2
Introduzione
Questo studio vuole essere un’indagine della critica letteraria di György
Lukács e della sua interpretazione nel panorama culturale del nostro
paese. Delineando le origini della critica lukacsiana, si cercherà
contemporaneamente di esaminare la storia e le vicende che hanno
segnato la nascita e la diffusione della critica letteraria marxista.
Lo studio della teoria lukacsiana è inscindibile dalla comprensione delle
basi metodologiche che sottostanno alla filosofia marxista. Lukács
propone un’interpretazione della critica letteraria marxista che si
sviluppa sempre dall’analisi dei testi fondamentali del marxismo. Nelle
sue intenzioni di critico letterario marxista c’è la volontà e la ferma
convinzione di poter dimostrare come la critica marxista debba
assolutamente essere rintracciata nelle opere, negli appunti e nelle
discussioni private di Marx ed Engels. Quest’ultimi pur non avendo mai
dato alla luce un testo che proponesse esplicitamente un impianto
estetico o letterario, avrebbero, secondo Lukács, lasciato nei loro lavori
riflessioni letterarie sufficienti per delineare i principi di una teoria della
letteratura e della critica letteraria marxista.
In virtù di quanto è stato detto è necessario analizzare le osservazioni e le
valutazioni di Karl Marx e Friedrich Engels sulla letteratura e più in
generale sulla cultura del loro tempo. In esse le opere artistiche del
passato sono considerate prodotti di forze storiche e condizioni materiali
ben determinate: la storia è un luogo di conflitti e di contraddizioni. Le
ideologie che si affermano in ogni epoca storica sono collegate con gli
interessi e le visioni dei gruppi sociali in conflitto tra loro e sovente
3
esprimono gli interessi delle classi dominanti che detengono il controllo
dei mezzi e dei modi della produzione, ivi compresi quelli della
produzione letteraria e artistica. Le opere artistiche inevitabilmente
riflettono nelle loro rappresentazioni quel conflitto. Gran parte delle
discussioni e delle differenze di posizioni, sulla critica marxista, ruotano
attorno alla natura, più o meno vincolante, di quella connessione arte-
conflitto sociale, da cui nasce anche l’opposizione costante tra Lukács e
quella corrente d’interpretazione del marxismo conosciuto con il nome di
“marxismo volgare” (scolastico e dottrinario).
I seguaci del cosiddetto marxismo volgare sostenevano che i testi
artistici fossero il riflesso o il rispecchiamento dei conflitti specifici e
delle tendenze politiche di ogni periodo storico. Lukács formulò invece
l’idea che l’arte e la letteratura siano in una certa misura autonome e si
sviluppino secondo specifiche condizioni di produzione e ricezione: esse
partecipano all’ideologia dominante, vi contribuiscono in modo indiretto
senza esprimere necessariamente gli interessi e le visioni di una singola
classe. L’esempio classico che veniva dato già negli scritti dei fondatori
del marxismo e venne poi riproposto in modo articolato da György
Lukác, è quello di alcuni grandi scrittori realisti dell’Ottocento, come
Balzac o Tolstoj, i quali pur credendo a ideologie conservatrici o
reazionarie riuscirono mediante la ricerca di rappresentazioni tipiche
della realtà del loro tempo, a creare opere che andassero ben oltre le loro
esplicite adesioni ideologiche. Ciò che più veniva apprezzato dei grandi
realisti dell’Ottocento era la loro capacità di cogliere la ricchezza e la
contraddittorietà molteplice della vita.
Queste premesse metodologiche sono la base concettuale del “realismo
critico” lukacsiano e della sua decisa condanna della letteratura moderna,
4
cui il filosofo ungherese attribuì la tendenza, definita “decadente”, a
rappresentare attraverso la frammentazione formale, l’alienazione
dell’essere umano nella società capitalistica e borghese. I principali tratti
della critica lukacsiana si trovano negli scritti che compongono due delle
maggiori opere della maturità di György Lukács: Il marxismo e la critica
letteraria (1953) e Saggi sul realismo (1950). Il presente lavoro muove,
nella ricostruzione della critica letteraria di Lukács, da un’analisi delle
opere appena citate. Si esamineranno altresì i contributi che Lukács
realizzò per la Lega degli scrittori proletari rivoluzionari e per la sua
rivista ufficiale “Linkskurve”. Soffermarsi sulle vicende relative
all’appartenenza di Lukács alla Lega servirà sia per indagare ancora una
volta le concezioni estetiche e letterarie del filosofo ungherese sia per
sostenere la tesi secondo cui György Lukács ha contribuito in maniera
determinante alla costituzione e alla diffusione della critica marxista
della letteratura.
Dopo aver descritto l’origine e gli sviluppi dell’estetica e della critica
letteraria di György Lukács, lo studio analizzerà il processo di diffusione
delle opere del filosofo ungherese nel panorama culturale italiano, per la
cui ricostruzione sarà centrale un contributo ad esso dedicato di Franco
Fortini. La ricostruzione del contesto culturale del secondo dopoguerra
risulta essere determinante per inquadrare il pensatore ungherese
all’interno delle riflessioni e dei dibattiti che allora si andarono
sviluppando in Italia sulla possibilità di una “nuova cultura”. Le analisi
di alcuni scritti che i critici italiani Carlo Salinari, Valentino Gerratana,
Pietro Citati e Galvano Della Volpe rivolsero alle prime pubblicazioni di
Lukács in Italia (Goethe e il suo tempo giunse sul finire del 1949 e Saggi
sul realismo nel 1950) evidenziano l’atteggiamento poco favorevole
5
della cultura italiana nei confronti del pensatore ungherese.
L’opposizione alle teorie lukacsiane in Italia prese una duplice direzione:
da una parte la critica marxista italiana, contrapponendole alle teorie
gramsciane, accusò Lukács di essere ancora troppo legato ai principi del
realismo socialista; dall’altra invece la dirigenza politica della sinistra
italiana ritenne il loro impianto realistico poco congruente alle direttive
culturali del partito comunista. Ad essere messo sotto accusa in entrambi
le occasioni era il “realismo critico” propugnato da Lukács.
Dalle riflessioni dedicate nella trattazione alla teoria del realismo
lukacsiano e al contesto culturale italiano del secondo dopoguerra
emerge peraltro che il clima ostile che accolse l’opera del pensatore
ungherese non si tradusse nella mancanza d’influenza delle sue
interpretazioni sulla nostra critica letteraria. La critica d’ispirazione
marxista in Italia ha avuto come punti di riferimento teorici György
Lukács e Antonio Gramsci. Sull’argomento si espresse anche Franco
Fortini che in una panoramica della cultura italiana degli anni ’50 e ‘60
presente in Verifica dei poteri, registrò la grande Influenza di Lukács in
Italia. Le motivazioni che concorsero a questa affermazione furono
diverse. Ma ciò che ora ci interessa è ricordare come la cultura italiana,
assunto un atteggiamento favorevole nei confronti dell’estetica
lukacsiana, capì come la nozione di «grande realismo» propria di Lukács
consentisse non solo un ripensamento delle vicende letterarie e critiche
del trentennio precedente, ma permettesse di sostituire allo schema del
decadentismo un altro genere di lettura.
In relazione allo studio effettuato sui rapporti e le vicende che hanno
caratterizzato l’incontro tra la cultura italiana e il filosofo ungherese
György Lukács, è doveroso dedicare l’ultimo capitolo della nostra
6
trattazione ai critici e ai teorici della letteratura italiana che più di altri
hanno contribuito alla diffusione e alla conoscenza di Lukács nel nostro
paese. I critici in questione sono Franco Fortini e Cesare Cases.
Il lavoro che i due critici hanno dedicato al pensiero e alle opere di
György Lukács non ha trovato eguali in Italia, né in ambito di critica
letteraria né nell’ambito della riflessione marxista. L’influenza che il
pensatore ungherese ha esercitato su Franco Fortini e Cesare Cases deve
essere rintracciata tenendo presente le peculiarità e le diversità dei due
studiosi. Per quanto concerne Cesare Cases, ricostruire la trama di un
rapporto diretto con Lukács risulta essere più agevole di quanto invece
accada per Franco Fortini: le prefazioni, le introduzioni e gli scritti che
Cases ha elaborato per le opere di Lukács offrono una documentazione
lineare per lo studio del connubio di idee e di riflessioni tra il critico
italiano e il filosofo ungherese. L’analisi effettuata degli scritti in
questione non si esaurisce però nella dimostrazione di una tangibile
influenza di Lukács sull’opera e sul pensiero di Cesare Cases. Di
particolare interesse è infatti evidenziare le linee interpretative che il
critico italiano fornisce per lo studio e la comprensione del pensatore
ungherese.
Cases è fermamente convinto che l’opera del filosofo ungherese vada
studiata e interpretata tenendo in considerazione l’intero processo
evolutivo del pensiero lukacsiano. La proposta del critico italiano
contrasta con la possibilità discussa in ambito di critica letteraria e del
tutto convenzionale di poter distinguere l’opera di Lukács in due periodi
fondamentali, quelle dello della giovinezza (a cui corrisponderebbero
opere come L’anima e le forme, Teoria del Romanzo e Storia e coscienza
di classe) e quello della decadenza (che solitamente viene fatto
7
coincidere con la stesura del Romanzo storico). Cases pone particolare
attenzione ad una fase specifica del periodo dell’attività di Lukács che
egli fa corrispondere ad una raggiunta maturità creativa. Questa fase è a
giudizio di Cases il risultato di un processo lungo e continuo che passa di
opera in opera e non può essere certamente svincolato dalla produzione
giovanile.
Attraverso lo studio effettuato sullo scritto L’uomo buono di Cesare
Cases che propone una rilettura del processo evolutivo dell’attività del
filosofo ungherese, si analizzerà lo stile lukacsiano della maturità
creativa. Si documenterà inoltre l’esistenza di una interessante relazione
epistolare tra Cases e Lukács, che si sviluppa tra riflessioni e scambi di
idee sulla letteratura e sugli avvenimenti politici di quel periodo.
Successivamente si metterà in relazione l’attività critica di Franco Fortini
con il pensiero di György Lukács. L’attenzione con la quale Fortini si è
occupato di determinati aspetti della letteratura (si pensi alle riflessioni
sul ruolo dello scrittore contenute in Mandato degli scrittori e fine
dell’antifascismo, o anche a quelle sul realismo sovietico contenute nella
raccolta Dieci inverni) fa emergere una particolare affinità con il filosofo
ungherese. Fortini e Lukács non credono nella possibilità di una
letteratura proletaria elaborata dal proletariato stesso. Entrambi, se pur
con prospettive risolutive diverse, constatano nelle loro dissertazioni
critiche le difficoltà inerenti alla realizzazione di tale prospettiva.
L’importanza che ha avuto il pensiero di Lukács per l’attività critica di
Franco Fortini è rintracciabile infine negli scritti che compongono
Verifica dei poteri e Dieci inverni, in cui Fortini stesso afferma di aver
approfittato del pensiero dell’ungherese. Nel lavoro Per una critica come
8
servizio, contenuto in Dieci inverni, Fortini ribadisce l’importanza di
considerare l’opera letteraria come una parte della sovrastruttura legata
in un rapporto di interdipendenza e non di dipendenza alla sua base
socioeconomica, concetto questo proprio della base ideologica
dell’estetica lukacsiana.
9
I Lukács e la critica letteraria marxista
1.1 Le basi concettuali della critica marxista
La creazione artistica come forma di rispecchiamento: questo è il
postulato che meglio riassume e identifica la critica letteraria marxista e
la sua efficacia metodologica. Partendo appunto dalla teoria del
rispecchiamento o del riflesso si cercherà di spiegare come essa stessa
sia il riflesso di una più ampia teoria che sta alla base del marxismo. Dal
punto di vista del ragionamento estetico la teoria del rispecchiamento
non costituisce nessuna novità di sorta, né tanto meno è attribuibile a
Marx o Engels: questa idea, molto antica, costituiva già un problema
centrale nell’estetica aristotelica e da allora continuò a predominare in
quasi ogni estetica. L’immagine contenuta nella metafora del
rispecchiamento che meglio esprime l’essenza della creazione artistica è
oggi famosa grazie a Shakespeare, il quale nell’Amleto precisamente
nella scena dei commedianti, indica questa concezione dell’arte come
caratteristica della sua stessa teoria letteraria
1
. Per i padri fondatori del
marxismo la creazione artistica doveva essere il riflesso fedele della
realtà; il grande scrittore colui che avesse avuto la capacità di riprodurre
la realtà nella sua totalità e integrità.
La concezione estetica marxista può essere compresa soltanto se si
concepisce il marxismo come un più ampio sistema di conoscenza, un
sistema che fonda le sue radici nel materialismo storico. Per Marx ed
Engels non vi è altra scienza se non quella della storia che concepisce
1
Tutti i grandi realisti, afferma Lukács, hanno obbedito in fondo al comando di Amleto: tenere
davanti al mondo uno specchio e con l’aiuto dell’immagine rispecchiata, promuovere l’evoluzione
dell’umanità e il successo del principio umanistico. (G. Lukács, 1964, cit. , p. 42).
10
l’evoluzione della natura, della società e dell’uomo come un processo
unitario, del quale si debbono investigare le leggi, sia quelle universali
sia quelle particolari. La conseguenza di tale ragionamento porta Marx
a ripudiare la separazione dei singoli rami della conoscenza, sicché né la
scienza né l’arte avrebbero una storia autonoma e la loro evoluzione
sarebbe determinata dal corso della storia nel suo insieme. Alla base
dell’impianto teorico del materialismo storico troviamo la bipartizione
tutta marxista tra struttura e sovrastruttura che costituisce l’architettura
base del sistema. Per applicare in maniera adeguata la critica letteraria
desunta da Marx ed Engels è necessario tenere ben presente che tra
struttura e sovrastruttura esiste necessariamente un rapporto, per cui ai
mutamenti dell’una corrispondono i mutamenti dell’altra. Questo
conferma come la predisposizione conoscitiva di tutta la filosofia
marxista sia sempre rivolta alla totalità delle relazioni che governano il
processo storico. Alberto Asor Rosa ne Il marxismo e la critica letteraria
ci aiuta ha comprendere grazie ad una citazione di Rosa Luxemburg
cosa si intendesse per conoscenza della totalità:
Ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è il
predominio delle motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma è il
punto di vista della totalità. La categoria della totalità, il dominio determinante ed
onnilaterale dell’intero sulle parti è l’essenza del metodo che Marx ha assunto da
Hegel riformulandolo in modo originale e ponendolo alla base di una scienza
interamente nuova
2
.
Ciò non significa altro che l’essenza del metodo dialettico è stata assunta
dal materialismo storico costituendo così l’ultimo tassello per spiegare
2
A. Asor Rosa, 1985, cit. , p. 659. G. Lukács, Rosa Luxemburg als Marxist (Rosa Luxemburg come
marxista, 1921), in Id. , Storia e coscienza di classe, Milano, Mondadori, 1973, cit. , p. 35.
11
come il punto di vista della totalità nella conoscenza della realtà sia
l’elemento determinante.
Per il filosofo Lukács la comprensione della totalità deve
obbligatoriamente passare attraverso i rapporti dialettici tra fenomeno ed
essenza: egli ritiene che alla base di questi rapporti vi sia contenuta la
gnoseologia del materialismo dialettico. La vera dialettica di essenza e
fenomeno, dice Lukács, poggia sul fatto che ambedue sono in egual
modo momenti della realtà oggettiva, prodotti dalla realtà e non soltanto
dalla coscienza umana. La concezione dialettica di Lukács prevede che
la realtà abbia diversi gradi: vi è la realtà fuggevole della superficie,
dell’attimo che non si ripete mai, e vi sono elementi e tendenze della
realtà più profondi, che si ripetono secondo leggi determinate. Secondo
l’interpretazione lukacsiana quindi l’arte vera per Marx aspira alla
massima profondità e comprensione, a cogliere la realtà nella sua
complessa e più profonda dialettica, nella sua totalità onnicomprensiva:
Cioè essa indaga, penetrando il più possibile in profondità, quei momenti essenziali
celati dietro la superficie, ma non li rappresenta in modo astratto separandoli e
contrapponendoli ai fenomeni, bensì raffigura proprio quel vivo processo dialettico
per cui l’essenza trapassa in fenomeno, si rivela nel fenomeno, nonché quell’aspetto
dello stesso processo per cui il fenomeno tradisce nella sua mobilità la sua propria
essenza
3
.
La conseguenza logica di questo ragionamento porta Lukács a sostenere
che l’arte vera, nella concezione estetica marxista rappresenta sempre la
totalità della vita umana nel suo essere e nel suo divenire. A questo
punto è giustificabile credere che l’estetica e la conseguente teoria della
3
Ivi, p. 45.
12
letteratura di Marx siano da un lato il riflesso del materialismo storico e
dall’altro l’attuazione del materialismo dialettico
4
.
La teoria del riflesso, pensata come strumento di fedele riproduzione,
acquisiva all’interno della concezione estetica marxista un valore
probabilmente più idoneo a soddisfare le esigenze di un’arte che doveva
essere anche conoscenza. La letteratura veniva elevata allo statuto di
opera d’arte solo nel momento in cui fosse stata capace di raccontare la
realtà profonda del processo storico. La concezione estetica di Marx è
perfettamente aderente con il resto della sua dottrina. La critica letteraria
marxista, come tutto il pensiero filosofico del marxismo, non si
accontentava di conoscere il mondo ma voleva soprattutto cambiarlo.
Questa aspirazione permea tutta l’opera di Marx, anche le sue brevi
dissertazioni estetiche.
Conosciuta la base concettuale dell’estetica desunta dai padri fondatori
del marxismo, non è difficile immaginare quali fossero i loro gusti
letterari. Marx ed Engels apprezzarono profondamente tutte le opere
basate su un solido gusto realista; nelle loro discussioni letterarie emerge
sempre che scrittori come Balzac o Shakespeare perfettamente
rispecchiavano quella tendenza realistica che meglio corrispondeva alla
loro estetica.
La critica marxista al testo letterario non è però un lavoro riconducibile
immediatamente a Marx o a Engels, bensì essa si sviluppa nel momento
in cui la discussione e l’interpretazione del marxismo arriva ad affermare
l’esistenza di un’estetica marxista. Non esistono testi dove Marx abbia
trattato in maniera ampia e approfondita il problema dell’estetica e ancor
4
Ivi, p. 49.
13
meno vi sono testi che presentano argomentazioni letterarie così vaste da
poter attribuire immediatamente a lui o a Engels qualsiasi forma, anche
embrionale, di critica letteraria. Non c’è dunque una teoria della
letteratura e della critica letteraria nei testi dei padri fondatori del
marxismo. Essa è stata desunta a posteriori mediante il lavoro dei molti
interpreti del marxismo, i quali analizzandone i testi hanno estrapolato
brani direttamente o indirettamente significativi per tracciare prima le
linee di un estetica marxista e poi di una critica letteraria.
I testi ai quali si fa o si è fatto riferimento per questa opera, che come
afferma Asor Rosa potremmo definire di “fondazione”
5
, sono di tre tipi. I
primi sono formulazioni teoriche generali che, sparse nelle opere
economico-politiche di Marx ed Engels, danno alcune indicazioni
fondamentali della dottrina, importanti per la comprensione del sistema
marxista e per la sua applicazione ai diversi ambiti del sapere, come ad
esempio quello artistico. I secondi sono riflessioni artistiche, giudizi di
carattere letterario diretto, riscontrabili immediatamente perché presenti,
anche se in maniera marginale, nell’opera dei due autori; i terzi, dal
riscontro assolutamente meno diretto sono invece quelle riflessioni
sempre proprie dell’arte che compaiono soprattutto in lettere e
confessioni private. Quest’ultime furono pronunziate originariamente
senza nessuna pretesa di caricarle di un particolare valore al di là di
quello, privato, della semplice confessione di gusti personali e vennero
poi, dagli interpreti, utilizzati e rivisitati per la costituzione di un quadro
coerente ed organico di spunti e riflessioni.
6 A. Asor Rosa, 1985, cit. , p. 649.