gia, e sta assistendo al posizionamento di una molteplicità d’interessi in campo petro-
lifero, attratti dai promettenti dati sulle riserve sfruttabili. Questo territorio, punto di
transito strategico sin dai tempi della Via della seta, successivamente lo scioglimento
dell’Unione Sovietica è stato teatro dell’autodeterminazione delle Repubbliche che
un tempo la costituivano, e proprio quest’ultime sono emerse come nuovi attori che,
attualmente, costituiscono parte dell’offerta, e con le quali i paesi importatori netti
dovranno trattare.
Le potenzialità dell’area in termini di produzione ed esportazione, relazionate
all’intero mercato mondiale degli idrocarburi, e le dinamiche che sottendono le due
attività, si propongono di essere l’oggetto di questa trattazione.
Capitolo primo
4
1. La crisi nel settore mondiale degli idrocarburi
1.1 Le prospettive dell’energia mondiale
1.1.1 Le conseguenze della fine di un’era
La civiltà odierna è inserita nel contesto di un cambiamento profondo nelle modalità
di utilizzo dell’energia. Lo sviluppo delle economie industriali dell’occidente è stato
reso possibile dallo sfruttamento (intensivo) dei depositi di idrocarburi: carbone, pe-
trolio e gas naturale.
Tutti i progressi economici, ma anche sociali, degli ultimi due secoli sono legati in
qualche misura allo straordinario aumento della disponibilità di energia, determinato
dallo sfruttamento dei combustibili fossili, tanto che da più parti si avanza l’ipotesi
per cui la quantità di energia consumata è indice del livello di sviluppo di una socie-
tà. Forse è proprio a causa della corsa verso lo sviluppo, che negli ultimi due secoli le
civiltà occidentali hanno utilizzato più energia, e “materia” in genere, di tutte le civil-
tà precedenti che si sono avvicendate sul nostro pianeta.
Anche questa risorsa è però destinata ad avere una fine, momento visto da sempre
molto lontano fino a che, negli anni settanta, la produzione degli Stati Uniti raggiun-
se il culmine (la metà delle riserve totali degli USA era stata estratta, in base alle tec-
nologie e ai costi dati) generando non pochi disagi tra i geologi. Il temuto esaurimen-
to delle scorte però non avvenne.
Sin da quel momento, ad ogni sensibile rialzo delle quotazioni
1
si sono avvicendate
voci su un eventuale esaurimento delle scorte, o meglio su un possibile raggiungi-
1
Prezzo ufficiale stabilito dal produttore o raffinatore per una data tipologia di olio greggio o prodotto
finito, a determinate condizioni di consegna, in rapporto alla situazione congiunturale del mercato,
pubblicato su riviste specializzate.
5
mento del “picco produttivo”
2
. Quanto temuto però non accadde, anche perché le
principali compagnie petrolifere delle nazioni occidentali si lanciarono nella spasmo-
dica ricerca di nuovi giacimenti sfruttabili.
Il processo di penetrazione capillare del petrolio nel sistema energetico mondiale è
iniziato negli anni Cinquanta, grazie all’attività delle “Sette Sorelle”
3
, ed è durato per
tutto il cinquantennio che ci separa sino ai giorni nostri, resistendo anche al declino
di quello che da molti è stato definito come uno tra i più importanti cartelli oligopoli-
stici nella storia dell’ultimo secolo. Mezzo secolo di petrolio ha però portato mezzo
secolo di crisi, se ne contano, infatti, almeno sette, connesse alle seguenti vicende
storiche: la nazionalizzazione dell’Iran (1951-54), la Guerra di Suez (1956), la Guer-
ra dei Sei Giorni (1967), la Guerra del Kippur (1973), la Rivoluzione in Iran (1978-
79), la Guerra Iran-Iraq (1980-81) e la Guerra del Golfo (1991).
Dopo un cinquantennio di crisi ci s’interroga su quanto il sistema economico mon-
diale sia dipendente dalla funzione petrolifera: in termini relativi il consumo di ener-
gia da petrolio continua a pesare, e di molto, sul totale (circa il 40%), livello che si
mantiene costante da circa un trentennio, ed in termini di mercato questo indica
quindi una dipendenza assoluta dell’attuale sistema economico dal petrolio.
La ricetta sul come potersi difendere da un rialzo del prezzo delle risorse energetiche,
causate da un’eventuale (oggi come mai) esaurimento delle scorte di idrocarburi tra-
dizionali, è un tema che, in ogni epoca, riveste un particolare interesse.
2
Il “picco produttivo” corrisponde al momento in cui è già stata estratta la metà delle riserve stimate
di petrolio disponibili.
3
Con tale accezione s’intendevano le principali compagnie petrolifere che, tra il dopoguerra e la pri-
ma crisi petrolifera, dominarono, tra sospetti di comportamenti oligopolistici, il mercato. Le compa-
gnie in questione erano:
ξ Standard Oil New Jersey (Exxon) – USA;
ξ Shell Group (Shell) – Gran Bretagna e Olanda;
ξ Anglo – Iranian Oil Company (British Petroleum – BP) – Gran Bretagna;
ξ Gulf Oil (Gulf) – USA;
ξ Texas Oil Company (Texaco) – USA;
ξ Standard Oil of California – Socal (Chevron) – USA;
ξ Socony Vacuum (Mobil) – USA.
6
All’argomento sono molto interessati un gruppo di geologi di fama mondiale sempre
più numeroso, che da qualche tempo sostengono si stia profilando all’orizzonte una
vera crisi petrolifera, non alimentata esclusivamente da fattori economici congiuntu-
rali, ma da un reale raggiungimento del punto più alto della “gaussiana”, curva che,
secondo la metodologia di modellizzazione proposta da M. King Hubbert
4
, dà rap-
presentazione grafica allo sfruttamento delle riserve in funzione del loro futuro esau-
rimento.
Nella storia umana, ogni materia prima ha avuto un ciclo che si è esaurito, non sem-
pre per il venir meno della risorsa in sé, ma anche per la sua sostituzione con un’altra
materia prima meno costosa e più efficiente (si pensi alla sostituzione del carbone
con il petrolio) o con materiali di sintesi; inoltre, la consistenza effettiva delle riserve
così come l’esplorazione e la ricerca di nuovi giacimenti, deriva dalle condizioni e-
conomiche e tecnologiche esistenti in una particolare fase (in periodi di elevata quo-
tazione del greggio e con previsioni di mantenimento di tale trend nel lungo termine,
ogni impresa operante nel settore è incentivata a varare nuovi programmi di ricerca
che, di solito, si traducono in incrementi della disponibilità di riserve mondiali).
Considerando la concentrazione delle riserve e le peculiarità politiche che, soprattut-
to oggi, caratterizzano la gestione di questa materia prima da parte dei principali pae-
si detentori di riserve, può suggestionare l’ipotesi che, prima o poi, il mondo finisca
per dipendere troppo da questo nucleo di paesi (situazione già vissuta dal mercato pe-
trolifero negli anni settanta).
Questa ipotesi è stata avvalorata di recente da un gruppo di geologi e da uno studio
dell’Agenzia Internazionale per l’Energia che, rifacendosi agli studi effettuati fin da-
gli anni sessanta da Hubbert, hanno dimostrato statisticamente che nel mondo si sco-
prono ogni anno sempre meno riserve da oltre tre decenni. Questo “processo di ero-
sione dello stock di riserve” è cominciato negli anni sessanta dopo in raggiungimen-
to, precisamente nel 1962, del picco massimo nella scoperta di nuovi giacimenti
5
;
4
Geofisico che lavorava per la Shell Oil Company e autore di un famoso saggio, in cui prevedeva il
picco e il declino della produzione petrolifera dei quarantotto Stati continentali.
5
Nel 1962 le riserve di nuova scoperta aggiunte allo stock di riserve esistenti, ammontarono a circa il
100% della produzione del mondo di allora.
7
oggi, per effetto del costante declino nelle scoperte, il mondo rimpiazza meno del
25% di quanto consuma in un anno attraverso nuovi giacimenti di petrolio.
Da una superficiale lettura di questi dati, risulta poco spiegabile l’aumento sia del vo-
lume di riserve provate esistenti a livello mondiale, sia quello della vita utile delle ri-
serve esistenti, rispetto alla produzione la quale registra, annualmente, degli incre-
menti. Per questa scuola di geologi la spiegazione è relativamente semplice: nel cor-
so degli ultimi decenni, la continua revisione delle riserve esistenti, grazie soprattutto
ai miglioramenti delle tecnologie di valutazione e di estrazione, avrebbe permesso di
incrementare le stime sulle dimensioni delle riserve stesse e di aumentare il tasso di
recuperabilità del greggio. Di conseguenza, pur in assenza di un tasso di scoperte pa-
ragonabili al passato, il mondo avrebbe goduto in questi decenni di una più ampia di-
sponibilità di greggio dalle riserve già esistenti, ma tutto prima o poi finisce. Il decli-
no delle nuove scoperte di greggio dimostrerebbe, infatti, che ci stiamo avvicinando
al limite dello sfruttamento delle risorse petrolifere, dato che il loro ammontare è “fi-
nito”.
Il mondo può, quindi, continuare a fondare la sua crescente domanda di greggio sulle
riserve esistenti, ma allorché il 50% di queste sono state sfruttate (midpoint deple-
tion), è inevitabile andare incontro al combinato processo di progressiva riduzione
della produzione e di aumento dei prezzi.
Considerazione prevalente è che un’eventuale e prolungata crisi dei prezzi del greg-
gio dovuta all’effettivo restringimento delle riserve mondiali, e quindi dell’offerta di
petrolio, innesterebbe o accelererebbe un processo di sostituzione del petrolio stesso
con altre fonti energetiche riducendo, così, il tasso di sfruttamento delle riserve e
quindi aumentando la vita utile di quanto è ancora presente nelle viscere della terra
che, in realtà, è ancora da conoscere.
Nel caso in cui nei prossimi anni si dovesse raggiungere il tanto temuto “picco pro-
duttivo” nell’estrazione degli idrocarburi, soprattutto liquidi e gassosi, si potrebbe
innescare una catena di eventi che rischierebbe di distruggere l’attuale tessuto indu-
striale internazionale, e due sarebbero gli aspetti che contraddistinguerebbero lo sce-
nario energetico mondiale:
8
ξ La quasi totalità delle riserve petrolifere ancora sfruttabili rimarrà nelle mani
di pochi paesi islamici mediorientali, con conseguente potenziale pericolo
per l’attuale equilibrio di potere nel mondo detenuto, tutt’oggi, “ancora” sal-
damente nelle mani di pochi paesi occidentali industrializzati;
ξ Gli Stati e le aziende energetiche deciderebbero di sfruttare, come sostituti
del petrolio, anche idrocarburi decisamente “meno puliti” come il carbone,
l’olio combustibile e le sabbie bituminose, che comporterebbe un incremento
sensibile delle emissioni di CO
2
nell’atmosfera.
Già nel 1997, il problema del raggiungimento del picco del tasso di estrazione, in ar-
rivo nel prossimo futuro, era uscito dalle ristrette cerchia dei geofisici e geologi con
un famoso articolo apparso su Nature (Aprile 1997) con il titolo “Oil Back on the
Global Agenda”, in cui si spiegava che le riserve erano state sovrastimate dall’OPEC
e dall’ex-URSS a scopi puramente di vendita e di prezzo del barile.
Nel 1998 la Petroconsultants di Ginevra, un istituto che fornisce le consulenze geo-
logiche e geofisiche petrolifere a tutte le multinazionali del petrolio, mostrava che nei
passati 50-60 anni, il tasso di scoperta delle nuove riserve era sceso costantemente, e
da più di 40 anni è ormai trascurabile rispetto al tasso di produzione e di consumo;
dal 1997 ogni G7/G8 ha in agenda un rapporto dell’Eia sulla proiezione del tasso di
estrazione di petrolio e gas naturale.
Nel G8 di Mosca del Marzo 1998, l’Eia ha mostrato grafici e dati complessivi, ritoc-
cando in basso le riserve pretese dall’OPEC, prevedendo il picco del tasso di estra-
zione nel periodo 2010-2015 circa a livello mondiale (cioè il picco della somma dei
tassi di estrazione massimi possibili di ogni pozzo o regione petrolifera, includendo
ovviamente anche tutto il Medio oriente, l’Iran e il Caucaso). A marzo 1998 la que-
stione viene pubblicata persino sulla rivista divulgativa scientifica Scientific Ameri-
can, con riferimenti, oltre che al picco in arrivo e ai dati che lo avvalorano, anche al-
la previsione di King Hubbert, esposta trent’anni prima con sorprendente buona ap-
prossimazione.
Nel maggio del 1998, l’allora capo esecutivo dell’ENI, Franco Bernabè, rilasciava
un’intervista alla rivista di economia ed alta finanza Forbes, prevedendo il picco (ge-
ologico, non temporaneo) della produzione di petrolio e gas naturale a livello mon-
diale nel 2005, e prevedendo anche un potente shock economico causato
9
dall’esplosione del prezzo del barile, visto che la domanda sarebbe per un po’ conti-
nuata a crescere, mentre l’offerta avrebbe piccato.
L’importanza che viene data sul fronte negoziale circa la crisi energetica, le sue mi-
cidiali interazioni con la crisi climatica e le necessarie riduzioni di consumo di ener-
gia fossile è praticamente nulla; l’unica sede in cui, in maniera molto sommessa, si
discute sono i meetings del G8, ma l’eco sui media rimane molto scarso.
Quando si raggiungerà il picco, come tutti gli analisti scientifici ed economici hanno
previsto, i prezzi esploderanno; anzi, si prevede, come ci spiega Bernabè dalle colon-
ne di Forbes, che i prezzi cominceranno a salire quando la derivata seconda della
curva del tasso di produzione diventerà negativa. Quello che ci si dovrà attendere sa-
rà un violento shock economico, dai risvolti complicati, tranne per alcuni elementi
facilmente prevedibili:
ξ I militari diranno che la loro quota di carburanti non si tocca, in quanto “stra-
tegica”;
ξ Le quote dei “bunker fuels”, quelle per alimentare il grande trasporto marit-
timo, non si potranno toccare, in quanto non c’è proprio altro modo di tra-
sportare i grandi carichi di fertilizzanti, acciaio, cemento ed il petrolio stesso
là dove l’oleodotto non può arrivare, se non attraverso carghi marittimi;
ξ Il trasporto aereo civile crollerà per motivi tariffari e di disponibilità di kero-
sene;
ξ La quota di petrolio disponibile per il trasporto su gomma crollerà di una fra-
zione superiore allo “shortage” totale, a causa dei primi due punti;
ξ L’industria dell’auto ed il suo indotto subirà un forte ridimensionamento;
ξ I prezzi di ogni trasporto, e in particolare dei prodotti alimentari, saliranno
sensibilmente.
Quello che ci si dovrà attendere a livello di schieramenti ed a livello militare è asso-
lutamente complesso, ma alcune strutture e trend si delineano già all’orizzonte; per
esempio se, come è probabile e prevedibile, gli Stati Uniti dichiareranno il Medio O-
riente “strategico” per il loro fabbisogno energetico, finirà con ogni probabilità la
lunga “amicizia” con l’Europa, in quanto quest’ultima riterrà il residuo petrolio Me-
diorientale altrettanto “strategico”. Visto che la Cina e la Federazione Russa hanno
un trattato militare per la mutua difesa nel secolo venturo, e che a questo trattato si è
10
agganciata anche l’India, è lecito chiedersi se queste potenze lasceranno che
l’”ultimo petrolio” sia monopolizzato dagli Stati Uniti.
Un’altra incognita sarà la futura collocazione dei paesi mediorientali a popolazione
islamica. Nei negoziati sul clima questi paesi sono schierati con la Cina ma, per indi-
viduare le loro future strategie, bisogna conoscere un dato fondamentale circa la
prossima crisi energetica: si tratta del fatto che, prima del picco globale del tasso di
estrazione, il tasso di estrazione OPEC supererà il tasso di estrazione dei paesi non-
OPEC, e l’entità di questo scarto è al centro delle preoccupazioni ormai di ogni G8.
L’OPEC è, infatti, controllato praticamente da tutto il mondo islamico, e ciò sarà
probabilmente il dato principale per la decisione dello schieramento di questi paesi
nella prossima crisi petrolifera.
Sembra quindi evidente che si sta attraversando la fase di obsolescenza di un regime
energetico maturo, con tutti i problemi che questo comporta. Risulta difficile provare
ad indicare una scadenza temporale, sul possibile raggiungimento del picco di sfrut-
tamento delle tradizionali risorse
6
energetiche, ed è sicuramente meglio tacere ri-
guardo quest’aspetto, viste le stime fallimentari espresse nel corso delle diverse ere
di sfruttamento (anche da parte di prestigiosi studiosi e geologi), ma si è universal-
mente d’accordo sul fatto che, oramai, stiamo vivendo l’ultima fase di un ciclo eco-
nomico-industriale basato sullo sfruttamento intensivo degli idrocarburi.
Determinante sarà solo capire, con un buon livello di approssimazione, quanto lunga
sarà quest’ultima fase, in modo da poter elaborare soluzioni alternative che possano
garantire il livello attuale della produttività mondiale, limitando il più possibile le
emissioni inquinanti nell’atmosfera.
La transizione dagli ultimi stadi dell’era del petrolio a quella delle energie alternative
non sarà per nulla facile, in quanto i paesi che maggiormente hanno beneficiato dello
sfruttamento degli idrocarburi tradizionali, sono esposti a crescenti minacce. Le
6
Stima dell’ammontare totale di idrocarburi già scoperti ed ancora da scoprire, comprese le riserve
che ci si aspetta di produrre in futuro. Le risorse scoperte sono costituita da idrocarburi ancora nel
sottosuolo, la cui presenza è stata fisicamente confermata da attività di esplorazione. Le risorse non
scoperte si riferiscono a depositi di idrocarburi stimati dagli studi geologici, ma non ancora confer-
mati dalla perforazione dei pozzi.
11
maggiori cause di questa vulnerabilità sono la struttura energetica fortemente centra-
lizzata e gerarchizzata: l’era dei combustibili fossili è infatti caratterizzata da un mo-
dello organizzativo verticistico, reso necessario dalle difficoltà legate alla scoperta e
allo sfruttamento delle varie forme di energia. Gli enormi costi associati alla lavora-
zione degli idrocarburi richiedono, poi, ingenti investimenti di capitale, favorendo
così la formazione di colossali imprese energetiche, ed imponendo al mercato regole
basate sul perseguimento delle economie di scala (o centralizzazione), tendenza di
mercato che negli ultimi anni ha caratterizzato molti comparti industriali, ma anche
taluni settori dei servizi (banche, assicurazioni).
1.1.2 La dinamica futura della domanda di idrocarburi
La diminuzione delle nuove scoperte e l’esaurimento delle riserve certe, diventano
temi ancor più significativi alla luce delle stime di crescita della domanda mondiale
di petrolio per i prossimi due decenni: con un aumento previsto della popolazione
mondiale da 6,5 a 7,7 miliardi di individui entro il 2020, la pressione che sarà eserci-
tata sulle riserve petrolifere è destinata ad aumentare. Quest’incremento demografico
determinerà una preventivabile accelerazione del processo di urbanizzazione, che
comporterà una maggiore domanda di petrolio per trasporti, riscaldamento, elettricità
e produzione sia agricola sia industriale.
Tra il 1991 ed il 2000, sia la produzione sia il consumo di energia è cresciuto in ogni
regione del mondo, eccetto che nei paesi dell’Europa orientale e negli stati dell’ex
blocco sovietico
7
; l’incremento più rilevante si è verificato in Asia ed in Oceania, ma
anche la produzione energetica mediorientale ha registrato una crescita considerevo-
le, determinando il secondo più alto incremento produttivo regionale. Stessa sorte ha
subito la produzione in America settentrionale e rilevanti aumenti si sono verificati
anche in centro e sudamerica; a questa tendenza al rialzo non fa eccezione neppure il
continente africano.
7
Nell’est Europa e nei paesi ex-URSS, la produzione energetica è scesa di 13,2 milioni di Btu ed il
consumo è calato di 18,3 quadrilioni di Btu.
12
Alla luce di ciò, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), organismo autonomo
nel quadro dell’OCSE
8
, ha redatto un rapporto sulle prospettive dell’energia mondia-
le di qui al 2030, dal quale si evince che il mondo ha abbondanti risorse di energia
per i prossimi trent’anni, come ha dettagliatamente illustrato, ad Osaka, il suo Diret-
tore Robert Priddle; queste risorse devono però essere convertite in risorse “accessi-
bili” ed “affidabili”, cosa che giustifica le rinnovate preoccupazioni rispetto alla sicu-
rezza e al rifornimento. L’analisi espressa dal Direttore dell’Eia manca però di un da-
to assolutamente cruciale, e cioè “a quali costi” saranno disponibili le abbondanti ri-
sorse di cui parla, alla luce del fatto che le stime maggiormente conservative preve-
dono tutte un raggiungimento del picco produttivo prima dei prossimi trent’anni; con
un prezzo del petrolio elevato, gli effetti sul rallentamento dell’economia sono im-
mediati, in quanto la domanda di materie prime energetiche è fortemente elastica e
quindi molto sensibile al prezzo.
Se non ci sarà, come fanno temere le tendenze politiche attuali nel mondo, un cam-
biamento di modello di sviluppo e di scelte energetiche, nel prossimo trentennio si
assisterà ad una crescita regolare della domanda di energia, con un netto predominio
dei combustibili fossili (circa il 90%) e, contrariamente alla tendenza dell’ultimo pe-
riodo, il Medioriente è destinato a crescere in importanza, assoluta ma anche relativa,
come fonte di approvvigionamento, creando così una situazione di dipendenza cre-
scente verso un numero limitato di paesi che varrà sia per il petrolio, sia per il gas.
Valutando la situazione energetica nella sua interezza, ci si rende conto che, ad oggi,
l’apporto delle fonti di energia alternative hanno un peso ancora inconsistente, tant’è
che l’85% del fabbisogno energetico mondiale è coperto dai combustibili fossili: il
8
Organizzazione creata nel 1960, in sostituzione della OECE (Organizzazione Europea per la Coope-
razione Economica) istituita al tempo del Piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa dopo la
Seconda Guerra Mondiale. Scopo dell’organizzazione è di promuovere e coordinare politiche per
raggiungere il più alto livello sostenibile di crescita economica e di impiego nei paesi membri, man-
tenendo la stabilità finanziaria. L’OCSE pubblica statistiche, studi economici annuali sui singoli pa-
esi membri e un bollettino semestrale. La sede del segretariato è a Parigi e i 25 paesi membri sono:
Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Italia, Giappone, Lussemburgo,
Messico (dal 1994), Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia,
Irlanda, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia.
13
40% dal petrolio, il 23% dal gas naturale e il 22% dal carbone. L’energia nucleare e
quella idroelettrica forniscono un ulteriore 7% ciascuna, mentre soltanto l’1% è
l’apporto dell’energia geotermica, solare, eolica, o prodotta dalla combustione di le-
gno e di scorie.
Figura 1: quote di copertura del mercato delle risorse energetiche sia “fossili” che “alternative”
22%
7%
7%
1%
40%
23%
Petrolio
Carbone
Gas Naturale
Energia nucleare
Energia
idroelettrica
Altre energie
alternative
Il Direttore dell’ufficio Eia dell’economia e dello sviluppo, Appert, ha spiegato che
la Russia, attualmente il primo esportatore di gas naturale nel mondo, continuerà ad
aumentare le vendite all’estero (con un elevato livello di consumi all’interno) ma, nel
medio termine, sarà superata e lasciata indietro dal Medioriente, anche se riguardo a
ciò è bene fare una premessa. Nel periodo immediatamente successivo all’attacco
terroristico dell’11 Settembre 2001, i membri dell’OPEC
9
, capeggiati dall’Arabia
Saudita, hanno lanciato una campagna avente lo scopo di promuovere, all’interno dei
suoi paesi membri, una serie di tagli della produzione petrolifera; la strategia aveva
la principale finalità di mantenere alte le quotazioni del petrolio, allo scopo di fron-
teggiare il decremento della domanda mondiale successivo, ed in buona parte deter-
minato, dall’attacco terroristico agli Stati Uniti.
9
Organization of Petroleum Exporting Countries (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio),
fondata a Bagdad nel 1960 da Venezuela, Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait; oggi comprende 11
paesi: i cinque fondatori, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Libia, Nigeria, Qatar (Equador e
Gabon sono usciti dall’organizzazione rispettivamente nel 1992 e nel 1994). Gli 11 paesi dell’OPEC
controllano il 75% delle riserve mondiali di greggio ed il 40% della produzione.
14
La strategia dell’OPEC, nel caso in cui questa fosse stata attuata, avrebbe potuto ulte-
riormente penalizzare un’economia mondiale già in fase di recessione all’inizio del
2001. Comunque la campagna dell’OPEC di riduzione della produzione petrolifera
non ha avuto il successo sperato, principalmente a causa dei rifiuto dei più importanti
produttori non-OPEC (Russia in testa) a collaborare con il cartello.
La condotta di Mosca, ed il suo successivo impatto sul mercato petrolifero mondiale,
ha illustrato che la chiave per la sicurezza energetica non è solo quella di ottenere
larghi volumi di petrolio, bensì assicurarsi forniture da una varietà di produttori che
non esercitano azioni di monopolio. La Russia e gli altri produttori non-OPEC non
possono in nessuna maniera tener testa ai volumi di produzione dell’Arabia Saudita,
o di nessuno degli altri membri del cartello, ma l’esistenza di attori indipendenti al di
fuori dell’organizzazione può cambiare la dinamica del mercato petrolifero mondiale
e diminuire il potere dell’OPEC sul trend di mercato.
L’emergenza di un diverso schieramento dei paesi fornitori di petrolio, non solo con-
tribuisce alla sicurezza del mercato mondiale, ma limita anche la possibilità dei mag-
giori produttori petroliferi ad usare (ed “osare”) il prezzo come uno strumento per i
loro programmi politici.
Alla luce di quanto affermato diventa quindi determinante il ruolo della Russia (e dei
paesi al di fuori del cartello OPEC in generale), emersa come il secondo produttore
petrolifero mondiale, e con una quota di produzione stimata in continua crescita,
spinta in buona parte dal processo di privatizzazione delle sue vecchie compagnie
energetiche nazionali. Il comportamento indipendente di questo paese, nel contesto
del mercato petrolifero mondiale, ha causato un’erosione significante del potere mo-
nopolistico dell’OPEC, ed ulteriori investimenti nel settore petrolifero russo, come
anche negli altri paesi caspici (Azerbaigian, Kazakhstan) i quali, seppur oramai indi-
pendenti, sono ancora fortemente legati alla vecchia madrepatria, saranno in futuro
un elemento regolarizzante di un mercato viziato dal monopolio OPEC e dalla sua
destabilizzante tendenza alla “cartellizzazione”.
Per il prossimo trentennio si stima che il peso del petrolio nel commercio mondiale
crescerà, dal 45% attuale, al 58% mentre nel 2030 esisterà un mercato mondiale di
gas naturale che, dal peso del 16%, crescerà al 28% e, sempre con riguardo a
quest’ultima risorsa, le proiezioni parlano di un raddoppio della sua domanda, poiché
15
il 48% dell’elettricità dipenderà da questa fonte (è bene ricordare che, attualmente,
ancora 1,6 miliardi di persone, cioè un quarto circa della popolazione mondiale, non
ha accesso all’elettricità); la stessa America del nord, attualmente in equilibrio ri-
guardo a questa risorsa, diverrà importatrice netta in termini rilevanti, mentre nei pa-
esi dell’Unione Europea si prevede che la dipendenza dalle importazioni raddoppierà
dal 31% attuale al 62% nel 2030.
Figura 2: proiezioni del peso del petrolio e del gas naturale nel commercio mondiale (Fonte Aie)
45%
52%
58%
16%
22%
28%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
2002 2015 2030
Petrolio
Gas naturale
Nel quadro energetico mondiale appena illustrato, i paesi ricchi importatori di risorse
(USA, Europa occidentale) ed i paesi esportatori (principalmente OPEC), dovranno
fare i conti con l’inserimento di un terzo rilevante attore, i Paesi in Via di Sviluppo
(PVS), su tutti la Cina e l’India; nei prossimi trent’anni, infatti, il 62% della crescita
della domanda avverrà in quest’ultima categoria di paesi (grazie al loro crescente
ritmo di industrializzazione) e l’essenziale del consumo si concentrerà nel continente
asiatico. La pressione della domanda di greggio (nel 2002 pari a 76,4 milioni di
b/g
10
) è destinata, inevitabilmente, a far crescere i prezzi dell’energia: l’Aie ha calco-
lato, sulla base di un prezzo del petrolio attuale di 20 dollari al barile (è la tendenza
degli ultimi anni anche se attualmente il barile supera i 30 dollari, ma è vista dagli
addetti ai lavori come una situazione contingente) che nel 2030 la media sarà di 29
dollari attuali, ed anche i prezzi del gas naturale saranno rivisti in rialzo.
10
Barili giornalieri. Unità di misura della produzione di un pozzo o di un giacimento oppure capacità
di lavorazione di un impianto, universalmente adottata dall’industria petrolifera; un barile giornalie-
ro è equivalente a circa 50 tonnellate/anno.