro
aggregato in diversi sottomercati. Una situazione normale è quella nella quale in
alcuni sottomercati vi è un eccesso di domanda mentre in altri vi è un eccesso di
offerta di lavoro; anche quando il mercato aggregato del lavoro è in equilibrio, non vi
è ragione di credere che tutti i sottomercati siano in equilibrio.
Pertanto una situazione di disoccupazione nel mercato del lavoro aggregato descrive
una situazione per cui gli eccessi di offerta in alcuni sottomercati sono maggiori degli
eccessi di domanda in altri sottomercati; viceversa, le situazioni con eccesso di
domanda di lavoro aggregato saranno preponderanti nei sottomercati nei quali vi è
eccesso di domanda.
Tenendo presente le due considerazioni fin qui evidenziate quali l'asimmetria dei
movimenti salariali, e l'esistenza di squilibri nei sottomercati del lavoro anche
quando a livello aggregato si ha una situazione di equilibrio, si ottiene una
spiegazione di due questioni centrali ai fini di un’interpretazione keynesiana della
curva di Phillips.
La prima questione è quella relativa al fatto che la curva per i keynesiani,
12
presentandosi concava, non toccherà mai l'asse delle ordinate, ma probabilmente
neanche quello delle ascisse.
In un’economia di mercato, dove vi è sempre qualcuno che lascia il vecchio lavoro
per cercarne uno migliore, la disoccupazione non sarà mai nulla, ed è pacifico
pertanto che la curva non potrà mai toccare l'asse delle ordinate, in corrispondenza
del quale la disoccupazione è zero. Ma lo stesso si potrà dire anche per l'asse delle
ascisse: a causa della rigidità verso il basso dei salari monetari, la curva di Phillips si
appiattisce sempre più man mano che la disoccupazione aumenta. A seconda delle
ipotesi che facciamo (rigidità o meno dei salari verso il basso) la curva potrà toccare
o meno l'asse delle ascisse, in corrispondenza del quale i salari sono stabili.
La seconda questione è che per i keynesiani il punto in cui la curva tocca (o potrebbe
toccare) l'asse delle ascisse non coincide con il tasso di disoccupazione frizionale di
Lipsey (o naturale dei monetaristi, NRU).
Se i salari sono rigidi verso il basso, in ciascun sottomercato del lavoro i salari
crescono non appena la domanda supera l'offerta mentre iniziano a ridursi solo dopo
che la disoccupazione supera una certa soglia. Ma se questo è vero, si ha che in
situazioni di equilibrio tra domanda ed offerta l'aumento dei salari nei sottomercati in
cui vi è eccesso di domanda non è compensato da un riduzione degli stessi nei
sottomercati in cui vi è eccesso di offerta. Di conseguenza, al livello di
disoccupazione di equilibrio (o “naturale”, come lo chiamano i monetaristi, vedi cap.
2) non si ha stabilità dei salari ma un loro aumento.
Sarà necessario un livello di disoccupazione più alto di quello per cui gli eccessi di
domanda siano uguali a quelli di offerta nei vari sottomercati per garantire la stabilità
dei salari.
Secondo l'analisi di Tobin, dunque, il tasso di disoccupazione in corrispondenza del
quale la curva di Phillips taglia l'asse delle ascisse corrisponde a un livello di
disoccupazione maggiore del tasso di disoccupazione frizionale (o naturale). È il
tasso di disoccupazione chiamato NIRU (Non Inflationary Rate of Unemployment)
per cui la disoccupazione involontaria (di tipo keynesiano) è ad un livello
sufficientemente alto a far si che l'aumento dei salari non acceleri né deceleri: "...la
disoccupazione associata a inflazione nulla non è né del tutto volontaria né ottimale"
(Tobin,1972).
13
1.6- La curva di Phillips ed il modello della sintesi
La ragione del successo dello scritto di Phillips del 1958 è uno dei problemi che più
ha attirato la curiosità di coloro che hanno studiato il dibattito sulla curva di Phillips.
Perché uno scritto breve, poco rigoroso e non originale ha avuto tanto successo da
rimanere al centro dei dibattiti di macroeconomia per più di trent'anni?
Il motivo va attribuito sicuramente alla circostanza che esso presentava risultati che
si integravano facilmente con lo schema della sintesi neoclassica del pensiero
keynesiano, permettendo così di colmare il principale vuoto di quel paradigma
teorico. La curva di Phillips, infatti consentiva di trattare il mercato del lavoro in
modo più appropriato di quanto non avesse fatto il modello della sintesi neoclassica,
nel quale si ci si era limitati a fare l'ipotesi di salari monetari rigidi.
La curva sembrò a molti economisti fornire l'elemento mancante al modello
keynesiano: si disponeva di una teoria dell'inflazione che poteva essere integrata
nello schema IS-LM e dare completezza all'edificio keynesiano.
Attraverso di essa sembrò possibile spiegare la tendenza dei prezzi a crescere
continuamente, sia pure a tassi moderati, tendenza registrata un po' ovunque nei paesi
capitalistici avanzati durante il periodo successivo alla seconda guerra mondiale.
Perciò negli anni sessanta un’equazione come quella di Phillips venne introdotta nel
tipico modello della sintesi neoclassica ed entrò in tutti i più diffusi manuali di
macroeconomia.
In effetti, come abbiamo visto all’inizio del capitolo, gli economisti keynesiani,
basando la loro analisi sul fenomeno della disoccupazione, caduta dei prezzi e
depressione non disponevano di una organica teoria che riguardasse prezzi e salari;
per spiegare il meccanismo della determinazione dei prezzi si affidavano
fondamentalmente a teorie ad hoc.
Nella sua Teoria generale, per spiegare la determinazione dei prezzi nel mercato dei
beni Keynes si era affidato all’ipotesi di concorrenza perfetta, ma i suoi successori di
scuola keynesiana erano fortemente critici verso questa posizione.
Infatti, una teoria dei prezzi di concorrenza perfetta implica che il salario reale si
muova in maniera anticiclica; ovvero il salario reale dovrebbe diminuire durante un
periodo di espansione. Ma vi era scarsa evidenza empirica per questo fatto. In
secondo luogo, era necessario tener conto dell’inflazione che si osservava come
fenomeno diffuso.
Pertanto i keynesiani adottarono come spiegazione dell’inflazione dei salari il
risultato, suggerito dall’evidenza empirica, della curva di Phillips. A livello
microeconomico, fecero l’ipotesi che la formazione dei prezzi avvenisse secondo la
regola del mark-up così che l’inflazione dei prezzi risultava uguale a quella dei salari.
Infatti, secondo tale regola il livello generale dei prezzi è:
LP
w
P )1( µ+=
dove , il mark-up, rappresenta la percentuale che include i profitti, le spese
generali ecc., mentre LP è la produttività del lavoro. Perciò, se la produttività è
costante si ottiene:
µ
WP
&&
=
14
La sintesi neoclassica del pensiero keynesiano era un modello ove l’idea dei prezzi e
salari rigidi veniva giustificata con un ipotesi implicita che considerava il mercato dei
beni di tipo oligopolistico. In pratica, si supponeva che le imperfezioni nel mercato
dei beni comportavano che un cambiamento del livello della domanda aggregata
avrebbe causato una variazione della quantità dalle imprese, piuttosto che una
variazione dei prezzi (come si sarebbe verificato in una situazione di concorrenza
perfetta).
Il modello della sintesi può essere riassunto come segue:
),,(
P
M
tgyy
S
y
D
= [equilibrio IS-LM]
)( UU −=α
&
W [curva di Phillips]
[prezzi in base al mark-up] WP
&&
=
Il modello è completato definendo U come il tasso di disoccupazione associato alla
situazione di equilibrio nel mercato del lavoro. In questo modello il mercato del
lavoro non determina il livello della produzione e dell’occupazione (quest’ultima è
determinata dalla domanda aggregata); il suo ruolo è quello di determinare il tasso
dell’inflazione dei salari.
L’inflazione risulterà nulla solo in corrispondenza del livello di produzione che
consente di mantenere l’equilibrio nel mercato del lavoro. Ad ogni modo è possibile
che il sistema economico mantenga un livello di produzione maggiore a costo, però,
di una più elevata inflazione.
Il funzionamento del modello della sintesi è rappresentato nella figura 1.4.
Supponiamo che il sistema economico parta da una situazione di equilibrio sul
mercato del lavoro con una inflazione pari a zero, che corrisponde al punto A del
grafico. Le autorità centrali decidono, allora, di sostenere un’espansione della
domanda aggregata aumentando l’offerta di moneta secondo un tasso prefissato in
ciascun periodo. La curva della domanda aggregata si sposta verso l’esterno in
ciascuno dei periodi, da AD
0
a AD
1
a AD
2
ecc. Nel breve periodo, quando i prezzi ed
i salari sono fissi, la produzione aumenta oltre il livello di piena occupazione e
l’economia nel suo complesso si muove dal punto A al punto B, associato ad una
disoccupazione inferiore ad U , produrrà un aumento dei salari e, attraverso il
meccanismo del mark-up, un aumento dei prezzi.
L’aumento dei prezzi, con una curva di domanda aggregata data, provocherà una
diminuzione della quantità prodotta. L’economia si sposta da B a C, fino al punto D,
nel quadrante della domanda aggregata, con un livello di produzione superiore a
quello cui corrisponde l’equilibrio nel mercato del lavoro e con un livello di
disoccupazione inferiore ad U .
Nei periodi successivi, l’economia si sposta verticalmente verso l’alto rispetto al
punto D, mentre i prezzi ed i salari monetari crescono ad un tasso costante e pari a
quello della crescita dell’offerta di moneta.
Nel grafico della curva di Phillips, il sistema economico si sposta in corrispondenza
del punto Z. Nel nuovo equilibrio, il governo ha conseguito una riduzione della
disoccupazione, al costo di un tasso d’inflazione costante ma più elevato.
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Se il governo scegliesse un tasso di crescita inferiore per l’offerta di moneta rispetto
a quello considerato nell’esempio precedente, determinerebbe un nuovo equilibrio
con una produzione compresa tra y e e con un’inflazione inferiore rispetto a
quella associata a .
H
y
H
y
Le implicazioni per la politica economica del modello della sintesi neoclassica in cui
si incorpori il modello dell’inflazione fornito dalla curva di Phillips sono di due tipi.
In primo luogo, a causa della rigidità dei prezzi e dei salari nel breve periodo, il
governo può esercitare un ruolo attivo nel tentativo di tenere bassa la disoccupazione
quando vi siano spostamenti verso il basso della domanda aggregata del settore
privato, stimolando quest’ultima.
Figura 1.4
In secondo luogo, il governo ha la possibilità di mantenere la disoccupazione al di
sotto del tasso corrispondente all’equilibrio sul mercato del lavoro purché sia
disposto ad accettare un tasso d’inflazione positivo e definito.
Sulla base della curva di Phillips, un’inflazione crescente dovrebbe associarsi ad una
disoccupazione che diminuisce.
Questo modello composito sembrò funzionare in modo soddisfacente dal punto di
vista empirico fino alla seconda metà degli anni sessanta. Esso fu alla base dell’idea
che la politica monetaria potesse fornire uno strumento efficace di regolazione del
ciclo (“fine-tuning”), e che scegliendo una politica monetaria adeguata la società
potesse scegliere il punto preferito del trade-off tra inflazione e disoccupazione in cui
situarsi.
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