3
iniziato il processo allo Stato-nazione. Per questi gruppi, la rivalità tra le nazioni
europee, che aveva condotto alle due guerre mondiali e al proliferare di regimi
dittatoriali, andava combattuto in una solo maniera: creando uno Stato federale
europeo sul modello americano o svizzero per garantire la pace europea ed
internazionale. La ricostruzione politica ed istituzionale che si doveva avviare
nell'Europa del dopoguerra, andava fatta, per questi gruppi, sotto questa egida e
doveva comprendere tutta l'Europa. Ma gli auspici di questi sparuti gruppi non si
realizzarono a guerra finita, poichè l'Europa del dopoguerra si divise nettamente
tra una parte occidentale nell'orbita americana, ed una parte orientale che stava per
entrare saldamente nell'orbita sovietica. In Italia, questi sparuti gruppi
dell’intellighenzia avevano fatto sentire la loro voce, auspicando la nascita della
Federazione Europea, fin dal 1941, con IL MANIFESTO DI VENTOTENE, scritto
da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Peraltro, la prospettiva della nascita della Federazione Europea, era stata fatta
propria da piccoli gruppi elitari anche nel periodo tra le due guerre. Nomi come
quelli di Giovanni Agnelli, Filippo Turati, Attilio Cabiati, e, soprattutto per
l'analisi di nostra pertinenza Luigi Einaudi, sebbene con accenti diversi, avevano
sollecitato la necessità della creazione di una Federazione Europea, nella
prospettiva di una pace duratura sul suolo europeo, visto che istituzioni a carattere
globale come la Società delle nazioni, parevano incapaci di imporsi. Ma l'incidenza
4
di questi gruppi sulle scelte che si compirono a fine guerra in Italia, come nel resto
dell'Europa fu minima. Gli uomini e i principali partiti politici continuarono ad
operare in un logica di tipo nazionale, con qualche rara eccezione come il laico
Partito d'Azione. Ha scritto a riguardo Giuseppe Mammarella: " tra i partiti
antifascisti che parteciparono alla Resistenza, quello che più assiduamente si
impegnava per la causa dell'unità europea era il Partito d'Azione che, per il suo
cosmopolitismo e per la forte componente culturale, era il più aperto verso i
rapporti internazionali e i problemi del futuro. Già nel luglio del 1942 in un
documento che veniva pubblicato qualche mese dopo (gennaio 1943) sul giornale
clandestino « L'Italia Libera », il PdA esponeva in ben sette punti un programma
per la Federazione Europea che veniva riproposto due anni dopo in una versione
ancora più articolata. Sia nella prima che nella seconda stesura si insisteva sulla
necessità di creare una coscienza europea come condizione indispensabile e
preliminare alla realizzazione della federazione; una proposta destinata a suscitare
le critiche dei federalisti del MFE (Movimento Federalista Europeo), molti dei
quali militavano nel PdA, perchè rischiava di spostare nel tempo la realizzazione
della causa unitaria che per molti federalisti era percepita come un atto
rivoluzionario prioritario rispetto ad ogni altro obiettivo di rinnovamento
nazionale"
1
. Ma la fine del Partito d'Azione nel 1946, dopo un pesante insuccesso
1
GIUSEPPE MAMMARELLA, Storia e politica dell’integrazione europea(1926-1997), Roma -Bari, Laterza,
1998, pag. 18.
5
elettorale nelle elezioni per l'Assemblea Costituente, privò i fautori del federalismo
europeo di una voce istituzionale di una certa importanza. I federalisti europei, in
Italia come nel resto d'Europa, alla fine della guerra si organizzarono in movimenti,
nei quali confluirono militanti di diversi partiti, volendo così fare registrare un
distacco dalle pratiche della quotidianità politica, ma nel contempo cercando di
attrarre alla realtà di una prospettiva federale europea, non solo uomini impegnati
in ambito istituzionale, ma anche esponenti della società civile. In Europa, l'uomo
di maggior riferimento della teoria federalista europea fu senza dubbio Altiero
Spinelli. I federalisti europei, come abbiamo già sottolineto perseguivano
l'obiettivo di depotenziare il ruolo degli Stati Nazionali, artefici di avere provocato
due guerre mondiali sul suolo europeo, oltre al sorgere di feroci nazionalismi. Ma
nella costruzione dell'Europa, l'opzione federalista non era l'unica sul tappeto.
Accanto ad essa si svilupparono altre due teorie, che gli storici hanno definito,
l'una confederalista, l'altra funzionalista. La teoria confederalista propugnava una
accentuata cooperazione tra gli Stati europei, che tuttavia lasciasse intatti i
meccanismi della sovranità statale ed il ruolo dello Stato Nazione. I più coerenti ed
originali sostenitori di questa teoria furono Winston Churchill e Charles de Gaulle.
L'espressione che, forse riassume meglio il punto di vista dei confederalisti è quella
spesso enunciata dai suoi estensori della necessita di « un'Europa delle Patrie ». La
teoria funzionalista fu una sorta di teoria del federalismo europeo "morbido".
6
Questo perchè, alla nascita tout-court di una federazione politica europea, essa
subordinava la creazione di organismi europei intermedi, a carattere economico e
settoriale, così da innestare nelle classi dirigenti e nell'opinione pubblica europea,
un approccio graduale alla necessità della creazione della Federazione Europea,
vista come sbocco inevitabile degli anni a venire. Gli apologisti più autorevoli di
questa teoria, che finirà per orientare dalla nascita della C.E.C.A. tutto il processo
di integrazione europea, furono Jean Monnet e Robert Schuman. Sul piano
istutuzionale, la prima costruzione comunitaria si realizzò con la nascita dell'OECE
nel 1948, organismo cui venne demandato di amministrare congiuntamente le
risorse del Piano Marshall, nella intenzione di una più accentuata liberalizzazione
degli scambi tra i paesi europei. Nel 1949 nacque pure il Consiglio d'Europa.
Organo senza poteri decisionali, ma con il compito di promuovere la cooperazione
europea nel campo dei diritti umani. Comunque la prima costruzione comunitaria,
che presupponeva rinunce di sovranità, si realizzò con l'istituzione della Ceca,
nell'aprile del 1951, sotto la spinta della dichiarazione Schuman. Questa istituzione
era stata partorita in ambienti franco-tedeschi e veniva incontro ad esigenze
comuni per entrambe le nazioni. Da un lato, la Francia cercava una forma di
controllo dell'industria tedesca situata nel bacino della Ruhr,allora considerata
come il potenziale arsenale bellico della Germania. Dall'altro lato, il cancelliere
Adenauer, desiderava l'uscita dall'isolamento diplomatico per la sua Repubblica
7
Federale di Germania. Parallelamente alla istituzione della Ceca, vi fu anche un
ulteriore iniziativa della diplomazia francese: il Piano Pleven, per la costituzione di
una comunità europea di difesa. Questo progetto rispondeva anch'esso alla logica
di prevenire un possibile riarmo tedesco. Il problema del riarmo tedesco era però
patrocinato dagli Usa, nella convinzione americana, che il riarmo della Repubblica
Federale di Germania, avrebbe rappresentato un migliore sistema di difesa dal
comunismo sovietico. Chiaramente, gli americani si rendevano conto delle
diffidenze francesi su questo aspetto, e pertanto essi auspicarono che il riarmo
tedesco fosse imbrigliato nel più ampio contesto europeo ed atlantico. Dunque, gli
Usa non mossero alcuna obiezione al Piano Pleven. In questo quadro, i federalisti
europei videro il momento propizio per accellerare sulla strada della Federazione
Europea. Spinelli, De Gasperi, Monnet, Spaak, furono tra i protagonisti
maggiormente impegnati in questa direzione. Il 10 marzo 1953, un'Assemblea ad
hoc presieduta da Spaak propose il progetto di una Comunità politica europea. La
riuscita di questo progetto era inscindibilmente legata alla ratifica, da parte dei
Parlamenti nazionali del progetto CED. Ma la realtà della nascita di un'Europa
politica, che sembrava a portata di mano, svanì nel nulla. Infatti, la caduta del
trattato CED dinanzi all'Assemblea Nazionale francese nell'estate del 1953, marcò
l'impossibilità di raggiungere in quel momento qualsiasi soluzione federalista. Il
problema del riarmo tedesco venne risolto con la nascita della UEO, organismo che
8
sul piano istituzionale, ricordava l'Oece e il Consiglio d'Europa. Il "rilancio
europeo", ora sotto l'egida dell'ideologia funzionalista di Monnet, avvenne a partire
dalla metà degli anni cinquanta, prima con la Conferenza di Messina (1 e 2 giugno
1955), poi con la firma dei Trattati di Roma ( 25 marzo 1957), che dettero vita alla
CECA e all'Euratom. Un contributo primario al rilancio, venne soprattutto
dall'Italia (grazie soprattutto all'azione del ministro degli Esteri Gaetano Martino)e
dai paesi del Benelux. Il rilancio sarà il trionfo della teoria funzionalista, che da
allora fino ai giorni nostri, ha caratterizzato il processo di integrazione europea.
Nel contesto dell'idea europea e nel processo di integrazione, un ruolo di primo
piano lo ebbero le componenti laiche dello schieramento politico italiano. A questi
settori erano riconducibili sostanzialmente questi soggetti politici: il già citato
Partito d'Azione, Partito Repubblicano Italiano, Partito Liberale Italiano e Partito
Radicale (nato nel dicembre 1955, da un scissione dell' ala sinistra del Partito
Liberale). Nella ristrettezza della nostra analisi, prenderemo in considerazione solo
le figure più in vista di quest'area politica, che furono tra i protagonisti attivi ed
infaticabili del processo di integrazione europea. Dal precursore Luigi Einaudi, che
già dal 1918 auspicava la nascita della Federazione Europea; ai due Ministri degli
Esteri laici: Carlo Sforza (capo della diplomazia dal 1947 al 1951), fautore
convinto della nascita dell'Europa e principale artefice, insieme ad Alcide De
Gasperi dell'inserimento dell'Italia nel contesto europeo ed occidentale, e Gaetano
9
Martino (Ministro degli Esteri nel periodo 1954-1957), tra i principali protagonisti
del cosiddetto "rilancio europeo" dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma,
dopo il fallimento del progetto C.E.D. avvenuto nel 1953. Infine, concluderemo la
nostra analisi con uno sguardo al lavoro delle riviste laiche, fautrici anch'esse della
nascita dell'Europa. In particolare soffermeremo la nostra attenzione su una rivista
come "NORD E SUD", fondata a Napoli nel dicembre 1954, che ebbe nel suo
D.N.A. l'europeismo. In particolare vedremo come le analisi dei suoi principali
editorialisti da Francesco Compagna a Vittorio De Caprariis, a Ugo La Malfa e
soprattutto Renato Giordano, fossero incentrate sulla stretta connessione tra i
problemi meridionalisti e quelli dell'integrazione europea, nella convinzione che i
problemi del Mezzogiorno potessero essere analizzati e risolti in chiave europeista.
Dunque europeismo che per i laici non fu solo la battaglia per una coerente politica
estera del nostro paese, aliena da neutralismi e da suggestioni mediterranee, ma
anche veicolo per avvicinare l'Italia alle grandi democrazie occidentali, in un
quadro di sviluppo e di rinascita economica.
10
Capitolo primo: Luigi Einaudi, precursore dell’unità
europea
I
LUIGI EINAUDI
Dagli scritti di Junius all’azione politica del dopoguerra
Il manifesto di Ventotene del 1941, rappresentò un soffio d’aria pura nella
devastante realtà europea, segnata come era dalla seconda guerra mondiale e dal
predominio allora incontrastato delle forze nazifasciste. Il sogno di Altiero Spinelli
ed Ernesto Rossi, di una Europa unita e federata che anelasse alla pace, sembrava
un’utopia non meno che il progetto della Giovine Europa propugnata circa un
secolo prima da Giuseppe Mazzini. Gli eventi successivi al Manifesto e tutta la
storia dell’europeismo dell’ultimo cinquantennio, hanno dimostrato le
innumerevoli difficoltà sul cammino prospettato da Rossi e Spinelli. Solo nel 2002,
l’Europa avrà una moneta unica, mentre, ancora oggi, appaiono lontane le
prospettive di una federazione europea sul piano politico. Ma questa opzione
“utopica” di una Europa unita ha avuto in Italia, prima di Rossi e di Spinelli, un
anticipatore d’eccezione: Luigi Einaudi. Egli, come ha scritto Giovanni Spadolini
è stato : “un precursore e testimone coerente della battaglia europea”
2
. Einaudi ha
2
GIOVANNI SPADOLINI, In diretta con il passato, Milano,Tea Longanesi, 1994, pag.18.
11
rappresentato una delle voci più autorevoli a partire dal primo dopoguerra in Italia
e in Europa nel dibattito politico ed economico del ventesimo secolo. La sua fama
e la sua autorevolezza discendono soprattutto dai suoi scritti in campo economico.
Egli si fece sostenitore di un accentuato liberismo,contrario ai monopoli, al
protezionismo e ad ogni forma di interferenza dello stato in economia. Einaudi
ebbe la cattedra di scienza delle finanze prima a Torino poi all’Università Bocconi
di Milano. Rilevanti furono i suoi contributi in materia di scienza delle finanze,
specie con riguardo alla teoria generale dell’imposta e alla doppia tassazione sul
risparmio. Nel periodo fascista, lasciò l’insegnamento universitario e si ritagliò un
ruolo di opposizione intellettuale con le riviste “la Riforma Sociale” e poi con “la
Rivista di storia economica”. Nel 1943 lasciò l’Italia per la Svizzera e rientrò nel
1945 divenendo governatore della Banca d’Italia. Sul piano politico, Einaudi fu
fervente liberale. Eletto alla Costituente in quota PLI, fu Ministro del Bilancio e
vicepresidente del Consiglio nel quarto gabinetto De Gasperi e adottò una linea
economica fondata su provvedimenti deflazionistici che consentì di arrestare la
svalutazione della lira. Fu il primo presidente eletto della Repubblica l'11 maggio
del 1948. Allo scadere del mandato nel 1951, rientrò in Senato battendosi per una
politica economica liberista, per l’integrazione europea e la moralizzazione della
vita politica. Con riferimento al problema dell’integrazione europea, Einaudi
12
aveva già iniziato a trattare del tema della Federazione Europea già a partire dal
1918, quando scrisse con lo pseudonimo di Junius alcun articoli pubblicati dal
Corriere della Sera. E del problema dell’ Europa fu un testimone coerente,
avendo dedicato, sia da economista che da uomo politico, fondamentali contributi
di pensiero alla comprensione del problema europeo. Nella genesi del Manifesto di
Ventotene, Einaudi giocò un ruolo di primo piano. Egli era stato maestro di
economia di Ernesto Rossi , con il quale non perse mai i contatti, nemmeno quando
quest’ultimo fu mandato al confino per propaganda antifascista. I contatti di Rossi
con Einaudi furono basilari per la stesura del Manifesto, poiché Einaudi fece
pervenire sull’isola laziale ai due confinati politici opere di carattere generale sul
federalismo, specialmente su quello britannico e sul dibattito in corso intorno ad
una eventuale prospettiva federale per l’Europa a guerra finita. In questo dibattito
,erano intervenuti autori come Paul Ransome, Lionel Robbins, Lord Lothian,
Walter Jennings ed altri. Pur nella diversità degli accenti e delle sfumature, tutti
questi autori sottolineavano come a guerra finita fosse auspicabile che l’Europa si
federasse o che accrescesse la sua cooperazione in campo economico e politico.
Rossi e Spinelli, hanno sempre riconosciuto il loro debito di gratitudine nei
confronti dello statista piemontese. E’ stato scritto come la loro “formazione
federale” si svolse soprattutto sui testi di Lionel Robbins. : “i testi che fuori di
13
dubbio costituirono il punto di partenza del loro pensare federale furono The great
depression ed Economic Planning and International World ”
3
. Einaudi fu una
sorta di dispensatore di cultura federalista ai principali autori italiani del
federalismo europeo, che come ha scritto Dino Cofrancesco, negli anni quaranta, “
passa dall’utopia alla scienza”
4
. E sempre Cofrancesco sottolinea ancora , come
con Einaudi: “ il progetto perde ogni residuo carattere di utopia e di astrattezza.
Esso, non è più una esercitazione retorica da ROTARY CLUB, nè lo stanco
riemergere di aspirazioni secolari espresse un tempo dai grandi spiriti della cultura
europea,da Saint Simon a Kant, e divenute in seguito esclusive di letterati
stravaganti. Negli scritti einaudiani l’istanza europea nasce dall’osservazione
attenta, diretta e partecipe del microcosmo economico”
5
.Nelle argomentazioni
einaudiane ci sembra di risentire molte delle istanze cattaneane del Politecnico.
Arturo Colombo ha rilevato come per Cattaneo : “l’Italia si sarebbe fatta passando
per l’Europa
6
”. Tema questo che spesso ricorre nelle analisi dello statista
piemontese. Secondo Einaudi occorreva per far progredire l’Italia tra le altre
nazioni europee rinunciare: “ ai mercanteggiamenti, alle furberie, alle transazioni
meschine. Solo rinunciando in apparenza a molto, ad un molto che, come si tentò
3
ERNESTO ROSSI, L’Europa di domani, Napoli ,Alfredo Guida, 1999, pag.10.
4
DINO COFRANCESCO, Europeismo e cultura- da Cattaneo a Calogero-, Genova , Ecig, 1982, pag.244.
5
ibidem, pag.247-48.
6
A. COLOMBO, G.ANGELINI, V. PAOLO GASTALDI, La galassia repubblicana Voci di minoranza nel
pensiero politico italiano, Franco Angeli, 1998,pag.25.
14
di dimostrare sopra, è il niente od è molto solo per piccoli gruppi plutocratici di
sfruttatori della grandissima maggioranza dei cittadini”
7
. Come già rilevato, egli
aveva iniziato a focalizzare il problema europeo dal 1918. Negli scritti sotto lo
pseudomino di Junius, egli partiva da una critica serrata al sistema della Società
delle Nazioni. Einaudi diffidava della Società delle Nazioni, così come era stata
pensata e si supponesse potesse funzionare, ma invece, guardava con attenzione
all’esempio americano e alla costituzione federalista degli Stati Uniti d’America
del 1788. Egli, immaginava lucidamente, per un’Europa appena uscita dalla guerra
un atto di volontà e di coraggio da parte delle sue classi dirigenti per prevenire
nuove conflagrazioni. Einaudi individuava nella sovranità statale la radice delle
guerre, un retaggio anacronistico da eliminare. Per spiegare le sue tesi, si rifaceva
all’esempio della prima costituzione americana del 1776, fallita subito dopo perché
nei 13 Stati facenti parte della federazione, era rimasto intatto il presidio della
sovranità statale. Scrive Einaudi ricordando le parole critiche del giudice
americano Marshall : “un Governo autorizzato a dichiarare guerra ma dipendente
da Stati sovrani quanto ai mezzi di condurla, capace di contrarre debiti e di
impegnare la fede pubblica al loro pagamento,ma dipendente da tredici separate
legislature sovrane per la preservazione di questa fede, poteva salvarsi
dall’ignominia e dal disprezzo qualora tutti questi governi fossero stati
7
LUIGI EINAUDI, La guerra e l’unità europea , Edizioni di Comunità,1950, pag.77
15
amministrati da persone assolutamente libere e superiori alle umane passioni. Era
un pretendere l’impossibile. Gli uomini forniti di potere non amano delegare
questo potere ad altri”
8
. Einaudi, non mancava di fornire degli esempi storici
precisi sul fallimento di modelli istituzionali simili a quello della SDN. Egli
scriveva come: “ una delle ragioni di decadenza dell’OLANDA nel sec.XVIII non
fu forse la ripugnanza della maggior parte delle Province Unite, a pagare le proprie
quote nel tesoro comune, sicchè il peso maggiore della guerra ricadeva quasi solo
sulla provincia più ricca, l’Olanda, sì da impoverirla e consigliarla ad una politica
estera di rassegnazione e di silenzio?”
9
. E oltre al caso negativo delle Province
Unite, Einaudi ricordava anche quello non meno fallimentare della Santa Alleanza.
Non mancavano però in questa analisi esempi storicamente possibili di unioni nate
dal “basso” che avessero avuto successo ed alle quali Einaudi si ispirava. Egli
ricordava in questa categoria: l’impero romano, lo Stato francese,l’impero
germanico, la già citata costituzione americana , ma soprattutto l’unione tra Scozia
ed Inghilterra , da cui nacque la Gran Bretagna nel 1707 e che “diede agli scozzesi
la possibilità di guidare le sorti del maggiore impero del mondo ma preservò le
tradizioni, il patrimonio ideale, le istituzioni giuridiche proprie della Scozia”
10
.
Passando più allo specifico del problema egli scriveva con lucida preveggenza : “
le società di Nazioni caddero sempre miseramente: perché non avevano entrate
8
ibidem, pag. 15-16
9
ibidem, pag.17.
16
proprie, ma dipendevano dai contributi finanziari degli stati associati; perché non
avevano un esercito proprio, ma dipendevano dai contingenti armati
volontariamente inviati dagli stati alleati contro lo stato aggressore; perché non
avevano un proprio corpo deliberante e una propria autorità esecutiva; ma
dipendevano dal voto unanime degli stati associati. Un ente politico, il quale nasce
impotente, non può vivere ed è causa di dissidi e fomite di guerre”
11
. Dunque negli
scritti di Einaudi, forte è la tensione ideale verso il problema della federazione
europea e altrettanto forte è la polemica nei confronti del dogma della sovranità. Lo
statista piemontese, in questi articoli, si scagliava contro la letteratura
pangermanista, che da Fichte in poi aveva suggellato il presunto primato della
cultura e della nazione tedesca: “il dogma della sovranità aveva condotto i teorici
tedeschi, i grandi politici ed economisti del sec.XIX , ad allargare via via il sogno
della più grande Germania di Federico List del 1841 fino al disegno dell’Europa
centrale dei Neumann, sino alla supremazia sull’Austria, sui Balcani, sulla Turchia,
fino allo sbocco sul Golfo Persico, senza che a questo punto potessero fermarsi le
aspirazioni di predominio”
12
. Sembra quasi che Einaudi avvertisse l’Europa sull’
avvento al potere di Hitler. L’Europa del primo dopoguerra viveva una profonda
crisi di identità. Non sfuggivano allo statista i rischi di un secondo possibile
conflitto mondiale, causato dalla ricerca dei cosiddetti spazi vitali. Emblematiche
10
ibidem, pag.21.
11
ibidem, pag.50-51.