2
stagnazione, gli investitori riuscivano a trovare nella RAP delle opportunità di investimento
con una redditività nettamente superiore a quella ottenibile su altre piazze. Ciò era favorito
non solo dalle elevate performance economiche ma anche dall'avvio dei processi di
liberalizzazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari di quella regione che hanno
permesso a questi ultimi di espandersi in maniera vorticosa diventando, in particolare, il
principale ricettacolo di enormi flussi di capitali che provenivano da ogni parte del mondo.
Tuttavia questa sorta di idillio economico e finanziario si è bruscamente interrotto
all’inizio della seconda metà degli anni ’90. Nel luglio del 1997, infatti, la RAP è stata
trascinata nel vortice di una crisi finanziaria che verrà ricordata come una delle più lunghe e
traumatiche di questo secolo, visto che solo adesso, a metà del 1999 (cioè dopo due anni),
sembra sia possibile affermare che i suoi effetti si stiano spegnendo.
Dal momento dello scoppio di questa crisi fino ad oggi il dibattito tra gli economisti si
è così incentrato prevalentemente sul tema delle crisi finanziarie poiché, visti i danni prodotti
da quella asiatica, si è cercato di individuarne le cause al fine di rendere questo fenomeno
più prevedibile e quindi più curabile per il futuro.
Partendo da questo presupposto, con questo lavoro, cercherò di fornire un quadro il
più dettagliato possibile di quelli che sono i principali approcci teorici sviluppatisi per dare
una risposta alla crisi asiatica.
La tesi è strutturata in questo modo: i primi tre capitoli sono dedicati all’introduzione
dell’argomento che verrà sviluppato successivamente. In particolare nel primo capitolo si
vuole fornire un quadro delle principali correnti di pensiero sul problema delle crisi
finanziarie. Per ovvi motivi di sintesi mi limiterò a citare quelli che sono considerati essere
gli spunti più interessanti, utilizzando come elemento discriminante la crisi del ’29. Questo
3
episodio infatti, in un certo senso, segna lo spartiacque tra un’epoca in cui le crisi finanziarie
tendevano a coinvolgere singole economie, o comunque zone geografiche circoscritte, ed
un’epoca, cioè quella del nostro secolo, in cui i fenomeni di crisi tendono a contagiare
sistemi finanziari spesso distanti sia geograficamente che economicamente. Per il periodo
anteriore al ’29 si farà riferimento alle due opposte correnti di liberisti ed interventisti
citando F. Ferrara e M. Pantaleoni per i primi e W. Bagehot e R. Hilferding per i secondi.
Per il periodo successivo al ’29 si considereranno invece i monetaristi come M. Friedman,
che considerano le crisi come fenomeni causati da fattori esogeni che provocano distorsioni
nell’offerta di moneta; coloro che criticano l’adozione del sistema del Gold Standard, come
R. Hawtrey e J. M. Keynes; e coloro che, in antitesi rispetto ai monetaristi, considerano le
crisi finanziarie un fenomeno che si sviluppa endogenamente come conseguenza della
conclusione di una fase di espansione economica precedente, tra questi I. Fisher, H. Minsky e
C. P. Kindleberger.
Passando infine agli approcci più moderni si farà riferimento a quello che si basa
sulle asimmetrie informative che caratterizzano i sistemi finanziari, ed infine a quelli che
sono definiti first and second generation models che invece si basano sugli squilibri provocati
da deficit della bilancia dei pagamenti. Sempre nel primo capitolo verranno fornite alcune
definizioni del concetto di crisi finanziaria ed un tentativo di classificazione delle diverse
tipologie di questo fenomeno.
Nel secondo capitolo, invece, verrà fornito un quadro, sia teorico che empirico, del
modello di sviluppo economico della RAP. Ho ritenuto opportuno aprire questa parentesi
perché, per capire meglio la dinamica della crisi, penso sia interessante avere un’idea di
quali fossero le basi su cui si è fondato quello che è stato comunemente definito il “miracolo
4
economico asiatico”. A questo proposito verranno citati i più importanti modelli teorici
sviluppati dagli economisti orientali, vale a dire:
• il “Wild Geese Flying” di A. Akamatsu;
• il “Catching-up Product Cycle” di I. Yamazawa;
• la “Teoria Macroeconomica degli IDE Giapponesi” di K. Kojima.
Dopo questa parte teorica si passerà ad una analisi empirica nella quale cercherò di
evidenziare, anche attraverso dati statistici, quali sono stati gli elementi che hanno permesso
concretamente a questi paesi di ottenere risultati simili.
Infine nel terzo capitolo, a conclusione di questa parte introduttiva, verrà fornita una
breve rassegna cronologica dei principali avvenimenti che hanno caratterizzato lo scoppio
della crisi asiatica.
Una volta terminata la prima parte della tesi si passerà, nei capitoli quarto e quinto,
all’analisi centrale dell’argomento trattato in questo lavoro. In questi due capitoli verranno
infatti esposti i due principali modelli teorici elaborati dagli economisti per trovare delle
risposte al perché dello scoppio della crisi asiatica. In particolare nel quarto capitolo verrà
presentato il modello definito “fondamentalista” che , in sintesi, individua come cause
principali della crisi le debolezze strutturali, cioè dei fundamentals, che hanno caratterizzato
ed accompagnato il processo di sviluppo economico e finanziario dei paesi della RAP.
Secondo i sostenitori di questo approccio, quindi, la crisi asiatica è risultata essere una
conseguenza ovvia ed inevitabile di una situazione instabile e precaria che non sarebbe
potuta continuare a lungo. Nel quinto capitolo invece verrà presa in considerazione la visione
della crisi antitetica a quella precedente. Questo approccio, definito dell’instabilità dei
mercati finanziari, pur riconoscendo l’esistenza di una serie di debolezze strutturali dei paesi
5
asiatici, non le considera come fattori sufficienti per poter scatenare una crisi così violenta.
Quest’ultima viene quindi vista come il prodotto della instabilità intrinseca dei mercati
finanziari che ha causato, ad un certo punto, una improvvisa e violenta inversione dei flussi
di capitali che hanno cominciato a defluire dalla RAP determinando prima il collasso dei
sistemi finanziari e poi anche quello dei sistemi economici.
Infine nella terza parte della tesi, prima di arrivare alle conclusioni, verrà trattato, nel
sesto capitolo, un particolare aspetto, il moral hazard, che caratterizza il fenomeno delle crisi
finanziarie. Come verrà sottolineato, con questo capitolo, non si vuole fornire un ulteriore
modello teorico di spiegazione della crisi nel suo complesso, ma ci si vuole concentrare su
uno specifico aspetto che peraltro è stato sottolineato dalla maggior parte degli economisti
indipendentemente dalla loro corrente di pensiero. Per colpa di questo fenomeno infatti viene
pregiudicato l’efficiente funzionamento dei sistemi finanziari a causa di distorsioni negli
incentivi che guidano il comportamento degli operatori di mercato. Nel settimo capitolo,
infine, a conclusione di questa analisi, verrà fornito un quadro che illustra le caratteristiche
che devono contraddistinguere un sistema finanziario affinché questo possa essere
considerato sano ed efficiente.
L’argomento delle crisi finanziarie meriterebbe probabilmente una trattazione più
completa ed esaustiva di quella fornita in questo lavoro. Tuttavia, per motivi di sintesi, si è
deciso di limitare l’oggetto di questa tesi allo specifico episodio della crisi asiatica che, già di
per sé, ha ricevuto l’attenzione della maggior parte degli economisti della comunità
internazionale.
Volendo fare un bilancio delle idee che sono state raccolte in questo lavoro penso che
si possa affermare che tutti gli approcci teorici a cui ho fatto riferimento forniscono degli
6
spunti estremamente interessanti. Risulta infatti difficile trovare una verità unica ed univoca
ai perché della crisi asiatica, tant’è vero che non esiste, come si è visto, un’opinione
comunemente condivisa nemmeno a livello di comunità internazionale. A testimonianza di ciò
vi è il fatto che, una volta che la crisi è scoppiata, tutti, o quasi tutti, i tentativi fatti per
arginarla sono risultati essere vani se non addirittura dannosi. Tutto questo potrebbe essere
dovuto al fatto che la crisi asiatica rappresenta effettivamente un fenomeno nuovo, in
particolare, una conseguenza negativa del processo di globalizzazione dei mercati che
assieme ai vantaggi dell’apertura dei sistemi finanziari porta con sé il pericolo di
propagazione a livello mondiale di episodi di turbolenza scoppiati inizialmente solo in zone
molto circoscritte.
7
ABSTRACT Cap. 1
In questo capitolo verranno illustrate le più importanti teorie riguardanti
l’analisi delle crisi finanziarie.
Nel primo paragrafo si comincerà fornendo alcune definizioni del
concetto di crisi finanziaria.
Nel secondo paragrafo verranno illustrati i principali modelli di
riferimento. Inizialmente si prenderà in considerazione il periodo precedente la
Grande Crisi del 1929, in quanto questa rappresenta, in un certo senso, un
punto di svolta nella storia economica perché da questo momento in poi le più
importanti crisi finanziarie non riguarderanno e non si svilupperanno solo
all’interno di un singolo sistema nazionale ma tenderanno ad essere sempre più
ampie e contagiose tanto da coinvolgere non solo aree geografiche
economicamente collegate ma interi continenti e perfino, come sta accadendo al
giorno d’oggi, l’intera economia mondiale. Questo rappresenta certamente uno
degli effetti della tanto mitizzata globalizzazione dei mercati che sicuramente
assieme a tanti vantaggi porta con sé anche svantaggi, primo fra tutti, da un
punto di vista finanziario, la maggiore facilità e soprattutto rapidità del
contagio di crisi finanziarie da un paese all’altro.
8
Le teorie a cui si farà riferimento per il periodo anteriore alla crisi del
1929 si rifanno alle correnti liberista e interventista. Gli autori esponenti della
corrente liberista che verranno qui considerati sono F. Ferrara e M.
Pantaleoni. Per la corrente interventista si farà invece riferimento a W. Bagehot
e R. Hilferding.
Nei cinque sottoparagrafi successivi si analizzeranno invece i principali
approcci elaborati nel periodo che parte dalla Grande Crisi del 1929 fino ai
nostri giorni. In particolare nel primo si farà riferimento a monetaristi e
neoliberisti citando F. von Hayek e M. Friedman. Nel secondo si prenderà in
considerazione il pensiero di coloro che, in seguito all’introduzione di un nuovo
sistema di cambi internazionali quale il Gold Standard, criticano le regole di
funzionamento di quest’ultimo; tra questi R. Hawtrey e J. M. Keynes. Nel terzo
si farà riferimento ad un tipo di analisi antitetica rispetto a quella dei
monetaristi che vede tra i suoi più autorevoli sostenitori I. Fisher, H. Minsky e
C. P. Kindleberger. Nel quarto si prenderà in considerazione un approccio più
recente, sviluppatosi negli anni ’70 ’80, che si basa sul ruolo delle asimmetrie
informative che caratterizzano i mercati finanziari citando G. Akerlof, J. Stiglitz,
A. Weiss e F. S. Mishkin. Nel quinto si farà riferimento ai cosiddetti first and
second generation models vale a dire a quegli approcci sviluppatisi per
9
spiegare quei fenomeni di crisi scoppiati negli anni ’80, per i primi, e all’inizio
degli anni ’90, per i secondi.
Infine nel terzo paragrafo verrà illustrata una classificazione con la quale
si tenta di fornire una diagnosi delle crisi finanziarie e i rimedi che di volta in
volta sono considerati più opportuni.
10
Capitolo 1: UNA PANORAMICA DEI PRINCIPALI MODELLI
TEORICI SULLE CRISI FINANZIARIE
1.1 ALCUNE DEFINIZIONI DEL CONCETTO DI CRISI
FINANZIARIA
Da sempre gli economisti si sono prodigati nel tentativo di fornire una
definizione del concetto di crisi finanziaria. Effettivamente, data la complessità del
fenomeno, risulta difficile trovare un enunciato convincente. E’ per questo motivo che
in questo paragrafo si farà riferimento a una serie di definizioni che differiscono a
seconda degli aspetti che vengono specificatamente messi in risalto di volta in volta.
La crisi finanziaria è:
• “un breve e brusco deterioramento extraciclico di tutti gli indicatori finanziari
o della maggior parte di essi: tassi di interesse a breve termine, prezzi delle
varie attività (azioni, beni immobili, terre), insolvenze commerciali e
fallimenti di istituzioni finanziarie”
1
.
• “una richiesta di riserve monetarie così intensa da non poter essere
soddisfatta per tutti i richiedenti simultaneamente nel breve periodo”
2
.
• “una liquidazione di crediti accumulati in un periodo di boom”
3
.
1
R. W. Goldsmith, “Comment a H. P. Minsky, the financial instability hypotesis: capitalist processes and the behavior of the
economy”, in C. Kindleberger and J. P. Laffargue, “Financial crises: theory, history and policy”, Cambridge University Press,
Cambridge 1982.
2
A. J. Schwartz, “Real and pseudo financial crises” in “Financial crises in the world banking system”, ed. by Forrest Capie
and G. E. Wood, New York, St. Martin’s Press, 1985, Pag. 11-37, J. A. Miron, “Financial panic, the seasonality of the
nominal interest rate, and the founding of the Fed”, American Economic Review, Vol. 76, March 1986, Pag. 125-140 e M. H.
Wolfson, “Financial crises: understanding the postwar U.S. experience”, Armonk, New York: M. E. Shoorpe, Inc. 1986.
3
T. Veblen, “The theory of bussiness enterprise”, New York, Charles Scribner & Sons, 1904 e C. W. Mitchell, “Bussiness
cycles and their causes”, Berkeley, University of California Press, 1941.
11
• “una condizione in cui gli operatori, che prima erano in grado di prendere a
prestito danaro senza difficoltà, ora non hanno più la possibilità di
procurarselo. Da questo deriva il collasso dei mercati”
4
.
• “una vendita forzata di attività, dovuta al fatto che la struttura delle passività
non è in accordo con il valore di mercato delle stesse, che determina lo
scoppio di una bolla speculativa”
5
.
• “una notevole riduzione del valore delle attività delle banche che determina
l’apparente o reale insolvenza di molte di queste con conseguente corsa agli
sportelli da parte dei depositanti e successivi fallimenti”
6
.
4
J. Guttentag and R. Herring, “Credit rationing and financial disorder”, Journal of Finance, Vol. 39, December 1984, Pag. 1-
37 e N. G. Manikow, “The allocation of credit and financial collapse”, National Bureau of Economic Research, Cambridge,
NBER Working Paper n° 1786, January 1986, Pag. 1-19.
5
I. Fisher, “The debt-deflation theory of great depression”, Econometrica, Vol. 1, October 1933, Pag. 337-357, R. P. Flood
and P. M. Garber, “A systematic banking collapse in a perfect foresight world”, National Bureau of Economic Research,
Cambridge, NBER Working Paper n° 691, June 1981, Pag. 1-41 e H. P. Minsky, “The financial-instability hypotesis:
capitalist processes and the behavior of the economy”, in C. Kindleberger and J. P. Laffargue, “Financial crises: theory,
history and policy”, Cambridge University Press, Cambridge 1982, Pag. 13-39.
6
Federal Reserve Bank of San Francisco, “The search for financial stability: the past fifty years”, proceedings of a
conference held June 23-25 1985.
12
1.2 I PRINCIPALI MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO
1.2.1 Prima del '29: liberisti ed interventisti
Secondo F. Ferrara, per quanto riguarda le cause delle crisi finanziarie, è la
febbre della speculazione che porta gli individui ad assumere posizioni finanziarie
pericolose, indipendentemente dal ruolo giocato dalle banche nell'erogare credito
attraverso lo sconto di effetti e quindi l'emissione di carta fiduciaria. Secondo questo
autore quindi bisogna distinguere tra quelle che vanno considerate le cause della crisi e
quelle che sono le conseguenze della stessa, che si manifestano in un aumento della
circolazione.
In Ferrara c'è quindi da una parte la visione di una intrinseca instabilità del
settore privato come causa principale delle crisi finanziarie, rappresentata dalla
propensione degli individui alla speculazione, dall'altra la necessità che il sistema
normativo garantisca la molteplicità e la libertà delle banche nel campo del credito in
quanto principale strumento di sviluppo dei sistemi economici.
Anche M. Pantaleoni svolge la sua analisi sulle cause delle crisi finanziarie
considerando i meccanismi di mercato, ma rispetto a Ferrara, che focalizza la sua
attenzione sulla domanda di credito, egli sposta il fulcro della sua analisi sull'offerta di
credito da parte delle banche e sottolinea come l'instabiltà finanziaria può essere
determinata da una creazione di credito in eccesso rispetto alle risorse, cioè al
risparmio disponibile, che può dar luogo prima a immobilizzazioni e poi a perdite. Egli
riconosce quindi l'efficacia dell'intervento dell'istituto centrale come prestatore di
ultima istanza ma solo in casi estremi allo scopo di evitare pericoli di crisi da
immobilizzo o da liquidità
7
. Pantaleoni infatti sottolinea che l’intervento delle autorità
monetarie è del tutto inutile, anzi dannoso, in caso di perdite perché si farebbe ricadere
7
G. Martinengo e P. C. Padoan, “Le crisi finanziarie”, Bologna, Il Mulino, 1985, Pag. 14.
13
il loro peso su coloro che non hanno nessuna responsabilità in quanto il salvataggio è
effettuato con la creazione di moneta.
Gli autori non ortodossi, interventisti e marxisti, come W. Bagehot e R.
Hilferding invece focalizzano la loro attenzione sugli effetti provocati sul sistema
finanziario e bancario di un paese dal suo inserimento in un particolare contesto
istituzionale quale il sistema del Gold Standard. Questo infatti, secondo Bagehot,
favoriva l'inasprimento di crisi di fiducia del pubblico nei confronti delle banche in
quanto consentiva di accentuare il deflusso di riserve auree dall'Inghilterra, che era il
centro finanziario del mondo, verso l'estero. Ciò era dovuto al fatto che la Banca
d’Inghilterra, che svolgeva funzione di prestatore di ultima istanza per l’intero
sistema, era costretta a monitorare ed eventualmente ad intervenire in aiuto delle
cosiddette “banche dipendenti”, cioè di quelle banche che operavano senza riserve e
che erano considerate da questo autore il punto debole della struttura finanziaria. Per
ovviare a questo "malanno" Bagehot sostiene che è necessario incrementare il tasso di
interesse. Questa misura permette infatti da una parte di attrarre capitali in Inghilterra
dove i depositi fruttano di più, dall'altra, la conseguente diminuzione dei prezzi fa
aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni con un effetto netto positivo in
termini di flussi di capitali.
L'altro "malanno" che affligge i sistemi finanziari, che di solito si manifesta
contemporaneamente al precedente, è il prelievo di capitali sul mercato interno causato
da una situazione di sfiducia. Bagehot suggerisce che la cura migliore per questo
disturbo è quella di prestare danaro con maggiore facilità ogniqualvolta vi siano le
idonee garanzie. In realtà in questo caso si potrebbe erroneamente ritenere che nel
momento in cui la risorsa in questione diventi scarsa, il modo migliore per preservarla
sia quello di ammassarla: questa mossa sarebbe però molto pericolosa perché, come
dice Bagehot, significherebbe far capire al pubblico che effettivamente le riserve delle
banche si stanno esaurendo e ciò potrebbe far sfociare la sfiducia del pubblico in vero
e proprio panico incontrollabile.
14
Per questo motivo Bagehot sostiene la necessità dell'esistenza di una banca
centrale con funzione di prestatore di ultima istanza col compito di garantire la
solvibilità del sistema, cioè la sua stabilità, prevenendo o controllando le crisi
finanziarie
8
Anche l'analisi di Hilferding giunge a conclusioni critiche nei confronti del
sistema del Gold Standard, considerato come un generatore autonomo di crisi bancarie
e monetarie in quanto la circolazione della moneta, e quindi anche del credito, viene
legata all'entità delle riserve d'oro e non alle esigenze reali del sistema economico.
Hilferding sottolinea come ogniqualvolta vi sia un deflusso di oro verso l'estero,
necessario per esempio per controbilanciare un aumento delle importazioni o una
diminuzione delle esportazioni con una conseguente riduzione delle riserve, la banca
non potrà più trasformare le cambiali in contante ma dovrà in primo luogo prendere
ogni provvedimento utile per proteggere la propria riserva aurea alzando il tasso di
interesse cioè contraendo la concessione di credito. In questo modo la fase di
espansione che aveva giustificato l'aumento della domanda di credito viene
bruscamente, ma soprattutto artificiosamente, arrestata anche quando la produzione
non richiedeva tale arresto. Si arriva così a determinare nei casi estremi una completa
interruzione della circolazione del denaro creditizio e quindi le conseguenti crisi
bancaria e monetaria.
Il problema della difesa delle riserve bancarie è al centro dell'analisi di questo
autore. Egli identifica come cause iniziali della crisi l'allungamento del tempo di
rotazione del capitale (cioè il rallentamento dello smercio che riduce la velocità del
moto circolatorio del denaro creditizio) e le sproporzioni settoriali tra i diversi rami
produttivi: le banche fanno di tutto per sostenere il settore produttivo, al quale esse
sono legate da vincoli di partecipazione, ma questo sostegno è istituzionalmente
collegato alle riserve auree per effetto dell'appartenenza del paese al sistema del Gold
Standard. La disponibilità di tali riserve dipende dal saldo della bilancia dei pagamenti
8
G. Martinengo e P. C. Padoan, “Le crisi finanziarie”, Bologna, Il Mulino, 1985, Pag. 14.
15
e dai movimenti di capitale che a loro volta sono strettamente legati all'andamento
della borsa. L'elemento destabilizzante che si inserisce nella fase di espansione,
unitamente all'innalzamento del tasso di interesse, è la speculazione, sostenuta dalle
banche, che permette di assorbire tutti i titoli di nuova emissione delle società create
dalle banche stesse. Infatti non appena il meccanismo di espansione produttiva si
inceppa per effetto del calo degli utili, le banche cominciano a razionare il credito, che,
non sostenendo più la speculazione, innesca un meccanismo deflativo che fa
precipitare il valore delle azioni provocando una crisi borsistica. Contemporaneamente
a causa della scarsità di riserve il sistema produttivo non può più essere sostenuto dalle
banche e si innescheranno quindi una serie di insolvenze e fallimenti delle imprese che
potranno trascinare con sé anche le banche che avevano investito in queste ultime, con
una conseguente crisi bancaria ed eventualmente anche monetaria nei casi più gravi.
Tutto questo, dice Hilferding, a causa di un meccanismo sbagliato, quello del
Gold Standard, il cui funzionamento diventa di per sé fonte di crisi, in quanto richiede
una contrazione del credito per proteggere le riserve auree, quando invece, per
prevenire successive turbolenze, sarebbe più opportuno per le banche aiutare le
imprese. Infatti, conclude l'autore, tutte le volte che ciò è stato fatto è stato possibile
evitare crisi monetarie.
1.2.2 Dopo il '29: monetaristi e neoliberisti
Nel periodo che segue la prima guerra mondiale gli approfondimenti teorici sul
tema delle crisi finanziarie e non, visto che queste sono state sempre più spesso
accompagnate anche da crisi delle economie reali, si sono fatti sempre più numerosi
soprattutto dopo la Grande Crisi del '29. Quest'ultima rappresenta in un certo senso un
punto di svolta in quanto essa si contraddistingue rispetto alle precedenti per le sue
dimensioni internazionali. Da una parte vi sono, per esempio, i monetaristi come M.
Friedman che pongono l’accento sul fatto che le crisi finanziarie sono fenomeni
causati da fattori esogeni provocati da disfunzioni nel sistema creditizio che portano ad