4
dalle imprese, ma dal contesto sociale nelle sue espressioni più
generali.
1
.
Ma alla cultura di impresa non sembra toccare solo un generico ruolo
di catalizzatore del successo imprenditivo, quanto anche quello di
rispondere efficacemente alle variazioni del contesto, come quelle
della globalizzazione che per esempio spinge le imprese verso il
decentramento e l’internazionalizzazione dei propri mercati di
riferimento.
I cambiamenti tecnologici, socioculturali, economici e politici e la
rapidità del loro susseguirsi, hanno portato alcuni autori (Giddens,
1991; Beck, 1986) a chiamare la nostra epoca “l’età dell’incertezza” o
“la società del rischio” o ancora “l’era della cultura globale”.
La globalizzazione, intesa come quel processo che porta ad una
maggiore interdipendenza e a una aumentata consapevolezza tra unità
sociali, politiche, economiche nel mondo, mette profondamente alla
prova gli equilibri finora funzionanti perché cambia il significato di
frontiera, di spazio e di tempo. Se questo, per una organizzazione
produttiva, sia un limite o una risorsa dipende dalla propria “cultura di
impresa”. Come scrive Bauman (2005): “quando le distanze non
significano più niente, le località, separate da distanze, perdono
anch’esse il loro significato. Questo fenomeno tuttavia, attribuisce ad
alcuni una libertà di creare significati, dove per altri è la condanna ad
essere relegati nell’insignificanza. Oggi accade così che alcuni
possono liberamente uscire dalle località – qualsiasi località – mentre
altri guardano disperati al fatto che l’unica località che loro appartiene
e abitano sta sparendo sotto gli occhi”.
1
È in corso proprio in questo periodo la IV settimana dedicata alla Cultura di Impresa da
parte di Confindustria. Le iniziative che si svolgono in varie città di Italia, vedono la
presenza di figure diverse del mondo della ricerca, della politica, dell’economia. Un dato
sembra rilevante:che lo sforzo teso alla sistematizzazione di un pensiero e all’affinamento di
uno strumento strategico per lo sviluppo, abbia come obiettivo non secondario quello di
costruire consenso intorno ai valori dell’impresa, come espressione della socialità umana.
5
Il processo di globalizzazione incidendo e sulle nuove logiche di
lettura ed interpretazione dei mercati, e sulle nuove opportunità di
combinazione e sviluppo delle risorse, ha rilevanti implicazioni per le
imprese, imponendone la ridefinizione dei propri confini; la ricerca di
flessibilità e di alleggerimento delle strutture; la progettazione degli
strumenti a sostegno del cambiamento; lo scambio e l’utilizzo di
conoscenze nelle e tra organizzazioni “estranee”; la convivenza di
queste organizzazioni.
Tutti questi cambiamenti, dal nostro punto di vista, vanno a
incidere sul rapporto individuo-contesto ossia sulle modalità
relazionali che la persona agisce nell’ambito dei vari contesti
d’appartenenza (familiare, lavorativo o sociale più in generale)
2
,
imponendone una revisione delle regole, delle risorse, degli
obiettivi in gioco.
È in questo contesto che, a partire dai primi anni ’90, a livello europeo
vengono attivate e promosse varie iniziative finalizzate allo sviluppo
del mercato europeo, al rafforzamento delle politiche economiche-
sociali, alla competitività della “nazione europea” nei confronti del
mondo globale. Prende corpo un pensiero europeo che propone un
investimento su quello che si viene definito come il capitale
intangibile, cioè quello umano, considerato la risorsa principale nelle
organizzazioni.
Gli aspetti comuni dei programmi d’azione nel settore dell’istruzione e
della formazione, messi a punto dalla Commissione Europea, sono
caratterizzati a partire da quegli anni, da una politica della formazione
continua, dall’attenzione posta alle categorie svantaggiate o deboli,
dall’interesse alle piccole-medie imprese, dalla priorità attribuita alla
formazione imprenditoriale e al carattere transnazionale delle
2
Per ulteriori chiarimenti sul rapporto individuo-contesto si veda R. Carli, R. M. Paniccia,
“Analisi della domanda. Teoria e tecnica dell’intervento in psicologia clinica”, (2003).
6
azioni di formazione, che sembrano non rappresentare un’opzione ma
una conditio sine qua non per la crescita del contesto europeo e la sua
competitività.
La Commissione orienta sempre più le politiche sociali e formative
allo sviluppo della imprenditorialità una declinazione che potremmo
definire traduca sul piano operativo una visione
individuale/individualistica dello sviluppo socio-economico globale.
L’imprenditorialità quindi, come un sistema complesso di
dimensioni “umane”, non cognitive, non razionali, non
nozionistiche della persona stessa.
Cominciano a diffondersi sempre più, entro le politiche di sviluppo
dell’Unione Europea, i valori tipici della cultura imprenditiva come la
tendenza al rischio e all’investimento, arrivando a promuovere
l’imprenditorialità come la risposta alla carenza di lavoro e di
occupazione soprattutto per i giovani (fanno capo a queste politiche
le varie forme di finanziamento del lavoro autonomo e
dell’autoimpiego)
3
.
La formazione alla cultura di impresa secondo la “interpretazione” che
ne da la Commissione Europea, viene indicata come un lavoro di tipo
psico-sociale sulle motivazioni, gli atteggiamenti, le capacità e i
comportamenti non solo di chi si affaccia oggi al mondo del lavoro
ma, come scrivono Odoardi e Battistelli (1995), “anche di chi già
riveste differenti ruoli organizzativi, entro la finalità di rendere tali
ruoli più funzionali sia rispetto agli obiettivi dell’organizzazione sia
3
Diversi i decreti che sono stati emanati per il finanziamento del lavoro autonomo e l’auto-
impiego, per esempio: Delibera CIPE del 14 febbraio 2002, n. 5 Decreto legislativo 21
aprile 2000, n. 185 - Criteri e indirizzi su incentivi all'autoimprenditorialità e
all'autoimpiego; Decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione
Economica del 28 maggio 2001, n. 295 Regolamento recante criteri e modalita' di
concessione degli incentivi a favore dell'autoimpiego; Decreto Legislativo del 21 aprile
2000, n. 185 Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo
45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144.
7
rispetto alla qualità della vita in sé laddove la qualità della vita
lavorativa migliora la prestazione professionale”.
Nel primo capitolo vengono analizzati i macrocambiamenti che
coinvolgono il contesto nel quale si muovono le imprese e vengono
realizzati i programmi formativi dell’Unione Europea, sottolineandone
le ripercussioni a livello della dinamica sociale di rapporto fra
individui e contesto di riferimento.
Nel secondo capitolo viene esplorato il contesto europeo nel quale
prende corpo la formazione alla cultura di impresa come chiave dello
sviluppo socio-economico dell’individuo; se ne esplorano le
dimensioni critiche e le attese nei confronti della formazione.
Nel terzo viene proposta una rassegna dei principali strumenti e
interventi formativi e consulenziali sulla cultura di impresa,
esplorandone le dimensioni critiche e di risorsa che mettono in campo
in rapporto agli obiettivi da perseguire.
Nel quarto capitolo infine, attraverso una rassegna delle più diffuse
teorie e modellizzazione delle dimensioni “imprenditoriali” della
personalità viene approfondita una riflessione sulla formazione alla
cultura di impresa
4
.
4
La committenza europea chiarisce a chi sono rivolti gli interventi che propone, individui e
imprese, ma è la ricerca psicologica che, faccio l’ipotesi è anche a partire dalla nuova
domanda di formazione, propone delle competenze, dei modelli per intervenire (per
esempio Battistelli, Odoardi, Trentini, Bellotto e altri).
8
CAPITOLO 1 – Le imprese e l’Europa
nell’era della globalizzazione
Introduzione al capitolo 1
Il contesto in cui si muovono le piccole e medie imprese oggi, sta
rapidamente cambiando. Il “nuovo” emerge da svariati segnali: è
sempre più difficile tenere le quote di mercato, anche accettando
margini di profitto decrescenti; entrano in campo nuovi concorrenti,
che danno caratteristiche e potenzialità diverse da quelle dei
concorrenti tradizionali; si affacciano sui mercati nuovi potenziali
clienti e nuovi potenziali fornitori, che sono però raggiungibili solo
facendo investimenti impegnativi e mettendo in conto tempi non brevi
per stabilire un efficace contatto.
Che cosa sta succedendo? Il contesto competitivo sta cambiando per
diverse, e non transitorie, ragioni.
Come argomentano Brunetti e Rullani
5
, le imprese, con l’avvento della
globalizzazione, si sono messe in grado di utilizzare, direttamente o
indirettamente le grandi riserve di fattori a basso costo che sono
disponibili nei paesi emergenti. La domanda internazionale di
subfornitura, di componenti e di materiali si rivolge, sempre più
altrove. D’altra parte, l’offerta di flessibilità e varietà non è più
monopolio di un numero limitato di imprese. Oggi diventano sempre
più rari i mercati, anche di nicchia, che sono al riparo dalla
concorrenza internazionale: anche i grandi produttori, infatti, puntano
alle piccole serie, ai prodotti di qualità, alla moltiplicazione dei
modelli, alla personalizzazione del servizio reso al cliente. Nascono
nuovi competitori, capaci di copiare, imitare, innovare e soprattutto di
mettere “al lavoro” il proprio specifico retroterra nazionale, facendo
leva sulle risorse materiali e immateriali, sociali e politiche della
società di appartenenza.
5
G. Brunetti, E. Rullani, “Change. Il paese, l’impresa, le persone”, (2006).
9
Questi fattori cambiano la natura del gioco competitivo,
l’organizzazione e la negoziazione delle sue regole, le funzioni e gli
obiettivi, la modalità di relazionarsi al contesto mutato e impongono
all’Europa di rivedere le sue politiche e riflettere sull’elaborazione di
una serie di strumenti per affrontare i cambiamenti nazionali ed
internazionali in atto.
1.1 Scenari che mutano: l’era della ridefinizione
delle appartenenze, dei confini, delle identità,
dei mercati
Per globalizzazione si intende la crescita e progressiva integrazione
delle relazioni e degli scambi a livello mondiale. La globalizzazione è
la tendenza dell’economia ad assumere una dimensione più ampia, un
ambiente che trascende le logiche territoriali per diventare appunto
“globale” ossia con mercati sempre più interdipendenti, imprese in
aperta concorrenza e consumatori in continua relazione.
Un’idea di quello che rappresenta la globalizzazione ce la offre il
sociologo Giddens (1991): “Le nostre vite sono sempre più influenzate
da attività ed eventi che hanno luogo ben al di là dei contesti sociali in
cui operiamo quotidianamente”, che in questo modo sottolinea come il
mondo stia diventando sempre più un unico sistema sociale. Queste
nuove interdipendenze sono il risultato di rapporti sociali, economici e
politici che a loro volta contribuiscono a creare nuove dimensioni di
risorsa e nuove linee di separazione tra individui, Stati, organizzazioni
e culture.
E ce la offre anche Bauman (2005) quando afferma che: “la
complessità contemporanea ha evidenziato che i progetti di scelta,
anche quelli relativi ad una vacanza o quelli per la formazione di
competenze, sono condizionati da fattori intangibili”. L’intangibilità è
una caratteristica della società moderna, che Bauman definisce
10
“liquida”, e che si è prodotta in seguito alla smaterializzazione del
capitale finanziario, con la moneta elettronica, fondamentale, però per
lo sviluppo e per l’innovazione. Il processo di “liquefazione” si è
spinto sino a coinvolgere la vita quotidiana, la flessibilità e i rapporti
familiari con l’esaltazione delle forme dai confini sempre in
movimento e in divenire. La mancanza di una forma certa e stabile
porta all’intangibilità dei fattori, connotando vari aspetti della società
“liquido-moderna”: dalla costruzione dell’identità e delle relazioni
personali al rapporto con lo spazio metropolitano; dal restringimento
per dimensioni e numero degli spazi urbani pubblici in cui incontrarsi
faccia a faccia all’ossessione della cura del corpo; dalla “formazione
permanente” al carattere provvisorio delle aggregazioni sociali.
L’eclissi di un orizzonte temporalmente unitario e stabile spazialmente
e l’idea di trascendenza (intesa come determinazione del presente per
mezzo del futuro) che hanno retto il mondo moderno, segnano anche il
passaggio dal capitalismo solido della modernità, fondato sull’idea di
produzione, al capitalismo post-fordista, deterritorializzato della
società contemporanea, fondato sul paradigma del consumo.
Le conseguenze di questo processo di ristrutturazione culturale
rivelano l’eclissi dell’esistenza come progetto, assumendo a
principio strutturale della società la precarietà. Pensiamo ad
esempio all’erosione della sfera pubblica, cioè dei luoghi dove la
propria vita privata si può tradurre in azione e consapevolezza politica,
e dunque in progetto; pensiamo alla precarietà del lavoro retto oggi sul
rischio e sull’incertezza.
A questo proposito scrive Luhmann (1991)
6
: “il rischio che ha come
risultato la vincita o, la perdita, è figlio della competitività e
dell’individualismo che si è diffuso in tutte le sfere di azioni e di
relazioni sociali. È quindi un prodotto sociale diffuso”.
6
N. Luhmann, “Sociologia del rischio”, (1991).